Eventi epocali come la caduta del muro di Berlino e la fine del sistema
di apartheid in Sudafrica segnarono l’inizio del sogno di un mondo più unito.
Eppure, oggi viviamo circondati da muri e barriere — ben 63, secondo un recente
studio. C’è chi non esita a dire che stiamo vivendo nell’era di un apartheid
globale, in cui confini militarizzati costruiti su ideologie razziste segnano
l’esistenza di un mondo santificato ‘al di qua’ e un mondo demonizzato ‘al di
là’, dove alle persone vengono negati i diritti più fondamentali.
Secondo un recente rapporto del
Transnational Institute – a cura di Ainhoa Ruiz Benedicto, Mark Akkerman
e Pere Brunet – al 2018 si contavano 63 muri in tutto il mondo, di cui 40
costruiti soltanto nell’anno del 2015. Sei persone su dieci vivono in
un paese dove è presente un muro sul confine.
L’Asia è
il primo continente per numero di muri presenti sul territorio
(56%) seguita da Europa (26%) e Africa (16%). Per quanto riguarda i singoli
Paesi, invece, al primo posto troviamo Israele con sei muri, seguita da
Marocco, Iran e India con tre muri. Quest’ultima conta ben 6.540 km di muri che
coprono il 43% dei suoi confini. Nel Sahara occidentale troviamo
“la più grande barriera militare funzionale del mondo, lunga 2.720 km
circondata da nove milioni di mine terrestri“, il che rende la
regione una delle più minate al mondo. In Europa, invece, quasi mille
chilometri di muri e barriere, sei volte tanto la lunghezza del famigerato Muro
di Berlino, pretendono di aumentare la sicurezza e trovare una soluzione alle
spinte migratorie.
La
differenza rispetto al passato risiede nel fatto che questa divisione
non riguarda più tanto le ideologie, bensì la paura dell’altro. La prima
delle motivazioni che sta alla base della costruzione di nuovi muri, infatti, è
quella di fermare i fenomeni migratori. Se l’obiettivo dichiarato
però è quello di diminuire gli arrivi, la conseguenza diretta di una chiusura
sempre più rigida dei confini, e sulla quale spesso si decide di chiudere un
occhio in nome di una presunta maggiore ‘sicurezza’, è quella di aumentare
la pericolosità del viaggio che intraprendono le persone. Alla
volontà di fermare le migrazioni le motivazioni che seguono sono: “la lotta al
terrorismo (18%), contrabbando di merci e traffico di esseri umani (16%),
traffico di droga (10%), controversie territoriali (11%) e blocco dei militanti
stranieri (5%)”.
I muri
fisici sono solo una dimensione di una violenza strutturale. Sempre più Stati
decidono di militarizzare i propri confini terrestri,
marittimi e aerei attraverso il dispiegamento di truppe, aerei, navi, droni e
sistemi di sorveglianza digitale. Se si considera soltanto la rotta verso
l’Italia secondo l’UNHCR nel 2019 hanno perso la vita 492 persone, e questo a
causa di un vero e proprio muro marittimo innalzato attraverso l’impiego
di navi, velivoli e droni, usati per pattugliare il Mediterraneo.
Anche il “modello australiano” ci dimostra che non c’è bisogno di muri fisici
per respingere le persone, la marina militare infatti assicura che nessuna
imbarcazione raggiunga le coste australiane e i migranti vengono respinti in
vere e proprie prigioni a cielo aperto nelle isole del Pacifico.
Grave quanto
i muri è il linguaggio bellico utilizzato per descrivere
l’arrivo di queste persone, ad ‘invadere’ non è certo un amico ma un nemico,
che distrae da quelle che sono le vere cause dell’insicurezza globale e che
persuade le persone a supportare un tipo di politica securitaria che in realtà
non fa altro che produrre più insicurezza. Se l’Italia – o qualsiasi altro
stato occidentale – domani stesso riuscisse veramente a interrompere la
migrazione di tutti i lavoratori privi di documenti, interi
settori della nostra economia, a partire da quello dell’agricoltura fino
all’assistenza sanitaria a domicilio, collasserebbero all’istante.
Il redditizio business dei muri
La
fortificazione delle frontiere è anche un business, sia per le
sofisticate reti criminali che hanno costruito un’enorme industria intorno al
traffico di persone, sia per i giganti della sicurezza e degli armamenti che
hanno beneficiato di un enorme espansione della spesa pubblica per la sicurezza
delle frontiere, soprattutto in Unione Europea. Nel 2018, il valore stimato
del mercato globale per la militarizzazione dei confini si
aggirava intorno ai 17,5 miliardi di euro, con una crescita annua
dell’8%. Tra i beneficiari principali in Unione Europea spicca anche il nome di
una nota azienda italiana, la Leonardo, che ad oggi è la principale fornitrice
di elicotteri impiegati dall’Italia nelle operazioni Mare Nostrum, Hera e
Sophia.
La narrativa
della paura e della sicurezza è stata chiaramente un fattore determinante per
la costruzione di nuovi muri in tutto il mondo. A partire dal 2001, inizio
della cosiddetta guerra al terrorismo globale, il numero di muri è impennato e
qualsiasi azione intrapresa dai governi in nome della sicurezza è diventata
giustificabile e lecita. In questo processo, le minacce vengono costruite per
sottolineare il ruolo degli Stati come ‘garanti della sicurezza nazionale’ e i
muri diventano simboli tangibili per dimostrare che la politica sta facendo
qualcosa per affrontarle. In altre parole, la sicurezza è diventata la base
normativa del diritto degli Stati ad uccidere.
Il problema
più grave è che la sicurezza oggi si traduce letteralmente in limitazione dei
diritti degli “altri”. Per questo motivo, oggi più che mai, si rende necessario
un cambiamento nell’opinione pubblica che impedisca a questioni politiche come
la migrazione di essere trasformate in questioni di sicurezza. I modelli di
violenza proposti dalle politiche securitarie però, sono così profondamente
radicati nel discorso pubblico che oggi per i cittadini è diventato normale il
sacrificio della vita e dei diritti degli altri.
La verità è
che non è limitando la libertà che si aumenta la sicurezza, semmai
si avviano circoli viziosi di violenza e morte abbassando gli standard dei
diritti umani sia al di là del muro, sia negli stessi Stati promotori delle
politiche discriminatorie di (in)sicurezza. Eppure, la logica fondamentale dei
diritti umani è molto semplice: i miei diritti si rafforzano se anche i
tuoi vengono rispettati, e non viceversa, come qualche ‘energumeno da
comizio’ vuole farci credere. Al momento, questa tendenza sembra inarrestabile.
Ciò che resta da vedere, tuttavia, è per quanto tempo ancora giustificazioni
di questo tipo rimarranno in piedi. Soprattutto di fronte
all’evidenza che nessun muro – passato o presente – è mai riuscito a fermare i
movimenti globali di persone le quali troveranno sempre nuovi modi per
attraversare ‘la frontiera’.
Link utili:
Report
Transnational Institute, “A walled world”: https://www.tni.org/en/walledworld
Report
Transnational Institute, “The business of building walls”: https://www.tni.org/en/businessbuildingwalls
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