giovedì 30 aprile 2015

accadde a Natale, nel 1914

Il mattino di Natale stavo facendo colazione in trincea, quando è passata la voce: “I tedeschi sono fuori dalle trincee!”. Gli ufficiali tedeschi hanno detto di volere un armistizio per seppellire i caduti. Dopo una breve discussione si sono accordati per una tregua, perché anche noi avevamo dei morti da seppellire. In realtà credo che ci siano state anche ragioni sentimentali, dopotutto non era forse Natale, giorno di pace e fratellanza tra gli uomini? Il nostro cappellano, che per un caso fortunato era arrivato in trincea quella mattina per farci gli auguri di Natale, ha potuto celebrare una breve messa. Il cappellano ha letto il servizio funebre. Un soldato tedesco, credo uno studente di teologia, ha tradotto per la parte tedesca. Non capivo cosa stesse dicendo, ma ascoltarlo era bellissimo. Finita la messa abbiamo iniziato a fraternizzare con i tedeschi, come se fossimo vecchi amici. Qualcuno parlava molto bene inglese – uno era stato cameriere all’Hotel Cecil di Londra – e abbiamo capito che sono davvero esausti di questa orrenda situazione.
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Stamattina abbiamo fatto la comunione in una fattoria a mezzo miglio di distanza. Siamo partiti prima che facesse giorno per stare tranquilli. È stato assurdo. La fattoria era stata bombardata, ed era praticamente distrutta. Dove abbiamo fatto la messa, il tetto era mezzo crollato. Credo che non mi capiterà più di assistere a una messa del genere, una situazione così riverente e intorno tutto così brutale. Al ritorno abbiamo deciso di rimanere sulla strada, anche se saremmo stati in piena vista del nemico. Siamo arrivati sani e salvi, e poco dopo alcuni dei nostri hanno fatto due tiri a pallone appena fuori dalla trincea. I tedeschi si sono fatti vedere, e, per farla breve, è finita che ci siamo incontrati a metà strada, per darci la mano e scambiare sigarette e piccole cose, e ci siamo salutati come migliori amici. Uno mi ha lasciato il suo indirizzo per scrivergli, dopo la guerra. Erano proprio dei bravi ragazzi, davvero. Immagino che possa sembrare una storia incredibile ma è andata proprio così. Sono certo che se la decisione stesse agli uomini, non ci sarebbe nessuna guerra.
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Verso le 5 di giovedì stavamo tutti pensando a casa e alla Vigilia di Natale, e abbiamo cominciato a intonare canti natalizi. Ai tedeschi è piaciuto molto, tanto che hanno iniziato a cantare anche loro gridandoci: “Buon Natale!”. Per tutta la notte non è stato sparato un colpo da entrambe le parti. La mattina dopo, il giorno di Natale, abbiamo fatto una breve messa in trincea e poi siamo arrivati fino a metà strada per incontrare i tedeschi. Meno di mezz’ora dopo stavamo conversando animatamente, e ci hanno rivelato di essere impazienti che la guerra finisca. Due di loro con i quali ho conversato più a lungo erano davvero bravi ragazzi. Erano due fratelli del 107° sassoni, ed erano stati chiamati perché arruolati tra le riserve. Uno aveva con sé un biglietto per Londra, e ci ha raccontato che stava andando in vacanza proprio a Londra quando è stato chiamato. Entrambi erano molto dispiaciuti di doverci combattere.
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Questo sarà il Natale più indimenticabile che abbia mai passato, e probabilmente che mai passerò. Da ieri all’ora del tè non è stato sparato un colpo da entrambe le parti. La notte scorsa è stata una fredda e gelida notte di luna piena, così poco dopo il tramonto abbiamo acceso dei grandi fuochi e abbiamo cantato canzoni di Natale. Oggi sono venuti a trovarci alcuni tedeschi. Hanno anche mandato una squadra a seppellire un cecchino che avevamo abbattuto una settimana fa. I nostri ragazzi sono usciti e hanno aiutato a scavare la fossa. Verso le 10.30 abbiamo fatto una breve processione e la messa si è tenuta in trincea. Come abbiamo cantato! Prima di cena ho avuto il piacere di stringere la mano a diversi tedeschi: un gruppo è arrivato a metà strada verso di noi, e così alcuni di noi sono andati a raggiungerli. Ci siamo scambiati da fumare e abbiamo fatto quattro chiacchiere. Dopo esserci scambiati i nomi e augurati felice anno nuovo ci siamo salutati e siamo tornati in trincea. Non possiamo credere che abbiamo passato le ultime due settimane a spararci. Sembra tutto così strano.
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I fuochi erano spenti nelle linee inglesi, e solo lo sguazzare di stivali fradici sul terreno fangoso, gli ordini sussurrati degli ufficiali e dei graduati e il lamento del vento rompevano il silenzio della notte. Lo scrigno dei ricordi ci ha trascinati in un incanto di malinconico silenzio. Nel mio sogno sentivo le risate e le mille melodie della cena di Natale. Col mantello appesantito dal fango, le mani spaccate e piagate dal freddo, stavo in piedi contro il bordo della trincea, e attraverso uno spiraglio lanciavo sguardi stanchi alle trincee tedesche. Pensieri furibondi mi affollavano la mente; ma non c’era un ordine, non un filo conduttore. Pensieri d’infanzia e casa, di come erano stati tutti gli anni che mi avevano portato a questo. Mi sono chiesto come potevo essere finito in una trincea umida, infelice, quando avrei potuto essere in Inghilterra, al caldo e soddisfatto. Mentre osservavo il campo ancora sognante, i miei occhi hanno colto un bagliore nell’oscurità. A quell’ora della notte una luce nella trincea nemica è una cosa così rara che ho passato la voce. Non avevo ancora finito che lungo tutta la linea tedesca è sbocciata una luce dopo l’altra. Subito dopo, vicino alle nostre buche, così vicino da farmi stringere forte il fucile, ho sentito una voce. Ho teso le orecchie, rimanendo in ascolto, ed ecco arrivare lungo tutta la nostra linea un saluto mai sentito in questa guerra: “Soldato inglese, soldato inglese, buon Natale! Buon Natale!”. Dopo gli auguri quelle voci profonde sono esplose in un invito: “Venite fuori, soldati inglesi, venite qui da noi!”. Per un po’ siamo rimasti diffidenti, senza neanche rispondere. Gli ufficiali, temendo un agguato, hanno ordinato agli uomini di restare in silenzio. Ma ormai su e giù per la linea si udivano i soldati rispondere agli auguri del nemico. Così è cominciato un fitto dialogo con i tedeschi, le mani sempre pronte sui fucili. Sangue e pace, odio e fratellanza: il più strano paradosso della guerra. Il Natale aveva trasformato in amici gli acerrimi nemici. (da qui)

mercoledì 29 aprile 2015

Il giorno della madre (La crítica de las armas) - José Pablo Feinmann

il titolo italiano è un po' diverso da quello originale, ma non si può scegliere e ormai il libro di trova solo nei mercatini dell'usato, purtroppo.
il titolo si riferisce a una citazione di Marx: "El arma de la crítica no puede reemplazar la crítica de las armas".
Pablo (casualmente anche il nome dello scrittore) vive nell'inferno di Buenos Aires, negli anni della dittatura, dove le Falcon senza targa della polizia girano, per sequestrare i colpevoli, non i sospetti, se ti sequestravano eri colpevole (curioso che i dittatori argentini amassero l'ornitologia, el plan Condor, volare dagli aerei ed elicotteri, le auto Falcon).
nel libro ci sono e si sovrappongono due madri, quella biologica e la patria, e chi lo cerca e lo trova scoprirà un romanzo come si deve, oltre Marx ci sono, fra le altre cose, Primo Levi, la paura, l'amicizia, la famiglia, il coraggio, i tradimenti, la malattia, il terrore, i sensi di colpa, gli omicidi, le piccole strategie per sopravvivere, l'esilio, la psicanalisi, gli ebrei, i desaparesidos, i libri, la libertà, i rimorsi, il calcio, la fuga, l'ESMA, il passato che non si dimentica, l'argentinità, l'impotenza, la vita.
cercatelo e trovatelo, magari non riuscite a staccarvene, e vi farà anche stare male, con Pablo, ma non trascuratelo - franz



...Il Giorno della Madre non è un romanzo, nonostante sia catalogato come tale. Non è un saggio e nemmeno un’autobiografia. Non è niente di facilmente inquadrabile. Come non lo è Feinmann. Sono piani di osservazioni rivolte a sé stesso e sovrapposti uno sull’altro, partendo dall’uomo solo, passando al figlio, poi al marito, il padre, l’intellettuale progressista, il cittadino, l’uomo occidentale e l’argentino, l’uomo moderno, l’uomo del futuro che ci aspetta. Ogni ruolo è un piano di osservazione della propria immagine riflessa nello specchio della società.
Per questo è un libro a tratti caotico, procede a ondate e per immagini simboliche, cambia tono in modo repentino, Pablo di volta in volta è prima e terza persona, riflette o si angoscia, si ammala di tumore e guarisce, apre lo sguardo alla politica e lo stringe sulla psicosi dell’uomo terrorizzato di poter essere la prossima vittima dei torturatori.
Il Giorno della Madre è anche un libro di malattie che si innestano una nell’altra, gusci di malattia che avvolgono la voce narrante… il cancro, l’ossessione psicotica per la propria salute, la vecchiaia della madre, l’obnubilamento dei concittadini, la violenza folle del potere militare.
È un libro doloroso, di ricordi e dediche, a Rodolfo Walsh e Héctor Germán Oesterheld, di accuse, anche a una certa figura di intellettuale esule divenuto una celebrità mondana in Europa o negli Stati Uniti in quanto esule e intellettuale; una litania di sofferenza con scene grottescamente epiche come la corsa in ospedale con l’amico Lucio colpito da aneurisma cercando di fendere la folla che accorreva alla stadio per la finale del Mondiale del 1978, quello vinto dall’Argentina e che fece da schermo ipocrita alla strage in corso.
Questo è un grande libro un po’ scombinato, un po’ messo insieme da mani forse tremanti per l’emozione o la rabbia o a causa dei ricordi o forse fatto apposta proprio così, a lamine instabili che scivolano da ogni parte affinché ognuno di coloro che lo prenderà in mano non si possa concedere il lusso di sentirsi a proprio agio, con la presa ferma e la presunzione dei propri ideali.
Veramente un peccato che questo libro non sia più disponibile. Una perdita grave per chi volesse conoscere José Pablo Feinmann, un meraviglioso scrittore e voce libera, l’Argentina e la sua sempre stupefacente letteratura.

Pablo Epstein, il protagonista di questa tragedia si definisce un comunista di merda, ebro di merda, merdoso sovversivo, e, ovviamente montonero di merda. Un intellettuale che, prima dell'avvento dei torturatori, scrisse Rivoluzione e terzo mondo.

E a ragione vive il suo tempo nella paura e nell'angoscia di essere prelevato da casa e torturato nelle famigerate cantine dell'ESMA, l'incubo di tutti gli argentini: non c'è scenografia per il terrore, soprattutto se uno ce l'ha dentro.

Sopravviverà, tuttavia, anche se qualche amico sparirà, qualche collega emigrerà nell'occidente democratico, il fratello più grande morirà prematuramente e il matrimonio fallirà. Ma la sopravvivenza implicherà un resoconto coi propri fantasmi ed è a questo punto (e solo a questo punto) che entra in scena la madre del protagonista, non più legata a lui da vincoli di sangue, ma da contrasti ideologici. Ma la madre-patria (traslazione necessaria ed inevitabile) ormai alleggerita dal terrore dei generali (ma solo in parte, perché il passaggio dell'Argentina dalla dittatura alla democrazia non fu indolore nemmeno a decenni di distanza) necessita di una rimozione definitiva. Di una cancellazione. Per Pablo Epstein avviene attraverso l'uccisione della madre emblema di una visione qualunquistica della politica e appunto della sopravvivenza.

Solo allora la dittatura sanguinaria dei generali, alimentata dal colonialismo statunitense, dalla bramosia dell'ordine(...ordine, ordine, ordine, quando c'è ordine, il paese si può ricostruire da cima a fondo), dallo specchietto delle allodole dei campionati mondiali di calcio del '78 (Il 21 giugno... la squadra del regime vinse 6 a 0 contro il Perù, a Rosario. Ciascun gol, pensava Pablo, un gol per la dittatura. Ciascun gol, un gol per i sequestri. Ciascun gol, un gol per il saccheggio e il furto dei bambini. Ciascun gol, un gol per la tortura. Ciascun gol, un gol per le sparizioni. Ciascun gol, un gol per la Morte), dal falso luccichio rivistaiolo (...fiesta, que fantastica fantastica esta fiesta... sapevi Pablo Epstein che Raffaella Carrà, quella entertainer del Processo, cantava questa canzone per te…) muore, ma lascia una ferita non rimarginabile.
Il giorno della madre è un romanzo perfetto e commovente.

Feinmann despliega y señala en rojo, despiadado, la conducta de los argentinos a los que no les importa nada. De aquellos que repetían “algo habrán hecho, por algo están presos, por algo desaparecieron, somos campeones del mundo, recuperemos las Malvinas”. Y de aquellos otros que vivían aterrorizados, esperando en el gueto de la izquierda el día de su juicio final, deshaciéndose de material comprometedor, mudándose de casa sin darle el nuevo domicilio a sicólogos, a viejos compañeros. La orden era desaparecer, cortar lazos. Y estaban los que se enrolaron en “la crítica de las armas”, llevados al combate desigual, a la matanza ejecutada por las armas de los generales, cerebros castrados y crueles…

La crítica de las armas es una extraordinaria novela en la que la madre Patria y la madre de sangre son el motivo a partir del cual se produce una de las reflexiones más agudas sobre la vida durante la dictadura militar y sobre el presente. Si La astucia... era la expansión infinita de un sujeto que se desintegra, La crítica de las armas es la concentración poderosa (y la dilación necesaria) de todo hombre en el momento en que está por elegir su destino.
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martedì 28 aprile 2015

Appello ai docenti resistere, resistere, resistere. Anzi, reagire, reagire, reagire per non perire

Con la proposta di modifica delle norme che interessano la scuola, dopo quelle di modifica dell’ordinamento parlamentare e del sistema elettorale, questo Governo e questo Parlamento stanno operando la più grave inversione nel sistema dei diritti sui cui poggia la nostra democrazia. Tutto ciò che lega la sequela dei provvedimenti approvati dal Partito-Governo e dal Notaio-Parlamento ha un unico fine svuotare di ogni significato e rilevanza le norme poste a tutela dei diritti dei cittadini elettori e lavoratori. Lo spregio alle garanzie approntate dalla nostra Costituzione, sta trasformando la funzione delle istituzioni rappresentative, di quella che era la sovranità popolare, in una liturgia burlesca della democrazia.
La proposta sulla scuola è in perfetta linea con questo disegno. Qui con un cinismo inusitato e inquietante, si intende realizzare una radicale spoliazione dei diritti fondanti riconosciuti dalla Costituzione al nostro sistema di istruzione e alla sua funzione primaria, l’insegnamento, che viene ad essere privata di ogni garanzia. Brandendo la spada della stabilizzazione del lavoro, tra l’altro ormai imposta dalle sentenze della magistratura, il Governo gira la lama nella carne lacerata da anni di sacrifici dei tanti precari della scuola, ai quali promette una stabilità più precaria di quella finora vissuta, in cambio di sostegno ad un estremo sradicamento della democrazia nelle nostre scuole e alla loro trasformazione in un sistema feudale assai lontano dalle esperienze più buie della nostra storia post unitaria.
I precari entreranno “nudi” nei cosiddetti “albi” e potranno, in ogni tempo, dopo un’infruttuosa messa in disponibilità, uscirne “spogliati”, se non cacciati dalla stessa scuola e senza più alcuna possibilità di potervi fare ritorno. In modo non dissimile toccherà agli attuali docenti cosiddetti "di ruolo" che nelle aule scolastiche hanno visto i loro capelli divenire sempre più grigi e i loro ex alunni divenire padri, madri, colleghi. Anch’essi saranno ogni tre anni, ed in ogni momento, sottoposti al volere di novelli satrapi a cui questo Governo vuole affidare il loro futuro professionale e lavorativo e la vita e il destino della scuola italiana.
I satrapi di Renzi nelle “loro” scuole, amministreranno la giustizia (procedimenti disciplinari), riscuoteranno i tributi (5 x mille e balzelli vari a carico di famiglie e studenti), recluteranno “le truppe per l’esercito del Gran Re” (chiamata diretta dei docenti e il loro licenziamento), nomineranno tra i paria coloro (collaboratori) che dovranno essere i loro “occhi” e le loro “orecchie”, che possano riportare al “Gran Re” ogni percezione, ogni battito di ciglia. Ben presto alcuni dei nuovi satrapi stamperanno moneta con la loro effigie, altri personalizzeranno la “loro” scuola con la loro immagine -qualcuno l’ha già fatto e il signor ministro dell’istruzione e il signor presidente del Consiglio non possono non esserne a conoscenza -. Ma è proprio questo che vogliono: trasformare le nostre scuole in moderne satrapie.
La nostra Costituzione, signor Presidente della Repubblica, ha ancor senso citarla? Ha ancora senso chiedere ai giudici di applicare le leggi che dalla Costituzione discendono ed in essa trovano la loro legittimità? Ci auguriamo che tutto questo sia il racconto di un brutto sogno che gradualmente svanisce alle prime ore del mattino. Purtroppo sappiamo che così non è. Per la nostra scuola si annunciano tempi bui e il nostro appello ai docenti con può che essere: resistere, resistere, resistere. Anzi, reagire, reagire, reagire per non perire.

Le preoccupazione di Poletti sulla scuola? Le cassette della frutta da spostare in estate

Ormai è evidente, questo Governo soffre di scuolafobia, una rara malattia che si contrae in età scolare per giustificare i compiti non fatti inventando curiose storielle. Si potrebbe pensare che dopo Renzi anche il ministro Poletti ne sia stato contagiato e come gli scolari giustifichi il suo infelice intervento richiamando esperienze familiari. Avrà pensato Poletti, memore della propria esperienza personale "i miei figli d'estate sono sempre andati al magazzino della frutta a spostare le casse", visto che ora sono il ministro del lavoro per evitare che i figli dei miei figli siano costretti dai loro padri a spostare d’estate le cassette della frutta, dispongo che lo facciano i figli degli altri, gratis, naturalmente, e a vacanze ridotte.
Forse i ricordi della scuola in alcuni ministri di questo Governo stanno generando una vera e propria fobia. Forse per questi è assai difficile spiegarsi come si possano ricoprire importanti incarichi di governo quali, ad esempio, di ministro del Lavoro o di ministro della Giustizia o di ministro della Sanità con un semplice diploma.
È certo, tuttavia, che mai si era visto un Governo accanirsi con tanta acredine contro la scuola e contro i docenti. Allora, quella di Poletti forse non è l’ennesima storiella per giustificare i compiti non fatti, ma piuttosto il tentativo di allentare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla scellerata proposta legislativa sulla scuola che in questi giorni approderà in un Parlamento, ormai ombra della democrazia, che si troverà ad essere precettato da un Governo dominato dal partito personale di Renzi, che avrà il solo compito di apporvi il sigillo di legge della Repubblica Italiana, che altro non sarà che l’epitaffio di quella che fu la scuola della Repubblica Italiana.
da qui

lunedì 27 aprile 2015

La scuola pubblica, la dignità e la libertà di insegnamento - Ferdinando Imposimato

Il rispetto della scuola pubblica

La scuola pubblica, la dignità e la libertà di insegnamento

1. Ringrazio tutti coloro che mi hanno chiesto di partecipare a questo incontro e di dare il mio modesto contributo alla difesa della scuola. Nel 70º anniversario della Liberazione, da cui è nata la nostra Costituzione, siamo chiamati a difendere la scuola pubblica dall’attacco del Governo contro insegnanti precari e di ruolo e i quota 96, vittime di gravi ingiustizie commesse da parte dei Governi degli ultimi 30 anni. È un attacco, quello attuato con la legge in discussione in Parlamento,contro la democrazia e la Costituzione e contro il diritto degli studenti a ricevere gratuitamente una seria educazione e formazione culturale e morale a vantaggio della loro persona e della collettività. A differenza dello Stato totalitario, lo Stato democratico, perseguendo l’interesse collettivo alla cultura, lascia alle persone libertà di formarsi e non stabilisce con arbitraria sopraffazione, quello che è etico e giusto insegnare (Atti costit relazione A Moro 18 ottobre 1946).
Questa libertà di contenuti oggi è minacciata dalla riforma del Governo.
Quella che conduciamo oggi, e dobbiamo proseguire in avvenire, è una battaglia di libertà e di dignità dei docenti precari e di ruolo. Ai quali va riconosciuto il diritto di insegnare alle nuove generazioni il frutto della propria esperienza intellettuale e di aiutarle ad aprirsi coscienti alla vita, diritto costituzionalmente garantito col riconoscimento della funzione socialedell’insegnamento. Questa funzione lo Stato deve soddisfare, ponendo a disposizione degli studenti, docenti preparati e ben retribuiti, affinché possano migliorare la propria formazione culturale ed etica nell’interesse degli studenti. (atti costituente relazione Moro ib). Ed è questo dovere dello Stato, di organizzare la scuola come un servizio pubblico per preparare i giovani ad assumere funzioni sociali, che con la riforma viene violato umiliando i docenti col licenziamento, precarietà e retribuzioni inadeguate.
Contro questa politica, che danneggia la scuola pubblica e l’interesse collettivo, docenti, studenti e lavoratori devono mobilitarsi per una nuova Resistenza. Ma occorre anzitutto l’unità dei docenti, di ruolo e precari, condizione necessaria per la difesa della scuola pubblica. Siamo più che mai convinti che se la scuola pubblica non vuole subire nuove sconfitte, deve affrontare compatta e non divisa le forze del privilegio e della reazione, che 70 anni dopo la Liberazione, non sono morte, ma, come appare da molti segni evidenti, sono più vive che mai e tentano di umiliare la scuola di Stato con grave pericolo per la democrazia.
Ogni volta che tra gli insegnanti si verificano divisioni, alimentate ad arte dai nemici della scuola, le forze della conservazione, ne profittano per ridurre i diritti dei docenti a una retribuzione adeguata ai loro altissimi compiti, alla dignità del lavoro e alla libertà di insegnamento.
L’istruzione pubblica deve tornare a essere, contro la controriforma, punto centrale del nostro sistema morale e politico, lostrumento più alto per la formazione umana della nostra comunità nazionale, l’ambiente più favorevole per risolvere i problemi sociali e politici e soddisfare l’ansia di un mondo più giusto. Agli insegnanti, anima della scuola, umiliati e offesi dai vari Governi che si sono alternati, vadano il rispetto, la fiducia, la comprensione e la gratitudine dei cittadini, riconoscendo ad essi la funzione sociale di aiutare coloro che affrontano le quotidiane fatiche intellettuali per sostenere la vita nuova che avanza dei nostri amati studenti. ( Atti costit relazione A Moro 18 ottobre 1946).

2.La riforma del Governo va contro l’interesse del paese a una vita scolastica più adeguata alla realtà dei tempi, più vicina ai cittadini, più in grado di preparare i giovani ad affrontare i problemi di una società in profonda crisi a causa delle diseguaglianze tra una piccola classe di privilegiati, che godono di retribuzioni enormi, e una grande massa di cittadini, tra cui i docenti, che vivono in uno stato di bisogno. Ma la libertà senza eguaglianza non esiste, è una falsa libertà. Il docente che non ha un lavoro stabile e una retribuzione dignitosa, non ha la serenità necessaria per educare i nostri amati giovani alla vita e alla lotta per i diritti civili e politici. È persona in apparenza libera, ma di fatto schiava, è una non persona. E noi cittadini abbiamo il dovere di ribellarci a tutto questo.
Questa riforma viola principi fondamentali della Costituzione, anzitutto l’art. 3, secondo cui è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori , tra cui gli insegnanti, alla organizzazione politica, economica e sociale dello Stato. E l’art. 36 secondo cui i docenti hanno diritto a una retribuzione adeguata alla qualità e quantità del lavoro svolto e tale da garantire una vita libera e dignitosa. Ma anche l’art. 4 secondo cui lo Stato deve rendere effettivo il diritto al lavoro, e l’art. 33 sulla libertà di insegnamento.

3. Per questo preoccupa e indigna l’attacco del Governo agli insegnanti. Il presidente Matteo Renzi, dopo avere promesso il 12 marzo 2015, l’assunzione di 150.000 precari, presenta un disegno di legge che lascia ai docenti di ruolo lo stipendio immorale di 1.800 euro al mese dopo 30 anni, e minaccia di licenziare circa 100.000 precari, retribuiti con stipendi indecorosi. Non percependo la diseguaglianza dovuta agli enormi e ingiusti stipendi attribuiti a caste privilegiate, tra cui i dirigenti di enti pubblici, spesso coinvolte in gravi episodi di corruzione, degli enormi sprechi nelle grandi opere spesso inutili come TAV, Expo e Mose, segnalati dall’UE   nel rapporto del 3 febbraio 2014, di denaro pubblico che si verifica, e della corruzione impunita che costituisce una tassa immorale di 70 miliardi di euro ogni anno(Corte Conti). E ignorando che la scuola è (Calamandrei) “un organo costituzionale come Parlamento, Governo e magistratura anzi ancora più importante, poiché l’insegnante ha un compito ancora più difficile, istruire e formare i giovani. La scuola è “organo centrale della democrazia” “da essa parte il sangue che rinnova giornalmente tutti gli altri organi, giorno per giorno”.

4.La riforma minaccia la libertà degli insegnanti (art 33), che saranno costretti ad abbracciare una fede politica, una dottrina filosofica, una ideologia, una scelta educativa e non verità, che viene dall’alto, mentre essi hanno diritto di dare e ricevere criticamente diverse opinioni politiche, diverse filosofie, diverse ideologi (N.Bobbio). La scuola libera non vuol dire scuolaindifferente alla sorte del Paese e alla democrazia, né da parte dell’insegnante, che deve avere le sue convinzioni, né da parte dell’allievo, che non deve essere un ricettacolo passivo di tutto quello che legge o ascolta. Il principio etico su cui si fonda la libertà nella scuola è la tolleranza. La tolleranza è rispetto delle opinioni altrui. Tolleranza significa che è lecito e doveroso , il confronto, perché dal confronto deriva tanto da una parte quanto dall’altra una convinzione diversa da quella da cui eravamo partiti. (Bobbio)
La riforma, attribuendo al dirigente scolastico “le scelte didattiche e formative e la valorizzazione delle risorse umane e del merito dei docenti”, viola il principio della libertà di insegnamento tipica della scuola di Stato, ma anche la meritocrazia .

5. Aristotele esaltava la scuola pubblica 450 anni prima di Cristo dicendo che il legislatore deve preoccuparsi soprattutto dell’educazione dei giovani; ed è questo, che trascurato in uno Stato, rovina la democrazia. E poiché lo Stato ha un unico fine, il bene comune, è evidente di necessità che anche l’educazione sia unica e uguale per tutti, che la cura di essa sia pubblica e non privata, come adesso fa ognuno prendendosi cura in privato dei propri figli e impartendo loro l’insegnamento che gli piace”. ( Aristotele La politica editori Laterza p 263- 264)
È evidente, dunque, che deve esserci una legislazione sull’educazione e che questa deve perseguirsi in comune; quale sia l’educazione e come la si debba impartire non deve restare nascosto”(Aristotele Politica editori Laterza p 264).
Ed invece il Governo finanzia le scuole private come le scuole pubbliche, mentre la Costituzione dice “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Anzi la riforma Renzi peggiora la legge Berlinguer 2000, pone scuole statali e private sullo stesso piano. Un’assurdità! Se prevarrà la scuola privata, costosa e confessionale, molti studenti saranno esclusi dall’istruzione a causa della povertà e della fede non cattolica. Mentre la scuola pubblica è laica, aperta a tutti e gratuita.
Contro la riforma, chiediamo che il merito sia valutato non dal dirigente scolastico, ma con criteri oggettivi fissati da leggi e regolamenti. Diceva Aristotele: “È preferibile, senza dubbio, che governi la legge più che un qualunque cittadino. Chi raccomanda il governo della legge raccomanda il governo della ragione; mentre chi raccomanda il governo dell’uomo vi aggiunge anche quello della passione sconvolge anche gli uomini migliori. Mentre la legge è ragione senza passione... quelli che stanno ai posti di governo (anche nel governo della scuola nda) sono soliti fare molte cose per dispetto o per favore”(Aristotele politica Laterza 93 p 108-109)

6. La riforma si risolve ancora una volta in tagli alla scuola pubblica, alle università statali e a centinaia di migliaia di studenti. L’idea è assoggettare la scuola alle leggi del mercato e dell’efficientismo come si è fatto per il lavoro trattato come una merce. Ma la Repubblica non si ispira a principi utilitaristici ma con lo studio gratis, deve adempiere ai doveridi solidarietà politica economica e sociale .
Tutto questo va contro la democrazia. L’insegnante, temendo il licenziamento, non sarà più libero di esprimere il proprio pensiero ma dovrà   seguire scelte didattiche di regime che ledono la libertà del docente e dell’allievo di non essere indottrinato. L’allievo sarà condizionato da insegnanti cui è precluso il diritto di   esprimere un’opinione critica, un giudizio politico o morale sulla classe dirigente una valutazione della correttezza dell’azione del Governo.

7. Il costo della scuola pubblica è diventato insostenibile per milioni di lavoratori e ancor più quello della scuola privataaperta solo ai ricchi; ma il monopolio della ricchezza porta fatalmente al monopolio della cultura, sicché le scuole medie ed universitarie, sbarrate agli ottimi quando sono figli di poveri, si riempiono di mediocri e anche di pessimi, figli di ricchiche diventano pessimi professionisti, pessimi magistrati, pessimi politici e pessimi governanti che pensano al loro vantaggio personale e non al bene comune.
Verrà a mancare quel continuo ricambio attraverso il quale si verifica senza posa, nelle vere democrazie, il rinnovamento della classe politica di governo, che non deve rimanere una casta chiusa, come oggi, ma deve essere la espressione aperta e mutevole delle forze più giovani e meritevoli della società. Ed è in questo cristallizzarsi del potere nelle mani diuna minoranza inetta e ignorante, la ragione delle diseguaglianze sociali e del declino della classe dirigente, esaltata da media asserviti e da intellettuali senza nerbo e senza dignità. Ed è qui da la causa del trionfo del nuovo fascismo che si ammanta di democrazia, in questa fiacchezza, in questa anemia, in questa indifferenza popolare, narcotizzata dai grandi fratelli e dalle fiction.
La sola speranza di riscatto viene da docenti e studenti, che non siano condizionati dal ricatto di un governo insolente e prepotente .
Nella nostra fragile ed ingiusta democrazia, la scelta di governanti non cade su persone culturalmente dotate, ma, grazie ad una scuola impoverita e umiliata, su mediocri che ignorano il bene comune e l’eguaglianza dei diritti sociali. Mentre si tende a privilegiare una scuola privata riservata alle classi benestanti.
Laddove, attraverso il potere discriminatorio della istruzione, il governo democratico che dovrebbe essere aperto ai meritevoli, resterà il governo dei ricchi, non progrediremo verso l’eguaglianza dei diritti sociali, necessaria per lo sviluppo del paese. Di tutti i privilegi che la ricchezza conferisce agli abbienti, anche se incapaci, quello della istruzione è il più ingiusto, odioso e pericoloso. L’uomo e la donna figli di operai e contadini non potranno mai esser capaci di accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, come previsto dall’art. 51 della Costituzione, se non si garantisce loro una educazione sufficiente per prendere coscienza di sé, per alzare la testa dalla terra, e per intravveder fini più alti che non siano quelli di saziare gli stimoli della fame.
Dopo l’asservimento a una oligarchia dominante del sistema mediatico TV e della carta stampata, che con adulazione esalta il Presidente del Consiglio non lasciando spazio alla critica, dopo il nuovo conformismo di molti intellettuali alla ricerca di protettori, il solo comparto da soggiogare resta la scuola pubblica. E questo il Governo sta facendo.
Rivolgo un appello al Presidente della Repubblica, garante supremo della Costituzione, affinché, in ossequio all’art. 54 della Costituzione -per il quale i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche come Governo e Parlamento debbano osservare la Costituzione con disciplina e onore-, intervenga fin da ora per richiamare il Governo sulle palesi illegittimità costituzionali presenti nella riforma sulla scuola pubblica in discussione davanti alle Camere.

Rivolgo un appello a tutti gli insegnanti a battersi uniti in difesa della scuola pubblica, ma anche agli studenti perché amino e rispettino i loro insegnanti precari e di ruolo e il sacrificio che essi sopportano giorno per giorno. Gli studenti, i lavoratori e i disoccupati devono scendere in campo accanto agli insegnanti in difesa della scuola pubblica gratuita, della dignità dei docenti e contro l’abbandono scolastico. Guai a spezzare questa unità di docenti studenti e lavoratori, ogni rinnovamento si arresta. Dobbiamo ribellarci e dire un no netto alla riforma liberticida del Governo, che intacca le nostre libertà e la nostra democrazia, e chiedere al Governo di riconoscere il posto di lavoro agli insegnanti precari, una categoria benemerita che tanto fa per i nostri studenti, i diritti violati di quota 96, e perché il governo garantisca stipendi adeguati a insegnanti di ruolo e non di ruolo. Dobbiamo pretendere dal Governo che i miliardi assegnati alle grandi opere, che sono spesso inutili tanto da restare incompiute, veri e propri tangentifici e distruttori dell’ambiente, siano invece destinati alla scuola pubblica, che è pilastro della nostra democrazia, e alle migliaia di precari da stabilizzare. Vogliamo che dalla classe operaia possano uscire, attraverso la scuola pubblica aperta a tutti, uomini come Giuseppe Di Vittorio e Sandro Pertini. Forze vive capaci di rinnovare la classe dirigente, giovani che non si lascino prendere dal mito del successo, che premia spesso ingiustamente chi ottiene molto senza dare niente, perché siano gli alfieri di una Nuova Resistenza. Viva la scuola pubblica viva gli insegnanti precari e di ruolo di ogni scuola, viva la democrazia e la libertà.
Ferdinando Imposimato

se il pubblico della Litizzetto sta a Palazzo Chigi - bortocal

sconcertante quel che e` capitato alla Litizzetto.
fa una evidente battuta:
“I vandali di piazza di Spagna erano civilissimi olandesi, mica napoletani”.
e prende in giro nello stesso tempo sia gli olandesi sia i pregiudizi contro i napoletani.
ma le va male, perche` il pubblico e` idiota e non capisce l’ironia.
insulti partenopei e quant’altro, quando avrebbero dovuto dirle brava! sei dalla nostra parte.
ma contro la stupidita` la scienza non ha trovato ancora rimedi.
e a lei tocca la parte della strega da mandare al rogo in un paese dove l’unica forma di ironia comprensibile alle masse e` l’insulto diretto, accompagnato dalla giaculatoria ma io scherzavo!
* * *
ma che cosa c’entra Palazzo Chigi con la Litizzetto?
semplice: chi sta a Palazzo Chigi e` fatto della stessa pasta del pubblico che vorrebbe linciare la Litizzetto, o almeno usa delle tecniche di comunicazione della stessa pasta di quel pubblico.
e` l’uomo perfetto per un pubblico di idioti.
visibilmente, altrettanto idiota ed incapace di capire un testo abbastanza elementare, o almeno capace di fingere benissimo di non riuscirci.
eccolo all’opera.
protagonista, ancora una volta, la televisione.
dove Renzi dichiara, a proposito del mancato incarico a Prodi come mediatore dell’ONU fra le fazioni libiche:
L’Italia non ha presentato la candidatura di Romano Prodi al ruolo di mediatore in Libia perché le Nazioni Unite, così ha spiegato Ban Ki Moon, hanno deciso che era meglio non avere un ex primo ministro di un paese che aveva avuto forti relazioni con Gheddafi.
ex primo ministro di un paese che aveva avuto forti relazioni con Gheddafisignifca che e` stato il paese nel suo insieme ad avere forti relazioni col dittatore libico; in nessun modo e` un’accusa personale a Prodi, come vorrebbe far credere Renzi.
e` banale sintassi italiana.
se la frase signficasse quel che Renzi le vuole far dire, dovrebbe essere era meglio non avere un ex primo ministro di un paese che aveva avuto forti relazioni con Gheddafi.
tanto e` vero che qualche giornale servo la trasforma appunto di qui, in un sussulto di pudore almeno linguistico.
lasciamo poi perdere la logica del tutto inconsistente dell’affermazione L’Italia non ha presentato la candidatura perché le Nazioni Unite, così ha spiegato Ban Ki Moon, hanno deciso che era meglio di no.
quello che sconcerta e` che si ha a che fare con un pubblico incolto che e` perfino incapace di distinguere o percepire queste incongruenze, dato che e` in uno stato di agitazione psico-somatica permanente.
* * *
aveva detto Gian Franco Damiano, presidente della Camera di Commercio italo-libica:
Con Bernardino Leon i risultati non arrivano.
Noi sappiano che c’è una forte disponibilità da parte dei libici a trovare un tavolo di lavoro in Italia.
E da componenti credibili delle due fazioni libiche i nomi caldeggiati sono due: chiedono come mediatori Romano Prodi e Mohammed el Senussi.
Prodi è una persona di cui si fidano, che conosce bene la Libia e il suo contesto. (…) 
Sappiamo che questa ipotesi di mediazione è sgradita e trova resistenze da parte di alcune componenti politiche italiane, ma la situazione è ormai troppo grave per non superare le divisioni.
Per il bene della Libia e nostro.
E di tutte le persone che continuano a morire nel Mediterraneo”.
ma al nostro dittatorello incolto Prodi fa ombra.
* * *
uno stupido al potere e che decida tutto lui.
per le spicce, senza argomenti, per una logica di pura forza, sostenuta dai soliti servi che appoggiano sempre ogni forma di potere autoritario, in ogni epoca e sotto ogni clima.
questo vuole il pubblico che bistratta la Litizzetto.
quando la stupidita` e` al potere e non trova argini, il fascismo e` gia` pienamente realizzato.

While You Were Sleeping - Elvis Perkins

Peppino mi segnala questa canzone, pensando che mi piaccia molto, si sbaglia, mi piace moltissimo.




While you were sleeping your babies grew
The stars shined and the shadows moved
Time flew the phone rang
There was a silence when the kitchen sang
It's songs competed like kids for space
We stared for hours in our maker's face
They gave us picks said "go mine the sun
And go gold and come back when you're done"
Uh oh

While you were sleeping you tossed you turned
You rolled your eyes as the world burned
The heavens fell the earth quaked
I thought you must be but you weren't awake, no
You were dreaming you ignored the sun
You grew your power garden for your little ones
And you found brides for them on Christmas Eve
They hung young Cain from the Adam trees
And danced uh oh
While you were sleeping I tossed and I turned too
I closed my eyes but the future burned through
The planet turned a hair grey as I relived the day

While you were sleeping the money died
Machines were harmless and the earth sighed
The wind you swept sound and gravity brought my love
Around
The oceans rose sang about decay
The witches flew and the mermaids stayed
Full of dreams you overslept
In keeping with the quiet through the walls I crept
I walked on tip-toes sent darkness swirling over all
The kitchen
In the early morning
Uh oh uh oh

I'll never catch up to you who sleep so sound
My yawns are useless my heart beats too loud
To go to sleep my mind's too proud to bow out
While you were sleeping the time changed
All your things were rearranged
Your vampire mirrors face to face
They saw forever out into space and found you dreaming
In black and white
While it rained in all the colors of the night
Uh oh uh oh

I watched the tv's memories champion ships vanish to
Sea
Can it be my honey between you and me
So I waited for the riddled sky to be solved again by
Sunrise
And I made a death soup for life
For my father's I'll widowed wife
Did you have that strangest dream before you woke
'Cause in your gown you had the butterfly stroke
Did it escape you like some half-told joke
When you reached for your plume of smoke

And it'll haunt you my honey bee
Anyone who's anyone has that same dream
Were you falling were you flying and were you calling
Out or were you dying
But thank god you're up now let's stay this way
Else there'll be no mornings and no more days
'Cause when we're dreaming the babies grow
The stars shine and the shadows flow
Time flies the phone rings there is a silence
When everybody tries to sing
Uh oh uh oh
da qui

…superata da poco la trentina, Perkins arriva all’esordio discografico nel 2007 con Ash Wednesday, raccogliendo un pugno di brani dalla lunga gestazione, scritti per metà prima della morte della madre (cui il disco è dedicato) e per l’altra metà nel periodo successivo. Registrate a Burbank e Los Angeles, le composizioni di Ash Wednesday prendono forma con l’aiuto dell’amico Ethan Gold alla produzione (anche lui songwriter in cerca di fortuna), oltre che di una multiforme orchestra di collaboratori, che annovera tra le proprie file anche il fratello Oz Perkins, attore come il padre.
Insomma, ce ne sarebbe già abbastanza per creare un personaggio indie da manuale: ma la musica di Elvis Perkins riesce a cancellare subito ogni possibile ombra di scetticismo, con il suo repertorio di canzoni dall’impronta classica e dalle nobili ascendenze, vibranti di carne e sangue e di ombre di fantasmi.

Ash Wednesday mette in mostra le proprie credenziali sin dall’incipit di “While You Were Sleeping”, invitando il raffinato eloquio di Leonard Cohen a trascorrere una notte in bianco con il torrenziale sonnambulismo dei Destroyer. Ed ecco la chitarra acustica e la tonalità nasale di Elvis Perkins accompagnarsi agli sbuffi della batteria e al luccichio degli ottoni, come in una triste cavalcata verso la polvere del tramonto.
Le movenze gitane del violino di “All The Night Without Love” danzano sugli accenti fumosi del contrabbasso. Poi, uno sprazzo di elettricità concede un’isolata svagatezza pop alla cantilena allaNeutral Milk Hotel di “May Day!”, facendo da contraltare al funereo violoncello del valzer folk di “The Night & The Liquor”.
I Decemberists di “Castaways And Cutouts” osservano compiaciuti, candidandosi come pietra di paragone più immediata per le atmosfere di Ash Wednesday. Il Dylan dei tardi anni Settanta è lì accanto, pronto a rivendicare la paternità di brani come “Emile’s Vietnam In The Sky”, il cui violino riporta in vita le scorribande dei tempi di “Desire”. E la tromba jazzistica di “Sleep Sandwich”, con le sue sottolineature di timpani, non sembra forse appartenere ad un Rufus Wainwright spogliato di magniloquenza?
Ma non basta snocciolare un elenco di modelli e rimandi per catturare l’essenza di Ash Wednesday. Pur scontando le comprensibili esitazioni di un esordio, Elvis Perkins rivela tutta la propria personalità quando non ha timore di mostrarsi nudo, come nei sofferti volteggi e nei drammatici fremiti di archi della title track. “All this life is Ash Wednesday”, annuncia solennemente Perkins.Polvere come quella delle macerie sparse sull’alba di mercoledì 12 settembre, A.D. 2001, quando il nuovo millennio conobbe il proprio terribile Mercoledì delle Ceneri. “No one will survive Ash Wednesday alive/ No soldier, no lover, no father, no mother/ Not a lonely child”.
L’interrogativo di “Emile’s Vietnam In The Sky” aleggia come cenere nel vento: “Do you ever wonder where you go when you die?”. E la tristezza di cui mormora dolcemente Perkins in “It’s A Sad World After All”, accompagnato dall’eco impalpabile della voce di Ariana Lenarsky, non è che il riverbero di quella stessa domanda.

Da “Ash Wednesday” all’epilogo pianistico di “Good Friday”, Perkins sembra allora suggerire che la vita si dipana in una misteriosa traiettoria tra Mercoledì delle Ceneri e Venerdì Santo, tra la coscienza della propria fragilità e la realtà del sacrificio come legge dell’amore. “Come lay here beside me/ And I’ll fear no death”, è la preghiera che ispira i versi di “Good Friday”. Come un grumo di polvere che non smette di esigere l’eternità…
da qui

domenica 26 aprile 2015

System of a Down a Yerevan, Armenia

Il 23 aprile 2015, a Yerevan, i System of a Down hanno tenuto un concerto,
eccolo:
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I System of a Down (conosciuti anche con l'acronimo SOAD) sono un gruppo musicale alternative metal statunitense, formatosi a Los Angeles nel 1994. Il gruppo è composto da Serj Tankian (voce, tastiera), Daron Malakian (voce,chitarra), Shavo Odadjian (basso) e John Dolmayan (batteria). Tutti e quattro i membri discendono dai superstiti del genocidio armeno del 1915, di cui parlano in molte canzoni.
"Fin da quando ci siamo formati" dice Serj "avevamo in mente di fare una musica non di solo intrattenimento, dove potevamo parlare delle nostre origini. Parlo spesso di queste cose ai concerti, di controinformazione, delle cose che non vengono a galla così facilmente. Noi facciamo metal e in Armenia di solito questa musica non è suonata. La musica tradizionale armena è drammatica, come la nostra. C'è una cosa che molti non sanno : il nostro popolo è stato massacrato, c'è stato un genocidio pari quasi quanto quello degli ebrei nella seconda guerra mondiale... e molti non lo sanno. Morti su morti dimenticati dal mondo e questo non ci sembra giusto. L'ingiustizia commessa dallo stato turco è stata una dei punti che mi hanno caratterizzato fin da ragazzo per questo ho sempre cercato di interessarmi di cosa succede nel mondo, perché le ingiustizie ci sono e vengono nascoste, e questo mi ha fatto aprire gli occhi. Ma questo si sente nella nostra musica, questo ci motiva; Alcuni dicono che noi facciamo "rock armeno" ma questo non ci dà grande orgoglio, perché facciamo qualcosa di diverso dalle musiche armene, ma le nostre origini sono una componente essenziale di noi stessi: L'Armenia è un influenza più o meno presente in ogni nostra canzone." Shavo precisa che "usiamo una struttura ritmica a 4/4, senza nessun strumento tradizionale ma le vibrazioni, i suoni che ci sono nelle nostre canzoni, ti richiamano sempre le nostre origini medio-orientali , e questo ci piace molto." Serj parla delle loro canzoni : "La questione armena è spiegata in P.L.U.C.K, è una canzone rivoluzionaria, che ti deve far pensare, di come le ingiustizie vengono commesse e come non vengono fuori. Ma sono i testi la cosa principe, spesso li scrivo e poi ci arrangiamo la musica sopra, oppure tagliamo i testi e li mettiamo lì, così è facile che una canzone abbia più testi perché in quel momento ci sentivamo così"
qui trovate molti testi dei SOAD
qui il testo

sabato 25 aprile 2015

Ils sont tombés - Charles Aznavour



Ils sont tombés sans trop savoir pourquoi
Hommes, femmes et enfants qui ne voulaient que vivre
Avec des gestes lourds comme des hommes livres
Mutilés, massacrés les yeux ouverts de effroi
Ils sont tombés en invoquant leur Dieu
Au seuil de leur église ou le pas de leur porte
En troupeaux de désert titubant en cohorte
Terrassés par la soif, la faim, le fer, le feu
Nul ne éleva la voix dans un monde euphorique
Tandis que croupissait un peuple dans son sang
Le Europe découvrait le jazz et sa musique
Les plaintes de trompettes couvraient les cris d'enfants
Ils sont tombés pudiquement sans bruit
Par milliers, par millions, sans que le monde bouge
Devenant un instant minuscules fleurs rouges
Recouverts par un vent de sable et puis d'oubli
Ils sont tombés les yeux plein de soleil
Comme un oiseau qu'en vol une balle fracasse
Pour mourir ne importe où et sans laisser de traces
Ignorés, oubliés dans leur dernier sommeil
Ils sont tombés en croyant ingénus
Que leurs enfants pourraient continuer leur enfance
Que un jour ils fouleraient des terres de espérance
Dans des pays ouverts de hommes aux mains tendues
Moi je suis de ce peuple qui dort sans sépulture
Que a choisi de mourir sans abdiquer sa foi
Qui ne a jamais baissé la tête sous le injure
Qui survit malgré tout et qui ne se plaint pas
Ils sont tombés pour entrer dans la nuit
Éternelle des temps au bout de leur courage
La mort les a frappés sans demander leur âge
Puisque ils étaient fautifs de être enfants de Arménie.

venerdì 24 aprile 2015

Alejo Carpentier smonta il mito delle razze pura



"El mito de las razas puras es una de las estafas más absurdas que se han tratado de imponerle al mundo.”
“El barroco es un lujo de la creación.”
“Cuando se produce una obra cumbre de la literatura universal como el Fausto de Goethe, no hay que olvidar que llega dos siglos después del Quijote, y muchos siglos después de La Divina Comedia.”
“Encontré a la gente que acaso más me haya enseñado en el mundo son esos que ha convenido en llamarse los salvajes.”

“El Quijote, digo, con el Ulises, son las dos únicas obras repito, donde se ha logrado de una manera absoluta la coexistencia de lo real y de lo maravilloso”