lunedì 31 marzo 2014

solo 23000

Dal 2000 al 2013 sono morti più di 23 mila migranti nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare o attraversando i confini via terra del vecchio continente: il 50 per cento in più di quello che appare dalle stime esistenti. Una strage con un bilancio simile a quello di una guerra per dimensioni e numero di decessi - in media più di 1.600 l’anno - e le cui dimensioni numeriche emergono da un confronto tra varie fonti di dati, per la prima volta riunite in un unico database.

Migrants Files
I “Migrants Files” – liberamente accessibili dal sito dell’inchiesta – nascono dal tentativo di costruire una base di dati unica sul fenomeno dei migranti che muoiono per raggiungere il vecchio continente. Ma, pur essendo il database più esaustivo finora pubblicato, rimane una fonte ancora incompleta e migliorabile. Non solo perché il conteggio parte dal 2000, ma anche perché alcuni eventi compaiono ancora duplicati ed è noto che molte vittime non vengono mai registrate…

Verso la svolta autoritaria

Stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato dalla sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014, per creare un sistema autoritario che dà al Presidente del Consiglio poteri padronali. Con la prospettiva di un monocameralismo e la semplificazione accentratrice dell’ordine amministrativo, l’Italia di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi cambia faccia mentre la stampa, i partiti e i cittadini stanno attoniti (o accondiscendenti)  a guardare. La responsabilità del Pd è enorme poiché sta consentendo l’attuazione del piano che era di Berlusconi, un piano persistentemente osteggiato in passato a parole e ora in sordina accolto. Il fatto che non sia Berlusconi ma il leader del Pd a prendere in mano il testimone della svolta autoritaria è ancora più grave perché neutralizza l’opinione di opposizione. Bisogna fermare subito questo progetto, e farlo con la stessa determinazione con la quale si riuscì a fermarlo quando Berlusconi lo ispirava. Non è l’appartenenza a un partito che vale a rendere giusto ciò che è sbagliato. Una democrazia plebiscitaria non è scritta nella nostra Costituzione e non è cosa che nessun cittadino che ha rispetto per la sua libertà politica e civile può desiderare. Quale che sia il leader che la propone.
da qui

domenica 30 marzo 2014

I matti sono uguali agli altri (e dipingono da dio) - Saverio Tommasi



I “nostri” pescatori - Matteo Miavaldi

Il caso Enrica Lexie, dopo due anni, si sta avvicinando alle fasi finali, dopo una serie di rinvii e complicazioni diplomatiche, mistificazioni e propaganda elettorale tanto in India quanto in Italia: elementi che hanno aperto la strada alla “narrazione tossica” della vicenda dei due marò, strapazzata da un’informazione generalmente superficiale e, in alcune circostanze, platealmente nociva.
Poco più di un anno fa, su Giap, pubblicammo due lunghi(ssimi) articoli, molto densi di dati e fonti, che smontavano punto per punto la ricostruzione offerta da Il Giornale, Libero e Il Sole 24 Ore: una storia che si basa sulle teorie raffazzonate del sedicente “ingegnere” Luigi Di Stefano, dirigente nazionale di Casapound.
Quei due post si sono presto trasformati in un’inchiesta collettiva, e hanno avuto un numero esorbitante di visite e condivisioni sui social media. Il primo dei due è stato visitato da oltre mezzo milione di IP unici, e ogni giorno continua ad attirare lettori.
Da quei post è nato anche un libro, presentato in giro per l’Italia e recensito su importanti testate nazionali.
Eppure, a distanza di un anno, la quasi totalità dei media nazionali finge che quello smontaggio non abbia mai avuto luogo, e continua a raccontare falsità e mezze verità, stravolgendo completamente l’intera vicenda.
L’impianto complottista e sciovinista della “ricostruzione Di Stefano” si è anzi arricchito di nuovi collaboratori, nuovi protagonisti e nuove bufale, abbracciate con entusiasmo da diverse testate giornalistiche, programmi televisivi, opinionisti e parlamentari.
Abbiamo individuato le principali criticità e incomprensioni di massa e qui sotto, per punti, proveremo a sciogliere la matassa spacciata per verità a una fetta considerevole dell’opinione pubblica italiana. Per tutte le altre questioni, rimandiamo ai due post precedenti e, soprattutto, al libro…

sabato 29 marzo 2014

Due ingenue domande - Giorgio Lunghini

La storia economica (dopo la crisi del ’29), e la teoria economica moderna (cioè la Teoria gene­rale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta di J.M. Keynes, del ’36), mostrano e dimo­strano che la vecchia teoria economica (la teoria neoclassica dei primi anni del Novecento, ma ancora oggi egemone) non fornisce ricette efficaci per i nostri problemi. Il livello dell’occupazione non si determina sul mercato del lavoro: il mercato del lavoro non è come il mercato del pesce. Il prezzo e la quantità del pesce venduto e comperato è determinato dall’incontro tra domanda e offerta, dove è bene che non vi siano impedimenti artificiali; men­tre una maggiore “flessibilità” del mercato del lavoro, che non è una merce come le altre, si tra­duce in più bassi salari e dunque in un aumento dei profitti e delle rendite, ma non anche in maggiore occupazione. 
Tuttavia nella premessa al decreto sul Jobs Act (chi sa perché in americano) si dice: «Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di semplificare le modalità attraverso cui viene favorito l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro ecc.». Perché non si studia un po’ di più?...

venerdì 28 marzo 2014

Obama è venuto a vendere gas e aeroplani, dice Beppe Grillo

"Scusate. Io non ci posso stare più! Non ci posso stare! Il M5S non può permettersi di perdere le elezioni contro dei mistificatori della realtà, non è possibile! O voi diventate giornalisti di voi stessi e vi appendete per i piedi e guardate le notizie al contrario, perché non si possono leggere queste cose qua! Ormai c’è la menzogna unica. Il Parlamento promuove la sua menzogna e i giornali e i mezzi di comunicazione e le televisioni la loro menzogna.
Ora l’abolizione delle province è su tutti i giornali: "abolite le province". Non è vero! Noi quando abbiamo iniziato non ci siamo candidati alle provinciali, mai! Non ci siamo mai candidati perché le volevamo abolire. L’unica legge costituzionale che è stata presentata in Parlamento è stata fatta da noi! Andatevela a leggere! Non ne parla nessuno! Abolite le province?! Non è vero! Mistificano in una cosa vergognosa, con tutti i giornali e i giornalisti dalla loro parte! 
Aumenteranno di 26.500 i Consiglieri comunali, tolgono le province e scaricano tutto il personale sui comuni, aumenteranno di più di 5.000 unità gli assessori comunali! E poi questo pupazzo che gira, che gira, che dice... Succede così: loro dicono abolite le province, vanno nelle piazze e poi dicono gli unici che hanno votato contro sono i grillini. Capito?! Non è vera la loro storia, dovete pensare la realtà in un altro modo! Obama viene in Italia e va dal Papa per farsi due foto, viene qui perché si è preoccupato della nostra riduzione delle spese militari degli F35, viene qui a parlare di questo, e Napolitano subito va in televisione a dire bisogna spendere di meno! Obama viene a vendersi il suo gas di scisto che ha scoperto che ne ha per 100 anni, e il più grande giacimento oggi al mondo, uno dei più grandi, ce l’ha Israele! 
Viene qua a contrabbandare la sua economia e noi tutti zitti, tutti niente! Tutte robe così! Ma non è possibile! Allora mi butto dalla finestra, ci buttiamo tutti dalla finestra, che cosa dobbiamo fare?! Siamo a armi completamente impari! Non possiamo pensare che la menzogna vinca su tutto. Che si quoti in borsa la menzogna, farebbe miliardi. 
Abbiamo la menzogna unica! Di qua c’è De Benedetti, di là c’è Berlusconi, con la regia di questo anziano signore che si è raddoppiato la carriera. Con uno che non è stato eletto da nessuno, con un Parlamento di nominati! Con massoni a Firenze, andate a vedere chi c’è dietro a questo qui che gira! Noi dimostriamo con i fatti le cose. Diremo tutti le stesse cose in questa campagna, è questo il problema. Non capirete più la differenza, ma la differenza sono le persone! La differenza sono le persone che vi dicono le stesse cose! Quelli non sono credibili, perché mentono! Mentono sapendo di mentire! Vanno nelle scuole e scappane dalle uscite secondarie! "Non voglio la scorta perché la scorta sono i cittadini", li aspetti!
Io voglio che voi vi ribelliate! Prenderemo delle contromisure, prendiamo dei pullman, un camper, ci mettiamo sopra il tetto con un amplificatore della Madonna, veniamo lì e spargiamo un po’ di seme di realtà. Vi ho dimostrato in tutti questi anni di non avere mai mentito, non vogliamo fare coalizioni e non le abbiamo fatte, a casa tutti e ce li manderemo. 
Ora andiamo in Europa per cambiare l’Italia da là. Noi andiamo lì a togliere il Fiscal Compact, a togliere il Mes, a togliere il pareggio in abito in costituzione. Se non andrà bene allora parleremo di debito, di spalmare il debito, eurobond, e faremo un referendum sull’Euro! E se usciremo lo avrà decretato il popolo italiano! 
I giornali sono spazzatura! Per piacere: siate curiosi, guardate che cosa c’è dietro la notizia, per favore, perché tutte le cose che sapete sono false e la verità è quello che non sapete!" Beppe Grillo

è come discutere con l'aspirapolvere

giovedì 27 marzo 2014

Un modo diverso di guardare al mondo

Nel 1973 Arno Peters ha cambiato il mondo, anzi ce l'ha restituito com'è, con le giuste dimensioni, anche la geografia è politica.

Ecco cosa dice Arno Peters, a scanso di equivoci:
"L‛ immagine eurocentrica del mondo si è dimostrata funzionale anche allo sfruttamento del terzo mondo da parte
dei paesi industrializzati nell'epoca post-coloniale. La lotta per sostituire la vecchia carta geografica si trasforma
così nella lotta contro l‛ideologia dello sfruttamento." [...]
"Ora dopo secoli di egocentrismo possiamo vedere il nostro paese dal punto di vista del mondo
e non viceversa. Poiché si è sempre pensato che le carte geografiche riproducessero la realtà in modo
obiettivo, scoprendone ora il valore ideologico, siamo esortati a verificare tutta la nostra concezione del mondo" (qui).


Quello che stupisce è come in 40 anni le cartine geografiche appese nelle aule (almeno in quelle da me frequentate in quasi trent'anni di insegnamento) non siano cambiate. A quei tempi non esisteva ancora il personal computer e adesso siamo in piena demenza digitale, a scuola. Sarà che cambiare le cartine geografiche non conviene, non ci sono appalti milionari?
O forse sarebbe stato troppo impegnativo spiegare le questioni ideologiche, a scuola non si fa politica, come si diceva in certi tempi, e allora è meglio far sparire la geografia dalle scuole?



anche qui

28 marzo 1914: cento anni dalla nascita di Bohumil Hrabal

di Bohumil Hrabal si può leggere praticamente tutto in italiano (è un invito alla lettura di questo scrittore operaio, anzi, più di un invito).
per colpa di Hrabal (e Kafka) si corre il rischio di amare Praga (e se leggi “Praga magica” di Ripellino, sei fregato).
la prima volta che sono andato a Praga la prima tappa è stata la birreria dove andava Hrabal ,”U Zlateho Tygra”, a bere una birra in sua memoria (anche questo è un invito).
è morto come Mario Monicelli e Carlo Lizzani.

Durante un ricovero per una lieve malattia in un ospedale di Praga, morì il 3 febbraio del 1997, secondo la versione fornita dai sanitari cadendo da una finestra al quinto piano, dopo essersi sporto troppo per nutrire alcuni colombi; mentre secondo una versione ormai più comunemente accettata, Hrabal avrebbe deciso di mettere fine in questo modo alla sua vita.
Nel 1989 aveva scritto:
«quante volte avrei voluto buttarmi dal quinto piano, dalla mia casa, in cui tutte le camere mi fanno male, ma l’angelo all’ultimo momento mi salva sempre, mi tira indietro, come dal quinto piano voleva buttarsi il mio dottor Franz Kafka, dalla Maison Oppelt »(Bohumil Hrabal, Il flauto magico).


«L’ironia praghese è un gioco apparentemente infantile, folle e stupido in senso superiore, è la battaglia contro una felicitante teoria dello stato e contro l’apparato burocratico. Naturalmente è anche coscienza della vanità di tale lotta. È l’abolizione di una soggettività che è giunta fino in fondo, è la più alta libertà possibile nel mondo senza dio». (Bohumil Hrabal)

martedì 25 marzo 2014

La lettera di Roger Waters a Scarlett Johansson e Neil Young

Nei giorni scorsi ho scritto privatamente a Neil Young (una volta) e a Scarlett Johanson [sic] (un paio di volte). Quelle lettere rimarranno private.
Purtroppo, non ho ricevuto risposta. E quindi, essendo un po’ disorientato, ho deciso di scrivere questa nota sulla mia pagina Facebook.
Neil? Penserò a lungo a questo fatto. Noi non ci conosciamo molto, ma tu sei sempre stato uno dei miei eroi. Sono confuso.
Scarlett? Oh, Scarlett. Ho conosciuto Scarlett qualche anno fa, credo alla reunion dei Cream al Madison Square Garden [era il 2005]. Ricordo che all’epoca era fieramente contraria ai neo conservatori, e disgustata da Blackwater (l’esercito privato di Dick Cheney in Iraq); potevi a ragione pensare che fosse una giovane donna forte e indipendente che credeva nella verità, nei diritti umani, nella legge e nell’amore. Confesso che mi presi una specie di cotta. Non c’è peggior scemo che un vecchio scemo.
Anni dopo, la scelta di Scarlett di stare con SodaStream anziché con Oxfam [Johansson ha da poco lasciato il suo ruolo di ambasciatrice dell'associazione per i diritti umani filo palestinese, che ricopriva dal 2005] è un atto intellettuale, politico e civile così notevole che è difficile da razionalizzare, per le persone cui stanno a cuore gli oppressi, quelli che vivono un’occupazione esterna e che sono trattati da cittadini di serie B.
Vorrei fare alla Scarlett di qualche anno fa una domanda o due. Scarlett, giusto per fare un esempio, sei consapevole che il governo israeliano ha raso al suolo 63 volte un villaggio beduino nel deserto del Negev, nel sud di Israele, l’ultima volta il 26 dicembre 2013? Quel villaggio è abitato da beduini, che – senza dubbio – sono cittadini israeliani protetti da tutti i diritti che vengono dalla loro cittadinanza. Beh, in realtà non proprio tutti: nell’Israele “democratico” ci sono cinquanta leggi che discriminano i cittadini non ebrei.
Non voglio fare una lista di tutte queste leggi (le trovi nei registri del parlamento israeliano), né elencare i gravi abusi dei diritti umani compiuti da Israele sia in politica interna sia in politica estera. Non mi basterebbe lo spazio. Ma torniamo alla mia amica Scarlett Johanson.
Scarlett, ho letto le tue giustificazioni: dici che i lavoratori palestinesi di SodaStream della fabbrica in Cisgiordania hanno la stessa paga di quelli israeliani, oltre alle stesse opportunità e gli “stessi diritti”. Davvero? Gli stessi diritti?
Hanno per caso il diritto di votare?
Hanno libero accesso a ogni strada?
Possono andare al lavoro senza aspettare ore per superare i controlli delle forze militari dell’occupazione?
Dispongono di acqua potabile?
Hanno a disposizione dei servizi igienici?
Hanno la cittadinanza?
Hanno il diritto di non assistere al rapimento dei propri figli nel cuore della notte – problema piuttosto comune?
Hanno il diritto di appellarsi contro imprigionamenti arbitrari e senza un preciso termine?
Hanno il diritto di ri-occupare le proprietà e le case che possedevano prima del 1948?
Hanno il diritto di vivere una normale e onesta vita famigliare?
Possiedono il diritto all’auto-determinazione?
Hanno la possibilità di continuare a sviluppare una vita culturale dalle radici antiche e profonde?
Se non sei sicura di come rispondere a queste domande, te lo suggerisco io. La risposta a tutte queste domande è NO.
I lavoratori di SodaStream non possiedono nessuno di questi diritti.
Di conseguenza, queli sono gli “stessi diritti” di cui parlavi?
Scarlett, sei innegabilmente carina, ma se pensi che SodaStream stia costruendo dei ponti per la pace, stai innegabilmente prestando poca attenzione.
Con affetto
R.

La Storia Di Franco - Eugenio Finardi - Cadere Sognare



lunedì 24 marzo 2014

Ben nel mondo – Doris Lessing

Ben, che abbiamo conosciuto dalla nascita ne “Il quinto figlio”, è cresciuto, è solo e ha grandi problemi.
Doris Lessing riesce a farci vedere il mondo con gli occhi di Ben, e non ci riuscirebbero in molti.
non è una storia che lascia indifferenti, anzi si soffre proprio.
a volte pensiamo di essere nel migliore dei mondi possibili, o comunque a metà classifica, occorre che qualcuno ci ricordi l’inferno dei viventi, come dice Calvino, senza che giriamo la faccia.
un gran libro, da leggere dopo “Il quinto figlio”, è un uno-due tremendo, ma necessario - franz




Ben Lovatt, il bambino che Doris Lessing ci ha presentato nel suo memorabile romanzo Il quinto figlio, considerato inumano dalla sua stessa famiglia, è diventato grande. Troppo grande: chi lo incontra si spaventa e solo raramente suscita curiosità; molto più spesso provoca paura, fastidio, un certo grado di nervosismo. Nessuno crede che sia ancora solo un ragazzo, ma in realtà ha da poco raggiunto la maggiore età, momento funesto per Ben perché significa che più nessuno è obbligato a occuparsi di lui. Non la famiglia che, dopo essersi spezzata proprio a causa sua, si è faticosamente ricostruita; non l'assistenza sociale, anche perché lo stesso Ben non è in grado di farsi aiutare. E' alla mercé di chi incontra, talvolta sono persone gentili, più spesso profittatori. E così si trova a viaggiare per il sud della Francia e poi verso il Brasile, coinvolto prima in un traffico di droga e poi in affari molto più loschi e pericolosi. Fino alla fine, col fiato sospeso, il lettore è avvinto alle sorti di questo gigante buono, di questo ragazzo inesorabilmente diverso, sempre in cerca di qualcuno che gli sia simile e che non lo faccia più sentire così disperatamente solo.

Abbiamo già incontrato Ben, il piccolo mostro nato in una famiglia borghese, nel breve romanzo di Doris Lessing Il quinto figlio (1988; Feltrinelli, 1988): l'abbiamo visto crescere come forza maligna e incontenibile, capace di distruggere la sua stessa famiglia, e poi sparire lasciando la madre lacerata dai sensi di colpa. Quel piccolo libro di grande impatto emotivo - a metà tra l'apologo morale e la favola malefica del genere Stephen King  - aveva fatto molto discutere, sollecitato le più varie ipotesi interpretative, fino a diventare una sorta di allegoria sociale, la metafora di un'Europa del benessere a confronto con i diseredati del mondo. Ben era comunque l'altro, destinato a rompere equilibri di comodo; il diverso inassimilabile, un essere che non era facile accettare e neppure riconoscere come proprio simile, con sentimenti, bisogni, desideri come chiunque altro.
Lo ritroviamo oggi nel seguito che Doris Lessing ha da pochi mesi dato alle stampe, Ben nel mondo. Respinto dalla famiglia, emarginato da tutti, incapace di badare a se stesso e persino di provare la sua età, Ben è facilmente preda di imbroglioni e sfruttatori. È proprio dalla sua incerta identità che prende l'avvio il nuovo romanzo, dall'enigma del suo aspetto inquietante e minaccioso: ha diciotto anni ma ne dimostra quaranta per le rughe intorno agli occhi e la corporatura massiccia che mette tutti in allarme, le larghe narici, i lunghi capelli e le ciglia gialli; persino il suo accento "educato", che mal si accorda con gli abiti sporchi e laceri che indossa, ha un effetto spiazzante su chi lo ascolta…


venerdì 21 marzo 2014

Un home del país, ricordo di Pino Piras (di Claudia Crabuzza)





Moretti, vai a vendere birre con una borsa frigo in spiaggia

oh Moretti, scommetto che se parti (in treno, naturalmente) uno bravo il doppio, che prenda la metà dei soldi che prendi tu (e magari eliminando la buonuscita, per i dirigenti come te) si trova, si trova, e nessuno ti rimpiangerà (forse quelli della Cgil, chissà) - franz


Moretti, amministratore delegato del gruppo Fs:
“Per il momento credo vogliano tagliare gli stipendi dei super-manager dello Stato - ha spiegato ancora Moretti - io prendo 850mila euro l'anno e il mio omologo tedesco ne prende tre volte e mezza tanto. Siamo delle imprese che stanno sul mercato ed è evidente che sul mercato bisogna anche avere la possibilità di retribuire, non dico alla tedesca e nemmeno all'italiana, un minimo per poter far sì che i manager bravi" rimangano ad operare là "dove ci sono imprese complicate e dove c'è del rischio ogni giorno da dover prendere". "In una impresa privata che fattura neanche un miliardo troverete che gli stipendi sono quattro volte quelli che vi ho detto. Ci sono forse dei casi da dover rivedere, ma la logica secondo cui uno che gestisce un'impresa che fattura quanto vi ho detto deve stare al di sotto del presidente della Repubblica è una cosa sbagliata. In Usa, in Germania, in Francia e in Italia il presidente della repubblica prende molto meno di quanto prendono i manager di impresa: ci sono dinamiche diverse perché una cosa è stare sul mercato un'altra cosa è fare una scelta politica. Chi va a fare il ministro sa che deve rinunciare agli stipendi perché va a fare un'operazione politica, questa è una sua scelta personale. Lo Stato può fare quello che desidera, sconterà che una buona parte di manager vada via, lo deve mettere in conto".

giovedì 20 marzo 2014

Lettera a D. Storia di un amore - Andrè Gorz

inizia così: 
"Stai per compiere ottantadue anni. Sei rimpicciolita di sei centimetri, non pesi che quarantacinque chili e sei sempre bella, elegante e desiderabile. Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai. Porto di nuovo in fondo al petto un vuoto divorante che solo il calore del tuo corpo contro il mio riempie..."

è una lettera, un riconoscimento e un abbraccio a Dorine, che c'è sempre stata e non poteva non esserci, come se non fosse stato possibile il contrario.
un'amore di quelli che esistono davvero, per fortuna - franz





Gérard Horst, questo il suo vero nome, viennese, incontra Dorine, giovane attrice inglese, nel 1947 in Svizzera dove lui si era rifugiato e dove lei faceva teatro. Da quel momento non si sono più lasciati. Cinquantotto anni dopo ripercorre gli anni della giovinezza e della militanza, dai primi incerti inizi parigini dove Gorz inizia la carriera di traduttore, di giornalista, poi di filosofo. E' una confessione senza veli, in cui Gorz ammette di non aver sempre tenuto la moglie nella giusta considerazione, salvo poi riconoscere come l'intera sua opera porta il segno della presenza di Dorine, del suo sostegno, del dialogo sempre vivo tra loro. André e Dorine Gorz hanno attraversato insieme la seconda metà del Novecento, vivendo da comprimari le idee, le battaglie, le sfide sociali e personali di quest'ultima metà del secolo. Un racconto che è la storia di una vita, dell'impegno politico e intellettuale, ma anche il ritratto di un'epoca, dalla fine della guerra ai giorni nostri, di incontri con uomini straordinari, da Sartre a Marcuse. Lettera a D. si conclude con questa frase: "Vorremmo non sopravvivere l'uno alla morte dell'altro. Ci siamo detti che se, per assurdo, dovessimo vivere una seconda vita, vorremmo trascorrerla insieme". Gorz ha messo fine ai suoi giorni, insieme a sua moglie Dorine afflitta da una grave malattia, il 25 settembre 2007.

…Gorz è costretto a raccontare di come, negli anni più difficili, fosse completamente assorbito dal suo lavoro e di come D. rappresentasse un appoggio imprescindibile. Il punto è che lui lasciava intendere che fosse lei quella incapace di vivere senza dare questo sostegno. In altre parole, lei era scontata, scontato il suo amore, quindi scontate tutte le manifestazioni amorose e, infine, scontata sembrava la sua mancata realizzazione personale. Questa considerazione dei lei era poco dignitosa. In una visione antiquata della figura femminile, D. appariva la classica donna che sostiene sempre il suo uomo, il quale a sua volta non sente di essere abbastanza fino a quando non ha realizzato principalmente se stesso. Ma André e D. non erano una coppia di altri tempi, anzi. Erano invece moderni e D. più di André, grazie al suo donare senza pretendere nulla. La Lettera, dunque, è non solo manifestazione dell’amore dell’autore per la compagna della sua vita, ma anche atto di onestà intellettuale. Egli sente doveroso ammettere che D. non è una donna qualsiasi, ma è quella donna che rende l’esistenza quotidiana, con i suoi alti e bassi, degna di essere vissuta. La vita di André è D. e non può esserci altra vita senza di lei. Ormai vecchio, ma sempre lucido ed estremamente acuto, Gorz è pronto ad ammetterlo, accetta questo dato e se ne assume ogni responsabilità.
da qui

ecco perché Isaac B. Singer ha iniziato a scrivere per i bambini

"Ci sono cinquecento ragioni per le quali ho iniziato a scrivere per i bambini, ma per non perdere troppo tempo, ne elencherò solo una decina:
1 I bambini leggono libri, non recensioni. Per loro il giudizio dei critici non vale una cicca
2 Non leggono per cercare un’identità
3 Non leggono per liberarsi dai sensi di colpa, né per soddisfare la propria sete di ribellione, né per sbarazzarsi dell’alienazione
4 Non sanno che farsene della psicologia
5 Detestano la sociologia
6 Non cercano di capire Kafka né Finnegan’s Wake
7 Credono ancora in Dio, negli angeli, nei diavoli, nelle streghe, nei folletti, nella logica, nella chiarezza, nella punteggiatura e in altri simili vecchiumi
8 Amano le storie interessanti, non i commenti, non le guide alla lettura, non le note a piè di pagina
9 Quando un libro li annoia sbadigliano senza scrupoli, senza alcuna vergogna o timore dell’autorità
10 Non si aspettano che il loro scrittore preferito redima l’umanità. Giovani come sono, capiscono che egli non ha questo potere. Solo gli adulti hanno illusioni così infantili."
(I.B.Singer, Why I Write for Children in "The New York Times", 11 dicembre 1978. Trad. It.: I.B.Singer, Racconti, Meridiani, Mondadori 1998)


“Why I Write for Children” by Isaac Bashevis Singer
There are five hundred reasons why I began to write for children, but to save time I will mention only ten of them.
Number 1. Children read books, not reviews. They don’t give a hoot about the critics.
Number 2. Children’ don’t read to find their identity.
Number 3. They don’t read to free themselves of guilt, to quench their thirst for rebellion, or to get rid of alienation.
Number 4. They have no use for psychology.
Number 5. They detest sociology.
Number 6. They don’t try to understand Kafka or Finnegan’s Wake.
Number 7. They still believe in God, the family, angels, devils, witches, goblins, logic, clarity, punctuation, and other such obsolete stuff.
Number 8. They love interesting stories, not commentaries, guides, or footnotes.
Number 9. When a book is boring, they yawn openly, without any shame or fear of authority.
Number 10. They don’t expect their beloved writer to redeem humanity. Young as they are, they know that is not in his power.
Only the adults have such childish illusions.


(ps: questo è il post n.1000 di questo blog)

martedì 18 marzo 2014

19 marzo 1993: Admira e Bosko vengono uccisi dai cecchini, a Sarajevo, durante l’ultima guerra in Bosnia.

Kurt Schork, un giornalista di guerra, in quel tempo a Sarajevo, raccontò qui la storia di Admira e Bosko (metà delle ceneri di Kurt Schork sono seppellite nel cimitero di Sarajevo, affianco alla tomba di quei due innamorati).


Admira raccoglieva
sassi e fiori lungo la Sava
con gli occhi di Boško negli occhi
che contro tutto e tutti la guardava
Boško un altro Dio, un’altra gente
la pelle di un più leggero chiarore
ma l’identica voglia di raccoglierle fiori
l’identico amore
oltre il ponte la neve
non macchia di rosso
e d’inverno è candida e lieve
e bianca come la tua pelle Bôsko
e di notte puoi ancora fermarti
a guardare le stelle
oltre il ponte nel vento
non crepita più la mitraglia
e non sa di battaglia
gli puoi affidare
una lettera, un sogno d’amore
gli puoi sussurrare
ma il ponte è lungo, il ponte è lontano
e non si passa in due per mano
il ponte è lungo ma già scende il sole
e i soldati non sparano più
nel giorno che muore
Admira, pelle di pruno
occhi di mandorle amare
che non hanno mai visto la pace, o l’hai vista
e non sai ricordare
Boško, mio unico amore
disertore di un odio nemico
dimmi tu se c’è un posto che il sole non sanguina
ed il fuoco ci è amico
oltre il ponte le dita
non si allacciano solo ai fucili
a strappare la vita
oltre il ponte le dita
si allacciano ancora a guardare
la Sava fiorita
oltre il ponte si muore
abbracciati soltanto d’amore
le labbra ed il cuore
san guardare
al di là della guerra e del male
sanno ancora parlare
ma il ponte è lungo e non è lontano
amore mio, adesso corriamo
ma il ponte è lungo e ci separiamo
ma appena di là
ridammi la mano…
Admira e Boško
lei musulmana, lui serbo ortodosso
furono uccisi sul ponte di Vrbanja in Bosnia
nel maggio del 1993
mentre cercavano di fuggire insieme dalla guerra
i loro corpi rimasero stesi abbracciati sul ponte
li portarono via otto giorni più tardi
…quando cessò il fuoco.
Amira et Bochko s’aimaient d’amour tendre
Mais à Sarajevo qui aurait pu comprendre
Que le coeur d’une musulmane
Puisse battre pour celui
Que la raison condamne
Le Serbe, l’ennemi… l’ennemi
Mais de l’autre côte du pont
C’est déjà la frontière
De l’autre côté du pont
Il n’y a pas la guerre
Les soldats comprendront
Ils sont tous de notre âge
De l’autre côté du pont
On fera un beau mariage
On fera un beau mariage
Amira et Bochko marchent vers l’autre rive
Les mains nues, le coeur gros et l’âme bien naïve
“Soldats, ne tirez pas!
On est jeune et on s’aime
La guerre on n’en veut pas
Où est donc le problème…
Nous on s’aime”.
Mais de l’autre côté du pont
Ou de ce côté qu’importe
C’est la loi du canon
C’est l’horreur qui l’emporte
Amira et Bochko
Les yeux dans les étoiles
En un parfait duo
Tombent sous la rafale
Tombent sous la rafale
Amira et Bochko foudroyés en plein rêve
Dorment depuis bientôt quatre nuits sous la neige
Et personne n’accourt
Ni Musulmans, ni Serbes,
Juste quelques vautours
Pas une fleur, pas une gerbe… pas une gerbe.
Mais de l’autre côté du pont
C’est déjà la frontière
De l’autre côté du pont
En on a rien à faire
Le fleuve sous le pont
Coule toujours le même
Y a que dans les chansons
Qu’on fête ceux qui s’aiment
Qu’on fête ceux qui s’aiment.

ma per votarli o non votarli, quelli della lista Tsipras? boh...

lunedì 17 marzo 2014

L’eutanasia clandestina nel paese degli ipocriti - Carlo Troilo (Associazione Luca Coscioni)

il 18 marzo inizierò uno sciopero della fame con cui mi ripropongo di contribuire a scuotere il muro di silenzio sulla eutanasia, spingendo il Parlamento a discutere la proposta di legge di iniziativa popolare sulla legalizzazione della eutanasia su cui l’Associazione Coscioni ha raccolto quasi 70 mila firme autenticate di cittadini. 
Nello stesso giorno – alle 11,30, nella sede della Associazione in via di Torre Argentina 76 – terrò una conferenza stampa resa particolarmente importante dalla partecipazione, assieme a Mina Welby e Mario Riccio, di Chiara Rapaccini, compagna di Mario Monicelli fino alla sua morte, Luciana Castellina, per lunghi anni compagna di Lucio Magri e il figlio di Carlo Lizzani, Francesco: un “evento”, una protesta contro le leggi spietate che hanno costretto i nostri cari ad una morte atroce. 

Le ragioni per le quali ritengo necessaria ed anche possibile la legalizzazione della eutanasia anche in Italia sonno molte. Ne ricordo tre:
- Non è accettabile che l’Italia resti, fra i grandi paesi europei, l’unico in cui non solo non si legalizza l’eutanasia ma nemmeno si accetta di discuterne
- In un paese in cui i veri cattolici sono una minoranza e il 60per cento dei cittadini è favorevole alla eutanasia, non è ammissibile che le forze politiche continuino a soggiacere ai diktat delle gerarchie ecclesiastiche
- Il tema non interessa più soltanto alcuni intellettuali “radical-chic” ma un numero rilevante e crescente di italiani.

Su questo punto fornirò dei dati che ritengo sconvolgenti ma che sono praticamente ignorati dalla stampa, anche quella “progressista”:
- Secondo l’ISTAT ogni anno in Italia si verificano 1.000 suicidi e oltre 1.000 tentati suicidi di malati. 
- Autorevoli ricerche (la più nota, quella del 2007 dell’Istituto Mario Negri) ci dicono che ogni anno 20.000 malati terminali vedono accelerata la loro fine a seguito dell’intervento attivo dei medici: una “morte all’italiana” (per non dire, come mi sembrerebbe lecito, di eutanasia clandestina). 
Siamo dunque di fronte ad una vera e propria strage degli innocenti, ignorata dai media e dagli italiani, a cui dobbiamo dire basta…

…Abitualmente si pensa che l’eutanasia risponda alle esigenze e ai desideri dei malati terminali, per cui si tende a vedere solo o prevalentemente in loro gli “aventi titolo” all’eutanasia. Non è così. Mario Monicelli, Lucio Magri, Carlo Lizzani non erano “malati terminali”. Essi volevano morire perché ritenevano che la loro vita non fosse più degna di essere vissuta. E sono certo che anche mio fratello, che invece era malato terminale, non si è suicidato per questo. Michele, ormai, era rassegnato a non poter ottenere l’eutanasia, di cui era sempre stato un sostenitore, e anche ad attendere le poche settimane, se non i pochi giorni, che lo separavano dalla morte. Una sera però, appena rientrato dall’ospedale, ebbe un primo episodio di incontinenza. La sua badante dovette spogliarlo, lavarlo e metterlo a letto con un pannolone. Michele era un anziano scapolo, un uomo elegante, riservato, pudico. Non fu la malattia, ma l’idea di dover subire ancora quella umiliazione a spingerlo ad uscire sul terrazzo e a gettarsi nel vuoto. Perché per molti non ci può essere vita senza dignità. Lo dice anche la nostra Costituzione, a proposito di accanimento terapeutico, all’articolo 32: “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”…

domenica 16 marzo 2014

dice Carlo Verdone, e poi Davide Ghezzo

Carlo Verdone:
Una volta al mese mi chiamano in case che non conosco per portare conforto a un caso disperato, a un malato terminale, a qualcuno che sta soffrendo intensamente. Il dolore è democratico. Frequento proletari e nobili, ceto medio. “Mi faceva piacere conoscerla, volevo ringraziarla per tutta l’allegria che mi ha dato” mi dicono. Io mi siedo, ascolto le loro storie e anche se esco con il cuore a pezzi, so di essere utile a qualcosa. So’ una specie di antidepressivo in carne e ossa. Forse il più bel premio della mia carriera.

Davide Ghezzo:
…arte come terapia dell’anima dunque del corpo. Per questo non ho mai pensato a chiedere l’aiuto di uno psicologo o psicoterapeuta, nemmeno nei momenti più difficili. Mi sono sempre bastate letteratura e musica, romanzi e canzoni, capaci non di cancellare il dolore, ma di sublimarlo, di rigenerarti dentro, di ridarti l’energia e lo sguardo giusto sul mondo.

sabato 15 marzo 2014

La mossa ucraina di Obama - Giulietto Chiesa

16 marzo 2003: ammazzano Rachel Corrie, che voleva proteggere i palestinesi

nel gran bel film “Avatar” a un certo punto una ragazza si mette davanti a una ruspa per proteggere i suoi amici di un altro pianeta, e viene salvata un attimo prima di essere travolta.
per me James Cameron ha voluto ricordare Rachel Corrie.

nel sito di Vittorio Arrigoni, ammazzato anche lui nelle stesse terre dove Rachel ha trovato la morte, si trovano molte lettere di Rachel, eccone alcune.
…Sappi che un mucchio di palestinesi molto simpatici si sta prendendo cura di me. Mi sono presa una lieve influenza e per curarmi mi hanno dato dei beveroni al limone buonissimi. E poi la signora che ha le chiavi del pozzo dove ancora dormiamo mi chiede continuamente di te. Non sa una parola d’inglese ma riesce a chiedermi molto spesso della mia mamma – vuole essere sicura che ti chiami….
…Credo che Rafah oggi sia ufficialmente il posto più povero del mondo. Esisteva una classe media qui, una volta. Ci dicono anche che le spedizioni dei fiori da Gaza verso l’Europa venivano, a volte, ritardate per due settimane al valico di Erez per ispezioni di sicurezza. Potete immaginarvi quale fosse il valore di fiori tagliati due settimane prima sul mercato europeo, quindi il mercato si è chiuso. E poi sono arrivati i bulldozer, che distruggono gli orti e i giardini della gente. Cosa rimane per la gente da fare? Ditemi se riuscite a pensare a qualcosa. Io non ci riesco. Se la vita e il benessere di qualcuno di noi fossero completamente soffocati, se vivessimo con i nostri bambini in un posto che ogni giorno diventa più piccolo, sapendo, grazie alle nostre esperienze passate, che i soldati e i carri armati e i bulldozer ci possono attaccare in qualunque momento e distruggere tutte le serre che abbiamo coltivato da tanto tempo, e tutto questo mentre alcuni di noi vengono picchiati e tenuti prigionieri assieme a 149 altri per ore: non pensate che forse cercheremmo di usare dei mezzi un po’ violenti per proteggere i frammenti che ci restano? Ci penso soprattutto quando vedo distruggere gli orti e le serre e gli alberi da frutta: anni di cure e di coltivazione. Penso a voi, e a quanto tempo ci vuole per far crescere le cose e quanta fatica e quanto amore ci vuole. Penso che in una simile situazione, la maggior parte della gente cercherebbe di difendersi come può. Penso che lo farebbe lo zio Craig. Probabilmente la nonna la farebbe. E penso che lo farei anch’io…
…Mi avete chiesto della resistenza non violenta. Quando l’esplosivo è saltato ieri, ha rotto tutte le finestre nella casa della famiglia. Mi stavano servendo del tè, mentre giocavo con i bambini. Adesso è un brutto momento per me. Mi viene la nausea a essere trattata sempre con tanta dolcezza da persone che vanno incontro alla catastrofe. So che visto dagli Stati Uniti, tutto questo sembra iperbole. Sinceramente, la grande gentilezza della gente qui, assieme ai tremendi segni di deliberata distruzione delle loro vite, mi fa sembrare tutto così irreale. Non riesco a credere che qualcosa di questo genere possa succedere nel mondo senza che ci siano più proteste. Mi colpisce davvero, di nuovo, come già mi era successo in passato, vedere come possiamo far diventare così orribile questo mondo. Dopo aver parlato con voi, mi sembrava che forse non riuscivate a credere completamente a quello che vi dicevo. Penso che sia meglio così, perché credo soprattutto all’importanza del pensiero critico e indipendente. E mi rendo anche conto che, quando parlo con voi, tendo a controllare le fonti di tutte le mie affermazioni in maniera molto meno precisa. In gran parte questo è perché so che fate anche le vostre ricerche.
Ma sono preoccupata per il lavoro che svolgo. Tutta la situazione che ho descritto, assieme a tante altre cose, costituisce un’eliminazione, a volte graduale, spesso mascherata, ma comunque massiccia, e una distruzione, delle possibilità di sopravvivenza di un particolare gruppo di persone. Ecco quello che vedo qui. Gli assassini, gli attacchi con i razzi e le fucilazioni dei bambini sono atrocità, ma ho tanta paura che se mi concentro su questi, finirò per perdere il contesto. La grande maggioranza della gente qui, anche se avesse i mezzi per fuggire altrove, anche se veramente volesse smetterla di resistere sulla loro terra e andarsene semplicemente (e questo sembra essere uno degli obiettivi meno nefandi di Sharon), non può andarsene. Perché non possono entrare in Israele per chiedere un visto e perché i paesi di destinazione non li farebbero entrare: parlo sia del nostro paese che di quelli arabi. Quindi penso che quando la gente viene rinchiusa in un ovile – Gaza – da cui non può uscire, e viene privata di tutti i mezzi di sussistenza, ecco, questo credo che si possa qualificare come genocidio. Anche se potessero uscire, credo che si potrebbe sempre qualificare come genocidio. Forse potreste cercare una definizione di genocidio secondo il diritto internazionale. Non me la ricordo in questo momento. Spero di riuscire con il tempo a esprimere meglio questi concetti. Non mi piace usare questi termini così carichi. Credo che mi conoscete sotto questo punto di vista: io do veramente molto valore alle parole. Cerco davvero di illustrare le situazioni e di permettere alle persone di tirare le proprie conclusioni. Comunque, mi sto perdendo in chiacchiere. Voglio solo scrivere alla mamma per dirle che sono testimone di questo genocidio cronico e insidioso, e che ho davvero paura, comincio a mettere in discussione la mia fede fondamentale nella bontà della natura umana.
Bisogna che finisca. Credo che sia una buona idea per tutti noi, mollare tutto e dedicare le nostre vite affinché ciò finisca. Non penso più che sia una cosa da estremisti. Voglio davvero andare a ballare al suono di Pat Benatar e avere dei ragazzi e disegnare fumetti per quelli che lavorano con me. Ma voglio anche che questo finisca. Quello che provo è incredulità mista a orrore. Delusione. Sono delusa, mi rendo conto che questa è la realtà di base del nostro mondo e che noi ne siamo in realtà partecipi. Non era questo che avevo chiesto quando sono entrata in questo mondo. Non era questo che la gente qui chiedeva quando è entrata nel mondo. Non è questo il mondo in cui tu e papà avete voluto che io entrassi, quando avete deciso di farmi nascere. Non era questo che intendevo, quando guardavo il lago Capital e dicevo, “questo è il vasto mondo e sto arrivando!” Non intendevo dire che stavo arrivando in un mondo in cui potevo vivere una vita comoda, senza alcuno sforzo, vivendo nella completa incoscienza della mia partecipazione a un genocidio.
Sento altre forti esplosioni fuori, lontane, da qualche parte. Quando tornerò dalla Palestina, probabilmente soffrirò di incubi e mi sentirò in colpa per il fatto di non essere qui, ma posso incanalare tutto questo in altro lavoro. Venire qui è stata una delle cose migliori che io abbia mai fatto. E quindi, se sembro impazzita, o se l’esercito israeliano dovesse porre fine alla loro tradizione razzista di non far male ai bianchi, attribuite il motivo semplicemente al fatto che io mi trovo in mezzo a un genocidio che io anch’io sostengo in maniera indiretta, e del quale il mio governo è in larga misura responsabile.
Voglio bene a te e a papà. Scusatemi il lungo papiro. OK, uno sconosciuto vicino a me mi ha appena dato dei piselli, devo mangiarli e ringraziarli.
Rachel
da qui

ecco Rachel che parla:


Alessio Lega canta una canzone dedicata a Rachel:




“Casa del vento” ed Elisa cantano una canzone dedicata a Rachel;



da uno spettacolo su Rachel Corrie:

venerdì 14 marzo 2014

la non candidatura di Antonia Battaglia

Ho ricevuto stamane una bellissima lettera da parte del Comitato per la Lista “L’Altra Europa con Tsipras”, nella quale mi si invita a non ritirare la mia candidatura e a non darla vinta a chi mi vorrebbe fuori da questa lista. La lettera, firmata da Argiris Panagopoulos in nome di Alexis Tsipras, Barbara Spinelli, Marco Revelli e Guido Viale, é stata una grande testimonianza di fiducia nei miei confronti. Ma è con grande rammarico che, mio malgrado, constato ancora che tra i candidati della circoscrizione Sud rimangono i nomi di due candidati appartenenti a SEL. 

In una lettera invitata al Comitato con Alessandro Marescotti e Riccardo Rossi, quando ancora le candidature non erano state validate, avevamo posto una condizione sine qua non: che nella lista “L’Altra Europa con Tsipras” non ci fossero esponenti dei partiti politici ed in particolare di SEL, le cui posizioni su Taranto sono in contrasto con cio’ che rappresento. La mia dichiarazione del giorno 5 marzo riaffermava quanto già sostenuto al momento della presentazione del mio nome, fin dall’inizio. 

I miei principî morali ed etici e la netta consapevolezza di non voler portare avanti una campagna per Taranto e per il Sud tutto in Europa, accanto ad esponenti di un partito che ancora ieri ha continuato a disconoscere le proprie gravi responsabilità sulla questione ILVA, mi inducono a riaffermare con forza la mia scelta. Pertanto ho pregato il Comitato di voler provvedere a levare il mio nome dalla lista dei candidati della circoscrizione Sud. Auguro ad Alexis Tsipras tutto il successo che merita in Europa.

Paolo Flores d’Arcais alle ore 12 e 39 di domenica 9 marzo ha mandato sull’episodio la seguente lettera agli altri garanti della lista L'Altra Europa con Tsipras, ai capilista e allo stesso Alexis Tsipras.

Cari amici, 
leggo sul Manifesto di oggi (e sul sito www.inchiostroverde.it a cui Il Manifesto rimanda), che Antonia Battaglia, insieme a Alessandro Marescotti e Riccardo Rossi, ha mandato il 5 marzo una lettera al comitato dei garanti della lista "l'Altra Europa con Tsipras", in cui i tre esponenti delle lotte della società civile di Taranto scrivevano: "quando ancora le candidature non erano state validate, avevamo posto una condizione sine qua non: che nella lista "l'Altra Europa con Tsipras" non ci fossero esponenti dei partiti politici ed in particolare di SEL, le cui posizioni su Taranto sono in contrasto con ciò che rappresento". 

Tale lettera, inviata a qualcuno dei garanti (Antonia Battaglia fa menzione di Argiris Panagoupolos, Barbara Spinelli, Marco Revelli e Guido Viale) è stata occultata a qualcuno degli altri garanti, e certamente a me.

Ricordo che nella teleconferenza per le candidature del 3 marzo (e in ogni altra precedente circostanza) di fronte alla possibilità (ventilata da chi aveva tenuto i contatti con le realtà di Taranto) che Antonia Battaglia ponesse come condizione sine qua non "o i dirigenti di Sel o lei", avevo espressamente detto (anche a nome di Andrea Camilleri che mi aveva delegato a rappresentarlo) che avemmo dovuto rispondere "lei", cioè Antonia Battaglia, escludendo i dirigenti Sel (del resto mi ero dichiarato comunque contrario alla candidatura degli esponenti dell'apparato vendoliano). Mi era stato risposto che nessun "aut aut" del genere era stato posto, ma che se fosse risultato ineludibile scegliere, la lista avrebbe scelto di candidare Antonia Battaglia.

Condivido pienamente perciò quanto scritto da Antonia Battaglia, quando sottolinea che "principi morali ed etici" impediscono di "portare avanti una campagna per Taranto e per il Sud tutto in Europa, accanto a esponenti di un partito [Sel] che continua a disconoscere le proprie gravi responsabilità sulla questione ILVA".

Resto allibito nel leggere sul sito www.listatsipras.eu la notizia del ritiro della candidatura di Antonia Battaglia (che la sua rinuncia ha motivato dettagliatamente e con argomenti etici e politici incontestabili) in questi termini: "Per motivi completamente diversi [da quelli di Valeria Grasso] un'altra candidata ha deciso di ritirarsi dalla corsa elettorale: Antonia Battaglia, nel Collegio Sud". Trovo questo modo di dare la notizia insultante nei confronti di Antonia Battaglia e delle lotte della società civile di Taranto, trovo che si tratti non di informazione ma di vera e propria disinformacija che getta irreparabile discredito sulla lista stessa. - Paolo Flores d'Arcais

Il 9 marzo Antonia Battaglia ha inviato a MicroMega questa lettera che contiene importanti chiarimenti "pro veritate".

Gentile Paolo, 

la ringrazio molto della email che mi ha voluto far recapitare da Barbara Spinelli. Ho apprezzato moltissimo le sue parole. 
La lettera a cui faccio riferimento é stata mandata molto prima del 5 marzo: é del 5 marzo il comunicato in cui annuncio la difficoltà di poter sposare una causa insieme a SEL e in cui chiedo al comitato di riconsiderare le candidature di SEL, ma la lettera era stata mandata già nell’ultima settimana di febbraio, al momento della presentazione delle candidature e comunque prima della composizione delle liste (ne ho copia in ufficio, domani la cercherò). 
Quello che é accaduto é stato per me, per noi a Taranto, violento. Ha creato una grande spaccatura nel mondo degli ambientalisti, che hanno creduto che io mi volessi candidare con SEL. Sono stata attaccata in modo indecoroso, ma ho tenuto duro perché ero convinta che - letta la nostra lettera- mai e poi mai la Lista Tsipras mi avrebbe messa in lista come foglia di fico per coprire la vergogna di avere SEL. 
Alla pubblicazione delle liste, con il mio nome accanto a quello di due esponenti politici di SEL, di cui Gano Cataldo, membro del coordinamento nazionale e Dino Di Palma già candidato al Senato, sono rimasta attonita. Mentre una città intera si sentiva offesa. 
Ho parlato per ore al telefono con Viale, con Torelli, con Curti, in questi ultimi giorni anche con la Signora Spinelli e ho scritto numerose emails nelle quali spiegavo perché io non potevo stare in lista con gente di Vendola, del quale tra l’altro qualche giorno fa é stato richiesto il rinvio a giudizio dalla Procura di Taranto! 
Chi nella lista ha deciso sapeva benissimo cosa faceva e mi ha esposta ad una violenza inaudita. La sera della pubblicazione delle liste, i candidati di SEL hanno pubblicato sulla loro pagina Facebook il comunicato ufficiale del partito nel quale Vendola dichiarava di aver sempre fatto il proprio lavoro per difendere la nostra città, di aver sempre lottato per « scoperchiare la realtà ed aprire i dossiers sulla diossina". Ecco, io ero in lista con loro. 
Alessandro Marescotti ed io, con Riccardo Rossi di « Brindisi Bene Comune », abbiamo passato giorni a spiegare il perché non si può mettere la persona che ha portato avanti la procedura di infrazione della Commissione su Taranto, una esponente di primo piano della lotta di Taranto, con gente di Vendola.
Ma ogni volta la risposta é stata: ma tu sei la risposta a Vendola ! Il fatto che ti candidiamo é la risposta a Vendola. Orribile scusa ed utilizzo della mia lotta per non dire a Vendola di tornare a casa. 

Ho detto spesso a Barbara che Taranto l’avrebbe vissuta come un affronto irreparabile e che il corso nuovo delle cose doveva cominciare da noi, dalla rivoluzione che Taranto desidera e che per la quale io mi batto tanto. 
Ho sottolineato in varie occasioni che il punto di vista su SEL e su Vendola non era il mio, non era strettamente personale ! Ci siamo consultati con altre città, con Brindisi, con il Molise, con La spezia, con Napoli, con la Terra dei Fuochi. La gente della terra dei Fuochi ha espresso il proprio scontento su Di Palma in varie emails che mi dicono aver mandato all’indirizzo della lista. Le nostre regioni si stanno rivoltando contro il governo di cui Vendola é esponente.
Ma le parole, le lettere, le ore di telefonate sono state vane. 
La ringrazio profondamente per le sue parole e per l’azione che ha voluto portare avanti per sostenermi. 

Antonia Battaglia 

(poichè nel sito www.listatsipras.eu uno scambio di lettere tra Antonia Battaglia ed alcuni esponenti della lista L'Altra Europa con Tsipras è presentato in modo tutt'altro che visibile per il navigatore medio ne diamo il link per accedervi direttamente: qui)