sabato 31 dicembre 2022

Pippo Baudo intervista Ugo Tognazzi - Domenica in 1979


Ognuno ride a modo suo. Storia di un bambino irriverente e sbilenco - Valentina Perniciaro

Nilo è figlio unico, per poco tempo, e poi arriva Sirio.

c'è un problema, dopo il parto, Sirio e la mamma vengono rimandati a casa troppo presto.

e quando Sirio smette di respirare una pazza corsa verso l'ospedale non è sufficiente per evitare lesioni al cervello.

sarà un vegetale, dice qualcuno alla mamma in ospedale.

ma qualche altro medico e infermiera e i genitori, Valentina e Paolo, non si rassegnano.

ed è una salita verso la vita e, a differenza di Sisifo, Sirio non è tornato indietro, con una testardaggine e una forza di volontà immensa, sua e di chi gli vuole bene.

il libro è bellissimo!



è nata anche la fondazione Tetrabondi, per Sirio e le bambine e i bambini che ne hanno bisogno (
https://fondazionetetrabondi.org e https://www.facebook.com/tetrabondi)


il blog di Valentina, la mamma di Sirio e Nilo  https://baruda.net/

il blog di Paolo, il babbo di Sirio e Nilo  https://insorgenze.net/



Valentina è la mamma di Sirio Persichetti, un bambino nato prematuro ma sano. Dopo 8 giorni dalle dimissioni il suo cuore si ferma: una “morte in culla” che porta i rianimatori alla sentenza di stato vegetativo.

Sirio oggi invece cammina e comunica a modo suo nonostante la diagnosi di tetraparesi spastica e paralisi celebrale.

La storia di Sirio e Valentina è diventata virale dopo un servizio che mostrava Sirio entrare a scuola in completa autonomia. Il video ha fatto il giro del mondo: «Quelle del servizio sono proprio le nostre parole, il nostro sguardo sulla disabilità, l’adrenalina gioiosa che vengono raccontati dalle immagini di Sirio, libero e spavaldo, con gli occhi fissi in camera come a dire ‘eccomi qua, non abbiate paura, sono uno come gli altri’».

Nel testo, Perniciaro racconta le vicende di Sirio e di tutte le persone che convivono con lui, come il padre Paolo, il fratello Nilo e la fantastica marmottina di peluche, sua compagna di avventure. Troviamo anche le figure professionali che condividono la quotidianità di Sirio, come la logopedista, la maestra di sostegno e l’assistente domiciliare.

«L’idea di realizzare un libro era da sempre nella mia testa, ma pensavo di non riuscire mai a farlo dato che la nascita di Sirio e tutto quello che ne è conseguito mi tenevano occupatissima. Ho sempre avuto una scrittura di getto tipica dei blogger, mentre scrivere un libro comporta un tipo di lavoro diverso, concentrazione, attenzione maggiore. Ho deciso di mettere nero su bianco gli appunti presi negli anni in un testo da pubblicare solo a seguito delle sollecitazioni esterne che mi sono arrivate dalla casa editrice».

Perniciaro ha impiegato due mesi e mezzo per scrivere il libro. «E’ un libro rivolto soprattutto ad un pubblico che non conosce la disabilità, una breve opera anche per coloro che lottano per i diritti umani ma che non hanno mai incontrato la disabilità nel cammino della loro vita. È molto importante far capire che c’è tutto un vasto mondo di fragilità che deve essere portato alla luce».

La disabilità è una «montagna immensa», che deve essere «scalata con determinazione e a volte anche spensieratezza». Davanti alla grave disabilità del figlio, inizialmente Perniciaro vedeva «molto nero» intorno a sè, «una vita da trascorrere in solitudine, uno scollamento con la società, la probabile dissoluzione delle relazioni con gli altri».

Nel suo libro parla anche di aver pensato al suicidio, immaginando di crescere Sirio da sola. «Il percorso fatto in questi anni mi dà molte energie, c’è la consapevolezza che è davvero possibile costruire un futuro per Sirio pieno di attenzioni e inclusione». Se si costruiscono reti di aiuto reciproco tra le famiglie, non è difficile immaginare un futuro in cui ci si diverte e si sorride, nonostante tutto.

L’anno scorso, grazie all’aumento di notorietà nei social, Valentina ha creato la Fondazione Tetrabondi, che sviluppa e promuove l’autodeterminazione della persona e il diritto a costruire una propria vita inseguendo la felicità.

«Raccontiamo la disabilità smontandola dalle sovrastrutture dello stigma, ridendoci insieme, mostrandola come una peculiarità imprescindibile dell’essere umano, semplicemente una delle tante sue caratteristiche ineludibili».

Prosegue Perniciaro: «Combattiamo parole che lacerano e alzano mura con l’ironia e la fatica delle nostre giornate, senza eroismi, mostrando alle altre famiglie come ottenere l’ottenibile, come strappare ogni lembo di libertà possibile, senza fare mai un passo indietro, senza farsi vincere dalla rabbia e dal rancore, dall’invidia, dalla disperazione: cercando come obiettivo primario proprio la felicità, la qualità della vita».

da qui

 

 

venerdì 30 dicembre 2022

Alfabeto Pasolini. Corsaro con Marco Belpoliti

 

Se alla TAV Torino-Lione viene a mancare Lione, ‘ndo vai?

Sindaci di Lione e Grenoble chiedono stop immediato al progetto TAV con altre 150 personalità

È stata presentata pochi giorni fa sul quotidiano ecologista Reporterre la lettera che riproduciamo qui di seguita. Firmata da oltre 150 personalità pubbliche francesi, pretende l’immediato STOP ai lavori preparatori per il raddoppio della linea Torino-Lione al fine di dirottare le risorse sul rinnovamento della linea AV esistente, su cui tra l’altro sono stati già investiti 800 milioni nel 2011 per garantirne l’adeguamento. Tra i firmatari i sindaci di Grenoble e Lione, numerosi amministratori locali nonché sindacalisti del settore ferroviario, deputati europei e nazionali. Buona lettura! (traduzione a cura di presidioeuropa)

 

In un momento in cui bisogna fare di tutto per limitare il riscaldamento globale e rafforzare l’indipendenza del nostro Paese, nel momento in cui scarseggiano le medicine e i prodotti alimentari importati dall’altra parte del mondo, nel  momento in cui il governo sostiene di non avere i soldi per la sanità e per gli ospedali, nel momento in cui i treni quotidiani sono degradati e le infrastrutture ferroviarie non sono mantenute o sono insufficienti, chiediamo di fermare il progetto Lione-Torino, la cui unica logica è quella di trasportare sempre più merci più lontano e di alimentare questo culto energivoro e distruttivo.

Nei venti anni in cui i sostenitori del progetto hanno dichiarato che il loro obiettivo è spostare le merci dalla strada alla ferrovia, i loro risultati sono deplorevoli per la salute e l’ambiente:

  • Hanno diviso per cinque il numero dei treni merci tra Francia e Italia,
  • Hanno deciso di aprire al traffico stradale una galleria di sicurezza nel tunnel del Fréjus, in barba alla promessa di non farlo,
  • Hanno dirottato 200 milioni di euro destinati alle ferrovie delle Alpi per finanziare il tunnel stradale del Fréjus,
  • Non hanno tolto un camion dalla strada quando la linea ferroviaria esistente lo permette e quando la strada è più costosa del 30% rispetto al servizio ferroviario,
  • Stanno prosciugando le sorgenti, prosciugando le falde acquifere e abbattendo ettari di foresta nella Maurienne,
  • Stanno distruggendo terreni agricoli per costruire impianti di cemento e cave per i loro progetti.

Finché non verrà rilanciato il traffico merci su rotaia tra Francia e Italia, non si dovrà abbattere un solo albero, non si dovrà artificializzare un metro quadrato di terreno agricolo e non si dovrà prosciugare un metro cubo d’acqua.

Chiediamo, in linea con quanto scritto dalle amministrazioni centrali e dal COI – Consiglio per l’Orientamento delle Infrastrutture, che la linea ferroviaria esistente venga utilizzata immediatamente nella misura in cui lo era negli anni duemila. Questo non solo crea posti di lavoro e migliora la sicurezza stradale, la qualità dell’aria nelle valli alpine e la salute pubblica, ma combatte efficacemente il riscaldamento globale.

Chiediamo che il denaro che verrebbe investito nel progetto della nuova linea Lione-Torino venga utilizzato subito per aprire una piattaforma di carico dalla strada alla ferrovia nella zona di Ambérieu-en-Bugey e che le navette ferroviarie per il trasporto di merci vengano offerte agli autotrasportatori a partire dal 2023.

Chiediamo, come previsto dalla legge, che i 20 milioni di euro di utili annuali del traforo del Monte Bianco siano destinati esclusivamente alla ferrovia e al finanziamento del trasferimento di merci e passeggeri dalla strada alla ferrovia e che i 200 milioni di euro versati al traforo stradale del Fréjus negli ultimi 10 anni siano restituiti alla ferrovia.

Chiediamo che la decisione di aprire al traffico la galleria di sicurezza del tunnel stradale del Fréjus venga annullata e che sia riservata esclusivamente ai mezzi di soccorso.

Proponiamo di migliorare la capacità delle linee tra Aix-les-Bains e Annecy, La Roche-sur-Foron e Saint-Gervais, e tra Saint-André-le-Gaz e Chambéry per ridurre il traffico stradale e aumentare il trasporto giornaliero di passeggeri. Gli investimenti per il miglioramento delle infrastrutture (compresa la protezione dell’ambiente e del rumore per i residenti locali) sulla tratta Ambérieu-Modane devono essere attuati senza indugio per riportare il tunnel esistente al suo pieno potenziale.

Rifiutiamo la logica del progetto Torino-Lione e dei suoi sostenitori, i cui precedenti sono la distruzione del trasporto ferroviario di merci nel nostro Paese negli ultimi 30 anni. Stanno già distruggendo le ferrovie della Maurienne per le esigenze di questo grande progetto inutile.

Affermiamo che il denaro investito nel progetto Torino-Lione porterà allo stesso fallimento della linea Perpignan-Figueras, il primo anello del corridoio mediterraneo.

L’ambiente, i terreni agricoli, le falde acquifere e il denaro pubblico devono essere preservati!

La linea ferroviaria esistente deve essere utilizzata immediatamente e i lavori preparatori per il progetto Torino-Lione devono essere interrotti...

da qui

 

 

 

No Tav, Torino-Lione il no dei francesi: “Smettetela di devastare la montagna” – Antonio Amorosi

Sindaco ambientalista di Lione guida la protesta contro la TAV Torino Lione. Il fronte francese è critico: “Per limitare il riscaldamento globale…”

No Tav, Torino-Lione. Altri fondi devono arrivare dalla UE, ma arriveranno mai?

Non è dall’Italia che arriva il blocco vero alla tratta ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, ma dalla Francia. Il sindaco di Lione, Grégory Doucet, esponente dei Verdi molto stimato, ha firmato un appello per chiedere lo stop dell’intervento. Il testo è sottoscritto da almeno 150 personalità tra ecologisti, sindacalisti, parlamentari (una cinquantina) ed europarlamentari francesi. Doucet fece scalpore all’insediamento annunciando la scelta di ridursi di 1.000 euro l’indennità di sindaco, da 8.500 a 7.500 euro lordi al mese, al fine di aumentare senza ricorrere a più soldi pubblici le indennità di alcuni consiglieri comunali delegati (da 2.300 a 2.700 euro lordi al mese).

“In un momento in cui bisogna fare di tutto per limitare il riscaldamento globale e rafforzare l’indipendenza del nostro Paese”, scrivono i firmatari, “in un momento in cui mancano medicinali e prodotti alimentari importati dall’altra parte del mondo, in un momento in cui il governo afferma di non avere i soldi per sanità e per gli ospedali, in un momento in cui i treni quotidiani sono in pessime condizioni e le infrastrutture ferroviarie non sono o sono mantenute in modo insufficiente, chiediamo lo stop al progetto Lione-Torino che ha come unica logica quella di trasportare sempre più merci sempre più lontano e di mantenere questo culto energivoro e distruttivo”. Quel denaro va reinvestito in treni esistenti.

E prosegue un atto di accusa durissimo, pubblicato sul media indipendente Reporterre.net, dove vengono elencati i danni arrecati dall’opera al territorio: aver moltiplicato per 5 il numero di treni merci tra Francia e Italia; aver aperto al traffico stradale il tunnel di sicurezza nel Fréjus, rimangiandosi la parola data di non farlo; aver dirottato 200 milioni di euro destinati alla ferrovia nelle Alpi per finanziare il traforo stradale del Fréjus; non aver tolto un camion dalla strada quando la linea ferroviaria esistente lo consente e la strada è più costosa del 30% rispetto al servizio ferroviario; aver prosciugano le sorgenti della zona, drenato le acque sotterranee e tagliato ettari di foresta nella zona Maurienne; aver distrutto terreni agricoli per impianti di cemento, aver costruito cave solo per realizzare la tratta Torino-Lione.

Negli occhi dei lettori è rimasto vivo il ricordo degli scontri negli anni sul versante italiano tra manifestanti italiani e polizia, ma gli eventi di protesta sono continuati anche sul fronte francese. Ancora in questo autunno è stata organizzata una grande manifestazione contro il progetto a Villarodin-Bourget, evento in cui si denunciava il costo astronomico dell’opera e la siccità causata dai lavori.

“Finché il traffico merci su rotaia tra Francia e Italia non sarà riavviato non si dovrà abbattere un albero, non si dovrà artificializzare un metro quadrato di terreno agricolo e non si dovrà drenare un metro cubo d’acqua… L’ambiente, i terreni agricoli, le acque sotterranee e il denaro pubblico devono essere preservati!”, scrivono gli appellanti.

I sottoscrittori propongono di migliorare le linee esistenti e tra queste “la capacità delle linee tra Aix-les-Bains e Annecy, la Roche-sur-Foron e Saint-Gervais e tra Saint-André-le-Gaz e Chambéry per ridurre il traffico stradale e aumentare il trasporto giornaliero di viaggiatori”.

Dell’opera sono stati ad oggi completati solo il 19% dei lavori per 115 chilometri totali. Altre risorse economiche per realizzare il progetto devono arrivare dalla UE. Ma non è detto che il tutto vada in porto, tanto meno ora che la Francia vede le proteste sollevarsi tra i sindaci ambientalisti.

da qui

 


 

 

 

giovedì 29 dicembre 2022

Uno spettro si aggira per l’Europa

Non è più il sole dell’avvenire, è la storia nera dell’Europa, storia che non è mai morta.

 

Lo spettro ha sembianze umane, il corpo che ultimamente possiede è quello dell’Alto rappresentante per gli affari esteri dell'UE, lo spagnolo Josep Borrell.

Prima sdogana il genocidio degli indiani d’America, nei calcoli di Borrell sono stati ammazzati non milioni e milioni di esseri umani, ma quattro (quanti muoiono sul lavoro ogni giorno in Italia) (1)


 

Poi sdogana i conquistadores e il colonialismo (2)

“non servono le mappe e le rotte del passato; come i conquistatori dobbiamo inventare un nuovo mondo”, dice il sobrio Borrell.

 


E infine (se avesse finito) dice a tutti che “L’Europa è un giardino. Abbiamo costruito un giardino. Tutto funziona” e che “la maggior parte del resto del mondo è una giungla, e la giungla potrebbe invadere il giardino” (3)

                        

Josep Borrell si è assunto il compito, l’onere e l’onore di rivendicare le nefandezze dell’Europa nel secondo millennio dopo Cristo, addirittura si vanta dei genocidi anche europei e del colonialismo e del neocolonialismo, tutte cose che al confronto Attila era un signore.

 


                                                 il Gatto e la Volpe con Pinocchio  


Due volte all’anno, a Strasburgo e a Bruxelles, si tiene il Ballo Mascherato delle Celebrità.



                                                             Leyen, Lagarde e Borrell

Josep Borrell si maschera a volte da Francisco Pizarro, altre da Hernán Cortés, altre ancora da Leopoldo II del Belgio, sublimi esempi della missione civilizzatrice dell’Europa.

I paparazzi assicurano che nei panni di Giovanna d’Arco e di Isabella la Cattolica si alternano Ursula van der Leyen e Christine Lagarde.

 

 

(1)    https://twitter.com/ANNACippiu/status/1599817471489232896

(2)    https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-borrell_e_lo_sdoganamento_del_colonialismo_la_nuova_frase_shock_dellalto_rappresentante_ue/82_48083/

(3)    https://www.farodiroma.it/leuropa-e-un-giardino-e-il-resto-del-mondo-una-giungla-e-confermato-borrell-non-sta-bene-a-puccio/

 

La città perduta - chiedoaisassichenomevogliono


V’è qualcosa d’ideologico, di ancestrale e fatto di paure nella voglia d’armarsi a difesa delle cittadelle fortificate del proprio quotidiano. L’appello a sparar cinghiali, abbattere il lupo, scannare lorso, non è dissimile dall’affondare la nave che fugge da disperazione, che è a preferenza morto per annego che accoglienza. Tutto pare ricondursi a terrore puro d’invasione, invasione d’orrenda fiera a saccheggio di rifiuto, d’orrendo altro e reietto a rimetto in discussione stile di vita. Eppure l’uno venne a bussar alle porte della città che non ebbe più bosco per fare spazio a cemento, l’altro fu a condizione di schiavo e carne da macello per benessere di cittadino di posto civile, che casa sua fu messa ferro e fuoco da monocoltura e scavo di miniera per diletto d’altri che n’ebbero – a mistero fitto – paura. Or dunque quelli è ad invito ad imbracciar arma, a difesa di magione, presa d’assalto dal proprio agire d’inconsapevole parassita. E la città da difendere diventa il simbolo più elevato del vero assedio che fu di paura e null’altro. E della città parlai, ed ora riparlo par pari, che a tentacolo s’estende a spazzar via residuo di civiltà umana e di natura.

“Più per angoscia che per celia, m’appartiene la vista lontana della città presa d’assalto, dalle torme dei resilienti – non resistenti – in griffe gratta e vinci. Lo spazio urbano assembrato diventa fantasma della sua crescita indiscriminata, sempre più privato, sempre meno pubblico, sociale, definitivamente distanziato, come nei giochi d’ossimori si compete, tanto più è affollato. Il reale, trasformato in immagine spettacolare, è quinta scenografica d’una rappresentazione farsa, in cui le mura cingono d’assedio gli assedianti, non più le mura di Campanella dov’è la storia della scienza, il progetto educativo condiviso dei destini magici e progressivi dell’uomo. Le mura s’attrezzano a prigioni da cui non s’evade, ma dentro cui ci si rinchiude spontaneamente, sovvertendo l’ordine mentale costituito, quello che cerca l’orizzonte libero e di vertigine dello sguardo dell’animale in gabbia.

Dunque, l’animale in gabbia, alla catena, ha qualcosa di più umano dell’umanità stessa, poiché invoca per sé lo spazio aperto, rifugge dal pericolo mortale dell’assalto all’unisono alla stessa preda. Le immagini degli eloquenti muri della città ideale di Platone, sono ora grate elettrificate e luminescenti, gli orrori della merce che trabocca dalla caricatura d’una cornucopia di svendite morali e materiali. Pure l’effimero, in quanto concetto, sparisce nelle celle delle fiumane umane, diventa superfluo necessario, vocazione definitiva alla barbarie annichilente. Le architetture/prigioni delle periferie commerciali, e di dormitori, pure quelle di centri storici mercatizzati, non sono innocenti oggetti devitalizzati, ma espressione urlante del potere sociale che reclama le sue vittime. E se l’agnello o l’orrendo porco, s’avvedono del loro imminente sacrificio all’altare della tavola imbandita, con lacrima ed urlo straziante, il residuo umano vi s’immola con fanciullesca indifferenza. La progressione verso la forma estrema del mercato, il narcisismo individualista, ha soppiantato persino le oscene gerarchie dei rapporti di produzione convenzionali. Ed il consumo diventa religione di stato, di sovrastato, religione della religione. Solo il lavoro rende liberi in quanto apre la via alla speranza redentiva del consumo, del consumo d’una merce, purché sia, pure solo nella sua percezione virtuale e fuggente. Le città assaltate hanno perso ormai persino quel flebile richiamo al modernismo, financo superato le creazioni monolitiche della dittatura ceauseschiana, le volontà di Marinetti di deviare canali per affogare la vetusta Venezia, o Le Corbusier che anelava l’autostrada che spaccasse in due Parigi. Gli spazi vitali non esistono se non nel sentire, ormai folle, di chi deraglia dalla “normalità” di chi è persona e non gente. La follia è solo di quei pochi che s’avvedono della malattia come dolorosa e furente.

La normalità – contrappeso di massa alla pazzia -, che osannava un tempo Davide e la sua povera pietra per millenni, ora è di giganteschi Golia splendenti d’armature invincibili, il cui unico desiderio è cancellare la memoria della fionda sotto il pesante tallone della propria poderosa ed indiscutibile stazza. Guai ai vinti, soprattutto se s’atteggiano a ultimi, tanto più se proclamano la propria deviazione standard dal numero medio, se s’appigliano, resistenti, alla propria follia premeditata.

Dopo quello per Cola Pesce, non resta che recitare il de profundis pure per Giufà, che s’aggirava per le campagne, e negli occhi aveva la meraviglia per il tutto d’intorno, financo per un piatto di fagioli, con la pentola in testa, che non gli scappasse da quella l’innata sua passione per la follia che l’accomunava agli infiniti colori d’una umanità perduta.”