Cosa ci
differenzia dai regimi che definiamo antidemocratici e autocratici (Iran, Russia,
Turchia...) ?
Non il voto,
visto che anche lì avviene e, per il senso che può avere questa parola (per
loro, ma anche per noi), liberamente.
Sappiamo
bene che non è così, in entrambi i casi.
Ci piace
coltivare l'idea che da noi esista ancora un potere elettorale, mentre lì si
voterebbe a comando, in preda alla propaganda ed alla violenza più o meno
palese.
Ma il voto,
anche qui da noi, è condizionato e gestito in molti modi: corruzioni e
collusioni mafiose, propaganda mediatica, induzione all'astensionismo di massa.
Le nostre
repubbliche non sono islamiche o sovietiche, ma non sono neppure -nella
sostanza- più democratiche di quelle.
La libertà
di stampa sembrerebbe più ampia, ma la differenza va progressivamente
riducendosi: l'acquisizione monopolistica delle testate, i processi di
reclutamento dei giornalisti, l'autocensura redazionale, il controllo politico
delle reti televisive sono tutti fattori evidenti -anche qui da noi- di
condizionamento profondo e giungono già ora ad un vero e proprio controllo a
monte delle possibilità di critica ed indagine.
Anche la
rete, nata per pluralizzare l'informazione e renderla meno dipendente dai
poteri forti, è stata progressivamente acquisita da essi ed è oggi quasi
totalmente in mano ai Big Data, divenendo così, inversamente alle sue
promettenti origini, il contesto di un controllo ancora maggiore -ormai quasi
totale- sulle nostre vite.
Le
istituzioni religiose non sono alleate politiche dello Stato e sussiste
un'assodata libertà di culto.
In Occidente
non vi sono più teocrazie, insomma, da più di un secolo almeno.
Ma abbiamo
il problema inverso: le Chiese sono ormai marginalizzate all'interno della
sfera privata, in una dimensione morale ma apolitica.
Lo stesso
Papa prova in vari modi ad interferire sulla politica, ma con effetti
evidentemente scarsi, anche nei confronti dei suoi stessi fedeli (che, spesso,
votano e scelgono politiche e politici certo non conformi alle visioni
cristiane).
Se questo
Papa morisse e salisse al soglio pontificio un cardinale più morbido verso il
liberismo, si perderebbe anche questo debole argine contro le sue tragiche
piene.
La nostra
storia ci insegna, peraltro, che le Chiese -se lo valutano necessario per la
loro sopravvivenza- si piegano docilmente ai regimi autocratici e alle
dittature.
Lo stato di
diritto, l'autonomia della magistratura, i diritti umani e di cittadinanza
dovrebbero differenziarci con chiarezza.
Ma essi non
sono mai stati così sotto attacco anche negli stati democratici.
I giudici ed
i magistrati, per legge, non posson far altro che applicare le leggi.
E, se un
parlamento fa leggi ingiuste ed illegittime, devono seguirle.
In questo,
alla fin fine, siamo tutti sulla stessa barca: se i regimi politici vanno
-democraticamente, cioè mediante voti a maggioranza- verso posizioni
antidemocratiche ed autoritarie, non saranno certo i corpi giudiziari a potersi
e volersi mettere di traverso.
Anzi: sia
per quei regimi che per i nostri, essi diventano immediatamente proprio gli
esecutori diretti di qualunque potenziale nefandezza ed ingiustizia, come la
storia dello scorso secolo dimostra ampiamente.
Ma il punto
di minore differenziazione (ed il più pericoloso) riguarda ovviamente il ruolo
delle forze di polizia e degli apparati militari.
Inutile
farsi illusioni sull'esistenza presunta (e mai verificata) di eserciti
'democratici'.
Al momento
opportuno, gli Stati utilizzano gli eserciti per quel che servono: contro i
nemici esterni, in guerra, ma in primo luogo contro le renitenti opposizioni
interne.
Vi chiedo:
se i cittadini italiani, francesi o tedeschi facessero quel che stanno facendo
i manifestanti in Iran, quale sarebbe (o sarà, tra non molto, se accadrà) la
reazione dello Stato?
Come si
comporterebbero i servizi segreti, le forze dell'ordine, la cosiddetta
Benemerita, i generali in campo?
Lo sappiamo
già e lo vediamo già, al minimo accenno di protesta non programmata e fuori
dalle righe.
L'abbiamo
già vissuto a Genova nell'estate del 2001.
Ma
continuiamo a guardare le immagini di Teheran o di Mosca come se si trattasse
di un mondo lontano ed alieno, incompatibile con quello in cui 'ci troviamo
-fortunatamente- a vivere'.
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