Dall3 student3 dell’Università “Sapienza” al corpo accademico:
vogliamo dare voce ad una questione di cui sembra non si possa né domandare né
parlare e che ci preoccupa. Per farlo ci appelliamo al corpo accademico perché
crediamo che specialmente nei momenti più bui, in quei chiaroscuri dove nascono
mostri, l’Università non possa rimanere passiva davanti all’incedere degli
eventi, ma piuttosto debba prestarsi ad essere luogo della critica, il motore
dello spirito dei nostri tempi.
La “Sapienza” non è uno spazio neutro, non deve esserlo, e lo ha dimostrato la
mobilitazione delle ultime settimane da parte del corpo studentesco.
Una comunità che si è riscoperta tale per la prima volta da anni.
Una comunità che ha invaso a migliaia il cortile di Scienze Politiche e che ha
invocato a gran voce un’altra Università.
Una comunità che si è interrogata circa il suo ruolo all’interno della società
e che con questa lettera aperta tenta di rispondere al suo quesito.
Il motivo per cui ci appelliamo a voi è
il seguente: lo scorso 20 ottobre Alfredo Cospito, detenuto nel carcere di
Sassari, ha incominciato uno sciopero della fame contro il regime di detenzione
del 41-bis (al quale lui stesso è sottoposto) e contro l’ergastolo ostativo.
Oltre ad Alfredo Cospito sono in sciopero della fame anche Anna Beniamino
(detenuta in regime di alta sicurezza a Rebibbia) Juan Sorroche Fernandez
(detenuto in regime di alta sicurezza nel penitenziario di Vocabolo Sabbione) e
Ivan Alocco (detenuto nel carcere di Villepinte).
Il 41-bis, nato come misura emergenziale
nel ’92, per poi subentrare a pieno titolo nel nostro ordinamento per mezzo
della legge n.279/2002, è diventato negli anni un mezzo indiscutibile di lotta
alle organizzazioni criminali.
Ed è questa dogmaticità che ci terrorizza, questa ineluttabilità che ha
permesso allo Stato italiano di tenere su, negli ultimi trent’anni, un modello
speciale di carcere, detto per l’appunto “duro”, mirato a “far crollare” il
detenuto, puntando alla “redenzione” di questo, ovvero alla collaborazione con
la giustizia, principale “criterio di accertamento della rottura dei
collegamenti con la criminalità organizzata” (cfr. sent. Corte Cost., n.
273/2001).
Il 41-bis non è solo uno strumento
preventivo, ma “vista la rigidità del suo contenuto è evidente che assuma anche
un significato repressivo-punitivo ulteriore rispetto allo status di privazione
della libertà” (cfr. XVIII report sulle condizioni di detenzione
dell’Associazione Antigone).
È difficile riuscire, da fuori, ad
immergersi nella dimensione carceraria;
per questo vorremmo riportare alcuni versi del poeta Sante Notarnicola, che ben
riescono a veicolarci il senso di profondo isolamento e alienazione che lə
detenutə vive sulla sua pelle:
«Il guardiano più giovane
ha preso posto
davanti alla mia cella.
“Dietro quel muro” – mi ha
indicato – “il mare è azzurrissimo”. Per
farmi morire un poco
il guardiano più giovane
mi ha detto questo»
Il detenuto in 41bis passa la maggior
parte della sua giornata all’interno di un cubicolo di cemento. Questo è lungo
1,53 metri e profondo 2 e mezzo.
L’ordinamento penitenziario concede solo 2 ore di socialità al giorno, da
svolgere in gruppi di massimo 4 persone. Le ore d’aria si svolgono in un
riquadro troppo alto per permettere di dare orizzontalità allo sguardo e la
visuale del cielo è comunque delimitata da una rete: tutti i giorni, per anni,
gli occhi non guardano null’altro che il cemento, lo sguardo non va mai in profondità,
la fantasia e la memoria vengono logorate.
La legge stabilisce, poi, che l3
detenut3 al 41-bis possano effettuare un colloquio al mese dietro ad un vetro
divisorio (tranne che per i minori di 12 anni) della durata di un’ora (sei –
fin troppo pochi –, invece, sono i colloqui mensili concessi ai detenuti
“comuni”, senza barriere divisorie) e videosorvegliati da un agente di polizia
penitenziaria.
La riflessione che ci siamo post3 e che
stiamo ponendo ora a voi è la seguente:
nel momento in cui nella società in cui ci muoviamo ci viene proposta la
narrazione per la quale il carcere esiste in quanto sistema rieducativo e di
reintegrazione sociale, a dimostrare il fatto che questo non è il vero
obiettivo dell’istituzione carceraria ritroviamo la presenza (tanto difesa e
considerata necessaria) di un modello di reclusione come quello del 41-bis.
Può mai essere inflitta ad un essere vivente una sorte tanto brutale, tesa a
un’incivile retribuzione del dolore?
La nostra riposta è quanto mai ferma e risoluta: no!
Le istituzioni democratiche devono
essere in grado di affrontare le situazioni di crisi con strumenti idonei e
coerenti con quei principi, costituzionali e convenzionali, che hanno nel tempo
abbracciato. Il nostro stesso ateneo si è sempre, e soprattutto recentemente,
dichiarato forte sostenitore della nostra carta costituzionale che, ricordiamo,
esplicita la “pari dignità sociale” di tutte le soggettività che attraversano
il territorio italiano.
La risposta non può mai essere ottenuta
al ribasso, adottando misure autoritarie, repressive e lesive della dignità
umana, ma deve essere sempre il frutto di una – faticosa, certo! – ricerca di
alternativa.
Chiediamo al corpo accademico di firmare
questo comunicato affinché il Rettorato si spenda contro un’ingiustizia che si
consuma all’interno dei confini del nostro Paese e l’affronti con la stessa
fermezza con la quale in momenti precedenti ha affrontato altre situazioni (e
ci riferiamo al caso Regeni e alla risoluzione pacifica del conflitto in
Ucraina): prendendo posizione pubblicamente ed esponendo degli striscioni
contro il 41-bis (prima del mese di dicembre durante il quale si esprimeranno
la Corte
Costituzionale sull’ergastolo ostativo e
il Tribunale di Sorveglianza sulla misura inflitta ad Alfredo Cospito).
ABOLIAMO IL 41-BIS E L’ERGASTOLO
OSTATIVO!
Firme:
Massimo Cacciari
Donatella Di Cesare
Luca Alteri
Elena Gagliasso
Giorgio Mariani
Valerio Cordiner
Tessa Canella
Rita Cosma
Roma Università La Sapienza 24.11.2022
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