Valentina Bennati intervista Marco Cosentino
Quelli che
tutti chiamano "Vaccini anti-Covid" in realtà sono farmaci (cosa che
ha implicazioni farmacologiche, cliniche, giuridiche e regolatorie ben
precise). Intervista a Marco Cosentino, medico e professore di Farmacologia
all'Università degli Studi dell'Insubria e direttore del Centro di Ricerca in
Farmacologia Medica della stessa Università
Correva la
fine dell’anno 2020 quando i farmaci prodotti contro il temuto SARS-CoV-2,
indicato come responsabile della dichiarata pandemia da Covid-19, furono
velocemente immessi in commercio da varie aziende farmaceutiche sulla base di
autorizzazioni emergenziali e condizionate e presentati da media e istituzioni
come salvifici vaccini. L’articolo 4 del Decreto-Legge 44-2021 li ha anche
imposti ad alcune categorie di lavoratori – obbligo che pare esser stato
ritenuto “non irragionevole e sproporzionato” dalla recente
sentenza della Corte Costituzionale del 1 dicembre scorso – tuttavia, c’è un interessante studio italiano, finora trascurato dai più forse
per i suoi “tecnicismi” malgrado la straordinaria attenzione che sta sollevando
a livello internazionale, che evidenzia in modo molto chiaro un aspetto
fondamentale: i cosiddetti trattamenti anti-Covid non sono affatto dei vaccini
come normalmente presentati, ma in realtà farmaci che, in assenza dei dovuti
studi relativi alla farmacodinamica, farmacocinetica e tossicologia, sono “di
fatto impiegati in maniera cieca e inconsapevole così da produrre conseguenze
imprevedibili seppure apparentemente non riconducibili agli inoculi in plurime
e ravvicinate dosi”.
Così
scrivono gli avvocati Roberto De Petro e Giuseppe Mantia, facendo riferimento al sopracitato
studio (che è stato condotto da Marco Cosentino, medico e professore di
farmacologia all’Università degli studi dell’Insubria e dalla collega
professoressa Franca Marino del Centro di Ricerca in Farmacologia Medica della
stessa Università), sulla base del quale i due legali giungono a definire
questi prodotti come “medicinali falsificati”.
Inoltre, gli
avvocati sottolineano come la distinzione tra vaccino e medicinale di terapia
genica non sia puramente nominalistica ma sostanziale, in quanto le domande di
autorizzazione in commercio formulate dalle case farmaceutiche devono possedere
dei requisiti ed essere corredate da documentazione variabile proprio in
funzione della classificazione del farmaco oggetto della domanda a pena di
rifiuto della stessa.
In pratica
le delibere di autorizzazione all’immissione in commercio di questi farmaci, a
quanto pare sbrigativamente classificati come vaccini, avrebbero violato vari
regolamenti europei, nonché la direttiva CE 83-2001. Di conseguenza, scrivono i
legali, “non possono e non potevano ab origine essere prodotti, confezionati
e quindi distribuiti in Italia” e sarebbe da mettere in discussione
anche lo stesso articolo 4 del DL 44-2021 in quanto “una norma interna
non può obbligare i cittadini di uno Stato membro a subire l’inoculo di
‘medicinali falsificati’ ai sensi dell’articolo 1 n. 33 della direttiva Ce
83-2001, autorizzati in palese violazione del diritto eurounitario”.
Insomma,
nonostante la recente sentenza della Corte Costituzionale, la questione non è affatto chiusa:
esiste una parte del mondo del diritto che non è assolutamente concorde con le
decisioni che sono state prese finora e c’è ancora molto da capire in relazione
a questi prodotti.
È di
conseguenza NELL’INTERESSE DI TUTTI continuare ad
approfondire il più possibile, informarsi e informare, a propria volta, altre
persone. Grazie, dunque, al professor Marco Cosentino per aver accettato questa
intervista. Spero possa contribuire a far crescere consapevolezza chiarendo la
questione, non semplice ma di importanza fondamentale per la verifica della
sicurezza e l’identificazione degli effetti avversi di questi prodotti.
* * * *
Prof
Cosentino questi prodotti sono stati presentati fin dall’inizio come sicuri
poiché si riteneva che, analogamente ai vaccini convenzionali, dopo l’iniezione
intramuscolare la maggior parte della dose sarebbe rimasta nel muscolo e il
resto sarebbe stato drenato attraverso il sistema linfatico nel giro di poche
ore. In realtà è stato visto che la proteina spike può entrare nel flusso
sanguigno e nei tessuti, incontrare i recettori ACE2 e indurre danni agli
organi. Nel vostro studio riassumete e discutete le prove disponibili che
indicano questa distribuzione sistemica della proteina spike indotta dal
vaccino. Quali sono in sintesi queste prove?
“Sì, questo
è il nostro punto di partenza. Che la piattaforma biotecnologica impiegata per
mettere a punto questi prodotti avesse tra le sue caratteristiche una
biodistribuzione sistemica era cosa nota dalla precedente letteratura. Il
prodotto giunge virtualmente in ogni organo e tessuto a partire da quelli che
ricevono più sangue (cuore, ghiandole, visceri, muscolo scheletrico, fegato) e
che più facilmente assorbono materiale lipidico (ancora una volta fegato,
ghiandole endocrine quali surreni, pancreas, tiroide, gonadi, sistema nervoso
centrale e periferico). Purtroppo nessuno studio è stato svolto dai produttori
come parte del programma di sviluppo sperimentale e clinico, negando pure gli
indizi derivanti dagli studi condotti nei roditori, asseritamente per studiare
la distribuzione degli eccipienti lipidici.
A parte le
nostre considerazioni, pubblicate ai tempi in rivista in forma di ipotesi pur
documentate nell’aprile 2021, poche settimane dopo per paradosso il primo
studio che le confermava fu un lavoro di ricerca realizzato in 13 soggetti che
ricevettero Moderna per poi documentare la spike vaccinale nella circolazione
sistemica in 11 di essi per alcune settimane. Lo studio era finanziato tra gli
altri da Fondazione Gavi, e quando contattai gli autori tutti si dissero
convinti che in tal modo avevano documentato l’irrilevanza della spike che
compariva “in tracce” per andarsene rapidamente. Le interpretazioni possono
essere in realtà anche opposte: il dato che la spike c’è e circola ovunque
richiede la verifica dei suoi possibili effetti. Inoltre, dal momento che essa
non entra dall’esterno ma è prodotta da qualche parte (dove? Non si sa…) nei
tessuti del vaccinato, ci si può aspettare che in questi tessuti le
concentrazioni siano molto elevate, al punto da essere potenzialmente
pericolose.
Giunge poco
dopo un grande studio rigoroso e ben condotto, che tra i tanti dati presentati
documentava pure spike e RNA vaccinali nei linfonodi ascellari ben due mesi
dopo i vaccini. Due mesi è un intervallo lunghissimo e ci si chiede come sia
possibile che un RNA sia ancora presente quando avrebbe dovuto degradarsi da
tempo. Forse si era integrato? In ogni caso la spike vaccinale dopo due mesi
richiede, ad esempio, l’ampliamento della “plausibile finestra temporale” che
secondo le regole WHO si applica alla valutazione delle reazioni avverse da
vaccino: al momento, dopo due-quattro settimane – accada quel che accada – il
vaccino viene sistematicamente assolto. Ovvio che non è così.
Infine,
ricordo il caso della donna canadese con una grave trombocitopenia autoimmune
dopo Moderna e livelli oltre 100 volte elevati di spike nel sangue. E le
recenti evidenze di RNA e spike nel latte materno in corso di allattamento.
Ce n’è
abbastanza per sentirsi in dovere di procedere con prudenza e nel frattempo di
indagare con cura i meccanismi di tossicità possibilmente legati alla spike.”
Che ruolo ha
la proteina spike negli effetti avversi post vaccinali e perché, secondo lei,
in alcuni casi dopo l’inoculazione si verificano reazioni, a volte anche gravi,
mentre in altri no?
“La spike è
una proteina tossica che il virus utilizza per aggredire le cellule che infetta
e penetrarvi all’interno. Anche da sola, svincolata dalla struttura virale, la
spike ha molteplici attività dovute alla capacità di legare con alta affinità
recettori come gli ACE2 e i CD147, implicati nelle infiammazioni in particolar
modo cardiache, vari TLR con ulteriore effetto proinfiammatorio, e addirittura
i recettori per l’estradiolo, cosa che spiegherebbe alquanto bene i disturbi
mestruali che si manifestano in donne in età fertile come pure i sanguinamenti
in postmenopausa che si hanno dopo covid e soprattutto dopo i vaccini. E poi
l’attività estrogenica pone ovviamente il tema dei tumori estrogeno-dipendenti,
mammella e utero su tutti.
Una ipotesi
più che plausibile legata al meccanismo della spike è che gli effetti avversi
si abbiano in quei soggetti nei quali la produzione di spike finisce per essere
inappropriata ed eccessiva per sede (ad esempio in quanto si localizza in un
organo vulnerabile come il cuore, le gonadi, ecc.), per quantità e per durata.
È verosimile che ci siano persone che dallo stesso RNA producono più proteina e
altre che ne producono meno, così come ci sono indizi che fanno pensare che
flaconi diversi del medesimo prodotto, magari da lotti diversi e per problemi
di conservazione e manipolazione, possano contenere meno principio attivo,
risultando così meno tossici, o possano contenere principio attivo degradato,
potendo così indurre maggiore infiammazione e danno. Sono tanti i fattori fuori
controllo: diciamo che chi si vaccina con questi prodotti e non ha effetti
avversi è senza dubbio abbastanza fortunato. Il che non esime dall’indagare il
meccanismo della tossicità e i fattori implicati in modo da comprenderla e
prevenirla.”
Il lavoro
scientifico che Lei ha condotto insieme alla professoressa Marino evidenzia
chiaramente che questi prodotti sono farmaci e non vaccini. Quali sono le prove
che lo attestano innegabilmente e quali sono le implicazioni di tipo sanitario
conseguenti?
“Non è un
problema definirli vaccini, se si fa riferimento alla loro capacità di indurre
una risposta immunitaria più o meno efficace, ma poi non si deve per questo
perdere di vista che questi prodotti non contengono semplicemente un antigene
(ovvero un frammento inattivo di un microrganismo) bensì niente meno che le
istruzioni per far produrre alle nostre cellule una proteina virale, del tutto
estranea e per di più tossica, che se ne va in giro per l’organismo in quantità
ignote e imprevedibili con la possibilità di far danno. E che di danni ne
faccia lo indica la sua presenza, ad esempio, in biopsie endomiocardiche di
danneggiati al cuore dopo vaccino, in lesioni cutanee erpetiche in persone con
zoster post-vaccinale, nei monociti circolanti di persone con sindrome simil
long covid post-vaccino, l’RNA in biopsie muscolari di tutti e quattro gli arti
di una donna con grave infiammazione dei muscoli scheletrici dopo vaccino,
ancora la spike nel miocardio e nell’encefalo di una persona con Parkinson
deceduta per encefalite e miocardite post-vaccino. Tutti indizi frammentari, ma
se tre indizi fanno una prova qui di prove ne abbiamo già un paio e ancora ne
avanza …”
Immagino che
anche le procedure per la segnalazione degli eventi avversi sospetti siano
diverse a seconda che si parli di farmaci piuttosto che di vaccini, mi sbaglio?
Ci sono stati molti decessi improvvisi, anche tra gli atleti, negli ultimi 22 mesi, e moltissime persone che godevano
di buona salute stanno testimoniando varie
problematiche, anche gravi, insorte all’improvviso in seguito
all’inoculazione di questi farmaci. Si tratta, tuttavia, di casistiche che non
vengono riconosciute dalle istituzioni sanitarie. Chiarire finalmente la vera
natura di questi prodotti e i loro meccanismi di azione potrebbe servire a
migliorare le condizioni di chi già è stato danneggiato o, almeno, a evitare
ulteriori ‘fatalità’?
“Si tratta
di uno degli aspetti più tragici e angoscianti e al tempo stesso kafkiani della
vicenda. Per i farmaci (‘pharmaceutical drugs’) nella valutazione del nesso
causale con gli eventi avversi riportati dalla farmacovigilanza si opera con
mente molto aperta sulla base dei classici principi alla base anche della
valutazione del nesso in medicina legale, e il nesso infine può essere
classificato come certo, probabile, possibile, improbabile, indeterminato. A
questo seguono di regola frequenti aggiornamenti della scheda tecnica del
medicinale, in forma ad esempio di avvertenze, controindicazioni e notizie di
interazioni.
I vaccini
vengono invece valutati con regole ad hoc dell’OMS (WHO AEFI guidelines) fatte
apposta per cercare tutti gli appigli per “assolvere” i vaccini. Della
questione del “plausibile intervallo temporale” abbiamo detto. Qui aggiungiamo
che uno studio statunitense che ha esteso l’intervallo a 38 settimane dopo
Moderna o Pfizer ha rilevato quasi 1.500 eventi avversi gravi per 10.000
vaccinati negli anziani del programma di assistenza dedicato ai veterani.
Confrontando Moderna e Pfizer, quest’ultimo risultava dare un eccesso di eventi
gravi tra cui 11 ictus ischemici, 15 infarti del miocardio, 11 tromboembolie,
17 danni renali ogni 10.000 vaccinati, circa uno ogni 200.
Tra gli
altri aspetti discutibili, l’esclusione della responsabilità del vaccino a
fronte di altre possibili cause. Ad esempio, una miocardite post-vaccino in un
soggetto guarito da covid è causata dal covid, e in un soggetto con precedente
miocardite è una fatalità dovuta alla ripresentazione della malattia di base.
Ma se invece si toglie questa assurda e illogica procedura, del tutto
inadeguata ai vaccini covid, un’altra ricerca (anche questa come la precedente
citata e discussa nella nostra recente pubblicazione) scopre che vaccinare un
guarito aumenta di 4-6 volte il rischio di miocardite, e vaccinare una persona
con pregressa miocardite aumenta il rischio di ben 140-160 volte.
Ovvio,
dunque, che con la sorveglianza passiva per cui governi e agenzie regolatorie
hanno optato, già di per sé gravata da enorme sottosegnalazione, cioè le
segnalazioni non arrivano, non solo non abbiamo dati su cui lavorare, ma i
pochi disponibili vengono in massima parte scartati al momento di transitare
sotto le “forche caudine” dell’algoritmo di definizione del nesso causale. Così
questi prodotti sono per definizione sicuri perché in realtà i dati sui danni
anche gravi e sui decessi vengono molto probabilmente ignorati e sfuggono ai
conteggi.”
Dunque, in
sostanza, per ottenere facilmente l’autorizzazione all’ammissione in commercio,
questi prodotti sono stati trattati e presentati come vaccini convenzionali e
non come farmaci, quali in realtà sono. C’è stato un approccio disinvolto e
pericolosamente grave da parte delle aziende produttrici e di chi aveva il
dovere di vigilare e questo è un aspetto cruciale di tutta questa storia che
finora non è stato adeguatamente messo in evidenza e, di conseguenza, neppure
compreso dalla maggior parte della gente che, di fatto, non ha ricevuto da
istituzioni e media informazioni corrette.
Lei ritiene
che anche i giudici della Corte Costituzionale non siano stati adeguatamente
informati e, quindi, siano arrivati ad emettere una sentenza – che nei giorni
scorsi ha giustificato l’obbligo di vaccinazione Covid – sulla base di
informazioni fuorvianti, quelle appunto a cui tutta la popolazione è stata
finora esposta? O piuttosto ha pesato la politica, essendo per 2/3 la Consulta
di nomina politica?
“Aver
definito questi prodotti come vaccini, se da un lato ne rispecchia la capacità
di stimolare il sistema immunitario, dall’altro ha consentito di ignorare il
loro complesso meccanismo che comprende ben due principi attivi con proprietà
farmacotossicologiche e farmacocinetiche tutte da chiarire: l’RNA e la proteina
spike. Quest’ultima è una tossina attiva, come se nel vaccino antitetano o in
quello antidifterite ci mettessimo le tossine tetanica e difterica attive e non
inattivate e poi sperassimo che andasse tutto bene. Tutto questo viene ignorato
di fronte alla qualifica di vaccini per i quali scatta solo la valutazione dell’immunogenicità
e talora, ma non sempre, la valutazione della protezione clinica dalla malattia
infettiva. Qui quest’ultima c’è stata solo per il primo ciclo, solo su poche
persone (20.000 a fronte dell’intenzione di vaccinare miliardi), sul rischio di
covid non grave (l’esito clinico forse di minor rilievo per l’uso di questi
prodotti), nei soggetti adulti meno a rischio e solo per poche settimane,
rispetto all’idea già ben precisa di proporre richiami ogni 6-12 mesi a tempo
indeterminato. E i successivi richiami come pure le estensioni di
autorizzazione ad alte fasce d’età, specie i bambini, e i vaccini aggiornati,
bivalenti e compagnia, tutti autorizzati sulla base di livelli anticorpali o
nemmeno di quelli a volte solo in quanto ‘se ha funzionato uno perché non
dovrebbe funzionare quest’altro che è più o meno simile’. Siamo insomma in un
battibaleno scivolati verso una inedita disinvoltura regolatoria, che consente
di approvare a catena prodotti studiati poco e nulla, che ho definito un vero e
proprio parkour autorizzativo.
Rispetto
alla decisione della Consulta, attendo di leggere le motivazioni, ma trovo
molto probabile che quasi nessun giudice oggi abbia un quadro preciso e
aggiornato delle evidenze, immersi come siamo in propaganda e disinformazione
istituzionale che ripete incessantemente ‘vaccinato buono / non vaccinato
cattivo,’ un po’ come lo slogan delle quattro e delle due gambe di orwelliana
memoria. Ora, non è certo questa l’atmosfera favorevole al confronto pacato e
obiettivo sulle evidenze. E difatti par di capire che la Consulta sia caduta
pure lei nel malinteso mai troppo denunciato del vaccino che proteggerebbe dal
contagio e dalla sua trasmissione, aspetto ormai definitivamente derubricato
sulla base della mole di evidenze che consente di escluderlo.
Rimane il
dubbio sulla capacità dei vaccini covid di ridurre per alcuni mesi il rischio
di covid grave e di decesso, un effetto che le sperimentazioni cliniche non
hanno documentato ma che gli studi osservazionali, pur esposti a molteplici
fonti di distorsione, sembrano suggerire. I tempi potrebbero essere maturi per
nuovi studi clinici randomizzati e controllati per la verifica di questi
importanti effetti protettivi, cosa su cui anche autorevoli esperti esteri come
John Joannidis e Peter Doshi concordano. Potremmo così impiegare questi
prodotti con maggiore consapevolezza, avendone approfondito con maggior cura
anche i profili di sicurezza, certi in ogni caso che il loro migliore effetto
rimane sul piano personale e non ha alcuna valenza collettiva e sociale, almeno
sulla base delle migliori evidenze attuali.”
Anche
nell’eventualità di riuscire a chiarire definitivamente il dubbio sulla
capacità di questi prodotti di ridurre per alcuni mesi il rischio di covid
grave e di decesso, rimane comunque un altro aspetto fondamentale da capire: se
i vaccini, in teoria, sono pensati per immunizzare, è possibile fare un vaccino
per un virus mutante?
“Qualsiasi
cosa in linea di principio è possibile, e tuttavia inseguire le mutazioni con
vaccini aggiornati è un obiettivo indubbiamente interessante per chi i vaccini
li produce, ma chi ha responsabilità istituzionali di salute pubblica qualche
domanda su realizzabilità, sostenibilità e verosimiglianza di una strategia del
genere dovrebbe porsela.
Inoltre, uno studio recentemente pubblicato in preprint mostra come la proteina spike
della variante Omicron abbia ad esempio molto maggiore capacità di agglutinare
i globuli rossi, e quindi in linea di principio di aumentare i rischio
tromboembolico rispetto all’originaria Wuhan. Da un lato, dunque, si aggiungono
meccanismi di potenziale tossicità della proteina, che sia virale o vaccinale,
e dall’altro lato si evidenza come non sia possibile liquidare l’aggiornamento
dei vaccini con un RNA codificante per la nuova spike con una scrollata di
spalle. A meno che non li si intenda analoghi proprio in quanto non si è
valutata la farmacotossicologia degli originari così come degli aggiornati e si
intende proseguire sulla strada dell’equivoco della ‘assenza di evidenza’ come
‘evidenza di assenza’.”
Il mese
scorso è stato pubblicato su Science uno studio che ha mostrato la significativa diminuzione del
numero e della frequenza delle cellule staminali ematopoietiche nel sangue
derivato da cordone ombelicale di neonati le cui madri avevano ricevuto il
vaccino anti covid. Il concepimento, la gravidanza e la prima infanzia sono
considerate da sempre condizioni delicate da proteggere e nelle quali
utilizzare farmaci il meno possibile, solo in caso di stretta necessità e sotto
responsabilità medica. Nell’era Covid, invece, anche questo basilare principio
di cautela è saltato. Questo studio che riguarda i neonati mi pare
particolarmente preoccupante: si possono escludere implicazioni per questi
neonati quando raggiungeranno l’età adulta?
“Non si può
escludere nulla. Evidenze del genere, insieme alle ancora mai risolte
controversie sugli aborti dopo vaccinazione e al passaggio di RNA e spike nel
latte materno devono indurre alla cautela e all’esercizio di un principio di
prudenza che pare invece del tutto dimenticato. Il concepimento, la gravidanza,
il parto e l’allattamento vanno difesi e tutelati al meglio anche attraverso
l’astensione dalla somministrazione di qualsiasi farmaco dagli effetti incerti,
tanto più se c’è la sicurezza documentata che il bimbo risulti esposto,
potenzialmente in ogni momento. Trascurare questi aspetti è da irresponsabili.”
Tra i suoi
lavori, Professore, c’è anche uno studio pubblicato lo scorso ottobre sul Journal of Clinical Medicine che descrive l’esperienza di
cura precoce domiciliare del Covid-19 da parte dei medici volontari
dell’Associazione IppocrateOrg. Non è l’unico studio che evidenzia l’efficacia
di cure precoci e personalizzate, eppure le terapie domiciliari sono state a
lungo ignorate e contrastate e si è preferito puntare tutto sugli hub
vaccinali, penalizzando fortemente la libertà dei medici che volevano agire in
scienza e coscienza. Le pressioni politiche, economiche e finanziarie dei mesi
scorsi, però, non sembrano terminate, anzi nuove difficoltà si profilano
all’orizzonte per chi desidera esercitare con coscienza l’arte medica. Mi
riferisco al Presidente della Fnomceo, Anelli, che ha annunciato la
preparazione di un nuovo codice di deontologia
medica nel
quale “saranno sicuramente introdotti degli articoli relativi ai
vaccini e alle vaccinazioni in base ai quali il medico non potrà sconsigliarne
l’utilizzo”. Davvero si potrà obbligare un medico a un comportamento
clinico predeterminato e annullare definitivamente il valore della libertà
nella scelta terapeutica?
“L’ottusità
a volte anche malevola con cui da un certo punto in poi sono state ostacolate
le cure del covid rimane a oggi del tutto incomprensibile e senza una
spiegazione logica che voglia presupporre buona fede. Convengo sull’assenza di
evidenze solide a favore di determinati farmaci, peraltro tutti ben noti con
eccellente profilo di sicurezza e a basso costo tali, dunque, da poter essere
impiegati senza rischi da medici adeguatamente esperti. Soprattutto, se
l’alternativa doveva essere la ‘vigile attesa’ pare ovvio che il ‘minimo
sindacale’ di rispetto del codice deontologico richiedesse e tuttora richieda
di fare il possibile. E da quando – grazie alle autopsie realizzate tra l’altro
anche in Italia – è risultato chiaro un razionale di impiego di farmaci di uso
comune, quali antiinfiammatori steroidei e non, anticoagulanti, antiaggreganti
e antibiotici, l’astensione è divenuta come minimo una violazione dell’impegno
nei confronti del paziente.
Poi,
l’inconciliabilità cure-vaccini è stata del tutto incomprensibile e artata.
Qualsiasi sistema sanitario si fonda su prevenzione e cura armonicamente
integrate. Come i medici vaccinatori sono stati compensati economicamente
nell’emergenza, così avrebbero potuto e dovuto esserlo coloro che curavano i
pazienti. C’è uno studio dell’ASL di Milano che mostra come nei tempi peggiori
bastò un contatto telefonico e qualche indicazione per migliorare enormemente
gli esiti del Covid. Ovvio come evidenze del genere certifichino il drammatico
errore di aver paralizzato la sanità territoriale e trasformato gli ospedali in
strutture di isolamento. Per tacere della gestione delle RSA specie nei primi
tempi.
Infine,
riguardo alle ipotesi di riforma del codice deontologico, mi paiono discorsi
ancora dettati da una scarsa lucidità post-emergenziale: come già ho avuto modo
di scrivere in altra sede, la potestà prescrittiva del medico non può essere
limitata a condizione che essa sia esercitata ‘in scienza e coscienza’ nel
migliore interesse del paziente. D’altra parte, se – per assurdo – esistesse
mai un giorno un medicinale che facesse solo bene, senza se e senza ma, non si
vede per quale motivo lo dovrebbe prescrivere il medico: ovvio che in quel caso
lo distribuirebbero agli angoli delle strade e tutti faremmo la fila per la
nostra dose. Fino a che questo non avverrà, fino a che i medicinali avranno
indicazioni, controindicazioni, benefici e effetti avversi, sarà utile e spesso
indispensabile il giudizio del medico. Che motivatamente potrà essere
favorevole o contrario, sempre e comunque a beneficio del paziente, il quale a
sua volta ha tutto il diritto sacrosanto e inviolabile di comprendere le ragioni
del medico e di aderire alla sua proposta solo ove queste ragioni gli paiano
sensate e condivisibili. Tutto il resto sono chiacchiere. E le chiacchiere le
porta via il vento (e le biciclette i livornesi).”
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