La notizia è di giovedì scorso, 15 dicembre e se ne parliamo solo ora è perché (a parte qualche website) NON ha fatto proprio notizia. E invece è un fatto grave.
In estrema sintesi è successo che l’editore Danilo Iervolino, ha licenziato
il direttore Lirio Abbate, che aveva assunto la guida de L’Espresso dopo le
dimissioni di Marco Damilano, quando nel marzo scorso la testata era stata
venduta al gruppo editoriale BCF, di
cui Iervolino è principale azionista. Tanto per intenderci: un gruppo che ha in
scuderia testate come Forbes, Asset Class, ITE (Investment &
Trading Events), che con il giornalismo d’inchiesta che era stata la ‘cifra’
del settimanale fondato da Eugenio Scalfari han ben poco a che fare.
A quanto pare la ragione del licenziamento sarebbe la pubblicazione,
anzi servizio di
copertina sul numero dell’11 dicembre dell’inchiesta “Chi
guadagna dai disastri”. Un’indagine senza sconti su varie situazioni
emergenziali nel pianeta e in particolare sui ripetuti incendi che stanno da
tempo devastando
l’Amazzonia – e sugli interessi che ci stanno dietro, sui veri
e propri finanziatori delle società agroalimentari sotto accusa.
Tra essi veniva citata anche la Cnh, società che fa
capo alla Exor di John Elkann, proprietario del Gruppo
Gedi (e quindi ex proprietario de L’Espresso, che
come è noto continua ad essere distribuito come supplemento de La
Repubblica ogni domenica).
Possiamo immaginare quanto John Elkann abbia gradito l’inchiesta: non a
caso il giorno prima dell’uscita de L’Espresso, La Repubblica si
era affrettata a pubblicare un’intervista a tutta pagina allo stesso Elkann, in
omaggio al signoraggio più collaudato e in effetti intoccabile della nostra
storia.
Nato in un Comune in provincia di Palermo, Lirio Abbate ha all’attivo una
quantità di saggi e ottime inchieste sulla mafia e sulle sue tentacolari
infiltrazioni ben oltre la Sicilia. Un impegno che gli aveva guadagnato
prestigiosi riconoscimenti e che già da anni lo vedeva giornalista sotto
scorta.
Assumendo lo scorso marzo la Direzione de L’Espresso, al
quale era approdato dal 2009 fino alla carica di vicedirettore con la gestione
di Marco Damilano, Abbate aveva fin da subito annunciato un piano editoriale
nei termini di Espresso del
Futuro, un “Netzine (network+magazine), basato su multimedialità e
coinvolgimento dei lettori (…) caratterizzato da inchieste graffianti e però
aperto anche al mondo della cultura e dell’economia, con uno sguardo
particolare ai giovani.” Un progetto che lo stesso editore Danilo Iervolino era
sembrato caldeggiare con un articolo, il 16 agosto
scorso, che confermava l’idea di “un giornale 4.0 (…) una media
company aperta e rivoluzionaria (…) fatta da giornalisti ma anche da gente
curiosa (…) con temi che spazieranno dal problema delle risorse idriche, ai
computer quantici, alla sharing economy” eccetera.
Precisamente in questa direzione sembrava andare la già citata inchiesta in
Amazzonia così sgradita a John Elkann. Come anche l’ultimo numero in edicola,
con un articolone su ben quattro pagine intitolato senza mezzi termini Spreco
ad Alta Velocità, che riepiloga come meglio non si potrebbe la
trentennale e motivatissima opposizione alla Torino Lione, a firma di una
giovane (e brava) Diletta Bellotti che si qualifica semplicemente attivista.
Ed ecco oggi, sul sito del L’Espresso la lunga lettera
di commiato con cui Lirio Abbate si congeda dalla sua ex
redazione, oltre che da quella comunità di lettori che avrebbe volentieri
immaginato partecipi e in qualche modo collaboratori. Vale la pena leggerla per
intero. Ne citiamo solo qualche passo:
“Quando ho iniziato a dirigere questo giornale ho chiarito che sarei
stato al servizio dei lettori e non di questo o quel politico (…) Ho spiegato
che L’Espresso è ‘un certo modo di fare giornalismo’, un
metodo nel guardare al mondo, senza bavagli né pregiudizi (…) animato dallo
spirito di libertà: L’Espresso si è sempre caratterizzato per
le inchieste documentate ed esclusive che spesso disturbano i potenti, ledono
gli interessi consolidati…” Ecco, appunto.
Succede a Lirio Abbate colui che fino a ieri era direttore di Forbes
Italia, Alessandro Rossi, descritto anche come “manager di alto
profilo di BFC Media”, insomma un fedelissimo della
proprietà.
Prosegue intanto lo stato d’agitazione della redazione de L’Espresso, alla
quale esprimiamo la nostra più calorosa solidarietà.
Nessun commento:
Posta un commento