Caso Soumahoro: cibo per avvoltoi, sciacalli e iene - Patrizia Cecconi
Un’occhiatina all’alto numero di parlamentari italiani e loro parenti stretti indagati per truffa, frode, malversazioni e simili costringerebbe a un dignitoso silenzio coloro che dovrebbero fare un serio mea culpa prima di aprir bocca, tanto per sé, se figure istituzionali, tanto per il voto ai propri eletti se a fare i giudici sono semplici cittadini. Ma inutile illudersi, la corruzione è talmente dilagante che la soglia di tolleranza è salita al punto che solo in qualche caso particolare è percepita come scandalo. Ma non illudiamoci, come italiani, di poter “vantare” una priorità amorale rispetto all’intero mondo, basta guardare agli USA, oggi come ieri, senza eccezioni. Non risulta, ad esempio, che il presidente Biden, solo per parlare del presente, abbia provato qualche imbarazzo per la dovizia di accuse per pedofilia, reati fiscali, droga e altro riguardanti il figlio Hunter. Sempre per restare all’attualità, anche il presidente Macron, protetto dalla sua “grandeur” non sembra imbarazzarsi troppo per le accuse di meschino favoritismo (quello che da noi si chiama clientelismo) e di finanziamento illecito della campagna elettorale con tanto di contratti milionari con l’americana McKinsey. E che dire del super-pluri-indagato per molteplici frodi Benjamin Netanyahu, rieletto e acclamato a furor di popolo nello Stato ebraico dell’apartheid? E si potrebbe continuare, ma per ragioni di spazio ci fermiamo qui.
Però non si dica, come vuole la cosiddetta saggezza popolare che “tutto
il mondo è paese” rinunciando così al diritto di indignarsi e reagire di
fronte agli scandali commessi da chi dovrebbe essere irreprensibile dato il suo
ruolo istituzionale. Ma neanche ci si accanisca nel reclamare la gogna solo per
qualcuno, soprattutto se già caduto nella polvere sotto i colpi dei primi
cecchini mediatici.
Questa è operazione tipica delle iene alle quali, nel nostro umano
giudizio, paragoniamo chi si accanisce maramaldescamente su un soggetto ormai
abbattuto. Aboubaker Soumahoro, al quale quest’articolo si riferisce in quanto
salito tristemente al disonore della cronaca, è moralmente nonché politicamente
indifendibile, sebbene giudiziariamente, almeno per il momento, non sia
toccato.
La storia ormai è nota e riguarda le indagini sulle coop Karibu e Aid per
maltrattamenti e per veri e propri furti verso gli immigrati oltre che
verso gli Enti pubblici che hanno perduto milioni di euro mai andati ai
beneficiari ufficiali, ma incamerati da moglie, suocera e cognata (se le
indagini saranno confermate) del neo-deputato, già paladino dei
migranti.?Impossibile credere alle sue singhiozzanti e oggettivamente
stomachevoli dichiarazioni di estraneità alle attività delle cooperative
gestite da suocera, moglie e cognata la cui sede coincide con quella del
sindacato da lui costituito dopo aver abbandonato l’USB (Unione Sindacale di
Base) in seguito alle richieste di chiarimenti circa la scomparsa di centinaia
di migliaia di euro raccolti per migliorare le condizioni degli immigrati.
L’ex sindacalista USB respinge sdegnato la definizione di “cooperative della
famiglia di Soumahoro”, ma la moglie e la suocera non fanno forse parte della
sua famiglia? Il suo diniego equivarrebbe a respingere il legame coniugale e di
affinità parentale rispettivamente esistenti con moglie, suocera e cognata,
quindi è un povero stratagemma per tentare di far credere che si vuole gettare
fango mediatico su di lui. In realtà la suocera è indagata per truffa
aggravata.
I circa 400 mila euro di stipendi mai pagati non sono fantasie ma dati
accertati, così com’è accertata la recente vincita di altri due bandi per oltre
mezzo milione di euro per accoglienza ai profughi ucraini nonostante il non
pagamento degli stipendi a varie decine di braccianti da circa 18 mesi. Più si
vanno a cercare prove a sua discolpa, precisando che parliamo di discolpa
esclusivamente politica e morale, più la sua figura si riempie di ombre.
Come accettare infatti la dichiarazione di sua moglie che a difesa di Aboubaker
afferma che in casa non si parlava mai delle coop e dei migranti?
Anche senza pretendere che valga per tutti un principio affermato dal
femminismo per cui il personale è politico, come si può accettare che in una
famiglia che si occupa come attività primaria del problema e dei diritti degli
immigrati, di questo non si parli? O come accettare che di fronte al lusso e
alle mises sfrontatamente costose ostentate pubblicamente dalla moglie, mentre
ai braccianti mancava anche il cibo, Aboubaker risponda che lui riconosce il
diritto all’eleganza e alla moda e quindi non vede contraddizione tra il
lusso di sua moglie e la fame dei braccianti per i quali si ottenevano
finanziamenti?
Aboubaker Soumahoro è indifendibile, soprattutto se è vero che alle cooperative
gestite dalle “sue familiari” sono arrivati realmente 62 milioni di euro che
non sembrerebbero essere finiti ai legittimi beneficiari e, come afferma lo
scrittore maliano Diawara Soumaila, “qui c'è di mezzo la credibilità di tutta
la comunità africana, oltre alle persone che lavorano onestamente in questo
ambito e non si possono permettere nemmeno una vacanza…
Chi difende Abou e la sua famiglia in quanto neri è deficiente” e rivolgendosi
alla sinistra, o almeno a chi si riconosce nei valori della sinistra dice
“cerchiamo di essere coerenti tra noi, altrimenti non avremo nulla da dire alla
destra, saremo uguali”. Il giudizio di Soumaila è netto e negativo ma non è
strumentale, al contrario dei numerosi giudizi emessi dalla destra-destra
e dai suoi imitatori. Il garantismo invocato per i propri amici, stavolta
sparisce e soccombe all’appetito di sciacalli e iene. Intanto gli avvoltoi
volteggiano sulle cadute di Soumahoro allargando il loro banchettare all’intera
sinistra, facendo dire al Giornale di Feltri, con l’acquolina alla bocca “qui
muore la sinistra dell’accoglienza”. No, signor Feltri, nonostante tutto e
senza fare nessuno sconto né a Soumahoro, né a Fratoianni e Bonelli che sono
stati a dir poco incauti nel candidarlo per raccogliere voti tra chi credeva
alla sua immagine mediatica in base al suo passato, qui “non muore la sinistra
dell’accoglienza”, ma grazie a questa brutta esperienza che mostra quanto
gli umani siano umani nel bene e nel male a prescindere dalla loro pelle, qui
DEVE nascere una vera sinistra dell’accoglienza, dove accoglienza non può e non
deve significare far business sulla disperazione dei migranti e,
trasversalmente, sulle condizioni di vita di lavoratori e disoccupati italiani.
Per discrezione verso chi legge non cito le parole di un altro campione della
destra quale Sallusti, anche lui banchettante con i suoi simili ma,
parafrasando le parole dello stesso Soumahoro che con uno sciocco espediente
linguistico a difesa del lusso ostentato da sua moglie afferma che “la moda non
è né bianca né nera, è umana” concludo dicendo che anche l’onestà verso chi è
in situazione di bisogno non è né bianca né nera, ma è un obbligo morale che
dovrebbe appartenere a ogni umano, soprattutto a chi si pone come difensore dei
deboli. E anche i giudizi critici non sono né bianchi né neri ma sono umani,
solo che per qualcuno sono solo volgarmente strumentali così come lo è,
purtroppo, la gogna mediatica in cui trovano spazio avvoltoi, sciacalli e iene.
Da icona a reietto:
anatomia del linciaggio di Aboubakar Soumahoro – Lanfranco
Caminiti
360 rate mensili da 1.078 euro l’una, per un totale di 388.080 euro. Trent’anni di mutuo. Questo è il contratto di acquisto della casa di Aboubakar Soumahoro e della sua compagna – su cui tanto si è ricamato. Prezzo di mercato, in un momento, peraltro, di ribasso delle quotazioni. Trent’anni di mutuo a mille euro al mese in due, non hanno propriamente l’aria di una “malversazione”. Di sacrifici, piuttosto. Hanno scavato tra rogiti con il notaio, bonifici, conti correnti – e tutto è regolare. Hanno sospettato che ci fosse del “nero” pagato fuori contratto e sono andati a parlare con l’ex proprietario che ha venduto la casa: «Sono disponibile a parlare con voi – ha detto – purché non si facciano illazioni. Faccio l’imprenditore e non ho venduto questa casa con una parte in nero. Tutto quello che ho ricevuto, assegni e bonifici, sono stati tracciati e regolarmente riportati nell’atto. Magari dietro a questa storia c’è tutto il marcio che sospettate, ma non lo troverete nell’acquisto di questa casa». Fine della storia? Macchè. Come può permettersi una casa così? Per costoro, Soumahoro dovrebbe vivere in un tucul africano di argilla e paglia, per essere “autentico”.
Bisogna dare un’occhiata alla pagina facebook di Soumahoro per rendersi conto
di quale sia “l’onda d’urto” di questa vicenda: tornatene in Africa; stai
facendo vergogna; paga i tuoi dipendenti; questo a capito bene che in Italia
può fare il furbo; sei un fenomeno ai trovato l’America in Italia; non si può
vedere e ascoltare, basta – e questo è solo un “florilegio”, certo ci sono
anche attestazioni di fiducia e sostegno. Ma la sensazione, netta, è che il
“caso Soumahoro” abbia scatenato un odio sociale senza più freni, senza
ritegno. Non che prima mancasse – ma ora ha trovato l’occasione che tutto il
rancore che covava aveva una sua “prova”.
Ecco, appunto: quale sarebbe la prova? A tutt’oggi, Aboubakar Soumahoro non ha
ricevuto alcun atto giudiziario – l’inchiesta partita dalla procura di Latina
che riguarda le cooperative gestite dalla suocera e in cui aveva, non più da
tempo, un ruolo la sua compagna non imputa alcun atto, alcun fatto, alcuna
illegalità, alcuna illiceità a Soumahoro. Non parleremo perciò di queste –
perché non c’è nulla da dire, al momento, che riguardi Soumahoro; la signora
Marie Therese Mukamitsingo sta già provvedendo alle proprie incombenze. Se ci
sarà, quando ci sarà – vedremo.
Quello di cui invece vogliamo parlare è della “chiacchiera pubblica”, dove
incompetenza, ignoranza, malafede, interesse, invidia, gelosia si intrecciano
inestricabilmente, in un rimando tra social, talk-show, giornali, bar dello
sport, e di come il giustizialismo abbia avvelenato ormai i cuori e le menti di
questo paese – senza distinzione di razza, sesso e credo religioso: l’unico
elemento su cui si potrebbe oggi, orridamente, scrivere una carta
costituzionale comune: art. 1, ogni sospettato è condannato senza attesa di
giudizio. Nel caso di Soumahoro non c’è nemmeno il “sospetto” di un
comportamento illecito – ma solo di una “doppia morale”. E gli italiani – che
rispettano le file, che non chiedono i favori all’amico dell’amico, che pagano
le tasse con estrema regolarità, che non usano i poteri quand’anche minimi che
hanno per favorire i parenti, che si guardano bene da abusivismi à gogo tanto
sanno che non saranno mai condonati – si sa che sulla “moralità” non
transigono. Quella degli altri.
E a Soumahoro non gli si può perdonare nulla. Non gli hanno mai perdonato nulla
gli avversari di un tempo e di adesso; non gli hanno mai perdonato nulla i
“compagni” di un tempo e di adesso. Proprio come accadde a Mimmo Lucano, che la
rivista «Fortune» inserì tra i 50 uomini più influenti della terra – ma come,
un sindacuccio di un paesicchio della desolata Calabria? E vai – che a oscuri
funzionari, insignificanti amministratori, pimpanti plenipotenziari e
magistrati e giornali questa cosa proprio non poteva calare giù. Ci si misero
di buzzo buono – da destra e da sinistra – e alla fine persino il Pubblico
ministero nella sua arringa accusatoria doveva riconoscere che non un soldo era
finito nelle tasche di Lucano ma le “irregolarità” le trovarono. E si levarono
lo sfizio: una fiorente attività di accoglienza, a cui tutto il mondo civile
guardava, prima stritolata dalla riduzione e dalla negazione dei flussi
finanziari e poi massacrata mediaticamente e giudiziariamente. Riace
cancellata. I sepolcri imbiancati di sinistra reagirono con la loro ipocrisia
di sempre, il tratto distintivo del “ceto medio riflessivo” – sì, però, le
irregolarità non sono giuste.
La stessa ipocrisia con la quale chiacchierano ora di Soumahoro – non poteva
non sapere, le pago anche io con le mie tasse quelle cooperative, non sta bene
che si vada in giro con le borsette e le scarpe firmate se stai con i migranti.
E la moglie di Cesare, come scrisse Plutarco, deve non solo essere onesta, ma
sembrare onesta; la signora Liliane Murekatete, compagna di Soumahoro, “la
moglie di Cesare”, ha intanto fatto sapere che non ne può più di passare per
una “cinica griffata” e ha dato mandato al suo avvocato di difendere la propria
immagine e querelare chi la diffama. I più colti citano L’impostore di Javier Cercas, la storia di quel
signore in Spagna che riuscì a spacciarsi per un eroe rispettato e riverito
dell’antifranchismo ma che se n’era rimasto ben rintanato al tempo – che
peraltro è un libro bellissimo, dove la parabola individuale è poca cosa e
racconta piuttosto il meccanismo di rimozione collettiva del proprio senso di
colpa per avere accettato in silenzio trent’anni di fascismo. Forse è di quel
“senso di colpa” che vogliono liberarsi oggi quelli che prima ci facevano i
tour politici con Soumahoro, quelli che prima lo ospitavano nelle loro
trasmissioni, facendo la ruota del pavone tollerante e guadagnandoci in
immagine ben più che Aboubakar stesso – il senso di colpa di chiudere gli occhi
davanti gli orrori del bracciantato nelle nostre campagne o le stragi che
accadono nei nostri mari. Basta basta non vogliamo più saperne, ci è bastato il
“caso Soumahoro”, Aboubakar l’impostore.
Perché alla fine il risultato di tutto questo ciarpame mediatico – se venissero
riscontrate delle illegalità nella conduzione delle cooperative di cui si
tratta andrebbero sanzionate, punto, restituendole a un funzionamento
esemplare, punto – è che tutto il mondo dell’accoglienza viene messo in
discussione; già è partita la guerra delle destre in tutti i comuni interessati
dall’inchiesta contro assessori e sindaci del centrosinistra che
“largheggiavano”. Ovvero, applicavano le direttive dei ministeri.
Soumahoro non è un caso di “malagiustizia”, ma direi di qualcosa che somiglia
alla “giustizia proletaria” – i più feroci contro di lui sono proprio quelli
che lo portavano in giro come la Madonna pellegrina quando stava con loro: ma i
poveri sono sempre i più feroci contro qualcuno di loro che ce la fa. E
Soumahoro è uno che ce l’ha fatta, e non glielo perdonano proprio: lo accusano
di personalismo, di eccesso di protagonismo – ma, ragazzi, non è che tutti
potete essere Abou, fatevene una ragione.
Una storia tristissima, questa – perché mette a nudo, in maniera drammatica,
quanta violenza siamo in grado non solo di assorbire ma anche di esserne noi
stessi portatori: dateci qualcuno da fare a pezzi, da sbranare, non aspettiamo
altro.
E questo – anche se non ha le forme dei cappucci bianchi e delle croci in
fiamme – si chiama linciaggio.
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