mercoledì 14 dicembre 2022

considerazioni di Patrizia Cecconi e Lanfranco Caminiti sul caso di Aboubakar Soumahoro

Caso Soumahoro: cibo per avvoltoi, sciacalli e iene - Patrizia Cecconi

Un’occhiatina all’alto numero di parlamentari italiani e loro parenti stretti indagati per truffa, frode, malversazioni e simili costringerebbe a un dignitoso silenzio coloro che dovrebbero fare un serio mea culpa prima di aprir bocca, tanto per sé, se figure istituzionali, tanto per il voto ai propri eletti se a fare i giudici sono semplici cittadini.  Ma inutile illudersi, la corruzione è talmente dilagante che la soglia di tolleranza è salita al punto che solo in qualche caso particolare è percepita come scandalo. Ma non illudiamoci, come italiani, di poter “vantare” una priorità amorale rispetto all’intero mondo, basta guardare agli USA, oggi come ieri, senza eccezioni. Non risulta, ad esempio, che il presidente Biden, solo per parlare del presente, abbia provato qualche imbarazzo per la dovizia di accuse per pedofilia, reati fiscali, droga e altro riguardanti il figlio Hunter. Sempre per restare all’attualità, anche il presidente Macron, protetto dalla sua “grandeur” non sembra imbarazzarsi troppo per le accuse di meschino favoritismo (quello che da noi si chiama clientelismo) e di finanziamento illecito della campagna elettorale con tanto di contratti milionari con l’americana McKinsey. E che dire del super-pluri-indagato per molteplici frodi Benjamin Netanyahu, rieletto e acclamato a furor di popolo nello Stato ebraico dell’apartheid? E si potrebbe continuare, ma per ragioni di spazio ci fermiamo qui.


Però non si dica, come vuole la cosiddetta  saggezza popolare che “tutto il mondo è paese”  rinunciando così al diritto di indignarsi e reagire di fronte agli scandali commessi da chi dovrebbe essere irreprensibile dato il suo ruolo istituzionale. Ma neanche ci si accanisca nel reclamare la gogna solo per qualcuno, soprattutto se già caduto nella polvere sotto i colpi dei primi cecchini mediatici.


Questa è operazione tipica delle iene alle quali, nel nostro umano giudizio, paragoniamo chi si accanisce maramaldescamente su un soggetto ormai abbattuto. Aboubaker Soumahoro, al quale quest’articolo si riferisce in quanto salito tristemente al disonore della cronaca, è moralmente nonché politicamente indifendibile, sebbene giudiziariamente, almeno per il momento, non sia toccato.

La storia ormai è nota e riguarda le indagini sulle coop Karibu e Aid per maltrattamenti  e per veri e propri furti verso gli immigrati oltre che verso gli Enti pubblici che hanno perduto milioni di euro mai andati ai beneficiari ufficiali, ma incamerati da moglie, suocera e cognata (se le indagini saranno confermate) del neo-deputato, già  paladino dei migranti.?Impossibile credere alle sue singhiozzanti e oggettivamente stomachevoli dichiarazioni di estraneità alle attività delle cooperative gestite da suocera, moglie e cognata la cui sede coincide con quella del sindacato da lui costituito dopo aver abbandonato l’USB (Unione Sindacale di Base) in seguito alle richieste di chiarimenti circa la scomparsa di centinaia di migliaia di euro raccolti per migliorare le condizioni degli immigrati.

L’ex sindacalista USB respinge sdegnato la definizione di “cooperative della famiglia di Soumahoro”, ma la moglie e la suocera non fanno forse parte della sua famiglia? Il suo diniego equivarrebbe a respingere il legame coniugale e di affinità parentale rispettivamente esistenti con moglie, suocera e cognata, quindi è un povero stratagemma per tentare di far credere che si vuole gettare fango mediatico su di lui. In realtà la suocera è indagata per truffa aggravata.

I circa 400 mila euro di stipendi mai pagati non sono fantasie ma dati accertati, così com’è accertata la recente vincita di altri due bandi per oltre mezzo milione di euro per accoglienza ai profughi ucraini nonostante il non pagamento degli stipendi a varie decine di braccianti da circa 18 mesi. Più si vanno a cercare prove a sua discolpa, precisando che parliamo di discolpa esclusivamente politica e  morale, più la sua figura si riempie di ombre. Come accettare infatti la dichiarazione di sua moglie che a difesa di Aboubaker afferma che in casa non si parlava mai delle coop e dei migranti?

Anche senza pretendere che valga per tutti un principio affermato dal femminismo per cui il personale è politico, come si può accettare che in una famiglia che si occupa come attività primaria del problema e dei diritti degli immigrati, di questo non si parli? O come accettare che di fronte al lusso e alle mises sfrontatamente costose ostentate pubblicamente dalla moglie, mentre ai braccianti mancava anche il cibo, Aboubaker risponda che lui riconosce il diritto all’eleganza e alla moda e quindi  non vede contraddizione tra il lusso di sua moglie e la fame dei braccianti per i quali si ottenevano finanziamenti?

Aboubaker Soumahoro è indifendibile, soprattutto se è vero che alle cooperative gestite dalle “sue familiari” sono arrivati realmente 62 milioni di euro che non sembrerebbero essere finiti ai legittimi beneficiari e, come afferma lo scrittore maliano Diawara Soumaila, “qui c'è di mezzo la credibilità di tutta la comunità africana, oltre alle persone che lavorano onestamente in questo ambito e non si possono permettere nemmeno una vacanza…

Chi difende Abou e la sua famiglia in quanto neri è deficiente” e rivolgendosi alla sinistra, o almeno a chi si riconosce nei valori della sinistra dice “cerchiamo di essere coerenti tra noi, altrimenti non avremo nulla da dire alla destra, saremo uguali”. Il giudizio di Soumaila è netto e negativo ma non è strumentale, al contrario dei numerosi giudizi emessi dalla  destra-destra  e dai suoi imitatori. Il garantismo invocato per i propri amici, stavolta sparisce e soccombe all’appetito di sciacalli e iene. Intanto gli avvoltoi volteggiano sulle cadute di Soumahoro allargando il loro banchettare all’intera sinistra, facendo dire al Giornale di Feltri, con l’acquolina alla bocca “qui muore la sinistra dell’accoglienza”. No, signor Feltri, nonostante tutto e senza fare nessuno sconto né a Soumahoro, né a Fratoianni e Bonelli che sono stati a dir poco incauti nel candidarlo per raccogliere voti tra chi credeva alla sua immagine mediatica in base al suo passato, qui “non muore la sinistra dell’accoglienza”,  ma grazie a questa brutta esperienza che mostra quanto gli umani siano umani nel bene e nel male a prescindere dalla loro pelle, qui DEVE nascere una vera sinistra dell’accoglienza, dove accoglienza non può e non deve significare far business sulla disperazione dei migranti e, trasversalmente, sulle condizioni di vita di lavoratori e disoccupati italiani.

Per discrezione verso chi legge non cito le parole di un altro campione della destra quale Sallusti, anche lui banchettante con i suoi simili ma, parafrasando le parole dello stesso Soumahoro che con uno sciocco espediente linguistico a difesa del lusso ostentato da sua moglie afferma che “la moda non è né bianca né nera, è umana” concludo dicendo che anche l’onestà verso chi è in situazione di bisogno non è né bianca né nera, ma è un obbligo morale che dovrebbe appartenere a ogni umano, soprattutto a chi si pone come difensore dei deboli. E anche i giudizi critici non sono né bianchi né neri ma sono umani, solo che per qualcuno sono solo volgarmente strumentali così come lo è, purtroppo, la gogna mediatica in cui trovano spazio avvoltoi, sciacalli e iene.

da qui



Da icona a reietto: anatomia del linciaggio di Aboubakar Soumahoro – Lanfranco Caminiti

 

360 rate mensili da 1.078 euro l’una, per un totale di 388.080 euro. Trent’anni di mutuo. Questo è il contratto di acquisto della casa di Aboubakar Soumahoro e della sua compagna – su cui tanto si è ricamato. Prezzo di mercato, in un momento, peraltro, di ribasso delle quotazioni. Trent’anni di mutuo a mille euro al mese in due, non hanno propriamente l’aria di una “malversazione”. Di sacrifici, piuttosto. Hanno scavato tra rogiti con il notaio, bonifici, conti correnti – e tutto è regolare. Hanno sospettato che ci fosse del “nero” pagato fuori contratto e sono andati a parlare con l’ex proprietario che ha venduto la casa: «Sono disponibile a parlare con voi – ha detto – purché non si facciano illazioni. Faccio l’imprenditore e non ho venduto questa casa con una parte in nero. Tutto quello che ho ricevuto, assegni e bonifici, sono stati tracciati e regolarmente riportati nell’atto. Magari dietro a questa storia c’è tutto il marcio che sospettate, ma non lo troverete nell’acquisto di questa casa». Fine della storia? Macchè. Come può permettersi una casa così? Per costoro, Soumahoro dovrebbe vivere in un tucul africano di argilla e paglia, per essere “autentico”.

Bisogna dare un’occhiata alla pagina facebook di Soumahoro per rendersi conto di quale sia “l’onda d’urto” di questa vicenda: tornatene in Africa; stai facendo vergogna; paga i tuoi dipendenti; questo a capito bene che in Italia può fare il furbo; sei un fenomeno ai trovato l’America in Italia; non si può vedere e ascoltare, basta – e questo è solo un “florilegio”, certo ci sono anche attestazioni di fiducia e sostegno. Ma la sensazione, netta, è che il “caso Soumahoro” abbia scatenato un odio sociale senza più freni, senza ritegno. Non che prima mancasse – ma ora ha trovato l’occasione che tutto il rancore che covava aveva una sua “prova”.
Ecco, appunto: quale sarebbe la prova? A tutt’oggi, Aboubakar Soumahoro non ha ricevuto alcun atto giudiziario – l’inchiesta partita dalla procura di Latina che riguarda le cooperative gestite dalla suocera e in cui aveva, non più da tempo, un ruolo la sua compagna non imputa alcun atto, alcun fatto, alcuna illegalità, alcuna illiceità a Soumahoro. Non parleremo perciò di queste – perché non c’è nulla da dire, al momento, che riguardi Soumahoro; la signora Marie Therese Mukamitsingo sta già provvedendo alle proprie incombenze. Se ci sarà, quando ci sarà – vedremo.
Quello di cui invece vogliamo parlare è della “chiacchiera pubblica”, dove incompetenza, ignoranza, malafede, interesse, invidia, gelosia si intrecciano inestricabilmente, in un rimando tra social, talk-show, giornali, bar dello sport, e di come il giustizialismo abbia avvelenato ormai i cuori e le menti di questo paese – senza distinzione di razza, sesso e credo religioso: l’unico elemento su cui si potrebbe oggi, orridamente, scrivere una carta costituzionale comune: art. 1, ogni sospettato è condannato senza attesa di giudizio. Nel caso di Soumahoro non c’è nemmeno il “sospetto” di un comportamento illecito – ma solo di una “doppia morale”. E gli italiani – che rispettano le file, che non chiedono i favori all’amico dell’amico, che pagano le tasse con estrema regolarità, che non usano i poteri quand’anche minimi che hanno per favorire i parenti, che si guardano bene da abusivismi à gogo tanto sanno che non saranno mai condonati – si sa che sulla “moralità” non transigono. Quella degli altri.
E a Soumahoro non gli si può perdonare nulla. Non gli hanno mai perdonato nulla gli avversari di un tempo e di adesso; non gli hanno mai perdonato nulla i “compagni” di un tempo e di adesso. Proprio come accadde a Mimmo Lucano, che la rivista «Fortune» inserì tra i 50 uomini più influenti della terra – ma come, un sindacuccio di un paesicchio della desolata Calabria? E vai – che a oscuri funzionari, insignificanti amministratori, pimpanti plenipotenziari e magistrati e giornali questa cosa proprio non poteva calare giù. Ci si misero di buzzo buono – da destra e da sinistra – e alla fine persino il Pubblico ministero nella sua arringa accusatoria doveva riconoscere che non un soldo era finito nelle tasche di Lucano ma le “irregolarità” le trovarono. E si levarono lo sfizio: una fiorente attività di accoglienza, a cui tutto il mondo civile guardava, prima stritolata dalla riduzione e dalla negazione dei flussi finanziari e poi massacrata mediaticamente e giudiziariamente. Riace cancellata. I sepolcri imbiancati di sinistra reagirono con la loro ipocrisia di sempre, il tratto distintivo del “ceto medio riflessivo” – sì, però, le irregolarità non sono giuste.
La stessa ipocrisia con la quale chiacchierano ora di Soumahoro – non poteva non sapere, le pago anche io con le mie tasse quelle cooperative, non sta bene che si vada in giro con le borsette e le scarpe firmate se stai con i migranti. E la moglie di Cesare, come scrisse Plutarco, deve non solo essere onesta, ma sembrare onesta; la signora Liliane Murekatete, compagna di Soumahoro, “la moglie di Cesare”, ha intanto fatto sapere che non ne può più di passare per una “cinica griffata” e ha dato mandato al suo avvocato di difendere la propria immagine e querelare chi la diffama. I più colti citano L’impostore di Javier Cercas, la storia di quel signore in Spagna che riuscì a spacciarsi per un eroe rispettato e riverito dell’antifranchismo ma che se n’era rimasto ben rintanato al tempo – che peraltro è un libro bellissimo, dove la parabola individuale è poca cosa e racconta piuttosto il meccanismo di rimozione collettiva del proprio senso di colpa per avere accettato in silenzio trent’anni di fascismo. Forse è di quel “senso di colpa” che vogliono liberarsi oggi quelli che prima ci facevano i tour politici con Soumahoro, quelli che prima lo ospitavano nelle loro trasmissioni, facendo la ruota del pavone tollerante e guadagnandoci in immagine ben più che Aboubakar stesso – il senso di colpa di chiudere gli occhi davanti gli orrori del bracciantato nelle nostre campagne o le stragi che accadono nei nostri mari. Basta basta non vogliamo più saperne, ci è bastato il “caso Soumahoro”, Aboubakar l’impostore.
Perché alla fine il risultato di tutto questo ciarpame mediatico – se venissero riscontrate delle illegalità nella conduzione delle cooperative di cui si tratta andrebbero sanzionate, punto, restituendole a un funzionamento esemplare, punto – è che tutto il mondo dell’accoglienza viene messo in discussione; già è partita la guerra delle destre in tutti i comuni interessati dall’inchiesta contro assessori e sindaci del centrosinistra che “largheggiavano”. Ovvero, applicavano le direttive dei ministeri.
Soumahoro non è un caso di “malagiustizia”, ma direi di qualcosa che somiglia alla “giustizia proletaria” – i più feroci contro di lui sono proprio quelli che lo portavano in giro come la Madonna pellegrina quando stava con loro: ma i poveri sono sempre i più feroci contro qualcuno di loro che ce la fa. E Soumahoro è uno che ce l’ha fatta, e non glielo perdonano proprio: lo accusano di personalismo, di eccesso di protagonismo – ma, ragazzi, non è che tutti potete essere Abou, fatevene una ragione.
Una storia tristissima, questa – perché mette a nudo, in maniera drammatica, quanta violenza siamo in grado non solo di assorbire ma anche di esserne noi stessi portatori: dateci qualcuno da fare a pezzi, da sbranare, non aspettiamo altro.
E questo – anche se non ha le forme dei cappucci bianchi e delle croci in fiamme – si chiama linciaggio.

da qui


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