martedì 31 gennaio 2017

Le Nostre Anime - Franco Battiato

Cronaca di una montatura - Alexik

28 gennaio 2016. h. 10
È freddo davanti ai cancelli del carcere di Modena, quel freddo umido che ti entra nelle ossa.
È la prima volta che ci vengo, ma non è stato difficile trovarlo, seguendo i gruppetti dei lavoratori che gli si avvicinano alla spicciolata.
Dietro quelle sbarre e quei muri c’è Aldo Milani, coordinatore nazionale del Si Cobas.
Non lo conosco personalmente. Sono qui per capire, anche se in realtà alcune risposte me le sono già date, da quando i TG hanno cominciato ad infangarlo a reti unificate.
Avevano appena intascato una mazzetta. Due sindacalisti della sigla Si Cobas sono stati arrestati in flagranza di reato dalla polizia a Modena … L’ accusa è di estorsione aggravata e continuata nei confronti di un noto gruppo industriale che opera nel settore della carne. Motivo: ammorbidire le pressioni delle proteste.”
Un’accusa infamante, l’accusa ‘perfetta’ se vuoi distruggere un compagno.
Perfetta per i borghesi, inorriditi dal ricatto contro i poveri imprenditori vessati, ma perfetta anche per insinuare il dubbio, stimolare la rabbia di chi viene indotto a credere che le lotte siano state svendute per denaro.
I TG hanno anche esibito la così detta ‘prova regina’, pochi secondi di un video senza audio che mostra quattro persone attorno al tavolo di una trattativa sindacale, due delle quali si passano una busta.
A seguire, le immagini di repertorio delle cariche sui picchetti dei lavoratori della logistica, poste ad arte per suggerire il teorema della ‘durezza dei blocchi’ come fase preliminare dell’epilogo estorsivo.
Come è possibile?
È stata la mia prima domanda, e troppe cose mi sono passate per la testa tutte insieme: il sorriso soddisfatto dei padroni e dei loro caporali cooperativi, i sorrisi di CGIL, CISL e UIL, sempre pronti a stigmatizzare la ‘violenza dei picchetti’. E poi la criminalizzazione di una lotta, il rischio che riescano a sconfiggerla, a ricacciare migliaia di persone nell’ombra di uno sfruttamento senza speranza.
Su Milani, in quel momento, non sapevo cosa pensare.
Ero incazzata, ma ho sospeso il giudizio fino a quando non sono emersi altri elementi (non certo dai telegiornali, né dalle cronache dei quotidiani principali ). In particolare:
§  che chi ha intascato la busta con un gesto plateale non era Milani, e neanche un appartenente al Si Cobas o un consulente di parte sindacale, come sostenuto dai  TG, ma un cd ‘mediatore’ – tal Piccinini – convocato in trattativa dall’azienda
§  che nell’audio della trattativa Milani ha parlato solo dei 55 licenziamenti nella logistica della Levoni e delle spettanze dei lavoratori, non di mazzette per il sindacato
§  che solo Piccinini è stato arrestato in flagranza di reato con la busta addosso. Milani varie ore dopo, a casa sua, perchè non erano insieme
E’ una trappola.
Non è la prima volta che succede. Anzi, è dai tempi di Haymarket Square che la costruzione di accuse false viene utilizzata contro il movimento operaio.
Cosa dite ? Che sono passati 131 anni e questi metodi non si usano più ?
Che gli imprenditori di oggi non ne sarebbero capaci?
Dite che adesso ci sono la democrazia, la legalità, le regole ?
Dite che la polizia non mena più gli operai davanti ai cancelli?
Che nessuno muore più nella forzatura di un picchetto?
Che i sindacalisti combattivi non vengono più aggrediti in un agguato?
Che i picchiatori delle aziende non si avventano più con i bastoni sui lavoratori in sciopero?
Che non vengono più utilizzati crumiri?
Che non vengono più utilizzati caporali?
Che non si licenzia più per rappresaglia antisindacale?
Che i salari bastano per condurre una vita decente?
E che queste cose fanno parte di un passato remoto, così come la costruzione di montature mediatico/giudiziarie  contro i sindacalisti.
Ne siete sicuri ?
Io no, e la mattina del 28 gennaio, davanti al carcere di Modena, continuo a farmi domande, del tipo “come si esce da sta storia di merda ?
Ho cercato le risposte nei siti internet di varie organizzazioni del sindacalismo di base, ma tace l’USB, tace la CUB. Bernocchi dei Cobas purtroppo no: ‘invitiamo tutti i mezzi di informazione ad evitare qualsiasi confusione tra i COBAS e il cosiddetto SI Cobas….‘. Questa è la sua unica preoccupazione.
C’è chi prende le distanze, chi fa il vago. Solo l’ADL e la sinistra CGIL dimostrano di comprendere la portata dell’attacco, rivolto non solo contro Milani e il Si Cobas, ma contro tutto il sindacalismo di base e contro tutte le lotte, della logistica e non.
Se passa questa provocazione tutti potranno essere colpiti, prima o poi, allo stesso modo.
Su ogni picchetto potranno essere insinuate finalità malavitose, da quegli stessi media che la mafia delle cooperative han sempre fatto finta di non vederla.
La posta in gioco è alta. Per le ditte che guadagnano milioni sullo sfruttamento dei facchini, ma perdono milioni quando i facchini lottano. Per tutti i lavoratori della logistica che rischiano di subire un colpo durissimo nel loro percorso di liberazione.
Per questo sento il bisogno di ritrovarmi alle 10 del mattino davanti a un carcere, per dimostrare vicinanza  ai primi destinatari dell’attacco, queste centinaia di operai di ogni colore che accorrono al presidio.
E’ in loro la risposta che cercavo: ‘La solidarietà è un’arma’, è il calore che unisce ragazzi neri, arabi, sikh e pakistani, sindacalisti dai capelli bianchi, compagne e compagni dei centri sociali.
L’italiano è la lingua degli slogan, lo strumento che unisce queste genti, una lingua ‘coloniale’ usata per capirsi nella lotta. Oggi mi accorgo di amarla molto più di quando me l’insegnavano a scuola.
Così come non mi sembrano patetiche o retrò le canzoni della nostra resistenza gridate dall’amplificazione. Perchè sono qui gli eredi degli operai delle Fonderie Riunite, dei licenziati che nel ’50 affrontarono, proprio in questa città, il piombo della polizia.
Oggi battono sui cancelli di un carcere per riavere indietro un loro compagno, mentre altri come loro scioperano a Milano, Piacenza, Parma, Brescia, negli interporto di Bologna e Roma.

Non hanno creduto a una sola parola delle veline della Questura, e non ne sembrano neanche tanto stupiti. Del resto, nel corso delle loro lotte, ne hanno già viste di tutti i colori.
Sorprende come in una situazione del genere possano esprimere anche allegria.
Ogni tanto la pressione sui cancelli del carcere si allenta, e qualcuno grida: ‘fate largo che Aldo sta uscendo‘. Allora nel presidio si apre un varco per farlo passare, come in un rito propiziatorio.
Finchè, nel pomeriggio, non esce davvero (il video qui). Non proprio libero: con obbligo di dimora a Milano. L’interrogatorio è andato bene, ma la storia non è certo finita, nè a livello giudiziario né mediatico.
La macchina del fango è ancora in piena attività, ma se non altro, se volevano assicurarsi la pace sociale, forse hanno sbagliato sistema.

domenica 29 gennaio 2017

dice Udo Ulfkotte




ps: era uno contro l'immigrazione e l'Islam, leggo adesso, e come dice qualcuno "non basta denunciare i cattivi per essere buoni", e sono del tutto d'accordo, ma quella confessione e denuncia contro molti giornalisti non mi era sembrata male.
è stato un disertore del giornalismo comprato, poi si è arruolato nell'esercito sbagliato.
sia l'esercito del giornalismo comprato che quelli anti-immigrazione e anti-Islam sono pessimi eserciti.

IO SONO (e sarò) PANGEA - Anghelu Marras


Constato, con grande disappunto, la grande enfasi con la quale, la Nuova Sardegna (27/1/2017) – senza firma - dà la notizia del “via libera” del Sindaco, allo sgombero del Centro Culturale e Sociale “Pangea” a Porto Torres.
Erano quattro anni che i giovani del Pangea e gli ospiti delle numerosissime iniziative da loro organizzate offrivano alla città e all’intero territorio innumerevoli iniziative culturali e di spettacolo chiedendo alle amministrazioni varie che la sicurezza dello stabile fosse nell’agenda consiliare.
Tali iniziative, interamente autogestite dai giovani turritani, talvolta in collaborazione con associazioni o centri-studio, hanno sollevato temi e argomenti di vivissima attualità e suscitato, nei locali del Pangea e nel Territorio importantissimi dibattiti culturali, ambientali e sociali che alcuna forza politica cittadina ha mai avuto il merito di suscitare. Valga per tutte la battaglia per le bonifiche dell’E.N.I. vero cancro diffuso nel territorio turritano e in tutto il S.I.N. (Sito di interesse nazionale del nord Sardegna).
Il Sindaco Wheeler e i consiglieri 5 Stelle affermano che “il percorso culturale – del Pangea – si è interrotto perché UNA FORZA POLITICA SI E’ OPPOSTA ALLA PROSECUZIONE DELLE ATTIVITA’”
Di quale “forza politica” si tratta?
Stante lo scranno occupato dall’unico petulante consigliere che si è cocciutamente, puntigliosamente, tossicamente e volgarmente battuto contro i giovani della sua stessa città (vale a dire un certo Davide Tellini) si tratterebbe del glorioso Partito Sardo d’Azione.
Ora mi domando se il Partito Sardo di Giovanni Columbu sia a conoscenza di questa vergogna pubblica rappresentata da un proprio confuso consigliere comunale, novello “Polifemo” in una città così importante per la Sardegna.
Giovanni Columbu, che, in questi giorni, lancia un forte appello unitario (verso gli indipendentisti, i sovranisti e gli autonomisti sardi) per scegliere un percorso comune nelle ormai poco improbabili prossime elezioni anticipate del Consiglio Regionale della Sardegna, con particolari e originali attenzioni verso le sensibilità sardiste chiedendo loro di ampliare l’orizzonte ideale e politico personale e del Partito, per superare quella disposizione egoistica e miope (il “nostro” Polifemo?) diffusa nei militanti del PSD’Az, per acquisirne un’altra che sia generosa e ideale in grado di ampliare l’orizzonte dell’azione politica del Partito Sardo.
Il “nostro” amico Consigliere, ormai isolato e mal sopportato dai più (tranne che dal cronista della Nuova Sardegna) avrà ben donde per riflettere sulla sua infeconda boria e ottusità.
Certe prese di posizione, come quelle assunte da Tellini, a scorrere l’web, sono assunte da esponenti del Partito Fratelli d’Italia e da fascisti di altri simili consorterie, come per esempio i deviati di Casa Pound che entrati nel Pangea hanno aggredito a martellate alcuni fra i nostri ragazzi e hanno danneggiato i vetri di alcune finestre che il nostro “attentissimo” cronista della Nuova Sardegna pubblica sulla “sua” pagina lasciando intendere al lettore male informato che certi danneggiamenti sono stati opera degli occupanti e non dei componenti di un Commando di picchiatori fascisti che in quel modo e alla stessa stregua del consigliere Tellini o del cronista della Nuova cercano di “infangare” (senza riuscirvi!) una NOBILE STORIA DI LIBERTA’.
Ritorneranno a farsi sentire i giovani turritani, perché il futuro è “cosa loro” …. per i comprimari dell’abuso, del qualunquismo e della sciatteria politica (quelle si, volgari) che nulla hanno a che fare con la politica e tantomeno con la cronaca …. A questi rampolli antichi TANTI AUGURI E BUONA VITA!

venerdì 27 gennaio 2017

Arbeit Macht Frei

Mostri veri e digitali, la memoria e gli accendini - Daniela Pia

Oggi 27 gennaio «Giornata della memoria».
Un lavoro incredibile ha contraddistinto l’operato di alcuni/e colleghi/e e delle loro classi.
Tutti in aula magna, piena, sede centrale.
Si parte dal passato e si arriva al presente.
Un lungo cammino scorre sul telo bianco ed è segnato dalla disumanità del potere, di cui è necessario, oggi più che mai, preservare la memoria.
Mi guardo intorno e vedo tanti, troppi schermi di smartphone illuminati. Così mentre faccio “la ronda” mi chiedo: «quale memoria il cellulare saprà fornire a questi nostri studenti/studentesse».
Intanto si dipanavano, sullo schermo, gli orrori del razzismo: uomini donne e bambini affranti, prigionieri, angheriati nei campi di concentramento e sterminio.
Eppure, la giornata della memoria, per un terzo di loro alternativamente si sviluppava smanettando sul cellulare. Intraprendendo epiche lotte con “mostri” digitali, ignorando i mostri passati e presenti che sul grande schermo testimoniavano la follia che sa impadronirsi dei leader di turno e dei loro adepti.
Ignorando fanciulli/e che il piccolo schermo del telefonino è tiranno, prigione senza filo spinato e che Kapò si fanno i gesti spasmodici e compulsivi delle loro dita; soggiogati da giochini che si divoravano il cervello facendolo senza memoria.
Parte seconda, ecco che sfilano le immagini dei migranti, accatastati nei campi profughi o di accoglienza, immane vergogna per questo Occidente al quale apparteniamo.
Parte poi «Non è un film» di Fiorella Mannoia e a colpire questa platea è il ritmo rap della colonna sonora. All’improvviso, in fondo alla sala, accendini e fiammelle come a un concerto, scanditi dal battere delle mani sulla sedia, dall’ondeggiare delle braccia: una festa dunque.
Impietoso lo schermo rimandava, carne viva – di adesso – uomini donne e bambini nel filo spinato erto a dividere, barriera a impedire il passo; barconi stracolmi, camion stipati, vite racchiuse in un fagotto. Tutto giocato a testa o croce. Testa stai a galla. Croce, forse, nel piccolo cimitero di Lampedusa.
Immagini. Cose lontane.
E mi ha preso un magone, un grande magone.
Se è vero che siamo contadini della formazione, che spesso seminiamo senza poter vedere spuntare il grano, oggi ho avuto la sensazione che la semenza sia gentile omaggio della Monsanto fattasi sponsor e che infine fatti siamo a viver come bruti e che virtute e conoscenza sian cose passate, finite, dimenticate.
Eppure non è così. Quando finiscono le celebrazioni so che non è così.

Ad Auschwitz c'è una casa



(dal film "Latcho Drom", di Tony Gatlif)

[1944]
Testo di Růžena Danielová
Musica: Tradizionale
Lyrics by Růžena Danielová
Music: Traditional


Interpretazioni/Performances:
Růžena Danielová
Margita Makulová, nel film Latcho Drom di Tony Gatlif
 (1993)



AD AUSCHWITZ C'È UNA CASA

Ad Auschwitz c’era una casa
E c’era mio marito imprigionato
Seduto, seduto si lamentava
E a me lui pensava.

Oh tu uccello nero
Porta le mie lettere
Portale, portale a mia moglie
Perché sono imprigionato ad Auschwitz

Ad Auschwitz c’era una grande fame
E noi non avevamo nulla da mangiare
Nemmeno un pezzo di pane
E la guardia del blocco è cattiva.

Quando tornerò a casa
ammazzerò la guardia del blocco.
Quando tornerò a casa
ammazzerò la guardia del blocco.

mercoledì 25 gennaio 2017

Mil€x sotto attacco

Ancora una volta, dopo un primo attacco informatico a cavallo del nuovo anno che ci aveva bloccato solo per alcune ore, il sito dell’Osservatorio Italiano sulle spese militari è stato oggetto di un attacco mirato  del tipo “brute force” che ci ha costretto ad azzerare tutta la struttura e il database  con gli articoli e i documenti già pubblicati.
Stiamo provvedendo a recuperare tutte le informazioni già diffuse per ritornare operativi al 100% quanto prima…
Ci scusiamo per il disagio che, come è ovvio, non è dipeso da noi…
Enrico Piovesana e Francesco Vignarca

come un giallo islandese

L'Islanda è sotto shock per un orribile omicidio. Proprio l'Islanda che vanta un tasso di criminalità e di assassinii che è probabilmente il più basso al mondo, con 1,8 persone uccise ogni anno in media dal 2001, una forte coesione e stabilità sociale, e leggi severissime che rendono difficilissimo il possesso di armi da fuoco. E'una terribile storia di nera: Birna Brjansdottir, una giovane ventenne che lavorava in un negozio d'abbigliamento nella capitale Reykjavk, è stata trovata morta su una spiaggia a sud della città. "Stiamo indagando sul caso considerandolo un omicidio, sebbene al momento non sia possibile determinare con esattezza la causa della morte della giovane", hanno detto i portavoce della Loegreglan, la polizia islandese.
La storia sembra un tragico remake dei molti libri gialli per cui la vitale letteratura islandese è famosa, da quelli della scrittrice-star Yrsa Sigurdardottir a quello appena uscito del più giovane letterato, Ragnar Jònasson. Birna Bjarnsdottir, 20 anni, grandi occhi verdi e lunghi capelli castani, è stata trovata morta sulla spiaggia a sud di Reykjavik dopo che risultava dispersa da otto giorni: amici e datori di lavoro avevano dato subito l'allarme, e ben 725 volontari hanno partecipato alla più grande operazione di ricerca e soccorso di una persona smarrita mai svoltasi nella storia del paese scandinavo…

martedì 24 gennaio 2017

MIL€X 2017: rapporto sulle spese militari italiane

Il MIL€X Osservatorio sulle spese militari italiane ha presenta recentemente presso la sala stampa della Camera dei Deputati l’anticipazione del Primo rapporto annuale, che verrà pubblicato a gennaio 2017. MIL€X è un’iniziativa indipendente – lanciata con la collaborazione del Movimento Nonviolento nell’ambito delle attività di Rete Italiana per il Disarmo e finanziata da donazioni private –, ispirata a principi di neutralità politica e obiettività scientifica. Secondo MIL€X, nel 2017, si spenderà 15 milioni di Euro al giorno in nuovi armamenti.

PUNTI CHIAVE
  • Di fronte ad un recente uso “politico” e non preciso dei dati sulla spesa militare italiana nasce la necessità di trasparenza e obiettività sull'argomento
  • Elaborazione nuova metodologia di calcolo in grado fornire quadro preciso ed esaustivo della spesa militare italiana
  • Spese militari italiane 2017: 23,4 miliardi (64 milioni di euro al giorno): +0,7% rispetto al 2016, +2,3% rispetto alle previsioni del DPP 2016
  • Ultimo decennio: aumento spese militari 21% e rapporto spesa/PIL salito da 1,2% a 1,4% (non il dato di 1,1% dichiarato dalla Difesa)
  • Costo personale rimane voce di spesa più onerosa per lenta applicazione Riforma Di Paola (più comandanti che comandati) 
  • Spese armamenti 2017 salgono a 5,6 miliardi (15 milioni al giorno) per aumento contributi MISE (89% degli incentivi alle imprese va a comparto difesa)
  • Spese per ‘aerei blu’ 2017 aumentano del 50% per incidenza costo nuovo A340 Presidenza del Consiglio (23,5 milioni nel 2017)
  • Anteprima notizie su contratti firmati per altri sette F-35, seconda portaerei “Trieste” e nuove fregate “Fremm 2”, nuovi mezzi Esercito per favorire export
MIL€X è un’iniziativa indipendente (lanciata con la collaborazione del Movimento Nonviolento nell’ambito delle attività di Rete Italiana per il Disarmo e finanziata da donazioni private), ispirata a princìpi di neutralità politica e obiettività scientifica. Pur riconoscendo la necessità di mantenere un adeguato livello di prontezza ed efficienza dello strumento militare, è necessaria una maggiore trasparenza e un più attento controllo democratico su questa delicata materia per scongiurare i rischi derivanti da un’eccessiva influenza della lobby militare-industriale, a suo tempo denunciati dal generale e presidente americano Eisenhower.

Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha recentemente dichiarato che negli ultimi dieci anni la difesa ha subito un taglio del 27 per cento e che quindi nuove riduzioni sono impensabili ed è anzi il momento di maggiori investimenti. Un quadro molto diverso rispetto a quello che emerge dalle anticipazioni del Primo rapporto annuale MIL€X sulle spese militari italiane.
MIL€X ha elaborato una nuova e accurata metodologia di calcolo delle spese militari italiane, togliendo dal conteggio le spese della Difesa per funzioni non militari (Carabinieri per ordine pubblico e tutela ambientale, considerando solo i Carabinieri in funzione di polizia militare e quelli che partecipano alle missioni militari) e aggiungendo quelle per le privilegiate pensioni del personale militare a risposo pagate dall’INPS, quelle per le missioni militari all’estero a in patria pagate dal Ministero dell’economia e delle finanze e soprattutto quelle dei nuovi armamenti pagati dal Ministero dello sviluppo economico. Nell’ultimo decennio le spese militari italiane sono cresciute del 21 per cento (del 4,3 per cento in valori reali) salendo dall’1,2 all’1,4 per cento del PIL (non l’1,1 per cento dichiarato dalla Difesa). L’andamento storico evidenzia una netta crescita fino alla recessione del 2009 con i governi Berlusconi III e Prodi II, un calo costante negli anni post-crisi del quarto governo Berlusconi, una nuova forte crescita nel 2013 con il governo Monti, una flessione con Letta e il primo anno del governo Renzi e un nuovo aumento negli ultimi due anni.
L’Italia nel 2017 spenderà per le forze armate almeno 23,4 miliardi di euro (64 milioni al giorno), più di quanto previsto nei documenti programmatici governativi dell’anno scorso. Ancora molto elevati i costi per il personale (per la lentezza con cui procede il riequilibrio interno delle categorie a vantaggio della truppa e a svantaggio di ufficiali previsto dalla riforma Di Paola del 2012). Si registrano forti aumenti per le spese dell’operazione ‘Strade Sicure’ (da 80 a 120 milioni), del trasporto aereo di Stato (per il costo dell’A340 della Presidenza del Consiglio) e soprattutto per l’acquisto di nuovi armamenti (un quarto della spesa militare totale, +10 per cento rispetto al 2016) pagati in maggioranza dal Ministero dello sviluppo economico (che il prossimo anno destinerà al comparto difesa l’86 per cento dei suoi investimenti a sostegno dell’industria italiana).
Si evidenzia la stretta relazione tra questo meccanismo di incentivi pubblici all’industria militare nazionale (oltre 50 miliardi di euro di incentivi MISE ai programmi della Difesa negli ultimi 25 anni su iniziativa di governi di tutti i colori) e l’elevato costo dei programmi di acquisizione armamenti (5,6 miliardi nel 2017, 15 milioni al giorno). Urgenza e dimensione del procurement militare risultano infatti determinate non da reali esigenze sicurezza nazionale ma da logiche industrial-commerciali (grandi commesse nazionali in funzione della promozione dell’export, come esplicitato nei programmi Centauro 2 e Mangusta 2) che hanno come effetto programmi sproporzionati rispetto alle necessità. Programmi giustificati gonfiando le necessità stesse (come nel caso del numero degli aerei da sostituite con gli F-35 o delle navi da rimpiazzare con le nuove previste dalla Legge Navale) e ricorrendo alla retorica del 'dual use’ militare-civile (come nel caso della nuova portaerei Trieste presentata come nave umanitaria, e delle fregate FREMM 2 presentate come unità per soccorso profughi e tutela ambientale).
Allegati:






Flamenco

Le armi producono guerra, bisogna bloccarne la produzione - Giovanni Sarubbi

«Attenzione allarme altissimo a Roma per terrorismo ISIS. Parecchi posti di blocco da parte delle forze dell'ordine. Mi hanno fermato e per essere sicuri che non fossi musulmano, m'hanno fatto magnà due ciriole con la porchetta, tre pezzi de pizza bianca co la mortadella, due birette, na grappa e un prosecco.
Sto a cercà er prossimo posto di blocco.....»

Il testo prima riportato è stato diffuso nei giorni scorsi sui social network. È stato scritto in un gruppo WatsApp molto numeroso di laziali e subito si è diffuso in moltissimi ambiti.
È il segno che la propaganda terroristica di cui sono pieni i nostri mass-media comincia a scricchiolare e a stufare. Sempre più persone, anche non politicizzate, cominciano a capire che tutto ciò che viene detto sul terrorismo nel nostro paese e in tutto il mondo cosiddetto occidentale, ha solo lo scopo di coprire le responsabilità dei singoli governi, in primis quello degli USA, nella guerra in corso dal 2001 con annesso commercio delle armi e sostegno ai gruppi terroristici. Gli attentati in occidente, che hanno tutti lo stesso copione molto ben recitato da militari super-addestrati negli eserciti degli stessi governi occidentali, hanno lo scopo di sostenere la guerra e la vendita di armamenti.
Una reazione simile a quella prima riportata ci fu in Italia ai tempi del terrorismo interno, quello marcato BR. Anche allora la nauseabonda propaganda che tendeva a far vedere terroristi dappertutto cominciò a nauseare sempre più persone. I successivi processi a carico dei terroristi dimostrarono come quei gruppi erano infiltrati da più servizi segreti. Lo scopo era quello di ridurre all’impotenza il poderoso movimento nato nel mondo negli anni ‘68-’69.
Oggi è ancora così ma sul piano internazionale anziché nazionale. Il motivo di fondo è sempre lo stesso ed è puramente economico. Uno dei modi per risolvere le crisi economiche è quello della guerra. Si distrugge per poi ricostruire e per conquistare mercati e fonti di materie prime, gas petrolio e minerali vari. E per le guerre servono armamenti. E le industrie che le producono costituiscono oggi, e a partire dalla Seconda Guerra mondiale, il più potente sistema industriale esistente. Le risorse spese in armamenti e guerre sono immense. Basta un dato per capire di cosa stiamo parlando. Dal 2006 al 2017, 12 anni, le missioni italiane all’estero (Afghanistan, Libano, ecc.) ci sono costate circa 16 miliardi di euro. Tutti soldi sottratti alle spese sociali, sanità, scuola, trasporti, pensioni ecc. Tutta ricchezza che ha prodotto solo miseria morte e distruzione.
I dati sugli armamenti in Italia dicono molto più di qualsiasi lungo discorso. Dati accuratamente nascosti dai mass-media main-stream, e che i vari governi mistificano, ma che ora cominceranno a venire fuori sistematicamente grazie al lavoro del MIL€X, (milex.org), che è l’Osservatorio sulle spese militari italiane. E' una iniziativa promossa da Enrico Piovesana e Francesco Vignarca con la collaborazione e la struttura operativa del Movimento Nonviolento (nell'ambito delle attività della Rete Italiana per il Disarmo).
Il “Primo rapporto annuale sulle spese militari italiane 2017” è già disponibile sul sito del MIL€X. Invitiamo tutti a scaricarlo e a diffonderlo e a spiegare ai cittadini quanta ricchezza viene ogni giorno distrutta per le armi. Si perché costruire armi equivale a usare banconote da 500euro per accendersi il sigaro, come raccontava Erich Maria Remarque nel romazzo ‘L'obelisco nero'.
I dati forniti in sintesi dal rapporto sono questi:
  • Spese militari italiane 2017: 23,4 miliardi (64 milioni di euro al giorno): +0,7% rispetto al 2016, +2,3% rispetto alle previsioni
  • Ultimo decennio aumento spese militari del 21% e rapporto spesa/PIL salito da 1,2% a 1,4% (non 1,1% dichiarato dalla Difesa)
  • Costo personale rimane voce di spesa più onerosa per lenta applicazione Riforma Di Paola (più comandanti che comandati)
  • Spese armamenti 2017 salgono a 5,6 miliardi (15 milioni al giorno) per aumento contributi MISE - Ministero Sviluppo economico (86% degli incentivi alle imprese va a comparto difesa) che rappresenta una piccola parte del sistema produttivo italiano.
  • Spese per ‘aerei blu’ 2017 aumentano del 50% per incidenza costo nuovo A340 Presidenza del Consiglio (23,5 milioni nel 2017)
  • Anteprima notizie su contratti firmati per altri sette F-35, seconda portaerei “Trieste” e nuove fregate “Fremm 2”, nuovi mezzi Esercito per favorire export.
La guerra è un affare per le industrie di armamanenti e per le imprese a caccia di materie prime e mercati. MA È UNA MOSTRUOSITÀ PER IL RESTO DELL’UMANITÀ.
Di questo dobbiamo prendere coscienza e lavorare di conseguenza per buttare via la guerra dalla storia dell’umanità.

lunedì 23 gennaio 2017

Non sarò complice del silenzio - Cédric Herrou

Vivo nella valle della Roya, all’estremo sud est francese, una valle che rispecchia l’immagine di un’Europa popolare, umana. La Bassa Roya è italiana e l’Alta è francese. Noi, gli abitanti della Roya, passiamo da un Paese all’altro senza prestare attenzione alla frontiera. Non sono né francese, né italiano, sono della valle della Roya. Lo Stato d’emergenza ha avuto un impatto senza precedenti per la nostra valle. Una razza, dei popoli, una religione sono stati stigmatizzati da una politica populista, una politica che manipola la massa, usando la paura nei confronti dell’altro, la paura della differenza.
Cercando di ricongiungersi, mariti, zii, sorelle, cugine, amiche … donne, bambini, famiglie cacciate dal loro Paese d’origine a causa della dittatura, la guerra, intrappolati, torturati, schiavi in Libia, tutti si incontrano alla frontiera francese.  In maggioranza d’origine africana, pensano di trovarsi nel Paese dei “saggi”, il Paese dei Diritti dell’Uomo, lì dove ci si prende cura dei bambini perduti. Ebbene, no! Giunti alla frontiera, esausti, spesso feriti dagli ostacoli incontrati lungo il cammino, si fanno cacciare come dei cani dall’esercito, la polizia. Secondo la legge francese, i bambini non accompagnati devono essere sostenuti dallo Stato francese ma non si rispetta nulla di tutto questo.

I “neri” sono privati di ogni diritto! La polizia francese riporta i bambini in Italia, o in treno senza titolo di viaggio, occultati alla polizia italiana, oppure all’interno di veicoli non identificati guidati da poliziotti in borghese, diretti verso la frontiera italiana. Circa trecento testimoni di questi fatti hanno sporto denuncia contro il Prefetto delle Alpi Marittime, il Presidente del Consiglio della Prefettura e il Presidente della Regione. Ma nessun provvedimento è stato preso dalla procura di Nizza, dal signor Pretre, Procuratore della Repubblica, che si rifiuta di ammettere l’ingiustizia e a causa della sua inerzia si rende complice della messa in pericolo di questi bambini.
La nostra associazione “Roya Citoyenne” si sente disarmata dinanzi a questi uomini che detengono tutto il potere. Per questi alti funzionari, rappresentanti della più alta autorità, i migranti non sono che cifre, un flusso, delle quote. Invece, noi, gli abitanti della Roya, li incrociamo e dobbiamo fare i conti con i loro sguardi. Loro sono lì, nella nostra valle, senza avere l’opportunità di nascondersi, se non con il nostro aiuto. Non c’è bisogno di una stella gialla, non c’è bisogno di nessuna etichetta per riconoscerli. Loro sono neri, il loro colore indelebile fa di loro un bersaglio, Il Bersaglio!
Sono la “valvola di sfogo” per tutti, li si accusa di essere dei potenziali terroristi, di rubare il lavoro ai francesi e di essere lì solo per approfittare del sistema sociale. La frontiera è stata ristabilita contro il terrorismo, ciò nonostante è sufficiente pagare 250 euro a un gruppo di trafficanti per oltrepassarla.I nostri politici mantengono uno stato di terrore, diffondendo l’idea che l’Europa sarebbe il bersaglio del terrorismo mentre la grande maggioranza degli attentati e delle morti avvengono in Paesi a predominanza religiosa musulmana, essendo i musulmani le prime vittime di questo abominio.

Il terrorismo si costruisce attraverso il terrore, la stigmatizzazione. Ed è contro questo che mi batto! Contro l’odio e la stigmatizzazione di una razza, di una religione, di un colore della pelle. Rischio otto mesi di prigione per aiutare delle persone che sono diventate mie amiche. Voglio precisare la mia provenienza: sono nato a Nizza, in un quartiere dove i miei compagni di classe erano neri, grigi, gialli, bianchi. Sono stato educato nell’indifferenza razziale ed è questo che mi si rimprovera oggi, di non fare la differenza, di non chiedere i documenti a un ragazzino prima di tendergli la mano.
Continuerò, fino al momento in cui non finirò in prigione, ad aiutare chi mi sembra una persona buona con o senza documenti perché amo la vita e la rispetto. Non soccomberò alla minaccia, alla pressione, non sarò complice né del silenzio, né dell’inerzia.

(Il post originale in francese è su https://goo.gl/zbiAUR. Traduzione di Manuela Antonucci, tratta da WOTS Magazine, che ringraziamo)


mi viene in mente una canzone francese:

1.459 giorni di resistenza - Angela Davis


In un momento difficile della nostra storia, dobbiamo ricordare a noi stessi che noi le centinaia di migliaia, i milioni di donne, transessuali, uomini e giovani che siamo qui alla Marcia delle donne, noi rappresentiamo le potenti forze del cambiamento che sono determinate a evitare che le culture morenti del razzismo, dell’etero-patriarcato risorgano di nuovo.

Noi riconosciamo che siamo agenti collettivi della storia e che la storia non può essere cancellata come le pagine web. Sappiamo che ci riuniamo oggi pomeriggio sulla terra indigena e noi seguiamo l’esempio dei primi popoli che nonostante la massiccia violenza genocida non hanno mai rinunciato alla lotta per la terra, l’acqua, la cultura, la loro gente. Noi in particolare salutiamo oggi i Sioux di Standing Rock.

Le lotte per la libertà dei neri che hanno plasmato la natura stessa della storia di questo paese non possono essere cancellate con il movimento di una mano. Non possiamo dimenticare che le vite dei neri contano. Questo è un paese ancorato alla schiavitù e al colonialismo, il che significa che nel bene e nel male la storia stessa degli Stati Uniti è una storia di immigrazione e riduzione in schiavitù. Diffondere la xenofobia, lanciare accuse di omicidio e stupro e la costruzione di muri non cancellerà la storia.

Nessun essere umano è illegale.

La lotta per salvare il pianeta, per fermare i cambiamenti climatici, per garantire l’accessibilità all’acqua dalle terre degli Standing Rock Sioux, a Flint, Michigan, alla West Bank della Cisgiordania e a Gaza. La lotta per salvare la nostra flora e fauna, per salvare l’aria – questo è il ground zero della lotta per la giustizia sociale.

Questa è una marcia delle donne e questa marcia delle donne rappresenta la promessa di un femminismo contro i poteri perniciosi della violenza di stato. E il femminismo inclusivo e intersezionale che invita tutti noi a unirci alla resistenza al razzismo, alla islamofobia, all’antisemitismo, alla misoginia, allo sfruttamento capitalistico.

Sì, salutiamo la lotta per il salario minimo orario di quindici dollari. Noi ci dedichiamo alla resistenza collettiva. Resistenza ai miliardari profittatori delle ipoteche e gentrificatori. Resistenza ai corsari dell’assistenza sanitaria. Resistenza agli attacchi contro i musulmani e gli immigrati. Resistenza agli attacchi contro le persone disabili. Resistenza alla violenza di stato perpetrata dalla polizia e attraverso il complesso industriale carcerario. Resistenza alla violenza di genere istituzionale e intima, in particolare contro le donne trans di colore. I diritti delle donne sono diritti umani in tutto il pianeta ed è per questo che diciamo libertà e la giustizia per la Palestina. Noi celebriamo il rilascio imminente di Chelsea Manning. E di Oscar López Rivera. Ma diciamo anche liberate Leonard Peltier. Liberate Mumia Abu-Jamal. Liberate Assata Shakur.

Nel corso dei prossimi mesi e anni saremo chiamati a intensificare le nostre rivendicazioni di giustizia sociale, a diventare più militanti nella nostra difesa delle popolazioni vulnerabili. Coloro che ancora difendono la supremazia dell’etero-patriarcato del maschio bianco farebbero meglio a fare attenzione.
I prossimi 1.459 giorni dell’amministrazione Trump saranno 1.459 giorni di resistenza: resistenza sulle strade, resistenza nelle aule scolastiche, resistenza sul posto di lavoro, resistenza nella nostra arte e nella nostra musica.

Questo è solo l’inizio e con le parole dell’inimitabile Ella Baker, ‘Noi che crediamo nella libertà non possiamo riposare fino a quando non arriva”. Grazie.

Intervento alla straordinaria Marcia delle donne contro Trump a Washington (la più grande protesta di piazza nella storia Usa, più partecipata perfino della storica marcia di Luther King e di quella contro la guerra in Vietnam). 

Traduzione di Maurizio Acerbo (che ringraziamo).

domenica 22 gennaio 2017

Pete Seeger in Sweden 1968

Violenza: Il linguaggio dello stato ebraico - Jonathan Cook


Ecco un’altra immagine  che illustra la situazione dei palestinesi – nella fattispecie, cittadini palestinesi di Israele – in modo più completo di qualsiasi parola.
L’uomo a terra è Ayman Odeh, un parlamentare israeliano, il capo del Joint List, il terzo più grande partito in parlamento e il più importante politico palestinese d’Israele.
La polizia israeliana gli ha appena sparato con proiettili di gomma, non una, ma due volte, anche in volto. Odeh è uno dei politici all’interno della grande minoranza palestinese in Israele, un quinto della popolazione, che meno cerca lo scontro. Il suo messaggio è costantemente un messaggio di pace e di amicizia tra tutti i cittadini israeliani, sia ebrei  che palestinesi. Questo, però,  non sembra averlo protetto dall’approccio “prima spara –  poi interroga” adottato dalle forze di sicurezza d’Israele nei confronti dei palestinesi.
Questa immagine dovrebbe essere tanto scioccante quanto vedere un  Bernie Sanders o Jeremy Corbyn sanguinante, trascinarsi per terra, guardati impassibilmente dalla polizia americana o britannica.
Anche il contesto è importante. Odeh si era unito stamane ai 1000 abitanti di Umm al-Hiran – tutti cittadini palestinesi di Israele – che manifestavano per fermare le squadre di demolitori intente a distruggere le 150 case del loro villaggio nel Negev. Israele aveva permesso a queste famiglie di trasferirsi nell’area di Umm al-Hiran negli anni cinquanta dopo averli cacciati dalle loro terre di origine,  molto piu’ ricche, durante la Nakba. Il pretesto allora fu che Israele aveva bisogno delle  loro terre ataviche per un kibbutz esclusivamente ebreo.
Tutto quello accadde durante un governo militare che guidò i palestinesi d’Israele per  quasi due decenni. Oltre 60 anni dopo, esattamente la stessa cosa sta succedendo di nuovo, ma questa volta di fronte alle telecamere. Umm al-Hiran viene distrutta cosicchè possa essere costruita una comunità esclusivamente ebrea, con lo stesso nome di Hiran, al posto delle case di queste famiglie. Israele non ha mai emesso un piano regolatore per Umm al-Hiran, cosi’ ora puo’ essere dichiarata illegale e i suoi abitanti chiamati “abusivi” e “intrusi”. Le famiglie vengono per una seconda volta ripulite etnicamente – non durante ostilità o in tempo di guerra, ma dal loro stesso stato in tempo di pace.
Sono lontani dall’essere i soli. A migliaia di altre famiglie, e ai loro villaggi, tocca la stessa sorte.
La verità è che niente è cambiato dagli anni cinquanta. Israele si comporta tuttora come se stesse governando militarmente i “cittadini” palestinesi. Tratta ancora tutti i non-ebrei come una minaccia, come un nemico.
Israele non è un tipo normale di paese. E’ una etnocrazia, per di più guidata da una variante ideologica dei nazionalismi etnici che dilaniarono l’Europa un secolo fa.
Odeh è un leader che si batte per la pace e l’uguaglianza tra cittadini ebrei e palestinesi. Oggi ha ricevuto la risposta. E’ contuso, sanguinante e prostrato, si trascina per terra.
Questo è il linguaggio di uno stato ebraico.
(Trad. Annamaria Boscarino
Fonte: http://www.jonathan-cook.net/blog/2017-01-18/violence-the-language-a-jewish-state)/ 

Per sapere dove andare - Domenico Starnone


Ci vuole un pensiero nuovo, è stato detto di recente da un dirigente del Pd. Ed è giusto, un pensiero nuovo è necessario. Il problema è che dentro tutte le formazioni e movimenti politici pronti a sbranarsi nell’arena italiana e forse planetaria, non solo non si vede pensiero veramente nuovo, ma non si vedono nemmeno pensierini.
L’assenza di un galvanizzante pensiero nuovo si tira dietro anche l’assenza di una galvanizzante classe dirigente nuova. Si è gridato che ne era nata una proprio dentro il Pd, tutti giovani, anzi giovanissimi. Non si faceva che sottolineare quanto erano ragazzi, l’unico pensiero che davvero trovava parole era quello. Ma nel giro di pochissimo tempo i ragazzi sono invecchiati senz’altro pensiero che tenersi in qualche modo a galla. E non si può dire che stia andando meglio a un’altra verdissima classe dirigente, quella a cinque stelle. Senza parlare della destra che da sempre, anche quando è giovane, usa mappe vecchissime.
Forse è che il mondo com’è si riesce sempre meno a dirigerlo. Anche perché per dirigere bisogna sapere dove andare e per sapere dove andare bisogna avere non etichette di comodo che lasciano fuori ciò che davvero conta, ma un pensiero. Altrimenti, come è successo con i giovani rottamatori, si affonda anche quando si giura che, come diceva un vecchio grande film funerario, avanti o indietro che sia, la nave va.

sabato 21 gennaio 2017

ricordo di Bruno Amoroso

Il drago, l’immondizia e Monte dei Paschi - Bruno Amoroso 

(23 febbraio 2013)

«Dobbiamo dire un grazie a studi come quelli di Ascheri, perché ci aiutano a capire cosa è successo e cosa succede, sia nell’economia che nella politica. Questo è necessario perché politica ed economia sono come due iceberg.
Degli iceberg noi vediamo, si e no, 1/3, i 2/3 sono sott’acqua —non andate mai a sbattere contro un iceberg, anche se vi sembra piccolo, perché quello che c’è sotto è un continente, che si trascina.
Il punto è quindi riuscire a vedere meglio cos’è la politica e cos’è l’economia. Cosa che non avviene nei dibattiti economici e politici, perché nei dibattiti economici gli economisti litigano su ciò che si vede, che è relativamente insignificante rispetto al potere di questo iceberg.
Questo avviene anche nella politica, ormai, diventata sempre meno visibile e trasparente, in cui tutti i processi sono processi inutili. Cosa apprendiamo da studi come quello di Ascheri, anzitutto sull’economia? Io ho due osservazioni.
Sul piano dell’economia, si sapeva tutto, tra l’altro certi economisti avevano detto ciò che si stava manifestando. In pochi anni, in pochi decenni, il rapporto tra economia reale espressa in valori ed economia finanziaria è diventato non più confrontabile, ovvero c’è una massa monetaria in giro per il mondo ottenuta grazie alla globalizzazione, quindi ai famosi processi di liberalizzazione e privatizzazione, che ha creato una montagna finanziaria che oggi domina l’economia e non solo.
Questo naturalmente ha una storia: tu parti da Nixon e arrivi ad Obama, ma in parallelo quello che è successo negli Stati uniti è successo in tutta Europa, è successo anche in Italia. E quello che è successo è semplice: l’economia finanziaria ha prodotto sempre di più prodotti finanziari che gli economisti, con terminologia tecnica, nella letteratura economica, chiamano titoli spazzatura. Ce ne sono vari tipi, ci sono i cosiddetti titoli ninja, creati per suicidarsi, coinvolgendo chi li detiene stabilmente in cose strambe. Ci sono anche i titoli al neutrone, come sapete la bomba al neutrone è quella che ammazza le persone ma non distrugge gli edifici. Ebbene ci sono anche i titoli al neutrone, che hanno fatto fallire i possessori di casa, a partire dagli Stati Uniti, per arrivare a noi; essi hanno quest’effetto, che distruggono l’economia delle persone, ma lasciano intatti gli immobili di cui poi le banche si appropriano.
Insomma, da un lato c’è questa economia finanziaria che ha preso il potere economico e poi vedremo quello politico. Questa storia ha anche una storia in Italia, perché a partire dal ‘71 negli Usa si riforma il sistema delle banche, in sostanza si apre alle banche d’affari. Negli anni ‘90 c’è la riforma di Clinton che liberalizza i mercati finanziari che possono creare i famosi titoli spazzatura. Quella legislazione, e sono cose che sono scritte nei libri di economia, viene di sana pianta importata in Italia.
In Italia inizia negli anni ‘90, in cui un signore che lavorava alla Banca mondiale (dal 1984 al 1990) improvvisamente, nel 1991 diventa direttore generale al tesoro italiano. Questo signore si chiama Mario Draghi. Negli anni ’90 Draghi promuove la privatizzazione di tutte le banche italiane, nascono così le grandi banche d’affari come Bancaintesa, Unicredit, e Monte dei Paschi di Siena.
Sono queste le banche che sono state veicolo dei titoli spazzatura. E chi scelse Draghi come consulenti per promuovere il processo di privatizzazione? Goldman Sachs, la Lehman Brothers e la svizzera UBS. Draghi, quando finisce questo decennio da “servitore dello Stato” ha quindi tutti i dati sensibili in mano, conosce tutto sul nostro sistema bancario che lui ha creato. E cosa fa? Va a lavorare senza colpo ferire, dal 2002 al 2005, alla Goldman Sachs, lui diventa il manager della Goldman Sachs per l’Europa, nel silenzio totale di tutti, dei politici, destra, sinistra, degli istituti di controllo.
E poi dove va? Voi penserete, aveva ormai guadagnato abbastanza se ne sarà andato in pensione. No! Nel 2006 diventa Governatore della Banca d’Italia e questa è l’istituto di sorveglianza di tutto il sistema del credito. Lui ovviamente non si accorge che in quegli anni, attraverso la Goldmann Sachs, sono arrivate valanghe di titoli spazzatura nelle banche italiane. Però lui, il “sorvegliatore”, non lo sa.
Quando scoppiò la crisi finanziaria nel 2008, lui “non sapeva niente”, infatti fece la relazione sull’anno 2009, una relazione come governatore alla Banca d’Italia, e disse che sì, che la crisi finanziaria aveva tolto all’Italia 5 punti di Pil. Questo dichiarò come Governatore della Banca d’Italia. 5 punti di pil, pensate, per l’Italia, che veniva da una crescita tra le più alte d’Europa, fu un vero crollo.
Quindi cosa propose di fare? Immaginerete, congeliamo subito tutti i superprofitti alle banche, congeliamo tutti i bonus dei dirigenti bancari, sequestriamo tutti i titoli cercando di identificare tutte le banche che sono piene di questi titoli spazzatura, così poi facciamo una richiesta al governo degli Stati Uniti ed instauriamo un processo per recuperare questi crediti che tra l’altro erano stati garantiti dallo stato statunitense, cosa che alcuni hanno fatto e che si
può fare.
No. Lui disse, siccome ci hanno rubato 5 punti di Pil, dobbiamo riformare il mercato del lavoro, dobbiamo tagliare pensioni e sanità, dobbiamo riformare la scuola. Ma che c’entra? L’hanno buttata in barzelletta politica, coinvolgendo in questo tutte le strutture, istituzioni.
Tra l’altro, come voi sapete, nel maggio 2011 Draghi va alla Banca Centrale Europea e cosa fa? Comincia a riacquistare, anche dalle banche italiane, i titoli spazzatura in cambio di denaro contante. Quindi lui sta facendo un riciclaggio e con lui il sistema finanziario sta facendo il riciclaggio dei titoli spazzatura che la Goldman Sachs ha esportato in Europa e anche in Italia e che noi oggi paghiamo per riciclarli così che poi nessuno riesca neanche più ad identificarli. Questo è quello che è avvenuto, il caso qui in esame, quello del Mps, è solo un esempio, ma badate bene che in tutte le banche italiane ci sono queste bombe ad orologeria. E qui passo per brevità alla seconda questione, alla sfera politica.
Io sapete sono danese, vengo in Italia spesso, sono di origini romane, non italiane. Quello che a me sorprende è che in Italia non ci si chiede come mai nel corso degli ultimi 15-20 anni sono stati rovesciati fiumi di denaro sulla politica. C’è una ragione, perché poi, questi fiumi di denaro dati ai politici e alla politica, non è che sono venuti di nascosto, erano trasparenti, sono stati fatti attraverso le leggi, regolamenti, e nessuno è intervenuto, non è intervenuto il capo dello stato, non sono intervenuti la Ragioneria, la Corte dei conti, nessuno è intervenuto, perché è stato fatto? E’ stato fatto perché i politici non vedessero, non sentissero, non parlassero. In questo modo è stato acquisito un consenso, anche per questo in questi 20 anni sono state fatte le cose più ignobili.
E oggi, per concludere su questo, cosa vediamo noi? Vediamo che mentre queste bombe ad orologeria scoppiano, i politici tacciono, non fanno nulla. Perché? Perché i corruttori sanno bene dove stanno i soldi che loro hanno dato ai corrotti, ed ecco che inizia il gioco sporco. La Lega rompe le scatole, fa i capricci perché non vuole più sostenere il governo della finanza? La decapitano. Nel momento in cui un personaggio, a me non simpatico, tra l’altro di destra, come Di Pietro, comincia a fare i capricci, che fanno? Lo mettono sulla graticola.
Nel momento in cui il Pd ha qualche dubbio amletico, anche se ormai è un po’ tardi, credo, e pronuncia qualche parola in difesa degli interessi dei cittadini, dei lavoratori, degli imprenditori, e così via, lo bastonano e gli dicono: “state attenti, perché altrimenti…”. Abbiamo una politica che non solo istituzionalmente è dipendente dalla Banca Centrale Europea, che poi è la finanza statunitense, ma abbiamo una situazione in cui la politica è sotto ricatto perché è stata corrotta attraverso un processo sistematico.
Questo è quanto ho scritto, ma certe analisi sono state fatte anche negli Stati uniti che rivelano che si è creato un sistema di potere collusivo, fatto di ricatti, di pressioni —un sistema che ci fa capire anche la vicenda Finmeccanica. Un paese che si butta nell’industria di guerra è chiaro che entra nei meccanismi più perversi della corruzione, però certe magagne vengono fuori nel momento in cui bisogna dare dei segnali forti, perché il governo della finanza altrimenti non vince le elezioni, questo è il caso italiano, ma questo avviene dappertutto.
Per questo, la lettura di esempi così specifici come quello del Monte dei Paschi di Siena sono utili: aiutano a capire questi meccanismi, ci aiutano a capire come funziona questo blocco di potere nuovo dominante che si è formato, i suoi aspetti più odiosi, più biechi, metodi mutuati dalla mafia. Voi sapete che la mafia iniziò la sua espansione coi palazzinari, poi col businness dell’agricoltura, poi con quello della droga. Oggi c’è la finanza e ogni volta che la mafia ha cambiato strategia che faceva? Faceva arrestare tutti quelli del vecchio gruppo dirigente. Ogni volta che è successo che hanno arrestato tutti i capi della mafia, in realtà stavano ripulendo un giro di dirigenti, perché l’arresto di Riina è la fine della mafia della droga, che segna l’inizio della mafia della finanza.
La mafia della finanza è quella che oggi sta in sella e naturalmente essa elimina i personaggi un po’ sporchi e che si ostinano a voler guadagnare in forme che non sono moderne, che non fanno più parte delle cosche vincenti del potere. Trasferite questo tipo di analisi, questo rinnovo dirigenziale delle organizzazioni criminali, a quello che sta succedendo anche nella politica italiana: è chiaro che c’è dietro un bel disegno di potere che va avanti abbastanza indisturbatamente.
Ho trattato il problema dell’euro in quel libro L’Europa oltre l’euro. Gli economisti in genere, anche di altri paesi, criticano l’euro perché dicono che non ha consistenza economica, cioè le teorie economiche dimostrano quali sono le condizioni perché si possa fare un’unità monetaria. L’euro è stato fatto non tenendo conto di tutti quei criteri base per cui si possa creare un’area monetaria omogenea che funzioni. Per questo Krugmann e molti altri hanno criticato l’euro. La moneta è uno strumento dell’economia, non è l’economia, quindi intestardirsi, insistere su un meccanismo che chiaramente non sta funzionando, rischia, e questo è l’aspetto doloroso, di minacciare e distruggere lo stesso progetto europeo.
Dal momento dell’introduzione dell’euro fatta in modo così forzato, che è successo? Già l’introduzione dell’euro ha diviso l’Europa, volevamo un’Europa più larga, ma che crescesse insieme. Come sapete, quando si è fatto l’euro, dentro ci sono 17 paesi, ma 10 stanno fuori e questi non sono i più balordi, stanno fuori paesi importanti come la Gran Bretagna, ma anche paesi piccoli e molto efficienti e importanti per l’Europa, come la Danimarca e la Svezia. Quindi la prima cosa che ha fatto l’euro, ha spaccato l’Europa in due, per imporre un’accelerazione che badate bene, non era necessaria. Perché? Esisteva una cooperazione monetaria. Come sapete, dopo la fine dell’aggancio al dollaro, nel ’71, non è che i paesi europei si sono messi a fare la guerra tra loro, ma fecero prima una cooperazione monetaria, il Serpente Monetario Europeo, che naturalmente rivelò punti di forza, ma anche dei difetti. Tanto è vero che successivamente, dopo circa dieci anni, si migliorò il sistema e venne il Sistema Monetario Europeo, cosiddetto Serpente 2, e si cercò di perfezionare questi meccanismi di scambio monetario.
Quindi, non è che prima c’era il caos e poi è arrivato l’euro. La decisione improvvisa di introdurre l’euro prima ha spaccato l’Europa, tra chi dentro e chi fuori, e tra l’altro, queste distanze si vanno sempre più allargando. Ormai è chiaro che l’euro sta allontanando sempre più la Gran Bretagna da un progetto europeo, ma questo vale anche per i paesi Scandinavi. Non solo, i 17 paesi dell’euro zona hanno creato un’ulteriore divisione dentro la zona euro perché oggi tutti sanno che sono spaccati tra una zona nord e una zona sud. Perché non esiste nessun meccanismo che consente di trovare un equilibrio tra queste situazioni. Immaginate non dico l’Unione Europea, ma solo l’eurozona. Con la moneta si è preteso di creare una sorta di Stato Europeo. Questa era l’idea. Ora, l’idea che si può fare uno Stato senza uno Stato fa un po’ sorridere. L’idea che 17 paesi possano essere governati da una banca è un’idea da ospedale psichiatrico. E’ come se in Italia dicessimo: togliamo tutto, Parlamento e governo, basta la Banca d’Itali Questo è ciò che è stato fatto a livello europeo. (…) Insistere su questa strada rischia seriamente di portare alla rovina lo stesso progetto europeo e badate bene che non abbiamo molto tempo.
Siamo andati a sbattere con l’euro contro l’iceberg. Le previsioni mie e non solo mie — da qui ad uno due anni e non a dieci — sono due: che se non si cambia rotta rapidamente ci sono due scenari possibili, uno, quello più probabile e più terrificante, è l’implosione dell’Europa come la Jugoslavia. Questo è lo scenario che molti economisti danno per scontato, se non si inverte rotta.
Lo scenario alternativo è quello di una soluzione programmata, in linea con l’idea europea di cooperazione, sarebbe quello, che viene dall’esperienza europea, che io chiamo lo scenario della Cecoslovacchia. Come sapete, la Cecoslovacchia era uno stato europeo, che ad un certo punto, siccome c’erano differenze, sia di aspirazioni ma anche di strutture economiche, ha deciso di dividersi in due stati, ma non è stata fatta nessuna guerra, si sono messi d’accordo, hanno due monete diverse dentro l’Unione, tra l’altro hanno riorganizzato i rapporti.
L’idea che la zona dell’euro debba implodere, provocando situazioni di tipo jugoslavo, con l’uscita di paesi a cominciare dal sud, ed entro un anno arriverà anche a noi il problema, è una politica cieca, perché non tiene conto che questi problemi si potrebbero risolvere con un accordo in seno all’eurozona, tra nord e sud, però stabilendo meccanismi di cambio che tengano conto delle esigenze dell’economia.
Badate bene che quando l’Italia era nel Sistema Monetario Europeo ne è uscita per tre o quattro anni, perché aveva delle difficoltà economiche. Sia l’Italia che la Gran Bretagna uscirono e poi rientrarono. Non è che ci fu una guerra, non è che se noi dovessimo uscire o stabilire una nuova forma di cooperazione monetaria succede chissà che!
Le monete cambiano ogni 10-15 anni, questo lo sanno gli economisti. E’ sempre successo nella storia. Pensate che alla fine dell’800 in Europa esisteva l’unione monetaria dei paesi scandinavi. E’ esistita per circa 30 anni, poi, ad un certo punto, siccome queste economie sono cresciute in modo diverso, l’hanno sciolta, infatti voi oggi avete la corona danese, quella svedese e quella norvegese, mentre prima avevano una corona unica. Decisero intelligentemente di tornare a delle valute nazionali, ovviamente si chiamano ancora corone, c’è un aggancio privilegiato, però son tornate ad auto-governarsi.
La stessa cosa vale anche per noi, perché l’Italia ha fatto parte a fine ‘800, per circa 30 anni, di quello che si chiamava Sistema Monetario Latino, con il Belgio, la Svizzera, e la Francia. E’ stato sciolto dopo 30 o 40 anni, oggi infatti avete franco svizzero, franco francese e belga, l’Italia aveva mantenuto la lira ma stando dentro il sistema del franco.
Voglio dire, le scelte monetarie sono strumentali, non sono dogmi, la moneta non è un dogma, simboli sono invece la cultura, lo stato, la nazione. La moneta, come noi sappiamo nell’esperienza familiare, è uno strumento, deve servire i nostri progetti, non viceversa».