domenica 30 giugno 2013

Lettera sulla morte del Che - Julio Cortázar

Lettera a Roberto Fernández Retamar
Sulla morte del “Che” Guevara
Parigi, 29 Ottobre 1967
Miei carissimi Roberto, Adelaida:
Ieri notte sono tornato a Parigi da Algeri. Solo ora, a casa mia, sono capace di scrivervi coerentemente; laggiù, in un mondo dove contava solo il lavoro, ho lasciato trascorrere i giorni come in un incubo, comprando giornali su giornali, senza volermi convincere, nel vedere quelle foto che tutti abbiamo visto, nel leggere le stesse notizie e nell’entrare, ora dopo ora, nella più dure delle realtà da accettare.
E’ stato allora che mi è arrivato il tuo messaggio per telefono, Roberto, e mi sono dedicato a questo testo che avresti già dovuto ricevere e che ti invio nuovamente perché tu possa trovare il tempo di vederlo un’altra volta prima che venga stampato, poiché so quali sono i meccanismi del telex e quello che accade con le parole e con le frasi.
Voglio dirti questo: non sono capace di scrivere quando qualcosa mi ferisce tanto, non sono, non sarò mai lo scrittore professionale pronto a produrre quello che ci si aspetta da lui, quello che gli viene richiesto o quello che lui chiede disperatamente a se stesso. La verità è che la scrittura, oggi e di fronte a ciò, mi sembra la più banale delle arti, una specie di rifugio, quasi di dissimulazione, la sostituzione dell’insostituibile.
Il Che è morto e a me non resta altro che il silenzio, chissà fino a quando; se ti ho inviato questo testo è stato perché eri tu che me lo chiedevi, e perché so quanto amavi il Che e quello che lui significava per te. Qui a Parigi ho trovato un telegramma di Lisandro Otero che mi chiede centocinquanta parole per Cuba. Così, centocinquanta parole, come se uno potesse toglierle dal portafoglio come monete. Non credo di poterle scrivere, sono vuoto e arido, e cadrei nella retorica. E questo no, soprattutto questo. Lisandro perdonerà il mio silenzio, o lo prenderà male, non mi importa; in ogni caso tu sai quello che provo. Vedi, laggiù ad Algeri, circondato da imbecilli burocrati, in un ufficio dove si andava avanti sempre con la stessa routine, mi sono rinchiuso ,una e molte altre volte, nel bagno per piangere; si doveva stare in un bagno, capisci, per restare solo, per potersi sfogare senza violare le sacrosante regole del buon vivere di una organizzazione internazionale. Persino tutto quello che ti sto raccontando mi fa vergognare perché parlo di me stesso, l’eterna prima persona del singolare, e in cambio mi sento incapace di dire qualcosa di lui. Allora sto zitto.
Hai ricevuto, spero, il telegramma che ti ho inviato prima del tuo messaggio. Era il mio unico modo per abbracciare te ed Adelaida, e tutti gli amici della Casa. E questo è per te, l’unica cosa che sono stato capace di scrivere in queste prime ore, questo che è nato come un poema e che desidero che tu tenga e che conservi affinché ci faccia sentire più vicini.


Che
Io avevo un fratello
Non siamo mai vissuti vicini ma
Non ha importanza.

Io avevo un fratello
Che vagava per i monti
Mentre io dormivo.
Gli ho voluto bene a modo mio,
ho interpretato la sua voce
libera come l’acqua,
ho camminato volta volta
vicino la sua ombra.
Non ci siamo mai visti
Ma non aveva importanza,
mio fratello sveglio
mentre io dormivo,
mio fratello che mi indicava
nella notte
la sua stella eletta.

Ci riscriveremo. Un grande abbraccio ad Adelaida. Per sempre.
Julio.


traffico e pedoni a Tokyo

sabato 29 giugno 2013

sincronizziamo gli orologi



...Alle 11, infatti, gli artificieri arrivarono in via Caetani per controllare che l'R4 non fosse una trappola esplosiva. Fu Raso il primo ad entrare nella macchina ed a trovare sotto la coperta il corpo di Moro. Poco dopo arrivò anche Francesco Cossiga, che finora si sapeva essere giunto in via Caetani solo poco prima delle 14 e quando Raso,sceso dalla macchina, comunicò che dentro il bagagliaio c'era Moro, non vi fu alcuna reazione da parte Cossiga e da chi lo circondava. "Sembrava che sapessero già tutto",dice Raso. Dal Maresciallo Giovanni Circhetta l'altra novità: sul sedile anteriore della R4 c'era una lettera. Circhetta è sicuro e si chiede che fine abbia fatto.
In un suo recente libro ("La bomba umana") Raso aveva lasciato indeterminata la questione degli orari che ora chiarisce dopo 35 anni. La questione è rilevante perchè la telefonata delle Br (Morucci e Faranda) che avvertiva dell'uomo chiuso nel bagagliaio della macchina è delle 12.13. Non solo: Francesco Cossiga e un certo numero di alti funzionari assistettero, ben prima delle famose riprese di Gbr che sono state girate a cavallo delle 14, alla prima identificazione del corpo fatta proprio da Raso...
da qui


ricordo di Margherita Hack



Credo che uccidere qualsiasi creatura vivente, sia un po' come uccidere noi stessi e non vedo differenze tra il dolore di un animale e quello di un essere umano.     

Dal punto di vista etico è straziante pensare a quali sofferenze sono sottoposti questi animali, vere macchine da carne,  allevati per ingrassare rapidamente, per riprodursi rapidamente in condizioni di sovraffollamento, per soddisfare la gola dell'animale uomo che si crede padrone di tutte le altre specie, quando invece è possibilissimo vivere senza carne, come la sottoscritta, vegetariana fin dalla nascita.

venerdì 28 giugno 2013

Le prove dell’occupazione – Amira Hass

Di recente un giudice in pensione ha scritto in un rapporto che la Cisgiordania non può essere definita un territorio occupato. Ecco una lista di argomenti che descrive bene questa non occupazione.
1. Attacchi dei coloni: negli ultimi mesi c’è stata un’escalation costante. Pestaggi, colpi di pistola, incendi di campi, alberi sradicati, sconfinamenti, graffiti offensivi.
2. Ad aprile cinque abitanti di un villaggio a est di Nablus sono stati attaccati dai coloni. Quando hanno reagito sono stati arrestati dall’esercito israeliano.
3. A giugno tre israeliani armati sono stati fermati dalla polizia per aver sabotato la conduttura che porta l’acqua ai beduini a nordest di Gerusalemme. Finora però non è stato incriminato nessuno.
4. Gli ordini di demolizione con cui le autorità mantengono il 62 per cento della Cisgiordania (area C) sgombra dai palestinesi.
5. Il governo ha ordinato di demolire otto villaggi per far posto a nuove zone di addestramento militare.
6. Ogni estate le forniture d’acqua per centinaia di migliaia di palestinesi sono insufficienti.
7. Alcuni diplomatici dell’Ue mi hanno detto: “Il nostro sostegno finanziario all’Autorità Nazionale Palestinese dipende dalla soluzione dei due stati, che non può esistere senza l’area C; Israele punta all’annessione dell’area C; ma allora perché continuiamo a pagare?”. Nonostante questo, l’Unione vuole rafforzare i suoi legami commerciali con Israele.
Traduzione di Andrea Sparacino
Internazionale, numero 960, 3 agosto 2012

L'isola in via degli uccelli – Uri Orlev

assomiglia un po' alla storia del pianista Szpilman resa famosa dal film di Polanski, mutatis mutandis, è un bel libro che non si dimentica - franz




Polonia. Ghetto di Varsavia. Prelevato dalle SS il padre e scomparsa nel nulla la madre, Alex, undici anni, si trova drammaticamente solo nel suo precario rifugio, un edificio diroccato colpito da una bomba all'inizio della guerra. E questo suo rifugio, un nido inaccessibile tra i tetti del ghetto, non è così diverso dall'isola deserta di Robinson Crusoe.
Il ragazzo non ha altre risorse che la propria energia e il proprio ingegno per sopravvivere, per affrontare la paura, le lunghe notti invernali, il freddo, la fame. E' solo, e ha davanti a sé un mondo terrificante. Ma è un bambino. E ha il coraggio e la straordinaria forza vitale dell'infanzia, perciò una visione del mondo che, anche in mezzo alla tragedia dell'Olocausto, non può fare a meno di contemplare il gioco…

Alex, ragazzo undicenne polacco, vive nel ghetto ebraico in compagnia del padre Stefan e del prozio Boruch. Il ghetto è separato da un muro dalla città "normale" ed è soggetto ai continui rastrellamenti selettivi da parte dei nazisti. Il padre prepara Alex ad ogni eventualità e quando anch’egli e Boruch vengono catturati gli promette che qualunque cosa accada sarebbe tornato a cercarlo. Alex riesce a fuggire ed incomincia la sua avventura per la sopravvivenza nell’"isola" di Via degli Uccelli semidistrutta e ormai quasi deserta..



La pubblicazione di questo romanzo in Italia, a distanza di una dozzina d'anni dalla prima edizione in Israele, si inserisce in una tendenza, oggi molto forte anche nella nostra letteratura per l'infanzia, al recupero della memoria storica attraverso la narrativa come elemento fondamentale di formazione civile. L'autore, Uri Orlev, ebreo polacco, ha vissuto tre anni nascosto con la madre e un fratellino nel ghetto di Varsavia, dal '39 al '41, prima di essere deportato a Bergen-Belsen. Tale esperienza è stata raccontata, ma reinventata e filtrata attraverso una classica narrazione d'avventure che prende a suo modello dichiarato il "Robinson Crusoe". La separazione dai genitori equivale al naufragio, la casa in rovina in via degli Uccelli è l'isola su cui il naufrago costruisce e fortifica il suo rifugio, il muro che separa dal quartiere polacco è l'oceano che divide dalle terre abitate, al posto di Venerdì c'è un topolino bianco, nazisti, traditori e delatori ebrei, spie e poliziotti polacchi, sciacalli di tutte le risme sono le bestie feroci. Il protagonista undicenne, Alex, vive l'avventura nascondendosi tra le macerie, prendendo dalle case abbandonate ciò che gli serve, come Robinson dai relitti di navi sospinte sulla spiaggia, difendendo il suo rifugio, partecipando alla rivolta del ghetto, aiutando i ribelli uccidendo un soldato tedesco, sognando pure lui Erez Yisra'el, la patria in Palestina. Ma è anche un bambino che gioca a pallone con i coetanei polacchi al di là del muro, ha un idillio con una ragazzina, parla con il topolino Nevex legge libri e quando trova una cesta di giocattoli per un po' si dimentica completamente dov'è e si mette a giocare. Alla fine la lunga attesa, la resistenza durata cinque mesi, nei quali Orlev ha condensato i tre anni trascorsi realmente nascosto nel ghetto, è premiata con il ritorno del padre, lieto fine e finzione felice indispensabili per rendere sopportabile a un lettore di 11-14 anni l'angoscia di una narrazione che non fa mai dimenticare l'orrenda verità che c'è dietro lo scintillio dell'avventura.

Le soluzioni più ottimali alle problematiche dei problemi - Michele Cortelazzo

…Spero proprio che i firmatari, il dottor Francesco de Sanctis e l'anonimo assessore che credo di aver individuato nella dott. Marina Lazzati, non abbiano letto la lettera prima di concedere la firma, ma abbiano autorizzato ad inserire in calce il loro nome dopo aver concordato con i funzionari il contenuto della circolare, ma non la sua forma.
Infatti, se il merito è discutibile (ma comunque incluso nell'ambito delle scelte politico-gestionali di dirigenti e assessori), la forma è un vero e proprio disastro.
Una volta tanto le caratteristiche del burocratese finiscono in secondo piano. Non che la circolare sia un esempio di buona scrittura amministrativa, ci mancherebbe. Classica la reticenza consentita dall'uso del passivo nella frase «sono previste per il prossimo anno scolastico ulteriori forti diminuzioni di spesa». Ha fatto benissimo Annamaria testa a commentare: «Ah, eccola, la magnifica forma impersonale burocratica. Previste da chi?». Già, previste da chi, dal Padre eterno, dal destino cinico e baro, dal governo? Ma classica anche la totale corrispondenza tra frase e capoverso, in base alla quale si va a capo alla fine di ogni pensierino (scusate, alla fine di ogni frase. Però mi sono venuti prepotentemente alla mente i pensierini che facevo alle elementari: finito uno, si andava a capo a creare quello successivo).
Ma a colpire sono soprattutto i veri e propri errori di grammatica, del tutto inattesi in una circolare scritta da un'istituzione che si occupa di scuola e indirizzata a chi si occupa di scuola.
Facciamo la lista.
1. «Per questo motivo, in pieno accordo con l’Assessorato all’Istruzione della Regione Lombardia e con la Direzione Scolastica Regionale che firma congiuntamente questa nota ...»: qui non capisco proprio. Chi firma congiuntamente con chi? Né l’Assessorato all’Istruzione della Regione Lombardia né la Direzione Scolastica Regionale firma la lettera. Ma se la firmassero, per l'appunto, la firmano, al plurale. Ma se la Direzione Scolastica Regionale è, in realtà, l'Ufficio Scolastico Regionale, allora sì che firma congiuntamente, e va bene al singolare, ma bisogna dire che firma la nota congiuntamente con qualche altra istituzione, cioè, nel caso specifico, con l'Assessorato provinciale. Insomma, l'errore c'è. L'unico dubbio è se si tratta di un errore di accordo (firma invece di firmare) o di valenza (firma congiuntamente, ma non si dice conchi).
2. «Tale possibilità sarebbe opportunamente consentita dalla riorganizzazione degli orari effettuata dalla recente riforma degli ordinamenti delle Superiori che portano ad un impegno massimo settimanale di 32 ore limitato a pochi corsi di studio e nella generalità dei casi in un arco di 27-30 ore». Anche qui, l'accordo non funziona. Chi è il soggetto di portano? La riorganizzazione degli orari? È singolare. La riforma degli ordinamenti? È ancora singolare. Gli ordinamenti? Non funziona proprio come antecedente del che. Insomma, secondo errore
3. Nello stesso brano: che cos'è che nella generalità dei casi è «in un arco di 27-30 ore»? L'impegno massimo settimanale di 32 ore? Qui o non funziona la sintassi o non funziona l'aritmetica. Non c'è che da scegliere l'errore.

4. «Tale problematica investe pesantemente il problema del riscaldamento». Accidenti! Le problematiche che investono i problemi. A una genialata del genere credo che non fosse mai arrivato nessuno!

5. Tale decisione consentirebbe [...] una più ottimale organizzazione del lavoro del personale ATA». Magnifico questo superlativo di un aggettivo che ha nella sua radice un superlativo. L'errore più pessimo di tutti. (Ops, a forza di leggere questo testo non domino più neanch'io la grammatica dell'italiano).

Insomma, cinque errori cinque in 19 righe. Credo un record mondiale. Complimenti: ci vuole molta applicazione per giungere a questo risultato…

giovedì 27 giugno 2013

dice Eduardo Galeano

Per quanto sia preoccupato, lo scoppio di indignazione in Brasile è giustificato. Nella sua sete di giustizia, è simile ad altre proteste che negli ultimi anni hanno scosso diversi paesi in diverse parti del mondo.
I brasiliani, che più di chiunque altro sono fanatici del pallone, hanno deciso di non permettere più che il proprio sport venisse usato come scusa per umiliare le masse e arricchire pochi. La fiesta del calcio, una gioia per le gambe di chi gioca e per gli occhi di chi guarda, rappresenta molto di più che un grosso affare per i signori venuti dalla Svizzera. Lo sport più popolare del mondo vuole essere al servizio della sua gente. E la violenza della polizia non potrà spegnere questo fuoco.

Moacyr Barbosa

L'amara storia di un portiere paratutto passato alla storia per un solo mancato intervento, ma nella partita sbagliata: la finale di Coppa del mondo del 1950, al Maracanà, contro l'Uruguay. Da allora non è più riuscito a scrollarsi di dosso la fama di portasfortuna

Il giornalista e scrittore Darwin Pastorin sostiene che nel calcio è il portiere il ruolo più bello ed affascinante e non quello dell’attaccante che fa gol. Secondo Pastorin l’estremo difensore è una figura quasi a parte dentro lo scorrere di una partita, una creatura solitaria (come l’arbitro) per questo infinitamente poetica. E per questo portatrice, a volte, di storie belle e pure infinitamente amare. Come quella di Moacyr Barbosa, il portiere (nero) della nazionale brasiliana degli anni cinquanta, che parava l’imparabile e aveva una grande abilità a neutralizzare i rigori. Purtroppo, il nome di Barbosa non è rimasto associato alle infinite prodezze, alla capacità di bloccare la palla con una mano sulle giocate aeree, ma ad una sola défaillance commessa in quella (maledetta) finale della Coppa del Mondo tra Brasile e Uruguay, giocata il 16 luglio del 1950 nel mitico Maracanà di Rio de Janiero, davanti a centoventimila spettatori.
La nazionale giallo-oro sulla carta partiva nettamente favorita, i tifosi brasiliani già prima della partita sentivano la Coppa Rimet tra le mani dei loro beniamini, aspettavano solo la fine delle ostilità per festeggiare il trionfo ed ubriacarsi di gioia. Ma a chiusura dei novanta minuti un sogno si infranse e da quel momento in poi Barbosa divenne l’eroe negativo, il capo espiatorio di una sconfitta che passerà alla storia del calcio mondiale di tutti i tempi. A pochi minuti dal fischio finale il parziale dell’incontro era sull’ 1-1, ma all’improvviso un giocatore dell’Uruguay, Ghiggia, sferrò un siluro dal limite dell’aria che Barbosa, nonostante avesse toccato la sfera con le dita della mano, non riuscì ad evitare che finisse in rete. L’Uruguay a sorpresa, contro tutti i pronostici divenne campione del mondo e tutto il Brasile cadde nello sconforto e in un silenzio tombale (tant’è che molti saranno i suicidi), mentre al povero Moacir toccò l’infamia del traditore della patria. Gli incollarono addosso fino al giorno della morte (avvenuta il 31 marzo del 2000 all’età di settantanove anni) il marchio della scarogna. “State alla larga da lui, porta sfortuna” dicevano quando lo incontravano per strada, e lui incassava zittito l’ingiuria, ma soffocava di rabbia, ma voleva pure che i suoi connazionali si ricordassero che in quel campionato del mondo fu pure riconosciuto il numero uno tra i numeri uno. L’umiliazione più grande il povero Barbosa la subì quella volta che gli fu vietato di andare a salutare i giocatori della nazionale del Brasile prima di partire per un mondiale. Dissero ancora una volta “porta iella”. Ma quella volta lui trovò la forza di pronunciare qualche parola in sua difesa: “In Brasile la pena massima per un delitto è trent’anni di galera, Ed io da più di trent’anni sto pagando per un delitto che non ho commesso”. Un numero uno poeta è stato Moacir Barbosa Nascimento…

Carlos Latuff sul Brasile, e non solo








mercoledì 26 giugno 2013

Chappatte lo vede così



immagini brasiliane - Michel de Souza

L’odissea dei beduini - Amira Hass

Con l’aiuto dei genitori, i miei giovani amici in Brasile hanno comprato un pezzo di terra sulle montagne. Costruire una casa lassù ha un costo accettabile. La terra è selvaggia e non è mai stata coltivata. Alla fine dell’estate, quando in città si soffoca, quel pezzo di terra diventa un rifugio incantevole.
Lungo la strada che porta alla proprietà ci sono molte baracche, piene di bambini indigeni vestiti di stracci. È una storia vecchia di secoli: una famiglia arrivata cent’anni fa dall’Europa ha comprato la terra dagli eredi di qualche nobile portoghese che l’ha avuta 400 anni fa grazie ai suoi titoli. Gli abitanti originari della terra, invece, sono ormai quasi scomparsi (padre Vilson mi ha raccontato che in Brasile sono morti sei milioni di indigeni). I superstiti non possono permettersi una casa, figuriamoci un pezzo di terra.
Questa settimana ho visitato un luogo a est di Gerusalemme in cui 15 anni fa Israele ha “ricollocato” forzatamente 150 famiglie beduine della tribù jahalin. Certo, la sopravvivenza dei beduini non è in pericolo, ma le loro tradizioni e la loro dignità sì. Dopo essere stati espulsi da Israele, i beduini sono stati costretti a trasferirsi molte volte. Una ricerca dell’ong israeliana Bimkom e dell’Onu ha stabilito che il ricollocamento dei jahalin (vicino a una discarica e senza servizi adeguati né spazio per il bestiame) è stata un disastro.
A poche centinaia di metri di distanza, le case e le strade ordinate degli insediamenti di Ma’ale Adumim e Kedar risplendono al sole.

Einstein, il Miur e la problematica - Annamaria Testa

Tanto vale ammetterlo. L’attitudine a risolvere problemi – anzi, ad affrontare correttamente problemi, intercettandone cause, natura e implicazioni per risolverli poi in modo efficace – non fa parte del nostro dna nazionale.
Un esempio recente è stata la circolare scritta dal Miur, il ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, insieme a provincia di Milano, assessorato all’istruzione e all’edilizia scolastica della regione Lombardia e Ufficio scolastico regionale. E poffarbacco: sono tre enti autorevoli, guidati da persone competenti, intelligenti e accurate. No?
Il problema sollevato della circolare è semplice: mancano i soldi necessari a comprare il gasolio per riscaldare le scuole. La soluzione è altrettanto semplice: passiamo da sei giorni di scuola a cinque, anche per le superiori. E voi che ne dite, care istituzioni scolastiche?
Ma tra problema e soluzione ci sono diciannove righe di argomenti sconclusionati (compreso un “in questo modo ci mettiamo in linea con i principali stati europei”. Già, grazie alla penuria di gasolio), espressi in un italiano discutibile.
Per esempio, si parla di una “problematica che investe il problema” (e povero problema, chissà se stava camminando sulle strisce) e dell’esigenza di raggiungere una “più ottimale” organizzazione: super-superlativa, insomma.
Se volete leggere l’intero testo e qualche ulteriore commento acido trovate tutto qui.
Se volete proprio farvi del male e andare a pesca di tutti gli altri errori di grammatica, eccovi il commento di Michele Cortelazzo. Se invece vi viene in mente il Nanni Moretti che sbotta “chi parla male pensa male”, be’, come darvi torto?
Della propensione italiana a risolvere problemi per scorciatoie e vie traverse abbiamo già parlato in questo post. E, poffarbacco, lo ripeto: la capacità dei nostri studenti nel problem solving, così come l’ha rilevata Ocse Pisa, è una delle più basse d’Europa. Ma, aggiungo: se le istituzioni scolastiche per prime pensano, e parlano, in maniera sgangherata, c’è poco da sperare che gli studenti facciano di meglio, se non grazie a qualche intrepido prof.
È Forbes, in un articolo di qualche tempo fa, a ricordare un magnifico detto di Albert Einstein: “If I had an hour to solve a problem I’d spend 55 minutes thinking about the problem and five minutes thinking about solutions”.
Ma per esaminare un problema ci vogliono determinazione, metodo, parole chiare e pensieri limpidi. Se il problema si trasforma in una problematica del problema, la sfida è già persa prima ancora di aver cominciato ad affrontarla.

qualcuno si ricorda cosa significa egemonia

A Torino ci pensa la Fondazione San Paolo, che si rifà alla banca (fusa con Intesa) ma s'ispira ai religiosi paolini. Provvedono loro a mandare i ragazzi, soprattutto quelli delle famiglie più affannate, al centro estivo. La privatizzazione italiana, che da sei anni si affianca all'austerità obbligata, ha tolto di mezzo un altro monumento delle nostre abitudini: le colonie pubbliche, in particolare quelle organizzate dalle scuole dell'infanzia e dalle elementari di potestà comunale. I comuni non ce la fanno più e dopo mense, scuolabus, asili nido hanno anche definanziato i centri estivi, che con le lezioni appena concluse stanno diventando il prossimo pensiero dei genitori italiani ancora al lavoro. 

Torino, dicevamo. Il costo di Estate ragazzi - i centri estivi post-scolastici - è di un milione e 200 mila euro. Settecentomila ce li mette la Fondazione San Paolo, che, tra l'altro, è presieduta dall'ex sindaco Sergio Chiamparino. Il resto, ormai quota minoritaria, il municipio. I comuni si ritirano. Genova, per dire, non mette un euro a bilancio alla voce "centri estivi", solo un rimborso a pie' di lista per i laboratori educativi per i più grandi. Almeno cinque grandi città del Sud non prevedono nulla di pubblico sull'argomento. E allora avanzano i privati. Che in questo caso sono sempre più privati religiosi, ma anche storiche associazioni sportive come l'Uisp, ormai veri e propri oratori laici. I salesiani e i paolini, ma pure l'Unione sport popolare, cercano di tenere abbordabili i prezzi. In media, però, sono sempre il doppio di quelli garantiti dalle vecchie colonie. E i centri estivi privatizzati non prevedono per regolamento giochi e pasti gratis per i meno abbienti, quelli che il pubblico certificava con l'Isee (l'Indicatore della situazione economica equivalente) e poi offriva.

Avanzano, ancora, i centri estivi privati-privati. I camp dei club di serie A (199 euro a settimana per quello della Sampdoria, comunque trenta in meno dell'anno scorso, 245 per quello del Milan). Se si sceglie la residenza fuori città, al Milan chiedono 740 euro per sette giorni. I centri per benestanti aspiranti sportivi come il Terre di Maluk a Cozze di Monte San Vito, in provincia di Ancona, pretendono 130 euro al giorno ad aspirante, e per nove giorni fanno quasi mille a famiglia. La Federazione italiana tennis vanta i primi centri estivi privati organizzati nel paese, 40 anni fa: offre sei località italiane (Sestola, che è il centro tecnico d'élite, poi Brallo, Castel di Sangro, Serramazzoni, Tonezza del Cimone e Terrasini) dove affiancare ai rovesci con maestri di alto standard le serate in discoteca: "Un vero villaggio vacanze". Per chi manda i figli (dai sei ai sedici anni) sulla terra rossa sono tra i 570 e i 630 euro a settimana. Poi c'è il trasfertone a Nottingham, e si sale a 2.170 euro per due settimane…

martedì 25 giugno 2013

Nato d'uomo e di donna - Richard Matheson

X - Questo giorno, quando c'è stata la luce, mamma mi ha chiamato schifo. Sei uno schifo ha detto. Ho visto la rabbia nei suoi occhi. Chissà cos'è uno schifo.
Questo giorno veniva giù l'acqua dall'alto. Cadeva tutto intorno. Io l'ho vista. Il terreno di dietro l'ho guardato dalla finestrella. La terra risucchiava l'acqua come una bocca assetata. Ne ha bevuta troppa e si è sentita male e così è diventata tutta viscida e marrone. Non mi piaceva.
Mamma è bella lo so. Qui dove dormo con intorno tutti i muri freddi ho una cosa di carta che prima stava dietro la stufa. C'è scritto STELLE DEL CINEMA. Nelle fotografie ci vedo tutte facce come quelle di mamma e papà. Papà dice che sono belle. L'ha detto una volta. E anche mamma, ha detto lui. Mamma così bella e io invece così brutto.
Guardati ha detto e non aveva una buona faccia. Gli ho toccato il braccio e ho detto fa lo stesso papà. Lui ha tremato tutto e si è spostato dove non ci potevo arrivare.
Oggi mamma ha allentato un poco la catena così ho potuto guardare fuori dalla finestrella. È così che ho visto l'acqua che cadeva dall'alto.
XX - Questo giorno era tutto dorato, in alto. L'ho capito quando ho guardato sopra e mi facevano male gli occhi. E dopo che ho guardato la cantina è diventata tutta rossa.
Credo che era la chiesa. Andavano via da sopra. La grande macchina li inghiottiva e poi passava davanti e non c'era più. Nella parte di dietro c'è la piccola mamma. Lei è molto più piccola di me. E io posso guardare dalla finestrella come mi piace.
Questo giorno quando ha fatto buio mi sono mangiato il mio cibo e qualche bacarozzo. Sentivo che ridevano di sopra. Mi piace sapere perché ci sono le risate. Ho tirato la catena dal muro e me la sono girata intorno.
Ho camminato fino alle scale e facevo ciac ciac. Quando ci salgo sopra cigolano. Le gambe ci scivolano sopra perché non ci so camminare, sulle scale. I piedi si appiccicano al legno.
Sono salito su e ho aperto la porta. Era un posto bianco. Bianco come quelle cose bianche luccicanti che qualche volta vengono da sopra. Sono entrato e sono rimasto buono buono. Sentivo che ridevano ancora. Ho camminato verso il suono e mi sono messo a guardare le persone. Più persone di quanto credevo. Ho pensato che dovevo ridere con loro.
Mamma è venuta e ha spinto la porta in dentro. Mi ha colpito e mi ha fatto male. Sono caduto sul pavimento morbido e la catena ha fatto un rumore. Io ho strillato. Lei ha fatto un suono come se soffiava dentro e si è messa la mano sulla bocca. Gli occhi sono diventati grandi.
Mi ha guardato. Ho sentito papà che gridava. Che è caduto ha chiesto. Lei ha detto l'asse da stiro. Vieni e aiutami a raccoglierlo ha detto. Lui è venuto e ha detto non è pesante tanto che non ce la puoi fare da sola. Mi ha visto ed è diventato grosso. Gli è venuta la rabbia negli occhi. Mi ha picchiato. Mi è uscito un po' di liquido dal braccio, per terra. Non è stato bello. Era un verde brutto sopra il pavimento.
Papà mi ha detto di andare in cantina. Dovevo andarci. La luce mi faceva male agli occhi. In cantina non è così. Papà mi ha legato le gambe e le braccia. Mi ha messo sul letto. Sopra sentivo che ridevano mentre io me ne stavo là zitto a guardare un ragno nero che scendeva dondolando verso di me. Ho pensato a quello che aveva detto papà. Oddio ha detto. E ha appena otto anni.
XXX - Questo giorno papà ha spinto la catena nel muro, prima della luce. Io dovevo cercare di tirarla fuori ancora. Ha detto che sono stato cattivo ad andare su. Ha detto di non farlo mai più oppure mi picchia sul serio.
Quello fa male.
Io avevo male. Ho dormito tutto il giorno e ho riposato la testa contro il muro freddo. Ho pensato a quel posto bianco là sopra.
XXXX - Ho strappato la catena dal muro. Mamma stava di sopra. Ho sentito delle risatine. Ho guardato fuori dalla finestra. Ho visto tanta gente piccola come la piccola mamma e anche dei piccoli papà. Erano carini.
Facevano dei bei rumori e saltavano in giro. Le loro gambe si muovevano veloci. Sono come mamma e papà. Mamma dice che quelli bravi sono fatti come loro.
Uno dei piccoli papà mi ha visto. Ha indicato la finestra. Io ho lasciato perdere e sono scivolato addosso al muro nel buio. Mi sono arrotolato così non mi potevano vedere. Ho sentito che parlavano vicino alla finestra e un rumore di piedi. Di sopra c'era qualcuno che sbatteva la porta. Ho sentito la piccola mamma che parlava forte di sopra. Ho sentito i piedi che facevano tanto rumore e sono corso nel mio letto. Ho rimesso la catena a posto e mi sono messo a pancia in giù.
Ho sentito mamma che scendeva. Sei andato alla finestra ha detto. Sentivo la rabbia. Stai lontano dalla finestra. Hai tirato ancora la catena.
Ha preso il bastone e mi ha picchiato con quello. Io non ho pianto. Non lo so fare. Ma il liquido ha bagnato tutto il letto. Lei lo ha visto e si è piegata tutta e ha fatto un rumore. O mioddiomioddio ha detto perché hai fatto questo a me? Ho sentito il bastone che rimbalzava sul pavimento di pietra.
Lei è corsa di sopra. Ho dormito tutto il giorno.
XXXXX - Questo giorno ha fatto ancora l'acqua. Quando mamma era di sopra ho sentito quella piccola che scendeva piano i gradini. Mi sono nascosto nel cesto del carbone perché mamma si arrabbiava se la piccola mamma mi vedeva.
Aveva una piccola cosa viva con lei. Camminava sulle braccia e aveva le orecchie a punta. Lei gli diceva delle cose. Era tutto a posto, solo che la piccola cosa mi ha odorato. È corsa vicino al carbone e mi ha guardato. Aveva tutti i capelli dritti. Con la gola faceva un rumore arrabbiato. Io ho soffiato ma lei mi è saltata addosso.
Io non volevo fare male. Ho avuto paura perché mi ha morso forte più di un topo. Ho sentito male e la piccola mamma ha strillato. Ho acchiappato quella cosa viva e l'ho stretta. Faceva dei suoni che non ho mai sentito.
L'ho spinta tutta insieme. Era tutta molliccia e rossa sul carbone nero.
Me ne stavo nascosto lì quando mamma ha gridato. Avevo paura del bastone. Lei è andata via. Io sono strisciato sul carbone insieme con quella cosa. L'ho nascosta sotto il mio cuscino e poi ci ho dormito sopra. Ho rimesso ancora la catena a posto.
X - Questa è un'altra volta. Papà mi ha incatenato stretto. Sentivo dolore perché mi ha picchiato. Questa volta ho preso il bastone e gliel'ho tirato via dalla mano, e ho fatto un rumore. Lui è andato via e la sua faccia era bianca. Correva via dal mio letto e ha chiuso la porta a chiave.
Non sono tanto contento. Qui è freddo tutto il giorno. La catena esce poco dal muro. E ho una brutta rabbia contro mamma e papà. Glielo farò vedere. Farò quello che ho fatto già una volta.
Strillerò e riderò forte. Correrò sui muri. E alla fine mi metterò a testa in giù con tutte le gambe e riderò e schizzerò di verde per tutta la cantina fino a che non saranno dispiaciuti che non mi hanno trattato bene.
Se cercano di picchiarmi di nuovo gli farò male. Lo prometto.
Titolo originale: «Born of Man and Woman»
(Fantasy & Science Fiction, estate 1950)


lunedì 24 giugno 2013

Brasile, Turchia. Le rivolte che il Sistema vuole - Simone Perotti

Molti mi scrivono: “Simone, guarda cosa sta succedendo in Turchia, in Brasile… il mondo sta cambiando!” Io ho una lieve fitta allo stomaco. So che (purtroppo) non è così.
Le masse subiscono. Se alzano la testa sporadicamente è solo per un moto di ribellione temporaneo, quasi esclusivamente dettato dall’indigenza, o dalla metafora periodica che la rappresenta. Se di vera e potente ribellione si tratta, qualche potere forte farà solo finta di abbozzare, poi troverà il modo di pilotare la rivolta. I violenti saliranno sul carro, ci saranno vittime, molti si indigneranno, qualcuno esulterà. Ma non accadrà che poco, talvolta nulla, perché quelle ribellioni sono intrinseche al Sistema che ne governa i disagi. Chi si ribella non sta cambiando, non è diverso da chi esultava poco tempo fa.
Se circolasse denaro, se ci fosse la “ripresa”, se tutti fossero impegnati a lavorare e comprare, a godersi denaro e passatempi distraenti, ogni vessazione, ogni coercizione, o quasi, verrebbe tollerata. L’unica ribellione che mi farebbe sperare, è quella individuale, interiore, silenziosa e per questo temibile e tagliente. Quella dei comportamenti, delle responsabilità individuali caricate sulle nostre spalle. Il mondo cambia se gli uomini cambiano, e non il contrario.
La Storia si ripete, dunque. Almeno per quanto riguarda i grandi movimenti, i macro fenomeni sociali. E tuttavia, seppure impercettibilmente, qualcosa forse sta cambiando. Qualcosa che (naturalmente) non finisce sulle pagine della cronaca, ed è chiaro il perché: ad alcuni giornalistisembra poca cosa, una non-notizia, e ad altri invece fa paura, ne comprende il peso eversivo. Nelle migliaia di lettere e post che ricevo c’è il virgulto di una nuova umanità, di cui è bene non parlare troppo: gente che ha deciso, sotto la propria responsabilità, di smettere di lamentarsi e agire, progettare la propria nuova vita, non assoggettarsi alle regole comuni, non accettare schiavitù imposte da sistemi economici e da consuetudini che (quelle sì) ognuno può sovvertire individualmente. Persone comuni che hanno deciso di riscrivere regole adatte alla propria vita, e tentano di metterle in pratica. Sono le migliaia di coabitatori, autoproduttori, sono quelli delle transition town, del downshifting, del cambiamento, della fuga dal consumismo…

A Messina – Riccardo Orioles

Pacifisti, movimento NoPonte, artisti del Teatro Pinelli, studiosi dei Beni Comuni, preti di periferia: a Messina la società civile s’è messa insieme, ha scelto un candidato sindaco – Renato Accorinti– e l’ha portato avanti. Mesi e mesi di campagna nei quartieri: “Non vi chiediamo il voto, vi chiediamo di lottare”. E via per il prossimo volantinaggio, per il prossimo incontro per la strada.
Non c’è stato bisogno di urlare insulti, non c’è stato bisogno di nessun guru e di nessun vip.
Decisioni prese sempre tutti insieme, dall’inizio alla fine, e senza grandi leader. E hanno vinto così. Volevate sapere che cosa sono i movimenti dal basso, la famosa società civile? Eccoli: sono questi qua.
Speriamo che i politologhi, i grandi esperti dei media, i cucitori di alleanze e anche i grandi politici New Democrat e della Democracy 2.0 (nessuno dei quali s’era minimamente accorto che nella lontana Messina stesse accadendo qualcosa) adesso tengano le zampacce lontane da questa vittoria di poveri, di gente seria e perbene. Qua infatti si sta cominciando a ricostruire l’Italia, senza grandi parole, così alla buona. E’ una politica semplice, con una parole banale: “democrazia“.

venerdì 21 giugno 2013

Cristian ce l'ha fatta

Cristian nuota bene, gioca a calcetto e con i suoi tempi ha preso anche la licenza media, ora è in seconda superiore. È nato e cresciuto a Roma, 18 anni compiuti il 25 novembre, dunque è maggiorenne. Eppure non può diventare cittadino italiano, perché ha la sindrome di Down. Com’è possibile? “La prima volta me l’hanno spiegato all’anagrafe in maniera brusca – racconta Gloria Ramos, mamma di Cristian – ‘Non si faccia illusioni’, mi ha detto sgarbata una signora allo sportello, ‘non lo stabilisco io, ma la legge’. Mi ha tagliato le gambe: ho cresciuto da sola questo ragazzo convinta che a 18 anni avrebbe preso un documento, un’identità. In Colombia, il mio Paese d’origine, non sanno neanche che è nato, in Italia non lo vogliono. Che ne sarà di lui?”…

Finalmente ieri Cristian Ramos ha giurato presso l’anagrafe di Roma per il conferimento della cittadinanza italiana! Sono felice di aver preso parte a questo giuramento che è stato per tutti una grande festa. Ringraziamo il ministero dell’Interno e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per il felice esito di questa complessa vicenda che, speriamo, sia di buon auspicio per una riforma globale della legge sulla cittadinanza; di casi simili a quello di Cristian ce ne sono diversi, dobbiamo perciò lavorare per colmare i vuoti legislativi, con regole chiare che evitino umilianti discriminazioni a chi già deve sostenere battaglie quotidiane più faticose di quelle di altri…

i mondiali di calcio in pochi passaggi

attualità di Thomas Sankara

dice Thomas Sankara:
«Il debito pubblico nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista – neocoloniale, intende – dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo assoluto, di coloro i quali hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso». da qui (a partire da qui)
mutatis mutandis:
«Il debito pubblico nella sua forma attuale, controllata e dominata dal sistema finanziario, è una conquista di gran parte dell’’Europa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo assoluto, di coloro i quali hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso».

giovedì 20 giugno 2013

Lettera al ministro contro l’uso disinvolto delle armi di distrazione di massa.

Negli anni ho constatato che la durata dell’attenzione in classe è sempre più quella del tempo di un sms o di un  tweet o solo del “mi piace” o”non mi piace”.
Nei film western in certi paesetti o in certi saloon non si poteva entrare con la pistola, si lasciava allo sceriffo, e si ritirava alla partenza.
Perché non dotare tutte le scuole di armadietti personali dove lasciare, studenti, docenti e non docenti, le armi (di distrazione di massa: telefonini e qualsiasi altro apparecchio elettronico) all’ingresso e ritirarle all’uscita?
All’inizio sembrerà strano, visto che tenere un telefonino (ormai computer a tutti gli effetti) in borsa, spento, sembra più doloroso di un’amputazione senza anestesia.
Ben vengano gli studenti multi-tasking, ma solo per quelle attività previste volta per volta dal docente.
D’altronde gli alunni che fanno cucina nei corsi di ristorazione usano i coltelli, ma solo nella sala cucina.
La versione di latino copiata dal telefonino, mentre si manda un sms, guardando la pagina facebook, saranno dei grandi passi per gli spacciatori di nuove tecnologie, ma dei piccoli passi per l’umanità studentesca.
Aristotele e Platone, anche Einstein, anche il ministro Carrozza, a scuola non usavano telefonini, non mandavano sms durante le ore di lezione, non tweetavano, né aggiornavano la pagina facebook, ma studiavano uguale, e non male, visti i risultati, senza la retorica delle nuove tecnologie.
Pare che adesso i libri a scuola saranno solo in formato elettronico, non ho capito se per motivi ecologici o per migliorare i bilanci degli spacciatori di nuove tecnologie o perché il mondo va così.
Anche nel Medioevo il mondo andava in un certo modo, sono stati i monasteri, fuori dal mondo, che hanno trasmesso la cultura.
Che la scuola si adatti al mondo è uno dei dogmi del pensiero unico che ha invaso anche le migliori menti della nostra generazione, ahinoi!

anche qui


mercoledì 19 giugno 2013

Ma a che serve questo schifo di stampa? - Giuseppe Aragno

…sono mesi che dei 5 Stelle conosciamo soprattutto litigi e incongruenze ma non c’è stato un pennivendolo che si sia occupato dei 47 progetti di legge che il Movimento ha presentato. Giorni fa, nel religioso silenzio di giornali e televisioni, l’armata Brancaleone dell’italico “progressismo”, guidata da Epifani, ha scelto di astenersi persino su un emendamento voluto da Sel per consentire l’effettivo funzionamento della legge 194 e permettere alle donne italiane di abortire senza ricorrere a sciamani e cucchiai d’oro. Sarà che per il PD, nato male e peggio cresciuto, anche solo far cenno all'aborto è come parlare di funerali in casa di un moribondo, sta di fatto che assieme ai Cinque Stelle hanno votato quelli di Berlusconi. Poiché Scalfari e tutti i suoi democratici camerati erano impegnati nelle immancabili interviste ai due disastri della nostra vita politica – il vecchio Napolitano e il giovane Renzi – il silenzio è caduto sulla vergogna infinita.
Parliamoci chiaro: Grillo non convince, può non piacere, è un’occasione persa o un tragicomico bluff. Ognuno la pensi come vuole. Nella tragedia italiana, però, le responsabilità sue e dei deputati del suo Movimento sono di fatto pari a zero. I killer della nostra democrazia vanno ricercati tutti nel mercato zoologico e ortofrutticolo che tiene banco a centrosinistra dall’ormai lontana sparizione del PCI e della DC. E’ lì che bisogna cercare,partendo dall’ambigua Quercia, giungendo all’Asinello e fermandosi all’Ulivo e a quel Giorgio Napolitano, che di quest’opera buffa è stato ed è il funambolico protagonista dai primi anni Cinquanta ad oggi; è lui, infatti, Napolitano, non Grillo che ha incarnato il ruolo del trasformista, passando con inimitabile disinvoltura dall’ortodossia bolscevica a quella capitalista.

la meglio gioventù in Turchia



Il silenzio è la lezione turca di democrazia che va in scena in queste ore. Di fronte alla violenza della polizia e all’evidente imbarazzo del governo Erdogan, ragazzi, artisti, gente di Istanbul e Ankara o Smirne rispondono fermandosi per ore o per 5 minuti in mezzo alla strada. In gruppo, da soli, davanti ai Palazzi del potere. In silenzio. Pacifici. Perfino senza parole o grida.
Una storia post gandhiana che preannuncia, a costo di sofferenze, la vittoria di chi protesta. Un popolo che protesta disarmato di fronte a chi alla richiesta di democrazia risponde con i manganelli o con gli idranti “rinforzati”con liquido orticante.
Una bella lezione turca, antica, serena, ferma, non violenta. Quelle facce rivendicano risposte, non realpolitik. Se Erdogan non dà risposte civili alla richiesta di cambiamento che queste facce mute gridano, non c’è nulla che a Bruxelles possa essere mediato o giustificato.
Queste sono le facce che vogliamo in Europa e che sono già nella nostra cultura europea della tolleranza, non quelle di chi ordina di bastonare il dissenso.
“Richiamate a casa i vostri figli”, hanno cantato qualche giorno fa le madri dei ragazzi che manifestavano. Una nenia dedicata alle madri dei poliziotti in tenuta antisommossa pronta a fare sgomberare la piazza Taksim. La risposta alla minaccia del primo ministro del regime turco: “Fateli tornare a casa o faremo intervenire l’esercito”.
E invece, nessuno lo ascolta. E tanti “uomini in piedi” si fermano per strada. Una protesta da esportare, anche in Italia.
Statue umane pacifiche che protestano se il potere bastona e non dà ascolto. Una lezione e cose non solo “turche”.
da qui

grazie ad Antonio per la segnalazione

martedì 18 giugno 2013

La proposta di legge Realacci-Lupi - Stefano Deliperi

Non c’è da meravigliarsi della disinvoltura con cui si gioca con termini e parole, anche e soprattutto nei testi legislativi, per far apparire bianco ciò che è nero e viceversa. L’Italia di questi tempi è un emblematico laboratorio in proposito. Uno degli esempi più evidenti è l’operazione messa in campo dalla trasversalissima alleanza cementata fra Maurizio Lupi, deputato P.d.L. e oggi Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ed Ermète Realacci, deputato P.D., Presidente dell’VIII Commissione permanente “Ambiente” della Camera dei Deputati e presidente onorario di Legambiente, per giungere a una nuova normativa che – sotto le mentite spoglie della sbandierata salvaguardia del territorio – consenta nel concreto le più nefaste speculazioni immobiliari. Il metodo seguito non cambia: “l’obiettivo dichiarato” è quello di “limitare il consumo del suolo”, ma in realtà si tratta di “un aumento del consumo del suolo a esclusivo vantaggio dei costruttori”. Lo dice chiaramente l’art. 2 della proposta di legge: si può consumare il suolo, purché si “paghi un contributo per la tutela del suolo e la rigenerazione urbana”, così per ristrutturare le aree urbane devono esser date ai costruttori altre aree libere e integre. Con tale contributo – cioè il corrispettivo del consumo di altro suolo – si  rende possibile la ristrutturazione urbana: “il contributo di cui al comma 1 si applica in tutto il territorio nazionale con riferimento ad ogni attività di trasformazione urbanistica ed edilizia che determina un nuovo consumo di suolo” (art. 2, comma 2°, della proposta di legge). E come si determina il “contributo”? Semplice, “è legato alla perdita del valore ecologico ambientale e paesaggistico, che esso determina”. In parole povere, sarà determinato da un accordo fra amministratori comunali e speculatori immobiliari, alla faccia dell’ambiente e dei cittadini.   Oppure “il contributo può essere sostituito, previo accordo con i comuni, da una cessione compensativa di aree a finalità di uso pubblico, per la realizzazione di nuovi sistemi naturali permanenti quali siepi, filari, prati, boschi, aree umide e di opere per la sua fruizione ecologica e ambientale, quali percorsi pedonali e ciclabili” (art. 2, comma 3°, della proposta), senza minimamente specificare se la titolarità delle aree vada ai Comuni o rimanga ai costruttori, né chi paghi le opere da realizzare. Si prosegue addirittura con la previsione di “uno strumento finanziario da parte della Cassa depositi e prestiti SpA, anche garantito da beni demaniali, che prevede…..condizioni finanziarie e tassi di interesse vantaggiosi per l’investimento dei privati”.  Una vera e propria follìa oltre che un’aberrazione giuridica: la garanzia per le agevolazioni in favore dei costruttori è costituita da “beni demaniali”, cioè i beni del demanio nazionale, della collettività, che per legge sono “inalienabili, inusucapibili ed in espropriabili” (art. 823 cod. civ.)…

lunedì 17 giugno 2013

Il lottatore di sumo che non diventava grosso - Eric-Emmanuel Schmitt

un'altra storia "morale" di Eric-Emmanuel Schmitt.
un ragazzino che deve crescere, e cresce.
una lettura che non annoia - franz



…Se non fosse narrato in prima persona, questo breve e piacevole romanzo di Schmitt sarebbe potuto cominciare con: “C’era  una volta…”. Sembra possedere infatti tutti i requisiti della favola metropolitana. Sebbene la lotta per la sopravvivenza di un ragazzino inibirebbe qualsiasi senso poetico, l’atmosfera è distesa e leggera, mai dimessa, proprio perché Jun, ironico, pungente e tenace, si narra come personaggio molto più maturo di quanto l’età non gli consenta. Lucido, fluente ed essenziale (forse anche troppo),  il testo potrà essere divorato; le pagine scorrono rapidamente; il linguaggio pulito, pacato e mai fuori dalle righe lascia nel lettore un senso di leggerezza. Una passeggiata narrativa fatta di equilibrio fiabesco e fluidi positivi, anche se non manca la sensazione che vi sia qualcosa di inespresso. Dopotutto, Schmitt ci accenna (soltanto) ad un mondo fatto di disciplina e spiritualità, del quale vengono forse nascoste le contraddizioni…

…Protagonista è Jun, un ragazzino di quindici anni di Tokyo che è magro come un'acciuga. Arrabbiato con il mondo e con se stesso, ma soprattutto con la sua famiglia, il ragazzo non riesce ad avere nessun rapporto, se non conflittuale con una madre troppo generosa e con un padre che, suicidandosi, lo ha abbandonato, tanto che se ne va di casa e vagabonda per la città vivendo di un piccolo commercio, pieno di risentimento e di frustrazioni. "Ero intollerante al mondo intero, anche a me stesso. Un soggetto interessantissimo per la medicina, se mai qualcuno si fosse dedicato al mio caso: ero un allergico universale."…

domenica 16 giugno 2013

Grillo e i miserabili - Jack Folla (Diego Cugia)

La più nutrita corporazione italiana è quella dei miserabili. Gente che come vede passare un’idea deve sbatterla dentro. Mediocri di tutti i ceti e di tutte le età che hanno occupato tutto (politica, televisioni, perfino i social network) ma invece di far quadrato intorno all’originalità, all’intelligenza e all’eccellenza, sbavano d’invidia e fanno carte false per dimostrare il teorema della mediocrità: più sei grande e più fai schifo. Perché quello è il loro livello, l’habitat in cui anche un idiota può governare.

In queste ore il formicaio dei miserabili è in gran fermento, devono abbassare al loro livello Beppe Grillo, colpevole di essere l’unico ad avere avuto una grande idea negli ultimi vent’anni. Ad aver amato l’Italia con una generosità commovente. Ad aver creato dal nulla un movimento spettacolare che ha dato una “tumpulata” in faccia, come dicono i siciliani, ai mediocri che ci opprimono (rendendoci la vita tanto amara) e ai farlocchi che li votano.
Dico subito che Grillo fa di tutto per assecondarli. Come ogni grande timido mostra il ghigno feroce, e così quelli che tirannici lo sono per natura, gridano “Che vi avevamo detto? È un dittatore!”. Fa sbagli da grande goleador, di quelli che tirano un rigore alla luna alla finale della coppa del mondo; epurazioni e altre sciocchezze.

Ma porca pupazza a nessuno viene in mente quanto debba sentirsi solo questo povero cristo che si è rovesciato sulle spalle il destino di milioni di disoccupati, giovani senza futuro, pensionati alla fame, e con questa spaventosa responsabilità, invece di essere difeso, si vede attaccato persino da ragazzini ciucci e presuntuosi che ha miracolato facendoli diventare senatori? Hanno ragione? Può darsi, ma chi se ne frega. Prima deve venire il Paese. E no, non ci sto a mettere il Grillo alla griglia. E io non l’ho votato, voi si!

Quando tutto il cucuzzaro, da Eugenio Scalfari a Fiorello, sparava a palle incatenate contro il papà dei 5 Stelle, osai scrivere (e lo ripeto) che in un discorso politico di Beppe Grillo c’è più estro, creatività, fantasia, conoscenza, intelligenza e percezione del mondo di mille comizi dei nostri onorevoli professionisti. Sono sempre più convinto che avrebbe dovuto trovare tre o quattro punti di convergenza col Pd (sempre e solo per il bene del Paese) perché, quanto meno, non avremmo avuto un presidente che, come il postino, torna sempre due volte. Avrebbe perso il consenso del 5% di duri e puri (quelli è meglio perderli che trovarli) ma un piccolo compromesso ci avrebbe risparmiato la cloaca massima. Questo Pd di democristiana memoria alleato con Berlusconi.
Non l’ha fatto, pazienza. Ma risparmiatemi questa Cosetta dei Miserabili dell’onorevole grillina Paola Pinna (laureata disoccupata che viveva con i genitori a Quartucciu, Cagliari, e con cento voti cento è diventata deputata al Parlamento) che invece di spargere petali di rosa dove Grillo cammina, sorge in difesa di una certa Gambaro, un’altra miracolata che si crede Che Guevara. Questa cosetta dei miserabili, intervistata da “La Stampa” che le domanda “Se la Gambaro venisse espulsa se ne andrebbe anche lei?” dichiara: “Se la scelta fosse tra Grillo e la Gambaro per me sarebbe una scelta tra schiavitù e libertà. Io scelgo la libertà.”
No, bambina, tu scegli di far parte di quella casta di paraculi che il tuo Paese, votandoti, ti aveva supplicato di togliergli dai piedi.

Lo ripeto, le epurazioni non mi piacciono, ma dare dello schiavista a Grillo, al quale dovete tutto, ma proprio tutto, fa veramente vomitare, tanto quanto chi dice che Grillo si è inventato il Movimento per fare i soldi col suo blog.
Miserabili, e non c’è altro da aggiungere.


venerdì 14 giugno 2013

Paolo Flores d'Arcais a Beppe Grillo

Caro Beppe,
ho letto il tuo post di oggi (giovedì 13 giugno), in cui chiedi a chiunque faccia parte della “voce esplosa a fine febbraio, con nove milioni di voti al MoVimento 5 Stelle” e “poi diventata più flebile” di far sentire la propria voce (ovunque: “nei bar, nei taxi, al lavoro, negli studi televisivi, in rete, nei tribunali …”). Poiché cerco di farlo senza interruzione da 52 anni (la prima manifestazione a cui partecipai è del 1961, quando avevo 17 anni, per la libertà in Spagna), accolgo molto volentieri il tuo invito, ed essendo uno dei nove milioni che ha votato M5S mando questo post al tuo blog, sperando che tu voglia pubblicarlo, prendendo alla lettera quello che tu anche oggi ribadisci: “Ognuno deve valere uno per riportare la democrazia in questo Paese”.
In realtà, dal punto di vista della possibilità di comunicare, tu ed io siamo dei privilegiati, abbiamo più strumenti per essere ascoltati di un cittadino nella media (tu naturalmente molto più di me), e questo aumenta le nostre responsabilità, che sono proporzionali alla visibilità che abbiamo.
La prima responsabilità è quella di dire la verità, tutta la verità niente altro che la verità, e la seconda di fare in modo che quei 9 milioni di voti non si disperdano, non diminuiscano, anzi si accrescano, per portare l’Italia a quella svolta che l’establishment del privilegio chiama “antipolitica” e che invece è solo “Altrapolitica”, contro corruzione, mafie, Casta…