Non c’è
da meravigliarsi della disinvoltura con cui si gioca con termini e parole,
anche e soprattutto nei testi legislativi, per far apparire bianco ciò che è
nero e viceversa. L’Italia di questi tempi è un emblematico laboratorio in
proposito. Uno degli esempi più evidenti è l’operazione messa in campo dalla
trasversalissima alleanza cementata fra Maurizio Lupi, deputato P.d.L. e oggi
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ed Ermète Realacci, deputato
P.D., Presidente dell’VIII Commissione permanente “Ambiente” della Camera dei
Deputati e presidente onorario di Legambiente, per giungere a una nuova
normativa che – sotto le mentite spoglie della sbandierata salvaguardia del
territorio – consenta nel concreto le più nefaste speculazioni immobiliari. Il
metodo seguito non cambia: “l’obiettivo dichiarato” è quello di “limitare il
consumo del suolo”, ma in realtà si tratta di “un aumento del consumo del suolo
a esclusivo vantaggio dei costruttori”. Lo dice chiaramente l’art. 2 della
proposta di legge: si può consumare il suolo, purché si “paghi un contributo
per la tutela del suolo e la rigenerazione urbana”, così per ristrutturare le
aree urbane devono esser date ai costruttori altre aree libere e integre. Con
tale contributo – cioè il corrispettivo del consumo di altro suolo – si
rende possibile la ristrutturazione urbana: “il contributo di cui al
comma 1 si applica in tutto il territorio nazionale con riferimento ad ogni
attività di trasformazione urbanistica ed edilizia che determina un nuovo consumo
di suolo” (art. 2, comma 2°, della proposta di legge). E come si determina il
“contributo”? Semplice, “è legato alla perdita del valore ecologico ambientale
e paesaggistico, che esso determina”. In parole povere, sarà determinato da un
accordo fra amministratori comunali e speculatori immobiliari, alla faccia
dell’ambiente e dei cittadini. Oppure “il contributo può essere
sostituito, previo accordo con i comuni, da una cessione compensativa di aree a
finalità di uso pubblico, per la realizzazione di nuovi sistemi naturali
permanenti quali siepi, filari, prati, boschi, aree umide e di opere per la sua
fruizione ecologica e ambientale, quali percorsi pedonali e ciclabili” (art. 2,
comma 3°, della proposta), senza minimamente specificare se la titolarità delle
aree vada ai Comuni o rimanga ai costruttori, né chi paghi le opere da
realizzare. Si prosegue addirittura con la previsione di “uno strumento
finanziario da parte della Cassa depositi e prestiti SpA, anche garantito da
beni demaniali, che prevede…..condizioni finanziarie e tassi di interesse
vantaggiosi per l’investimento dei privati”. Una vera e propria follìa
oltre che un’aberrazione giuridica: la garanzia per le agevolazioni in favore
dei costruttori è costituita da “beni demaniali”, cioè i beni del demanio
nazionale, della collettività, che per legge sono “inalienabili, inusucapibili
ed in espropriabili” (art. 823 cod. civ.)…
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