L'amara storia di un portiere paratutto passato alla storia per un solo
mancato intervento, ma nella partita sbagliata: la finale di Coppa del mondo
del 1950, al Maracanà, contro l'Uruguay. Da allora non è più riuscito a
scrollarsi di dosso la fama di portasfortuna
Il giornalista e scrittore Darwin Pastorin sostiene che nel calcio è il
portiere il ruolo più bello ed affascinante e non quello dell’attaccante che fa
gol. Secondo Pastorin l’estremo difensore è una figura quasi a parte dentro lo
scorrere di una partita, una creatura solitaria (come l’arbitro) per questo
infinitamente poetica. E per questo portatrice, a volte, di storie belle e pure
infinitamente amare. Come quella di Moacyr Barbosa, il portiere (nero) della
nazionale brasiliana degli anni cinquanta, che parava l’imparabile e aveva una
grande abilità a neutralizzare i rigori. Purtroppo, il nome di Barbosa non è
rimasto associato alle infinite prodezze, alla capacità di bloccare la palla
con una mano sulle giocate aeree, ma ad una sola défaillance commessa
in quella (maledetta) finale della Coppa del Mondo tra Brasile e Uruguay,
giocata il 16 luglio del 1950 nel mitico Maracanà di Rio de Janiero, davanti a
centoventimila spettatori.
La nazionale giallo-oro sulla carta partiva nettamente favorita, i tifosi
brasiliani già prima della partita sentivano la Coppa Rimet tra le mani dei
loro beniamini, aspettavano solo la fine delle ostilità per festeggiare il
trionfo ed ubriacarsi di gioia. Ma a chiusura dei novanta minuti un sogno si
infranse e da quel momento in poi Barbosa divenne l’eroe negativo, il capo
espiatorio di una sconfitta che passerà alla storia del calcio mondiale di
tutti i tempi. A pochi minuti dal fischio finale il parziale dell’incontro era
sull’ 1-1, ma all’improvviso un giocatore dell’Uruguay, Ghiggia, sferrò un
siluro dal limite dell’aria che Barbosa, nonostante avesse toccato la sfera con
le dita della mano, non riuscì ad evitare che finisse in rete. L’Uruguay a
sorpresa, contro tutti i pronostici divenne campione del mondo e tutto il
Brasile cadde nello sconforto e in un silenzio tombale (tant’è che molti
saranno i suicidi), mentre al povero Moacir toccò l’infamia del traditore della
patria. Gli incollarono addosso fino al giorno della morte (avvenuta il 31
marzo del 2000 all’età di settantanove anni) il marchio della scarogna. “State
alla larga da lui, porta sfortuna” dicevano quando lo incontravano per strada,
e lui incassava zittito l’ingiuria, ma soffocava di rabbia, ma voleva pure che
i suoi connazionali si ricordassero che in quel campionato del mondo fu pure
riconosciuto il numero uno tra i numeri uno. L’umiliazione più grande il povero
Barbosa la subì quella volta che gli fu vietato di andare a salutare i
giocatori della nazionale del Brasile prima di partire per un mondiale. Dissero
ancora una volta “porta iella”. Ma quella volta lui trovò la forza di
pronunciare qualche parola in sua difesa: “In Brasile la pena massima per un
delitto è trent’anni di galera, Ed io da più di trent’anni sto pagando per un
delitto che non ho commesso”. Un numero uno poeta è stato Moacir Barbosa
Nascimento…
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