venerdì 31 agosto 2018

L’interferenza di Israele nella politica americana è molto più pesante di quella della Russia, dice Noam Chomsky





“Prima di tutto, se l’interferenza straniera nelle nostre elezioni ti interessa, tutto ciò che i russi sono stati in grado di fare pesa o conta a malapena contro quello che un altro stato sta facendo apertamente, senza vergogna e con un enorme sostegno”, ha detto.
Chomsky ha dichiarato al giornalista Amy Goodman in un’intervista il mese scorso, che è riemersa alla luce degli sviluppi relativi alle presunte interferenze della Russia nelle elezioni americane “L’intervento di Israele nelle elezioni americane supera di gran lunga tutto ciò che i russi sono stati in grado di fare. Voglio dire, fino al punto in cui il Primo Ministro di Israele, Netanyahu, va direttamente al Congresso, senza nemmeno informare il presidente, e si rivolge al Congresso, in gran parte ovationato, per cercare di sabotare la politica del presidente – che è quello che è successo con Obama e Netanyahu nel 2015. ”
“Putin è venuto al Congresso in seduta comune per cercare di incitare i suoi membri a invertire la politica degli Stati Uniti, senza nemmeno informare il presidente? ”
Il sig. Chomsky si riferiva alle lobbies del primo ministro israeliano Netanyahu contro l’accordo nucleare iraniano nel 2015. In un discorso al Congresso degli Stati Uniti, Netanyahu aveva implorato i rappresentanti e i senatori di non adottare il patto, avvertendoli che quest’ultimo trasformerebbe il Medio Oriente in un “barile di polvere nucleare” e in cambio ricevette una standing ovation.
Queste dichiarazioni fanno eco a funzionari governativi e dell’intelligence che a febbraio hanno espresso preoccupazione per il fatto che i governi stranieri, incluso Israele, stanno manipolando il consigliere e genero del presidente americano Donald Trump, Jared Kushner.
Secondo un rapporto del Washington Post all’inizio di quest’anno, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, McMaster, “ha appreso che Kushner aveva contatti con funzionari stranieri al di fuori di qualsiasi coordinamento con il Consiglio di sicurezza nazionale e non dichiato ufficialmente,” e temeva che Kushner fosse “ingenuo e ingannato ” da alcuni governi, incluso Israele.
Kushner, la cui missione è quella di “forgiare la pace” in Medio Oriente, ha anche portato elementi diplomatici tra i più sensibili anche se non ha ottenuto il nulla osta di sicurezza necessario per il suo ruolo. È noto che il genero del presidente è vicino a diverse figure politiche israeliane ed è amico della famiglia di Netanyahu.
In questa intervista, Chomsky ha anche menzionato lobbisti statunitensi che usano le loro risorse per finanziare campagne elettorali e “quasi una bozza di leggi per gli uffici del Congresso”.
“Uno dei principi basilari di una democrazia funzionante è che i rappresentanti eletti ascoltino coloro che li hanno eletti. Sappiamo che questo non è solo il caso negli Stati Uniti”, ha concluso Chomsky.
È noto che organizzazioni come la commissione per gli affari pubblici americana-israeliana (AIPAC) stanno facendo pressioni sul Congresso statale statunitense, con l’aiuto della Conferenza dei presidenti delle maggiori organizzazioni ebraiche americane per facilitare i contatti tra Comunità ebraica e potere esecutivo del governo degli Stati Uniti.
22 agosto 2018 – Monitor in Medio Oriente – Traduzione: Palestine Chronicle – MJB

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Obbligo di fedeltà - Erri De Luca


Il 6 giugno 2018 la Cassazione ha stabilito l’obbligo di fedeltà dei dipendenti nei confronti del datore di lavoro, anche fuori del turno e del luogo. La sentenza riguarda cinque operai della Fiat di Pomigliano D’Arco, che in appello avevano prevalso sull'azienda che li aveva licenziati.
Qui di seguito il mio punto di vista.
L’obbligo di fedeltà spetta ai cani e alle altre specie animali addomesticate.
La specie umana si distingue per il conquistato diritto alla libertà di opera e parola.
La storia sacra narra l’esordio della coppia prototipo, piantata in un giardino del quale potevano disporre. Una sola pianta era esclusa dalla loro portata. Proprio da quella vanno a cogliere il frutto e che frutto: la conoscenza di bene e male.
La conoscenza: si spalancano i loro occhi, s’ingrandisce la loro facoltà di percepire, si accorgono di essere nudi. Nessuna specie vivente ha questa notizia. La coppia prototipo si è staccata dal resto delle creature, inaugurando le piste desertiche e inesplorate del libero arbitrio.
La loro libertà inizia dall'infedeltà non solo a un obbligo, ma al legislatore di quell'obbligo, la divinità in persona.
Alla Cassazione spetta l’ultima parola di un procedimento giudiziario. Vuole essere tombale e definitiva. Ma si sa che le lapidi mentono spesso. Perciò dissento. Questa sentenza della Cassazione va ridotta a penultima parola. L’obbligo di fedeltà di chiunque riporta indietro alla storia di un giardino, di una pianta proibita e di un ammutinamento.
Se quella coppia non avesse forzato l’obbligo di fedeltà, la specie umana starebbe ancora imbambolata e nuda nel giardino incantato dell’infanzia.
Sottolineo che l’iniziativa spettò alla donna. Lei osò l’impensabile, imitata da Adàm dopo aver visto che in seguito all’assaggio non era morta, anzi era più bella.
La coscienza civile di questo paese ha oggi il compito di cassare la Cassazione, sentenza del 6/6/2018.
Fuori dall’aula a porte chiuse di una corte, all’aria aperta delle piazze e delle assemblee si casserà l’obbligo di fedeltà, che va contro natura e civiltà.
Nella specie umana inalienabile è il diritto al dissenso, alla critica, allo spirito di contraddizione verso i poteri pubblici e privati. Ne siamo confermati dall’articolo 21 della Carta Costituzionale.
Aggiungo a conclusione del diritto della specie umana all'ammutinamento, che per me e per chi esercita quest’attività di pubblica parola si tratta anche di un dovere.

giovedì 30 agosto 2018

L'agonia della scuola italiana - Massimo Bontempelli


Questo testo riproduce il capitolo sesto del libro ''L'agonia della scuola italiana'', scritto da Massimo Bontempelli e pubblicato nel 2000 dalla Editrice C.R.T. © 2000 by Editrice C.R.T. I numeri tra parentesi quadra rinviano a note del curatore, non dell'Autore. Le note si trovano in fondo al testo. I numeri tra parentesi tonda indicano in quale pagina del libro si trova il testo. I riferimenti ad altri testi, legati a questo, si trovano nel sito Temi e Reti.
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La scuola del totalitarismo neoliberista.
L'attuale processo di innovazione nella scuola sostanzialmente conduce, in prospettiva, allo smantellamento del sistema statale della pubblica educazione, alla privatizzazione aziendalistica degli istituti scolastici, alla dequalificazione culturale dell'insegnamento, alla fine di ogni residua possibilità, per i ceti sociali più bassi, di avvalersi dell'istruzione pubblica come mezzo per migliorare la loro condizioni.

Questo processo è stato politicamente messo in movimento non già dalla destra, bensì dalla sinistra, ovvero proprio da quella parte politica, latamente intesa, nella cui tradizione complessiva stanno la difesa e l'ampliamento dei compiti delle istituzioni statali, il valore attribuito all'educazione e alla cultura, la promozione della mobilità sociale. Soltanto comprendendo questo nesso, apparentemente incongruo, tra sinistra politica e riforma antieducativa, anticulturale e aziendalistica del sistema dell'istruzione, si può arrivare a capire cosa stia realmente accadendo nella scuola.

Occorre però, a questo proposito, evitare due interpretazioni simmetricamente opposte, ma entrambe fuorvianti, fondate sulle categorie rispettivamente di tradimento e di continuità. I capi della sinistra, dicono alcuni, hanno tradito, per meschinità personale,
l'essenza della sinistra, facendo, sotto mentite spoglie, una politica di destra.
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Secondo altri, invece, il peggio di ciò che fanno è in continuità con la tradizione della sinistra, che fin dalle sue origini ha organizzato le masse per subordinarle ai poteri costituiti.

Non si può spiegare l'attuale politica della sinistra con il tradimento, da parte dei suoi capi, della vera natura della sinistra stessa. Quella di tradimento, infatti, è una rispettabile categoria interpretativa, che riguarda però le scelte individuali considerate sotto il profilo morale, non i comportamenti collettivi espressivi di dinamiche sociali. Ora, le devastanti pratiche di governo della sinistra non nascono dalle iniziative di singole, per quanto influenti, personalità, ma sono l'opera condivisa di un intero ceto politico, approdato nel suo insieme alle sponde della totale complicità con i poteri economici. Ma non basta: questo ceto politico può governare perché è sostenuto dal consenso, quanto meno passivo, di una parte cospicua della popolazione, tradizionalmente di sinistra, che continua a votarlo, e che non si sente quindi evidentemente ferita dai suoi comportamenti. E non basta ancora: tutto ciò accade non soltanto in Italia, ma nell'intera Europa, dove i ceti politici di sinistra sono potuti arrivare a smantellare garanzie sociali, e ad accordarsi servilmente alle guerre americane, rimanendo uniti e non perdendo un consenso di massa. È evidente, dunque, che siamo in presenza non di scelte individuali, bollabili come tradimenti, ma di tendenze sociali impetuose, fortemente radicate, e di carattere generale.

Se non si può spiegare l'attuale politica della sinistra con la categoria di tradimento, non la si può spiegare neppure con quella di continuità. È certamente vero che se la sinistra può operare in totale complicità con i poteri economici, su scala generalmente europea e senza perdere il suo elettorato tradizionale, ciò indica che c'era nel
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suo originario codice genetico qualcosa che rendeva possibile questo approdo. Ma è anche vero che la sinistra in altre epoche ha difeso con forza l'intervento statale nell'economia anche a favore dei ceti più svantaggiati, ha promosso con convinzione la creazione di una rete di garanzie sociali, ha inteso l'educazione come grande compito collettivo ed emancipatorio. Una sinistra che non vede più la società se non nell'ottica dell'azienda, e che intende ridurre ad aziende persino ospedali e scuola, ha quindi rotto la continuità con una parte significativa della propria scuola.

La questione di come la sinistra politica abbia potuto farsi promotrice di una riforma in chiave aziendalistica del sistema dell'istruzione è dunque storicamente complessa. Si può iniziare a chiarirla comprendendo come, storicamente, nel codice genetico della sinistra vi sono stati due caratteri fondamentali, vale a dire quello di essere emancipatrice, e quello di essere modernizzatrice.

La sinistra è nata come parte politicamente emancipatrice dei ceti socialmente subordinati della popolazione. Emancipatrice non vuol dire né liberatrice né eguagliatrice. Nel corso della sua storia la sinistra, sia nella sua versione comunista che in quella socialdemocratica e in quella radicalborghese, ha molte volte contribuito ad aprire spazi di libertà civile e di liberazione umana. Ma ha anche tante volte, in tutte le sue versioni, espresso una prassi negatrice della libertà. E, quando ha contribuito ad ampliare i diritti di libertà e ad attivare processi di liberazione, ha ottenuto questi risultati come effetto secondario di un'azione politica volta ad altri obiettivi. La sinistra, inoltre, non è mai stata, se non in ambienti e momenti circoscritti della sua storia, realmente egualitaria, Nella sua versione socialdemocratica e radicalborghese ha accettato la diseguaglianza fondamentale tra capitalisti e
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lavoratori. Nella sua versione comunista ha accettato la diseguaglianza fondamentale tra burocrati dell'apparato partitico e statuale e i lavoratori. In ogni sua versione ha mantenuto una diseguaglianza di status tra i ceti di cui intendeva rappresentare gli interessi e i rappresentanti professionali di tali interessi. Ma la sinistra è stata realmente emancipatrice delle classi socialmente più basse. Organizzandole e rappresentandole, le ha sottratte all'esclusione sociale. Attraverso le leve delle istituzioni statuali, ha promosso in alcune epoche una redistribuzione del reddito a loro favore, contribuendo così ad attenuare le diseguaglianze sociali. Ha ampliato l'accesso dei ceti inferiori alla previdenza, alla sanità e all'istruzione, attenuando anche per questa via le diseguaglianze sociali. La sua azione emancipatrice, quindi, evitando un allargamente delle diseguaglianze, ed anzi restringendole, sia pure in maniera limitata, ha potuto sembrare, anche senza esserlo, frutto di un'ispirazione egualitaria.

La sinistra è nata anche come parte politicamente modernizzatrice di tutti gli aspetti della vita sociale. È su questo terreno che essa si è originariamente contrapposta politicamente alla parte avversa: nelle assemblee rappresentative successive alla rivoluzione francese invalse l'uso che sedessero sui banchi di destra coloro che volevano mantenere le tradizioni del passato, e che cercavano di contrastare tutti i processi di innovazione, e che sedessero sui banchi di sinistra coloro che favorivano il distacco delle società dal loro passato, e che intendevano promuovere i mutamenti. Essere di sinistra ha sempre significato essere, per così dire, dalla parte del futuro, e guardare con ottimismo a tutte le tendenze di trasformazione sociale, di sviluppo economico, di sovvertimento dei costumi tradizionali e di innovazione tecnica. Ciò è stato tanto vero che la modernizzazione capitalistica è stata
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storicamente auspicata e promossa persino dalla sinistra anticapitalistica, convinta, in quanto sinistra, che l'avvento dei rapporti sociali più adatti al genere umano passasse comunque attraverso la rottura delle tradizioni ed il distacco dal passato che solo il capitalismo sapeva realizzare.

I due caratteri fondamentali originari della sinistra si sono per una lunga fase storica compenetrati a meraviglia. La sinistra ha potuto, in tutte le sue versioni, sentirsi emancipatrice in quanto modernizzatrice, perché sembrava che la direzione della storia fosse appunto quella di emancipare cerchie sempre più ampie della società, che cioè le trasformazioni storiche fossero di per se stesse emancipatrici. Per gran parte del nostro secolo, ad esempio, le politiche keynesiane di redistribuzione del reddito, gli interventi regolatori delle istituzioni statali nella vita economica, e le garanzie sociali accordate alle classi lavoratrici, sono stati elementi che hanno favorito il progresso tecnico, la realizzazione del plusvalore, e la modernizzazione capitalistica. Il cosiddetto compromesso fordista è stato così definito appunto perché ha soddisfatto non soltanto le richieste sociali delle classi lavoratrici, ma anche le esigenze accumulatrici e modernizzatrici delle classi capitalistiche.

L'emancipazione intesa come funzione della modernizzazione ha dato fin dalle origini alla cultura della sinistra, in tutte le sue espressioni, un'impronta irrimediabilmente nichilistica. La necessità di riscattare gli strati inferiori della società dalla miseria materiale e culturale è stata infatti sottratta ad ogni fondamento ontologico, ad ogni giustificazione metafisica, ad ogni imperativo etico. L'obiettivo dell'emancipazione è stato considerato valido in quanto richiesto dal processo di modernizzazione, e, di conseguenza, indicato dalla direzione della storia e
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socialmente vincente. Sulla base, quindi, di un nulla. Ciò che è socialmente vincente oggi, infatti, può diventare socialmente perdente domani. La direzione della storia cambia in ogni epoca. Il processo di modernizzazione non richiede sempre le medesime configurazioni sociali.

A questo punto abbiamo tutti gli elementi per spiegare l'attuale politica della sinistra, compresa quella sulla scuola, al di fuori delle categorie fuorvianti di tradimento e continuità. La sinistra è stata ad un tempo emancipatrice e modernizzatrice, concependo nichilisticamente l'emancipazione come funzione della modernizzazione, ma potendo egualmente perseguire con forza l'emancipazione in ragione dell'effettivo nesso che essa ha mantenuto, per diverse fasi storiche, con la modernizzazione.

Questo nesso si è spezzato all'incirca ai tre quarti del secolo appena concluso. Da allora in poi il capitalismo si è ristrutturato e rimondializzato lungo una linea di sviluppo che esige la deemancipazione di cerchie sempre più ampie della società. Da allora in poi, quindi, la sinistra configurata secondo le sue tradizioni storiche non ha avuto più la possibilità di esistere. Molti non lo hanno capito, perché sono rimasti ipnotizzati dalla fine rapida e impressionante del comunismo storico novecentesco. In realtà, però, insieme con il comunismo è giunta alla fine, come effetto della medesima dinamica storica, un'esperienza politica molto più ampia. Hanno cessato di esistere, infatti, sia pure in maniera meno appariscente, anche la democrazia progressista borghese e la socialdemocrazia. L'unica differenza tra gli ex-comunisti e gli ex-socialdemocratici nel loro essere ex è che i primi hanno rinnegato il comunismo e cambiato nome, mentre i secondi non solo non hanno rinnegato la socialdemocrazia, ma continuano a militare in partiti che sono organizzativamente
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e nominalmente gli stessi partiti socialdemocratici del passato. Un socialdemocratico di nome oggi è infatti nella realtà un ex socialdemocratico, in quanto una socialdemocrazia che nella sua pratica di governo privatizza anziché nazionalizzare, restringe le garanzie sociali anziché ampliarle, ed accetta la crescita spontanea delle diseguaglianze economiche anziché promuovere una redistribuzione del reddito, come oggi normalmente accade, non è più la socialdemocrazia esistita fino a ieri.

La sinistra dell'epoca attuale è dunque, nel suo insieme, un'altra da quella del passato fino a trent'anni fa. Per questo la categoria di continuità non è in grado di spiegarla. Tuttavia quel che di diverso essa è ora nasce dai suoi stessi caratteri d'origine. Era emancipatrice e modernizzatrice: l'epoca attuale, però, non consente più in assoluto di essere simultaneamente l'una e l'altra cosa. Era nichilista, perché non fondava l'obiettivo dell'emancipazione su alcunché di ontologico: quando perciò è stata posta nell'alternativa tra essere emancipatrice oppure modernizzatrice, ha scelto senza rimorsi di essere soltanto e solamente modernizzatrice. I comunisti e i socialdemocratici erano tali non su autentiche basi metafiche ed etiche, ma nella convinzione che il vento della storia soffiasse nelle loro vele. Perciò, quando il vento è cambiato, è sembrato loro naturale cambiare la direzione di viaggio, per continuare ad averlo nelle loro vele.

La sinistra, insomma, ha rinnegato la propria storia, ma sulla base di caratteri originari della propria storia: la sua fortissima istanza modernizzatrice, il suo mito del progresso, il suo radicale nichilismo, il suo voler procedere sempre nella direzione ritenuta storicamente vincente. Questi caratteri, che in altre epoche hanno alimentato la sua prassi emancipatrice, si sono rivelati nella
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nostra epoca particolarmente idonei a fare di essa lo strumento politico d'elezione di una modernizzazione deemancipatrice, e di un inedito totalitarismo planetario insito in tale modernizzazione.

L'odierna stupidità crede che l'epoca dei totalitarismi sia ormai trascorsa, in quanto dà per scontato che i totalitarismi siano soltanto fascismo, nazismo, comunismo. Ma cosa significa totalitarismo? Significa che i diversi ambiti e livelli della vita collettiva hanno perduto la loro specifica autonomia, ed obbediscono ad una medesima ed unica logica di potere. Questa logica di potere è rappresentata nel totalitarismo politico dallo Stato e dal partito unico variamente intrecciati (nell'Italia fascista, ad esempio, il totalitarismo, peraltro assai incompleto, faceva perno sullo Stato, mentre nella Germania nazista soprattutto sul partito). Ma quello politico non è l'unico totalitarismo concepibile,  e neanche quello compiuto. Noi oggi viviamo dentro un totalitarismo economico, gradualmente impostosi da un quarto di secolo, rispetto al quale quello di un qualsiasi Stato fascista è un totalitarismo all'acqua di rose. Certo, un totalitarismo economico non appare visibile come tale alla stessa stregua di un totalitarismo politico, e risulta anzi del tutto invisibile ai più, ma, proprio in ragione di questo suo rimanere ben nascosto, esso penetra molto più profondamente nelle anime, instupidendole ed anestetizzandole spiritualmente come nessun dittatore avrebbe mai potuto fare, e diventando così totalitario al massimo grado.[1]

Il mondo in cui oggi viviamo è compiutamente, esasperatamente totalitario.[2] Questo è semplicemente un fatto. Si è detto, infatti, che il totalitarismo indica, nella sua nozione, la mancanza di autonomia dei diversi ambiti e livelli della vita collettiva, subordinati tutti ad una medesima ed unica logica di potere. Ed oggi non c'è ambito e
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livello della vita collettiva che non sia assoggettato alla logica esclusiva dell'economia, ridotta a sua volta a pura logica mercantile del profitto aziendale. Il sindacalismo? Non deve rispondere più alla sua logica specifica di perseguire il miglioramente progressivo delle condizioni di vita delle classi lavoratrici, ma è spinto, attraverso l'imposizione del monopolio della rappresentanza sindacale di sindacati di regime, ad adattare il lavoro alle esigenze del profitto aziendale. La sanità? Non deve rispondere più alla sua logica specifica di tutelare il diritto alla salute degli essere umani, ma le prestazioni sanitarie devono venire considerate merci con il cui pagamento assicurare il buono stato dei conti degli enti erogatori, organizzati come aziende. La previdenza? Non deve rispondere più alla sua logica specifica di costituire il tramite attraverso cui la soceità garantisce un reddito dignitoso a quanti non possono più trarlo dal lavoro, ma deve operare solo nei limiti in cui può venire finanziata per via mercantile. L'alimentazione? Non deve rispondere più alla sua logica specifica di fornire un sano nutrimento agli organismi, ma deve assicurare uno sbocco mercantile alla produzione capitalistica di cibo, al punto che i divieti di importazione di alimenti di supposta nocività sono ormai condannati dalle istituzioni internazionali come violazioni della libertà commerciale. La logica del mercato, dell'azienda e del profitto pervade insomma tutti gli ambiti, anche quelli che per loro originaria costituzione dovrebbero essere più lontani da una natura mercantile, della vita collettiva.

Questo totalitarismo estremo della politica si rivela in forma chiarissima nella sfera politica. Dovunque, in Europa, gli schieramenti politici che si contendono, talvolta con grande asprezza e senza esclusione di colpi, il governo dei vari paesi, governano poi tutti accettando gli
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esiti dei giuochi dei mercati, e considerando ineludibili le esigenze delle aziende. Lo svilupo della società è determinato esclusivamente dai poteri economici, in maniera non diversa se il governo politico è in mano ad un partito oppure ad un altro.

Il totalitarismo dell'economia che domina il mondo può essere correttamente definito totalitarismo neoliberista. Totalitarismo, perché non ammette, in nessun settore della società, alcun funzionamento delle istituzioni che non corrisponda a criteri aziendalistici, privatistici, e di accumulazione di profitti. Neoliberista, perché si basa, secondo l'ideologia liberista, sull'assenza di regole politiche limitatrici del libero giuoco mercantile, promuovendo, però, a differenza del liberismo tradizionale, incisivi interventi pubblici nella sfera economica. Questi interventi, che vengono rigorosamente esclusi per porre qualche limite ai poteri economici, sono invece ammessi e sollecitati, pur essendo a rigor di termini non liberisti, per favorire l'accumulazione capitalistica, creare situazioni conformi alle esigenze aziendali, e spazzare via dalla società ogni luogo istituzionale ancora dotato di finalità sue proprie estranee alla logica aziendalistica.

Il totalitarismo neoliberista è in grado di riprodursi con il governo dei più diversi schieramenti politici, perché quello che ancora chiamiamo governo è in realtà semplice amministrazione delle pratiche di favore ai poteri economici, e degli esiti sociali dello sviluppo da loro imposto, e le forze che ancora chiamiamo politiche sono in realtà gruppi professionali che si contendono il controllo dei poteri amministrativi di supporto ai poteri economici.

Non c'è dubbio, tuttavia, che il totalitarismo neoliberista, pur potendo facilmente convivere con qualsiasi tipo di governo tra quelli oggi in grado di imporsi, trova un
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più efficiente aiuto al finanziamento autoriproduttivo del proprio meccanismo economico in governi di sinistra. La sinistra, cioè, è più funzionale al totalitarismo neoliberista di quanto non lo sia la destra, e ciò proprio in virtù di caratteri che le sono stati costitutivi fin dalle origini della sua storia. La destra, con la quale comunque i poteri economici possono vantaggiosamente convivere (in quanto quel che ancora si chiama politica è, nell'ambito delle forze che contano, serva dell'economia), si propone bensì come più coerentemente liberista della sinistra, ma la sinistra ha nel suo codice genetico una natura completamente e convintamente modernizzatrice, mentre la destra conserva sempre almeno qualche tratto arcaicizzante. La sinistra, quindi, può più facilmente della destra eliminare quelle sopravvivenze di epoche passate che intralciano la sfrenatezza dell'accumulazione capitalistica. Si pensi, ad esempio, a come la sinistra abbia diffuso una cultura promotrice della modernizzazione del costume sociale che, sottraendo i comportamenti individuali ai condizionamenti premoderni dell'etica familiare, delle inibizioni religiose, e delle tradizioni comunitarie, ha reso l'individuo un perfetto consumatore di merci. La sinistra, inoltre, porta in dote al totalitarismo neoliberista la capacità, inscritta nel suo codice genetico, di tradurre in pratica le sue direttive attraverso una rete di seguaci capillarmente diffusi nel corpo sociale, e di amministrare il consenso ricevuto con un'abilità sufficiente a conservarlo. La destra ha seguaci che le sono legati sul piano delle opinioni. La sinistra ha invece, per effetto della sua storia, un seguito che non è solo di opinione, ma è formato da moti individui capaci di dare concreta attuazione a ciò che i loro capi vogliono nei diversi settori nei quali sono professionalmente inseriti. La dinamica sociale di progressiva deemancipazione delle classi subalterne, e di definitiva
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disarticolazione privatistica delle istituzioni pubbliche, che il totalitarismo neoliberista impone, può dunque venire amministrata in maniera più convincente per i poteri economici dalla sinistra piuttosto che dalla destra. Gestita dalla destra, infatti, tale dinamica crea maggiore disorganizzazione e incontra più forti resistenze di quanto non accada con la gestione della sinistra, che è in grado, attraverso le sue cinghie di trasmissione nei diversi settori della società, di mettere in moto tutte le mediazioni, tutti gli ammortizzatori e tutti i compensi clientelari capaci di scoraggiare, confondere e corrompere i potenziali oppositori. La sinistra, infine, incarna un nichilismo radicale e di massa che olia, per così dire, i meccanismi di funzionamento del totalitarismo neoliberista. Se infatti la destra esprime correnti di opinione che hanno come loro riferimento valori rozzi e distorti, la sinistra, dopo aver abbandonato con la massima disinvoltura le sue originarie ideologie, non ha valori affatto, è del tutto priva di un'anima. Il suo nichilismo radicale e di massa è manifesto nel comportamento di milioni di persone che accettano, gestiscono, amministrano, promuovono sordide clientele, meschini interessi, cinici giuochi di potere, in totale sottomissione ad una logica sistemica di cui un tempo, quando era molto meno devastante di oggi, si dicevano irriducibili nemici. Il giovane sessantottino rivoluzionario arrabbiato, oggi amministratore o pubblicista diessino, ovvero giornalista o politicante berlusconiano, è una delle figure antropologicamente più squallide e spiritualmente più aride che sia stato dato di vedere. Figure di tal genere, che quando militano nella destra non fanno che servire le loro sfrenate ambizioni personali, svolgono invece una funzione di ben ampia portata se sono rimaste nel loro campo originario, cioè nella sinistra. Esse contribuiscono infatti in maniera decisiva ad
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alimentare il nichilismo radicale diffuso in quel campo. Un elettore della destra cesserebbe di votarle se essa diventasse poniamo, da severa e poliziesca a lassista sull'ordine pubblico, oppure se non esaltasse più le forze armate, e si presentasse come antimilitarista e pacifista. Il nichilismo diffuso nella sinistra è invece tale che essa segue i suoi capi su qualsiasi strada. Li votata quando esaltavano l'Unione Sovietica, ed ha continuato a votarli quando hanno definito il comunismo nemico di ogni libertà. Li votata quando invocavano un maggior intervento pubblico nell'economia, ed ha continuato a votarli quando sono diventati promotori delle privatizzazioni. E gli esempi potrebbero continuare all'infinito. Per chi si sente appartenenete al cosiddetto popolo della sinistra, i valori, gli ideali, i progetti sulla società contano zero. Quel che conta è l'identità, è il ruolo, è la rete di relazioni che l'appartenenza a certi ambienti assicura. Questo nichilismo radicale, è bene ribadirlo, non è comparso oggi, bensì ha caratterizzato la sinistra anche nei tempi in cui essa aveva grande dignità politica. Il grigio amministratore diessino di oggi, che gestisce le sue clientele di potere senza un minimo raggio di eticità, senza neanche saper immaginare una deviazione della società dalla linea di sviluppo impostale dai poteri economici, e senza più alcun riferimento culturale, non è diventato un nichilista senz'anima da quando è diventato diessino. Se alcuni decenni fa era un sessantottino che urlava le sue frasi rivoluzionarie, che faceva militanza realmente politica, e non gestione amministrativa dell'esistente, che coltivava utopie anticapitalistiche, senza neppur sospettare di poter un giorno accettare ogni decisione dei poteri economici, e che citava i classici del marxismo come testi sacri, tuttavia già allora era il nichilista senz'anima che è oggi. Bastava avere capacità di osservazione psicologicea per
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poter vedere chiaramente come il suo rivoluzionarismo era narcisismo giovanilistico, il suo attivismo militante prorompente impulso autoaffermatorio, il suo linguaggio anticapitalistico un codice culturale di identità e appartenenza, il suo spirito rabbiosamente contestatario una spasmodica e violenta ricerca di successo personale. Tutto questo, in mancanza di veri punti di riferimento ontologici, di serietà morale, e di radicamento antropologico, non poteva che esser fatto scivolar via senza traccia dalla storia, man mano che l'epoca cambiava, le fiammate sociali interpretabili come rivoluzionarie si spengevano, ed alla ricerca di un'identità personale di successo si aprivano, per il giovane borghese di talento di allora, più concrete vie di realizzazione nell'ambito dell'ordine sociale dato. Certo, non proprio tutti i rivoluzionari sessantottini erano come li abbiamo descritti. Non tutti, infatti, sono poi diventati membri fissi delle cerchie associative, sindacali e partitiche della sinistra maggioritaria, digerendone ogni giravolta. C'è, non soltanto in Italia, ma in tutta Europa, per quanto ovunque molto minoritaria, anche una sinistra che non ha partecipato ai governi che si sono accodati alle guerre americane ed hanno lasciato carta bianca ai poteri economici. Giudicheremmo senza giustizia questa sinistra se la assimilassimo a quella di cui abbiamo fin qui parlato. Tuttavia, nonostante ogni differenza, anche questa sinistra si esprime attraverso un ceto politico professionale che non è riuscito a ripensare su nuove basi non nichilistiche la sua cultura d'origine, e che di conseguenza non sa pensare la sua prassi politica al di fuori delle istituzioni del potere, dalle quali teme come un male da evitare a tutti i costi di rimanere estromesso. Questa sinistra non ha quindi sciolto tutta una serie di residui legami con la sinistra governativa, e non ha valori così ben fondati da farle capire che la sinistra
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governativa non è neanche un po' meno cattiva e meno nociva della peggiore destra.

Il nichilismo è dunque coestensivo dell'intera sinistra. Esso rende il corpo maggioritario della sinistra così straordinariamente duttile rispetto a qualsiasi innovazione accettata dai suoi capi, e così capace di amministrarne l'esecuzione concreta, da farne l'ideale cinghia di trasmissione del totalitarismo neoliberista. Non c'è infatti schifezza così schifosa che chi appartiene al popolo della sinistra non riesca agevolemente a mandar giù, purché naturalmente provenga dalla sinistra stessa, perché se essa proviene invece dalla destra vi si oppone virtuosamente. E non c'è prassi sociale abbastanza insensata perché l'appartenente alla sinistra non sappia gestirne l'esecuzione, purché naturalmente nell'ambito di un ruolo connesso a tale appartenenza. Così, tutto ciò che il totalitarismo neoliberista genera, la sinistra agevola e fa accettare. Se ha bisogno di una giustificazione, sceglie la più imbecille, quella cioè che l'adesione alla sinistra è obbligata per scongiurare il pericolo della destra. La sinistra è così ridotta a mera appartenenza priva di ogni valore, incapace di suscitare nel suo popolo nichilista altra motivazione che quella di vincere, in una partita da cui è scomparsa ogni posta relativa all'effettivo stato della società, l'opposta appartenenza della destra.

L'innovazione nella scuola diventa ora chiara. Il totalitarismo neoliberista non può accettare una scuola ancorata alla sua specifica finalità educativa, in quanto non ammette alcun compito sociale autonomo dal meccanismo economico. Esso esige che tutte le finalità estranee alla logica aziendalistica, rispetto alla quale non sono che costi improduttivi, siano spazzate via da ogni luogo istituzionale, e quindi anche dalla scuola. Non può tuttavia ottenere questo risultato, per quanto riguarda la scuola,
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imponendolo direttamente ed esplicitamente come in altri campi, ma ha bisogno, per raggiungerlo, di una mediazione politica. Ha bisogno di una forza sufficientemente modernizzatrice da essere capace di liquidare senza rimpianto le tradizioni della scuola italiana. Ha bisogno di una forza sufficientemente nichilista da non tener conto, nel pensare la scuola, della necessità di assicurare la trasmissione di fondamentali valori cognitivi ed etici. Ha bisogno di una forza sufficientemente conquistata dalle illusioni ideologhe del nostro tempo da non esitare a inondare la scuola delle ultime novità sociali, facendone un luogo di semplice apprendimento dell'uso delle tecniche, di semplice orientamento ai consumi, di semplice acquisizione di una certa gamma di nozioni praticamente utili, senza alcuna base culturale. Ha bisogno di una forza dotata di sufficiente radicamento nel mondo accademico, nel personale burocratico, e nell'ambito stesso degli insegnanti della scuola secondaria, da poter effettivamente adattare gli istituti scolastici a nuovi modelli organizzativi e a nuovi dispositivi didattici, capaci di cancellarvi ogni carattere culturalmente disinteressato e liberamente educativo. Una simile forza corrisponde perfettamente a quello che è la sinistra.
La sinistra politica era dunque destinata, nell'attuale fase storica, a porsi al servizio del totalitarismo neoliberista anche per quanto riguarda la scuola. La scuola italiana che sta emergendo dalle innovazioni promosse da governi di sinistra, è infatti la scuola del totalitarismo neoliberista. È, cioè, una scuola da cui va progressivamente scomparendo la trasmissione di una cultura disinteressata, fondata su valori stabili ed organizzata in maniera sistematica e razionale, secondo quando richiesto da una regolazione puramente mercantile della società, per la quale non esiste se non quello che è
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immediatamente utile, continuamente modificabile, e del tutto convenzionale. È una scuola che sta gradualmente perdendo la sua fisionomia unitaria, pubblica e nazionale, sostituita dalla concorrenza reciproca, sul terreno dell'immagine, tra istituti scolastici sempre più legati ad interessi particolaristici, in conformità ad una logica totalitaria che esige dappertutto frantumazione invece che unità, concorrenza invece che organicità, immagine invece che sostanza. È una scuola in cui si vanno sempre più determinando gerarchie arbitrarie e poco sensate competizioni tra gli insegnanti, in base al modello organizzativo aziendalistico, con la sua moltiplicazione delle differenziazioni e la sua esasperazione delle rivalità, che il totalitarismo neoliberista ha già trasferito dalle aziende private agli uffici pubblici, e tende ora a trasferire anche nel sistema dell'istruzione. È una scuola orientata non più all'educazione, bensì all'acquisizione di abilità prive di finalizzazione educativa, in quanto l'educazione è un momento che trascende l'interesse economico e l'utilità immediata, e che quindi, apparendo economicamente superfluo, tende ad essere eliminato.

Non è necessario immaginare, per tutto questo, un disegno consapevole dei promotori della riforma. Bastano i loro vuoti culturali e le loro idee fasulle perché il totalitarismo neoliberista possa imporsi attraverso di loro.

* Note del curatore
[1]
Aggiungo un collegamento ipertestuale a un intervento di Pasolini---riferimento che non è presente nello scritto di Bontempelli---perché mi sembra interessante far notare certe concordanze di vedute tra i due autori.
Bontempelli scrive, a pagina 98:
 ''[il totalitarismo neoliberista] penetra molto più profondamente nelle anime, instupidendole ed anestetizzandole spiritualmente come nessun dittatore avrebbe mai potuto fare, e diventando così totalitario al massimo grado.''

Pasolini dice, nel documentario della Rai ''La forma della città'':
Naturalmente questo brano di Pasolini andrebbe integrato da tutto il corpus delle sue riflessioni in merito alla società: Scritti Corsari, Lettere luterane, Descrizioni di descrizioni, Il volgar eloquio, Il caos, Il sogno del Centauro, e Le belle bandiere.

[2]

da qui

non dimenticare Julian Assange














Julian Assange: un eroe moderno nell’epoca dell’indifferenza globalizzata - Stefano Zecchinelli

Una commissione di esperti legali delle Nazioni Unite ha ritenuto – proprio in questi giorni – illegittima la detenzione di Julian Assange, fondatore di Wikileaks, nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Per la precisione il Gruppo di lavoro sopra la Detenzione Arbitraria ha emesso un comunicato firmato da Phil Seong-Hong in cui leggiamo ‘’Julian Assange è detenuto illegalmente da Svezia e Regno Unito dopo il suo arresto a Londra del 7 dicembre 2010’’. 1
Per questo motivo le autorità svedesi e britanniche sono tenute a porre fine alla detenzione di Assange, a rispettare la sua integrità fisica e libertà; in più leggiamo che il giornalista australiano ha il ‘’diritto effettivo ad ottenere un risarcimento’’. La replica di Londra è in linea con la consueta, arrogante e spocchiosa retorica, tipica della borghesia britannica:‘’Questo non cambia nulla – dice il Ministro degli Esteri britannico – rifiutiamo qualsiasi affermazione che considera Assange detenuto arbitrariamente’’. La diplomazia londinese è determinata a far fuori il nostro, ad ‘’arrestarlo ed estradarlo in Svezia’’. Un atteggiamento schizofrenico quello di Londra, in buona parte simile a quello delle dittature pinochetiste che la Thatcher ( degna madrina del premier Cameron ) era solita appoggiare.
Eppure il ‘’caso Assange’’ non ha legami reali con la sua presunta – e mai verificata – ‘’cattiva condotta sessuale’’ in Svezia. Ci spiega John Pilger ‘’Il procuratore capo di Stoccolma, Eva Finne, respinse il caso dicendo: “Io non credo che ci sia alcun motivo di sospettare che egli abbia commesso il reato di stupro” e una delle donne coinvolte accusò la polizia di fabbricare prove e di “indirizzare” la sua testimonianza, protestando che “non voleva accusare JA di nulla”. Misteriosamente, dopo un intervento politico, un secondo procuratore riaprì il caso, poi lo bloccò’’ 2
Le ragioni della illegittima carcerazione sono ben altre: gli Usa non possono perdonare al nostro di avere rivelato al mondo una parte rilevante non solo dei crimini commessi contro i popoli afghano ed irakeno, ma anche dei progetti imperialisti dell’ amministrazione ‘’democratica’’ di Obama. Continua Pilger: ‘’Tradendo le sue stesse parole, Obama ha da allora perseguito più informatori di tutti i presidenti degli Stati Uniti messi insieme. La coraggiosa Chelsea (Bradley) Manning sta scontando 35 anni di carcere, dopo essere stata torturata durante la sua lunga detenzione preventiva’’. Ed è per questo che ‘’è in fase di rielaborazione una legge antispionaggio vecchia di un secolo che veniva utilizzata per mettere a tacere gli obiettori di coscienza durante la prima guerra mondiale; l’Espionage Act può prevedere sia l’ergastolo che la pena di morte’’.
Insomma, cosa dire ? Negli Usa – sulla scia di Bush – dal 2008 si è pianificata la condanna a morte, legale, di giornalisti e dissidenti politici. Assange è vittima di questa macchina antidemocratica che i media europei si ostinano a voler difendere ed imporre come modello.
Julian Assange non piega la testa
Nonostante le provocazioni americane, Assange non ha mai smesso di denunciare la classe politica statunitense divisa fra i militaristi alla Bush, Clinton e Rubio e gli uomini d’affari, i grandi capitalisti, gli speculatori ( e sfruttatori ) senza scrupoli, come Donald Trump. Una classe politica dipendente, da un lato, dalle multinazionali e, dall’altra, succube delle lobby e del complesso militar-industriale. Lo studioso Webster Tarpley ha ironizzato parlando della ‘’lotta’’ fra il ‘’partito dei reazionari’’ ed il ‘’partito dei fascisti’’, una visione radicale più che opportuna.
Hillary Clinton, eroina della ‘’sinistra imperiale’’ europea, viene vista dal fondatore di Wikileaks come una garanzia per ulteriori guerre d’aggressione neocoloniali. Assange è durissimo ‘’un voto ad Hillary Clinton equivale ad un voto per stupide ed interminabili guerre’’ 3. Non è stata forse la Clinton ad organizzare l’abbattimento del governo progressista di Gheddafi, gettando volutamente nella miseria più nera milioni di centro-africani i quali confidavano nel progetto pan-africanista del leader libico ?
La forza d’animo di Assange ha suscitato la reazione scomposta del primo ministro britannico, Cameron, il quale ha definito ‘’ridicola’’ la decisione dell’ONU. Forse i piani militaristi della Clinton attraggono il leader britannico, alleato di ferro dei Saud e di Netanyahu ? La cancelleria dell’Ecuador non è rimasta in silenzio ‘’Sono molto sorpreso – ha detto il Ministro degli Affari Esteri, Ricardo Patiño – a me ciò che pare ridicola è la sua reazione ( si riferisce a Cameron ), una reazione che è certamente irrispettosa. Quando le Nazioni Unite prendono decisioni che gli fanno comodo, queste sono buone e tutto il mondo deve rispettarle. Quando queste decisioni a loro non piacciono, allora diventano ridicole’’ 4.
Emerge da questa triste vicenda una concezione ‘’usa e getta’’ del diritto internazionale, una ‘’democraticità sui generis’’ ad uso e consumo delle potenze imperialistie. Su che basi di diritto internazionale la Clinton vuole aggredire la Siria oppure riaprire le ostilità contro l’Iran ? Evidentemente il ‘’diritto’’, in regime capitalistico, non può essere aderente alla ‘’giustizia’’ ma possiamo identificarlo con la ‘’potentia’’ ( potenza ) ovvero la facoltà delle grandi nazioni di aggredire i piccoli paesi. Chavez ricordava ai giornalisti eurocentrici che tutto questo ha un solo nome: imperialismo. Assange – come il defunto presidente venezuelano – ha provato a spiegarci come funziona la macchina della disinformazione imperiale: possiamo stupirci della sua triste sorte?
In una recente intervista, con la consueta precisione, il giornalista australiano ha dato un ennesimo e durissimo colpo agli Usa, svelando il tema complesso di internet: ‘’Il business model di Google è la raccolta della vita privata delle persone: raccogliere queste informazioni, archiviarle, indicizzarle e costruire modelli di comportamento basati su questi dati. E tutto questo viene venduto a fini pubblicitari. Di fatto, è il medesimo modello che le agenzie di sorveglianza come la Nsa e il Gchq hanno messo in atto’’. Ci troviamo davanti – a partire dalla rete, vera lama a doppio taglio – ad un sistema, tanto di monitoraggio, quanto di indottrinamento e controllo. A chi appartiene facebook su cui, a breve, diffonderò questo articolo ?
Julian Assange ha affrontato questa enorme e micidiale macchina burocratica spiegandoci il suo funzionamento: per gli Usa adesso è un ‘’terrorista’’; è giusto che noi lo si consideri come una sorta di eroe moderno.
http://www.hispantv.com/newsdetail/el-reino-unido/203891/assange-onu-razon-liberacion-embajada-wikileaks
http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/6607-john-pilger-liberta-per-julian-assange-ultimo-capitolo.html
http://www.hispantv.com/newsdetail/ee-uu/204570/assange-hillary-clinton-libia-wikileaks
http://www.hispantv.com/newsdetail/ecuador/204746/eucador-irrespetuosa-david-cameron-assange-veredicto-onu






Le responsabilità al di là del caporalato - Sfruttazero – autoproduzioni fuori mercato


Sono trascorsi pochi giorni dalla doppia strage sulle strade del foggiano, dove sono morte sedici persone. Come si ripete ogni volta che ci scappano i morti, all’attenzione dell’opinione pubblica emergono le condizioni di lavoro e di vita al limite della schiavitù in cui versano migliaia di braccianti nel sud Italia così come in tanti altri territori della democratica e civilizzata Europa.
Tra i tanti a prendere parola sono intervenute anche le istituzioni, tempestive nell’individuare nei caporali il capro espiatorio più appropriato affinché la colpa di quanto succede possa accostarsi il meno possibile alle loro funzioni e responsabilità politico governative. Ancora una volta, il dolore e l’emotività degli avvenimenti rende efficace dire a gran voce ‘basta al caporalato!’. La stessa retorica in voga quando impotenti si assiste alle continue stragi dei migranti nel mar Mediterraneo. Il capro espiatorio in questo caso sono gli scafisti, perfino appoggiati senza prova alcuna dalle Ong, denominate da alte cariche dello Stato ‘taxi del mare’.
Scafisti e caporali, due figure illegali e bandite dalla legge, si rivelano ben funzionali alla propaganda dei rappresentanti istituzionali. La realtà però è ben più articolata. Ovviamente non si vuole negare l’esistenza di questi fenomeni, spesso controllati dalla criminalità più o meno organizzata, che ormai fa delle agromafie una fonte di lauti guadagni e di controllo dell’economia di interi territori. Tuttavia il caporalato così come i faccendieri di migranti sono la conseguenza di politiche nazionali ed internazionali di governo delle migrazioni non fondate sulla salvaguardia e la tutela delle persone. I flussi migratori gestiti da bande di criminali da una sponda all’altra del Mediterraneo prosperano per l’assenza di corridori regolari e umanitari. L’intermediazione di manodopera informale prospera a causa dell’assenza di una organizzazione del lavoro regolare (in questo caso nel comparto agricolo).

Disintossicarsi da questa narrazione è necessario ma non sufficiente. Dobbiamo assumerci anche l’incombenza di non fermarci all’immediata indignazione, bensì individuare e denunciare a gran voce i diretti responsabili di quanto succede da anni nelle campagne della Puglia, ma anche nel resto dell’Italia. Sappiamo che le condizioni ignobili di lavoro e di vita sono imposte dagli interessi della Grande distribuzione organizzata (GDO) con la connivenza e la complicità normativa delle Istituzioni locali, nazionali ed europee.
Da decenni ormai i flussi migratori sono governati anche e soprattutto per deregolamentare il mercato del lavoro, che necessita forza-lavoro usa e getta, funzionale alla produzione just in time, stagionale e a termine. La capacità del sistema economico e normativo in cui siamo inseriti sta proprio nella sua ecletticità nel riprodurre diversi rapporti di dominio e sottomissione per favorire la concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi, a discapito del lavoro salariato tutelato e della redistribuzione del benessere. Su questo solco il management delle politiche migratorie cambia le sue sfaccettature ma rimane intatto nella sostanza. In Italia, ad esempio, si sono alternati lungo una linea comune Napolitano e Bossi, Maroni e Minniti fino a Salvini.
I più importanti paesi dell’Unione Europea, grazie a leggi come ad esempio in Italia la Bossi-Fini, continuano a far fronte ad un’esigenza di fondo inderogabile: avvalersi di manodopera conveniente per livellare verso il basso le condizioni generali di lavoro di tutti, stranieri e nativi, e contestualmente mantenere la separazione, tutta politica, del lavoro migrante con il resto della forza-lavoro per evitare il più possibile il dissenso e per scongiurare qualsiasi piattaforma unitaria tra diversi soggetti del mondo del lavoro.
Come ci riescono? Creando intenzionalmente condizioni di precarietà nei percorsi di accoglienza e regolarizzazione dei migranti, sempre più in bilico tra il diniego e il riconoscimento del permesso di soggiorno; persone rinchiuse in ghetti formali (Cara, Cas, Hotspot) o informali, attraverso politiche di esclusione sociale con l’intento di renderle sempre più vulnerabili, ricattabili. Persone in balia dello sfruttamento informale o legalizzato nei vari settori dell’economia di mercato, di cui il Job Act è l’ultimo baluardo normativo istituzionale. Persone che, impossibilitate a circolare liberamente in Europa con un regolare permesso di soggiorno, alimentano flussi migratori invisibili, innescando sacche di continuo business, tratte di essere umani.

Facile, quindi, additare le responsabilità ai soli scafisti, ai caporali o ai trafficanti di essere umani. Questi sono il risultato del razzismo istituzionale dell’Europa dei mercanti e della finanza, della Troika, di cui ormai si parla sempre meno, delle privatizzazioni e liberalizzazioni attuate dai governi progressisti negli ultimi 30 anni. Un mix di politiche i cui effetti sociali ormai si riversano sulle popolazioni attraverso delle vere e proprie guerre tra poveri. La crescente demonizzazione del ‘diverso’, l’aumento di fenomeni di violenza a stampo razziale e xenofobo verso persone con il colore della pelle nero ne sono la dimostrazione.
Davanti a questo sistema, il più delle volte i e le migranti che rivendicano la libertà di movimento fuori e dentro i confini dell’Europa (da Ventimiglia a Calais in Francia, da Lesbo in Grecia a Ceuta in Spagna), sono le stesse persone che lottano con coraggio contro lo sfruttamento nelle campagne e nei settori della logistica. Per noi che abbiamo deciso di scrivere questo contributo, è dal 2014 che osserviamo e sosteniamo i percorsi di autorganizzazione bracciantile nel foggiano.
Braccianti che rivendicano un trasporto a lavoro regolare: un problema la cui soluzione è di competenza dei datori di lavoro, come previsto dal contratto collettivo nazionale e dai contratti provinciali agricoli. Una prerogativa che, in caso di negligenza di questi ultimi, spetta all’amministrazione regionale competente. In questo caso il presidente della Regione Puglia, prima di essere legittimato ad intervenire in piazza a Foggia lo scorso 8 agosto durante la manifestazione dei braccianti, doveva rispondere della sua responsabilità di fronte a quanto è successo in questi giorni, dato che negli ultimi anni non ha adempiuto alle sue prerogative.
Braccianti che rivendicano anche alloggi dignitosi, che si sono resi protagonisti di manifestazioni, sit-in, scioperi, incontri con le istituzioni da Foggia a Bari fino al Salento in questi ultimi anni. Nell’agosto del 2016 abbiamo sostenuto uno sciopero nella z.i. di Foggia dove per ben 8 ore centinaia di lavoratori in sciopero hanno bloccato i cancelli della Princes, multinazionale di trasformazione del pomodoro. Grazie a queste lotte le Istituzioni competenti, in questo caso la Regione Puglia e le prefetture, non solo hanno avuto la possibilità di conoscere nei dettagli i processi e i meccanismi della filiera sporca del pomodoro, ma hanno anche ascoltato le proposte per assicurare casa, trasporti e documenti per i lavoratori e le lavoratrici delle campagne. Ma nulla è successo, se non ulteriori stragi di braccianti, ossia quel perverso prezzo umano da pagare, da metter in conto per permettere alle grandi imprese del comparto agroindustriale, ossia la GDO di fare profitti miliardari. Come? Attraverso l’imposizione dei prezzi dei prodotti nei confronti di chi, di conseguenza, sottopone i lavoratori allo sfruttamento a condizioni di vita da schiavi, i cui meccanismi sono stati efficacemente descritti nel reportage ‘Le catene della distribuzione’ di L. Filippi, M. Franco e M. Panariello, vincitore del Premio Morrione 2017.

Tante e diverse sono anche le soluzioni avanzate dai diretti interessati. Soluzioni che devono pure diventare patrimonio comune e rivendicazione quotidiana dell’opinione pubblica: documenti, trasporti e contratti regolari; utilizzo di fondi pubblici e prelievo fiscale verso le imprese del settore per il recupero e riuso di immobili pubblici abbandonati da adibire a scopo abitativo per i lavoratori e le lavoratrici delle campagne; una gestione diretta e regolare del trasporto da parte di associazioni di lavoratori attraverso l’utilizzo di mezzi pubblici idonei e sicuri. In giro per l’Italia già esistono esperienze virtuose. A Bari dopo una lunga vertenza tra migranti e Comune, quest’ultimo ha assegnato un immobile abbandonato direttamente a lavoratori e lavoratrici migranti: villa Roth al quartiere san Pasquale, dove oggi vivono in autogestione stranieri e italiani insieme; dove da quasi tre anni grazie alla concessione della residenza è possibile il rinnovo del permesso di soggiorno per poter rivendicare un regolare contratto di lavoro, aprire un conto in banca, organizzare momenti di autoformazione sindacale. Luoghi che creano comunità e solidarietà reciproca, incubatori di attività economiche mutualistiche in autogestione, di filiere agroalimentari alternative e fuori dalle logiche del mercato capitalistico, di cui un esempio è anche la nostra filiera di salsa di pomodoro SfruttaZero, ben accompagnata da una moltitudine di altri progetti simili, fuori e contro questo mercato tossico ed asfissiante!



mercoledì 29 agosto 2018

Manoscritto trovato a Saragozza - Jan Potocki


una storia dentro l'altra, una storia laterale, una storia che viene prima e una dopo, e viceversa, tante storie da restare a bocca aperta, a metà strada fra il Decamerone e il Don Quijote.
le avventure di Alfonso van Worden e di tutti gli altri sono folli, e folle dev'essere uno che le legge in questi giorni d'estate.
io sono stato folle, e così spero di voi.
una sorpresa bellissima.






Il “Manoscritto” è un’opera labirintica, non ancora completata dall’autore alla data della morte. Se la si volesse catalogare in un genere, si potrebbe dire che si tratta di un decamerone nero, in quanto la narrazione è suddivisa in giornate, quattordici nelle prime edizioni e sessanta nel testo completo. Intorno alla vicenda principale, quella del soldato Alfonso van Worden, che intraprende un lungo viaggio attraverso la Spagna per raggiungere la destinazione cui è stato assegnato, si intrecciano una pluralità di storie, vere e proprie novelle raccontate dai personaggi che il protagonista incontra durante il cammino. Ognuno racconta la sua storia, spesso intervallata da altri racconti, fino a costruire una trama narrativa estremamente complessa, che coinvolge più livelli di lettura…

Paragonato dalla critica al Decamerone per il suo carattere d’intrattenimento, ecco un’importante opera della letteratura europea parzialmente avvolta nel mistero. Il suo autore, aristocratico polacco tra ‘700-‘800, fu uomo di “multiforme ingegno”. Viaggiatore instancabile tra oriente e occidente, etnologo, occultista, storico e attivista politico. Tutte esperienze confluite in questo romanzo nero-fantastico a cui lavorò fino al suicidio nel 1815. Sotto forma di diario, il giovane ufficiale vallone Alphonse van Worden racconta il suo viaggio attraverso la Sierra Morena nel 1739 per raggiungere il suo reggimento di stanza a Madrid. Un testo denso, fatto di intrecci e infiniti “romanzi nel romanzo” che confondono e affascinano il lettore in egual misura. Il confronto-scontro tra le tre grandi religioni monoteiste, zingari carismatici, il Nuovo Mondo, assassini, magie e seduzioni, complotti, lezioni di geometria. Una trama avvincente, dallo spiccato sapore picaresco.