mercoledì 30 novembre 2011

Praga è sola - Lucio Magri

...Per la resistenza
II primo punto è l’assunzione di una presa di posizione netta di fronte alle scelte politiche dei gruppi dirigenti dell’Urss e degli altri paesi socialisti europei. Non è più possibile puntare su una loro autocorrezione; si è costretti a puntare sulla loro sconfitta e la loro sostituzione, per iniziativa e da parte di un nuovo blocco di forze sociali diretto dalla classe operaia, un rilancio socialista che investa le strutture politiche e sia capace di esprimere realmente le potenzialità immense uscite dalla rivoluzione d’ottobre.
I cauti condizionamenti dall’esterno, le critiche generiche che non individuano esplicitamente obiettivi, responsabilità, gruppi dirigenti, non rappresentano ormai che segmenti di un “realismo” sempre più somigliante all’omertà, che avalla gli stati di fatto e scoraggia sul nascere ogni forza di opposizione. Finché la resistenza cecoslovacca si troverà di fronte – nel campo internazionale – all’alternativa fra le simpatie degli anticomunisti e le prudenziali realistiche coperture all’attuale gruppo dirigente, non le resterà che l’isolamento e il  ripiegamento su se stessa.
Ma anche questo è un punto preliminare. Il proletariato occidentale ha un solo modo per diventare un punto di riferimento mondiale, un momento di internazionalismo attivo ed efficace: quello di portare avanti la sua rivoluzione; essere in grado di proporre un modello di socialismo diverso, perché lo sta realizzando. Il discorso sulla Cecoslovacchia ci riporta così all’Italia. Con una nuova consapevolezza, e cioè che se la crisi oggi aperta in occidente si dovesse ancora una volta chiudere con una sconfitta o un nulla di fatto, dovremmo scontare un arretramento grave su tutto il fronte rivoluzionario internazionale. Vi è una perfetta coerenza fra chi perdona la politica di Brežnev e chi sollecita da noi una linea di compromesso. Se in occidente i comunisti si inseriscono non c’è da attendersi che un congelamento conservatore nelle società socialiste. Sarebbe
l’internazionalizzazione della rinuncia.
[“Praga è sola”, Il manifesto, 1969, 4, pp. 3-5]

Scuola: arrivano i curatori fallimentari - Giuseppe Aragno

I segni della drammatica continuità sono evidenti. A far da scorta a Profumo, in un governo che sulla scuola è dichiaratamente schierato su posizioni gelminiane, ecco Elena Ugolini e Marco Rossi-Doria, il filo rosso tra l'inizio e la fine della tragedia che sembra ormai consumata. Chi ha memoria ricorda ma, se non fosse così, i percorsi parlano da soli. 
Nel 1998 Elena Ugolini fu chiamata a far parte della "Commissione dei saggi" voluta dall'allora ministro Luigi Berlinguer, un esponente di primo piano di quella sinistra che prima di giungere al "Partito Democratico", ha attraversato tutte le trasformazioni zoologiche e ortofrutticole di quella che un tempo fu la sinistra. Il cambio della guardia con la destra non riguardò la Ugolini. Prova vivente della profonda sintonia di vedute e d'intenti tra i "contrapposti" schieramenti d'uno spurio bipolarismo, nel luglio 2001, eccola pronta per il neo-ministro Moratti, che subito la inserì nel ristretto gruppo di lavoro, incaricato di predisporre gli indirizzi per una valutazione del sistema scolastico italiano. 
Per suo conto, intanto, Marco Rossi-Doria, già nominato "primo maestro di strada d'Italia" dall'ineffabile Berlinguer, aveva ideato in quegli anni il "progetto Chance", che costò un patrimonio al dissestato Comune di Napoli e lasciò le cose così com'erano prima. Al pari della Ugolini, negli anni del disastro Marco Rossi-Doria è entrato e uscito da ogni Commissione creata ad arte per vendere fumo e piegare la scuola alle scelte ideologiche di governi sempre più servi del pensiero neoliberista. Dopo la "Commissione per la Riforma dei cicli di istruzione", in cui lo ficcò da sinistra Tullio De Mauro, Rossi-Doria passò con grande disinvoltura alla "Commissione di studio per un Codice deontologico degli insegnanti", voluto questa volta dalla destra, rappresentata dal ministro Moratti. Nell'Italia che correva a ruota libera verso lo sfascio, i due facevano il loro viaggio personale nella stessa direzione, su strade parallele, ma evidentemente destinate a incrociarsi. Elena Ugolini sul treno della "Valutazione" che nel 2002 la condusse al "Comitato tecnico scientifico dell'Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Scolastico" (il contestato INVALSI) ai cui vertici si trovò quando l'Istituto divenne "Ente autonomo di ricerca". Con la "sinistra" del ministro Fioroni e il suo famigerato "giravite", nel 2007 Ugolini e Rossi-Doria indossano finalmente la stessa casacca. La scuola ormai agonizza ma, imperturbabile, la Ugolini accetta la nomina del ministro Fioroni e diventa commissario straordinario dell'INVALSI. In quanto a Rossi-Doria, passato da Moratti a Fioroni, eccolo in una nuova "Commissione nazionale"; stavolta di occupa delle competenze e dei saperi relativi all'elevamento dell'obbligo di istruzione a 16 anni. La bufera Gelmini qualcosa di nuovo pare mostrare e mentre parte il colpo di grazia salutato da un tripudiante Berlinguer, nell'ottobre 2008, forse perché considerato inadatto a gestire la "soluzione finale", Rossi-Doria resta a casa, mentre Elena Ugolini è confermata all'Invalsi. La separazione, però, è destinata a essere breve. Monti, infatti, che non starebbe in piedi se non contentasse Bersani e Berlusconi, ha fatto finalmente il grande gesto ed eccoli sottosegretari. La scuola, intanto, ridotta in sala rianimazione, se ne sta inerte. Messa in liquidazione, attende la ricetta dei medici che l'hanno curata. Vada come vada, il fallimento è sotto gli occhi di tutti.

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martedì 29 novembre 2011

ricordo di Lucio Magri e Saverio Tutino

…Ogni volta che si cercava una opinione autorevole su ciò che accadeva a l'Avana bisognava chiederla a Tutino, memoria storica di quella rivoluzione, anche se mancava da Cuba dal 1980. Lui, iscritto al Pci dal 1944, giornalista per trent'anni a l'Unità, aveva visto incrinarsi il rapporto con il partito proprio a causa di Cuba che a metà degli anni Sessanta gli era apparsa la capitale di un terzo polo della politica internazionale, quello a cui facevano riferimento i Paesi del terzo mondo e del movimento dei non allineati che a botteghe oscure si conoscevano assai poco. Il Pci gli sembrò in quegli anni accettare troppo supinamente la realpolitik della "guerra fredda" e del bipolarismo imperniato su Washington e Mosca.

Il 9 agosto 1994, in una intervista al Corriere della Sera, Tutino esplicitava i suoi ripensamenti a molti anni di distanza: "Sì, lo ammetto. Io sono stato forse il maggiore responsabile della creazione del mito cubano in Italia, il mito di una società giusta ed egualitaria. Mi sono sbagliato e ho pagato quello sbaglio. Il mito nasce quando un uomo politico lo crea intorno a sè. E, tra tanti difetti, bisogna riconoscere a Castro di essere un politico di notevole calibro. Ha capito che la politica si fa con i miti e non con i decreti". E sul rapporto con il Pci annotava: "Il partito, alla fine degli anni Sessanta, mi rimproverò di essere troppo innamorato di Cuba. Allora mi arrabbiai, oggi riconosco che avevano in gran parte ragione. Uscirne è stata un'avventura difficile, sofferta". Lui era restato un comunista inquieto, libero da discipline di partito e di corrente come aveva scritto nella sua autobiografia…


Una depressione vera, incurabile. Un lento scivolare nel buio provocato da un intreccio di ragioni, pubbliche e private. Sul fallimento politico - conclamato, evidentissimo - s'era innestato il dolore privato per la perdita di una moglie molto amata, Mara, che era il suo filtro con il mondo. "Lucio non sapeva usare il bancomat né il cellulare", racconta una giovane amica. Mara che oggi sorride dalle tante fotografie sugli scaffali, vestita color ciclamino nel giorno delle nozze. Un vuoto che Magri riempie in questi anni con le ricerche per il suo ultimo libro, una possibile storia del Pci che certo non a caso titola Il sarto di Ulm, il sarto di Brecht che si sfracella a terra perché non sa volare. Ucciso da un'ambizione troppo grande, così almeno appare ai suoi contemporanei. Anche Magri voleva volare, voleva cambiare il mondo, e il mondo degli ultimi anni gli appariva un'insopportabile smentita della sua utopia, il segno intollerabile di un fallimento, la constatazione amarissima della separazione tra sé e la realtà. Così le ali ha deciso di tagliarsele da sé, ma evitando agli amici lo spettacolo del sangue sul selciato…

In periferia c'è un mondo che ignora le manifestazioni studentesche e dove i ragazzi "spacciano e si fanno" - Marco Lodoli

Ogni mattina arrivo alle otto nella scuola dove insegno e al cancello mi lascio alle spalle la mia vita `borghese`: qui devo essere pronto ad ascoltare altre storie, devo abbandonare ogni pregiudizio e cercare di trasformare tutto quello che so e che sono in un aiuto reale per tanti ragazzi difficili. Se è vero che esiste una nuova generazione stanca di stare a guardare, di subire le ingiustizie e i ceffoni della società adulta, di trascinare una vita alle quale hanno ostruito tutti gli sbocchi, è altrettanto vero che c'è un mondo giovanile rinchiuso nelle periferie italiane che ignora le manifestazioni studentesche contro la Gemini o contro la precarietà perenne, un mondo che rotola sopra altri terreni, sassosi, bruciati, dimenticati da Dio e dai mezzi di informazione.

Bisogna gioire per la nuova consapevolezza degli studenti dei licei e delle università, ma bisogna anche preoccuparsi seriamente per il degrado esistenziale dei ragazzi che ruotano lontani dal centro del discorso, fuori dal cerchio dei riflettori. Insomma, pochi giorni fa parlavo con una mia allieva della seconda, sedici anni ad aprile. E' una ragazza sicuramente sveglia, il padre è un musicista, in casa ha respirato cultura. Da un paesetto della provincia, dove tutto è più tranquillo, la famiglia si è trasferita a Roma, in uno dei quartieroni cementati nel nulla, a ridosso del Raccordo Anulare. Così Serena, la mia allieva, ha trovato nuovi amici e un fidanzatino, un diciottenne `tanto buono e bravo`. In comitiva, mi racconta Serena, sono venticinque, maschi per la stragrande maggioranza. Si vedono ogni sera in una piazzetta qualsiasi, si sistemano su quattro panchine, consumano il tempo scherzando e ridendo. Fin qui tutto bene, o almeno niente di male.

`Ma che fanno questi ragazzi – domando ingenuamente. – Studiano?`. Serena sorride: `No, per carità, hanno tutti mollato la scuola da parecchio.` E allora io: `Dunque lavorano, giusto?`. Serena scuote la testa tinta di biondo: `No, non lavora quasi nessuno. Chi prende a lavorare un sedicenne o un diciassettenne che non sa fare niente?` Morale: `Su venticinque ragazzi, venti spacciano`. Può sembrare una percentuale esagerata, un numero buttato lì per far paura, e invece è proprio così. E io insisto: `Ma se tutti spacciano, chi compra?` e scopro che il mercato è complesso, che non tutti vendono la stessa merce.

C'è chi `spinge er fumo` e chi piazza la coca, chi ha l'erba e chi le pasticche, come in un centro commerciale della droga. L'offerta è diversificata e ognuno fa i suoi sporchi soldini. `Ma è pazzesco – m'indigno. – Mica sarà così ovunque, sarà che sei capitata nel giro peggiore, Serena, e devi tirartene fuori in fretta, prima che sia troppo tardi.` Serena non è una sciagurata, anzi ha una lucidità e una vivacità notevoli, però è figlia del nostro tempo ammaccato. `E' così ovunque, professò. In periferia tutti i ragazzi spacciano e si fanno. Nessuno s'aspetta niente di meglio.`

lunedì 28 novembre 2011

Franco Arminio - Circo dell'ipocondria

Franco Arminio lo conosco da poco, ma ho letto molto di quello che scrive.
In questo libro parla di sé, e di noi, come sempre, come tutti, con una scrittura spesso aforistica.
A me è piaciuto, e magari piace anche a voi, ma ancora non lo sapete.
Cominciate da questo libro, o da un altro, ne vale la pena - franz


“…La posta elettronica , i blog, le chat, i messaggi sul telefonino, sono giocattoli assai simili al videopoker, sono le slot machines dell’anima. Tu metti gli spiccioli di una poesia e aspetti che ti arrivi una cascata di complimenti. Sei dentro un gioco e pensi di fare cultura, questo è il problema. Sei dentro una nevrosi e pensi che stai littando per cambiare il mondo…”(p.48)

“…Scrivere è annusare l’invisibile. È un odore che non sentiremo mai, ma non si rimane a mani vuote come nelle conversazioni sociali, nelle riunioni politiche, nelle chiacchiere da marciapiede…”(p.37)

La prosa di Arminio è perfetta. Non, o non solo, in senso letterario: immagini e idee sono il suo respiro. Altri testi cercano di dire delle cose, le “traducono”; e vi si può aderire o meno, dunque, sul piano della loro verità. Ma qual è la verità di una scrittura, se non la scrittura stessa? Nulla al di là di quel filo sottile in cui consiste, mentre leggiamo, tutto l’universo.
Arminio è uno scrittore talmente originale che di questa originalità ha finito per fare una malattia. Quella malattia che pensa se stessa: perché consiste proprio nel terrore di ammalarsi. Il miracolo del libro, allora, consiste nella sua salute: una splendida salute precaria.
Tra il corpo di Arminio e la sua terra, l’Irpinia terremotata e malricostruita, sussiste una profonda relazione. L’uno è il sintomo dei mali dell’altra. Così, alla prosa ruminante e insieme limpida degli aforismi e dei brevi saggi di Circo dell’ipocondria, si associano con naturalezza le immagini di Terra dei paesi, uno dei singolarissimi documentari che Arminio da qualche tempo ha preso a realizzare. Un film fatto, per lo più, di inquadrature fisse: luoghi assorti e silenziosi o bisbiglianti chiacchiere senza fine. Luoghi che sembrano in attesa – di qualcosa d’indefinibile, o forse innominabile. Ci si ricorda delle cartoline di paese, in bianco e nero, dell’“Intervallo” che occhieggiava dagli schermi televisivi di quello che pare un secolo fa.
Ecco: quella di Arminio è una scrittura-intervallo. Una scrittura che si prende tutto il respiro di cui ha bisogno perché il suo tempo – indipendentemente dalla sua durata – è in realtà infinito. Naturale che si finisca per vivere nella paura.
A.C.


Arminio ama Arminio tant’è che si preoccupa per lui e lo osserva attentamente, lo segue in tutti i suoi spostamenti d’ansia, lo studia, gli fa visita e lo visita, gli tasta il polso e lo fotografa, gli fa le radiografie interne perché Arminio è un ipocondriaco che ha paura di morire, di diventare trasparente, così trasparente che neppure le radiografie e la scrittura si accorgono che lui esiste, non registrano niente, non danno alcun dato. Così fino a quando Arminio si tasta il polso e sente il suo battito Arminio è contento, anche se il battito non è proprio perfetto, ogni tanto perde un colpo. Ad Arminio piacciono gli aforismi, c’è una parte del libro interamente dedicata ad essi ma anche nel mezzo non ne mancano…

giovedì 24 novembre 2011

e i nostri diritti acquisiti?


Assegni vitalizi addio, almeno per i senatori del futuro. Il Consiglio di presidenza di Palazzo Madama, con a capo Renato Schifani, ha deciso all'unanimità il superamento dell'attuale e contestatissimo sistema. Ed è facile immaginare che una decisione analoga sarà presa, al più presto, anche dai colleghi della Camera. La novità, però, riguarderà solo i senatori eletti a partire dalla prossima legislatura. Non saranno dunque toccati i diritti acquisiti.

La decisione rispecchia quanto già votato dall'aula nei mesi scorsi, con alcuni ordini del giorno. E si sono dichiarati a favore i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari. Non era possibile modificare anche il regime del vitalizio per i senatori ancora in carica o per gli ex, come buona parte dell'opinione pubblica auspicava? "Giuridicamente non eravamo competenti", risponde Benedetto Adragna, questore a Palazzo Madama, "si sarebbero intaccati diritti acquisiti. Ma abbiamo dato un segnale, abbiamo avviato una serie di tagli che continueranno nei prossimi anni. Cerchiamo di essere in sintonia con il nuovo corso di sacrifici che dovrà affrontare il Paese".

da qui




martedì 22 novembre 2011

libero Bruno Bellomonte

Dopo 29 mesi di carcere Bruno Bellomonte è stato assolto perché il fatto non sussiste. Potete immaginare la gioia del sottoscritto e di coloro che in questi 29 mesi non hanno avuti dubbi sull’innocenza di Bruno. Noi ci abbiamo messo la faccia ,l’impegno ed abbiamo promosso tante iniziative , altri sono stati completamente ignavi vergogna !!!! Io mi sono sempre chiesto : di che cosa è accusato Bruno? Alcuni giornali hanno ripetuto le tesi fantasiose ed incredibili dell’accusa: “bombardare con modelli radiocomandati le navi destinate ad ospitare le delegazioni del G8”. Proprio così, Bruno Bellomonte dispone di un esercito e di una artiglieria capaci di bombardare lo stato maggiore delle maggiori potenze capitalistiche riunite al vertice. Altro che BR e Bin Laden, Bruno Bellomonte stava rifondando l’URSS! Ma dove sono questi cacciabombardieri telecomandati? Dove sono le armi? Dove sono i piani di attacco e di fuga necessari in una operazione militare di questa portata? Dove è la rete di contatti e di relazioni articolata ed operativa per pianificare una simile operazione di guerra? E soprattutto come fa Bruno Bellomonte ad essere contemporaneamente capostazione, sindacalista attivissimo e dirigente indipendentista . Queste sono le domande che mi sono sempre posto . Ricordo che a Bruno è stato negato il diritto di scontare la custodia cautelare in Sardegna.
Come previsto da un accordo Stato – Regione, parlo della famosa territorialità della pena, sono state raccolte 3mila firme "per rivendicare il diritto dei carcerati sardi di essere detenuti nell'Isola".Nel suo caso – come in quello di centinaia di altri detenuti sardi – è stata fatta carta straccia del principio della Territorialità della pena, nonostante le 3mila firme raccolte per chiederne l’applicazione . Bruno è divenuto anche il simbolo della territorialità della pena , che deve divenire la nostra prossima battaglia in nome di tutti i detenuti sardi che non sono nelle carceri sarde. Chiudo questo mio articolo augurando tutto il bene del mondo a quelle due bellissime persone di Bruno e Caterina . Per far capire a tutti chi è Bruno allego una delle tante lettere ricevute da Bruno in questi anni.
ANTONELLO TIDDIA
RSU CARBOSULCIS

Yvonne Přenosilová

un tempo la musica "leggera" italiana era molto amata - franz




lunedì 21 novembre 2011

coincidenze



segnalato da Edoardo

Antonione raccontato da Furio Colombo

Vi prego di fare attenzione a questa vicenda: il deputato Antonione, prima della seduta in cui Berlusconi ha finito la sua corsa (e Fabrizio Cicchitto, con un lapsus, ha addirittura annunciato le dimissioni del premier con il verbo al passato, molto prima che il suo capo salisse al Quirinale) aveva dichiarato subito che non avrebbe in nessun caso votato, quel giorno o mai più, a sostegno di Berlusconi.
Antonione se ne è andato dal Pdl senza essere parte di un gruppo, senza aderire ad alcun gruppo, senza difendersi, come politico e come persona, in alcun modo. Per questo, durante tutti gli interventi precedenti dei suoi ex amici, era stato (da tutti) chiamato “traditore”. Intendeva rispondere alla gravità dell’offesa, ma anche raccontare, spiegare. Questo i suoi colleghi non volevano che accadesse e per questo hanno organizzato una barriera compatta di urla, in modo che non restasse traccia della sua voce. Di solito tutti i non interessati vanno via in fretta alla fine di una seduta. Non in questo caso. Ci siamo fermati in molti, se non altro a difesa del deputato che non riusciva a parlare e per costringere il presidente di turno a difendere il diritto violato (ciò che non sempre avviene).
E allora Roberto Antonione ha potuto spiegare che i suoi anni con Berlusconi sono stati anni di umiliazione, di forzata ubbidienza, di ordini trasmessi dal caporalato lungo linee di comando che non hanno nulla di parlamentare, perché sono arbitrariamente costituite dentro la corte del sultano, non rispecchiano nulla delle competenze o dei ruoli effettivamente assegnati in Parlamento, ma solo decisioni, anche improvvisate o inventate sul momento, dal partito di plastica. Qualche volta sono istruzioni degli avvocati, qualche volta rappresentano iniziative dirette a piacere o compiacere, ma senza nessun senso politico. A volte sono eventi assurdi o umilianti come la vicenda di Karima El Mahroug (Ruby Rubacuori), la prostituta minorenne, già frequentatrice di Arcore che era stata fermata dalla Questura di Milano, e che Berlusconi ha fatto consegnare alla sua amica e consigliera regionale Minetti contro la decisione del giudice di sorveglianza. Ma l’incredibile evento non è bastato a Berlusconi. Ha preteso un voto di fiducia del Parlamento per confermare ciò che il presidente del Consiglio si era preso la responsabilità di affermare con la sua autorità istituzionale: che la ragazzina marocchina Ruby era in realtà la nipote egiziana del presidente Mubarak. Lo ripeto qui perché questo è stato l’argomento più importante e drammatico del discorso, continuamente disturbato da urla, del deputato Antonione, ex pdl. “Traditore io? Ma se ho persino votato che Ruby era la nipote di Mubarak! Ora non posso più umiliarmi a questo punto, non posso più accettare questo gioco di sottomissione assoluta”…

domenica 20 novembre 2011

dice Carl von Clausewitz

“La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”

In Grecia dicono che la Germania sta conquistando il loro paese senza guerra.
(fra poco toccherà all’Italia)
Si potrebbe dire che “La politica è la continuazione della guerra con altri mezzi”.

prendendo spunto da von Clausewitz possiamo dire che “il governo tecnico è la continuazione della politica con altri mezzi”?

Ritorno al niente da dove sono venuto - Luigi Di Ruscio

Siate più lieti, leggermente più disinteressati, sorridete! Spero che concorrano alla vostra gioia le scritture più sconclusionate, anche nella situazione più insostenibile la certezza e la resistenza sono ancora possibili. Per un pubblico numeroso è necessario il ripetuto, la verità trafitta in pieno dalla poesia, il «tu» dedicato a tutti senza discriminazione alcuna. Vivere e morire senza accorgerci di niente, correndo come matti dietro improbabili onorificenze letterarie, inseguendo addetti regionali alla varie culture. Avessero ammazzato gli ebrei con l'idea di mangiarseli avrebbero pensato prima a ingrassarli, scrivo dunque un elogio al cannibalismo. Beati quelli che vivranno dopo di me. È così che capisci di andartene, gli sguardi dei tuoi cari si abbassano, le parole stentano ad esser pronunciate, i figli ammutoliscono. Divorato dalla febbre preparo la valigia per andare in ospedale. Le mani indugiano sulla cerniera, la paura è la stessa di quel giorno di maggio del 1957. Allora vi disponevo con cura i miei libri, con gli angoli delle pagine tutti arricciati; adesso i calzini, le mutande, i pigiami, perfettamente stirati e ricamati. Chiudo tutte le finestre, ripongo nella custodia la macchina da scrivere, ritorno tranquillamente nel niente da dove sono venuto. Nei miei versi è la mia resurrezione.

mercoledì 16 novembre 2011

Giorgio Gaber - La presa del potere


Caro Monti, buoni tagli - Franco Arminio

Non si può trasformare una nazione di sessanta milioni di abitanti in un esercito di ragionieri. E questo pericolo dovrebbe avvertirlo in primo luogo la politica che ancora fa riferimento alla sinistra.
La sinistra dovrebbe fare un grande lavoro di pulizia linguistica. Usare le parole con nettezza e senza equivoci. La sinistra in questo momento partecipa a un governo assieme a Berlusconi. Bisogna dirlo senza girarci troppo intorno. E la cosa è possibile perché sia la destra che la sinistra credono che il problema per uscire dalla crisi sia aumentare la crescita. Dunque il governo Monti è possibile perché il nuovo capo non deve mediare tra due culture lontanissime, ma tra due culture che hanno fatto finta di litigare proprio per nascondere la loro somiglianza.
E allora non resta che augurare buoni tagli a Monti. Faccia il suo lavoro e la sinistra che sta fuori dal Parlamento provi a farne un altro di lavoro. Provi a svelare che oltre all’evasione fiscale c’è un’evasione collettiva dalla verità. Le parole della politica e ora anche quelle dei tecnici chiamati dalla politica, sono in debito con la verità. La sinistra che crede a questo modello di crescita ha già rinunciato a essere sinistra. La sinistra che si fa rappresentare dai banchieri ha già deciso di non avere alcuna missione epica. La crisi richiede comportamenti coraggiosi e invece c’è un minimalismo spaventoso nell’atteggiamento dei partiti. Speriamo che Monti ne tenga conto e proponga un minimalismo anche nei costi della politica. Si parte da qui e dalla riforma elettorale e prima di arrivare ai tagli è il caso di pensare alla qualità dell’istruzione, alla qualità degli ospedali, alla qualità dell’ambiente e così via. Il governo di una nazione deve lavorare con molti verbi. Non ci si può adagiare sul pendolo del crescere e tagliare.

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a casa mia


L'ultima intervista a Pier Paolo Pasolini, 31 Ottobre 1975


martedì 15 novembre 2011

Domenico Zipoli


qui un film sulle tracce di Zipoli fra gli indios in Amazzonia 


…Per ragioni sconosciute, nel 1716, Zipoli lasciò l'incarico per trasferirsi a SivigliaSpagna, come novizio gesuita con il desiderio di essere inviato alle Riduzioni gesuite, nelle colonie spagnole in America. L'anno dopo (1717) - ancora novizio - lasciò la Spagna con un gruppo di 53 missionari che raggiunsero Buenos-Aires, nel Rio de la Plata (13 luglio 1717). Nel 1718 si stabilì a Córdoba (Argentina), dove seguì gli studifilosofici e teologici (1718-1724) poi a causa della mancanza di un vescovo, non poté essere ordinato sacerdote. Durante questi pochi anni si dedicò contemporaneamente all'attività di compositore, di maestro di coro e di organista nella chiesa dei Gesuiti. Presto il suo lavoro divenne celebre dal Paraguay al Perù, il cui viceré scrisse a Cordoba sollecitando le composizioni di Zipoli. Stroncato dalla tubercolosi Zipoli morì a Córdoba nella casa dei gesuiti, il 2 gennaio 1726
da qui



…Nel 1972 l'architetto svizzero Hans Roth, lavorando al restauro degli splendidi resti  delle missioni gesuitiche  di Chiquitos, nel nord est della Bolivia al confine con il Mato Grosso, scopre oltre 5.000 pagine di musica scritta dai gesuiti  per gli indios, fra cui molti appartenenti alla produzione di Zipoli. Questo ingente patrimonio culturale, considerato l’evento fondamentale della musicologia ispanoamericana recente, ha  finalmente messo in luce l' attività culturale dei padri gesuiti e cambiato  l' analisi della musica del 700.
Incomincia così il risveglio dell'interesse per Zipoli.
All’ inizio quasi  con stupore, si stenta ad associare le tracce di un Domingo Zipoli musicista allo Zipoli italiano, poi grazie all’opera di attenti studiosi, con l’analisi comparata di altre opere coeve e il restauro dei molti manoscritti ritrovati, si capisce pienamente la sua grande produzione musicale.
Secondo i più recenti studi sembra addirittura che  Zipoli fosse il musicista più noto nel nuovo continente e il notevole numero di composizioni a lui attribuite presenti nei manoscritti degli archivi boliviani, ne è la prova tangibile e musica di straordinaria qualità, completamente diversa dalla musica organistica  del periodo precedente, Si può affermare che la storia della musica del 700 si debba in parte riscrivere per far posto alla geniale produzione musicale di un gesuita che insegnò e produsse musica per gli indios, addirittura con strumenti realizzati dagli indios stessi.
Per 150 anni dal  1609  fino al 1767, quando furono cacciati da tutta l'America latina,  i  gesuiti fondarono numerose reducciones sotto un regime fatto di efficaci regole organizzative,di vita comunitaria e difendendo gli indios dallo sfruttamento e dallo schiavismo dei grandi latifondisti e mercanti portoghesi. Costruirono chiese monumentali, aziende agricole e soprattutto svilupparono l'arte nelle sue più svariate espressioni, occupandosi in particolar modo di insegnamento musicale.
Dichiarate Patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco e oggetto di una faticosa e complessa opera di recupero, le Riduzioni gesuitiche  dell’area amazzonica della Bolivia, nell’attuale provincia di Chiquitos, sono tuttora abitate dalle popolazioni locali degli indios Guarajos…

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Anat Kamm

Anat Kamm è una giornalista israeliana condannata a quattro anni e mezzo di carcere per aver rivelato informazioni inerenti migliaia di documenti militari top secret al collega Uri Blau, giornalista del quotidiano Haaretz. Tali informazioni indicavano come le forze armate israeliane (IDF) avessero eluso la sentenza giudiziaria di condanna per aver assassinato, anziché arrestato, alcuni palestinesi ricercati in Cisgiordania.
Il 4 dicembre 2008, Blau pubblicò un'inchiesta basata su questi documenti affermando che il comandante delle forze armate pianificò ed eseguì l'uccisione di tre persone violando una sentenza della Corte Suprema israeliana risalente al 2006 che limita le circostanze in cui è possibile operare in tal modo. Qui viene ripubblicato l'articolo di Uri Blau [en], “License to Kill”.
Nell'interrogatorio la Kamm avrebbe 
dichiarato [en]: “C'erano alcuni aspetti riguardanti le procedure delle operazioni militari nella West Bank che ho ritenuto dovessero essere di pubblico dominio… Mentre masterizzavo quei cd continuavo a pensare che la storia perdona chi denuncia crimini di guerra”.
La polizia israeliana ha proibito ai media nazionali di riportare l'arresto di Anat Kamm. Il 6 febbraio 2010, Anat fu condannata per spionaggio e per aver rivelato informazioni riservate senza autorizzazione, e posta agli arresti domiciliari. Dopo quasi due anni passati sotto questo regime, il 30 ottobre 2011 la Kamm è stata definitivamente condannata a quattro anni e mezzo di carcere…

da qui



… In contemporanea all'arresto, infatti, il tribunale ha emesso un gag order, vietando ai giornalisti di occuparsi del caso: una specie di bavaglio alla stampa sul bavaglio a Kamm, la cui violazione è punibile anche con il carcere. "Ma che paese è, un paese in cui un giornalista, semplicemente, scompare, e gli altri giornalisti non possono parlarne?", si è chiesto Richard Silverstein. "La Cina? Cuba? O forse l'Iran"…
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domenica 13 novembre 2011

Il libro dei teschi - Robert Silverberg

Inizia come una gita di quattro ragazzi e finisce in dramma,  in un crescendo di un grande scrittore.
Passa per essere un libro di fantascienza ed è la riprova che le classificazioni sono inutili e fuorvianti. È solo un gran bel romanzo, che tiene ben svegli fino all’ultima pagina.
Non ve ne pentirete, promesso – franz


 Non vi sono dimensioni parallele, aliene o di un altro mondo in questo libro, l’indagine di Silverberg si rivolge esclusivamente dentro le galassie dell’animo umano, negli anfratti della mente, laddove a volte s’incontrano mostri sconosciuti che sembrano appartenere ad altre vite, altri mondi, altre galassie. Il viaggio dei quattro giovani dentro i misteri di un antico manoscritto, iniziato quasi per gioco o per curiosità, si trasforma inavvertitamente in una riflessione su se stessi e sul senso della vita. L’indagine delle proprie colpe, dei propri ricordi e dei motivi per stare, o non stare, al mondo, diventa veicolo di crescita e trasforma quattro ragazzi in uomini capaci di prendere decisioni impensabili prima che tutto avesse inizio. Bisogna avere fede nella vita prima di aspirare all’immortalità. Bisogna avere fede nella fantascienza (fantafilosofia?) prima di leggere questo libro, perché anche il lettore come i quattro ragazzi, e come in un gioco di meta-letteratura, leggendo Il Libro dei teschi intraprenderà un viaggio intellettuale che lo porterà a riflettere sulla natura ambigua della propria coscienza.
Silverberg conduce le danze con mano sicura. La scelta formale dell’autore di suddividere il libro in brevi capitoli che a rotazione propongono il punto di vista di ciascuno dei quattro studenti, oltre che sviscerare profondamente le diverse psicologie in gioco, asseconda stupendamente il ritmo dell’azione che procede incalzante fino all’ultima pagina, quando, i dubbi e le certezze dell’esistenza si legano indissolubilmente agli eventi accaduti.
In fondo è un libro truffaldino, che promette la vita eterna costringendo a ripercorrere quella appena trascorsa.
  
Il libro dei teschi è un ottimo romanzo fantastico, in un certo senso potremmo definirlo di formazione. Di sicuro è introspettivo, psicologico, di crescita.
Quattro ragazzi, compagni di stanza al college. Quattro persone completamente diverse tra loro.
Timothy è un aristocratico, la famiglia che vive di rendita dai tempi di un lontano trisavolo, i suoi antenati eroi della rivoluzione. Il meglio della società, con un futuro già scritto di ricco ereditiero e di ufficiale militare che mai vedrà una battaglia. Il college per lui è una mera formalità.
Oliver, ragazzo di campagna sfuggito a un grigio destino di lavoratore nei campi per diventare chirurgo. Il migliore in tutto quello che fa, dallo studio allo sport alle ragazze. Alto, bello, robusto, solido.
Ned, figlio di emigrati irlandesi, di formazione gesuita. Un artista, un poeta maledetto. Un omosessuale.
E Eli, ebreo, esperto di lingue medioevali che gode già di una notevole fama pur essendo ancora al college. Bruttino, completamente sfortunato con le donne.
E questi quattro ragazzi partono, per le vacanze di Pasqua, per un’avventura straordinaria. Reclutati da Eli, che nei meandri dei magazzini della biblioteca aveva recuperato un antico libro, Il libro dei teschi. Lo aveva tradotto.
E aveva scoperto questa setta immortale, questo gruppo di persone che aveva sconfitto la morte e che prometteva la vita eterna a chi si fosse avvicinato ai loro insegnamenti…

La cura dell'acqua contro la Bce - Marco Bersani

La battaglia per la riappropriazione dei beni comuni confligge con il patto di stabilità europeo. Per questo bisogna pensare a un suo superamento. La vittoria al referendum insegna che vincere è possibile C'entra la battaglia per la ripubblicizzazione dell'acqua con la crisi e con le politiche monetariste della Bce? Moltissimo e per diversi motivi.
Il primo ha a che fare con la risposta che governo e poteri forti hanno dato alla vittoria referendaria dello scorso giugno. Consapevoli di aver perso il consenso sociale, preoccupati dell'evidente erosione della catena culturale che per più di due decenni ha legato le persone all'idea del pensiero unico del mercato, governo e poteri forti hanno rilanciato una nuova stagione di privatizzazioni dei servizi pubblici locali, giustificandola con le risposte da dover dare all'Unione europea in merito alla riduzione del debito pubblico.
La stessa Ue, nell'ormai famosa lettera-diktat con la quale chiede addirittura modifiche della Costituzione al nostro Paese, rilancia le politiche liberiste proprio nel senso della svendita del patrimonio pubblico e della messa sul mercato di tutti i beni comuni.
L'operazione ideologica che sottende a questo perseverare in politiche che sono state la causa stessa della crisi globale, è quella che tenta di far credere, come se fossimo nell'antica Grecia, che esistano nuove divinità impalpabili e inconoscibili - i cosiddetti mercati - che tuttavia provano emozioni: possono dare e togliere fiducia, divenire euforici o collerici, turbarsi. E che alle popolazioni non resti altro che fare continui sacrifici in loro onore, sperando di ingraziarli per suscitare la loro benevolenza o per mitigarne la collera.
Di conseguenza, il voto della maggioranza assoluta del popolo italiano a favore dell'uscita dell'acqua dal mercato e dei profitti dall'acqua non può essere c o n s i d e r a t o perché cause di forza maggiore, ed indipendenti dalle v o l o n t à umane, impongono altre strade e direzioni.
Il secondo motivo sta proprio nella radicalità della battaglia del movimento per l'acqua. Avendo scelto, con la legge d'iniziativa popolare e con la battaglia referendaria, l'obiettivo strategico di non limitarsi a contrastare le privatizzazioni selvagge cercando di ottenere una riduzione del danno, bensì di disegnare uno scenario di fuoriuscita totale dei beni comuni dalle gestioni attraverso SpA, il movimento per l'acqua apre nuovi scenari che parlano di nuovo ruolo della fiscalità generale, di necessità di una nuova finanza pubblica, di ridisegno radicale degli enti locali di prossimità, di cultura dellademocrazia come partecipazione.
Tutti obiettivi che cozzano inevitabilmente con la costruzione di un'Unione europea che, lungi dall'essere stata pensata come entità politica e culturale, è stata forgiata come spazio monetario con un unico scopo: il consolidamento dei dogmi liberisti, attraverso le politiche della Bce, finalizzate esclusivamente alla stabilità dei prezzi, all'equilibrio di bilancio e allo stimolo della concorrenza e sottratte, attraverso la totale "indipendenza" dai governi, a qualsivoglia controllo democratico dei cittadini.
La battaglia per la riappropriazione sociale dell'acqua e dei beni comuni contrasta inevitabilmente con il patto di stabilità esterno ed interno, perché è esattamente attraverso questo strumento che si impedisce agli Stati di poter esercitare un ruolo pubblico nell'economia e si costringono gli enti locali al drastico restringimento delle loro funzioni, fino al loro smantellamento definitivo. Significativa a questo proposito la norma contenuta nell'art. 4 della manovra finanziaria estiva che, nell'obbligare - nonostante il voto referendario - i Comuni a vendere tutti i servizi pubblici locali, prevede che i ricavi di tali vendite possano essere introitati dai Comuni stessi e spesi per opere che non verranno conteggiate nel patto di stabilità interno (come dire, se vuoi asfaltare una strada o costruire un asilo devi vendere l'acqua o il trasporto pubblico)…

continua qui

The Great Nations of Europe - Randy Newman



qui il testo con la traduzione italiana

Pete Eckert, un fotografo cieco

Ho iniziato l’attività di fotografo solo dopo esser divenuto completamente cieco; prima mi dedicavo alla scultura e al disegno industriale. Sono sempre stato una persona dallo spiccato senso visivo e avevo iniziato a studiare architettura all’Università di Yale quando venni a sapere di essere affetto da Retinitis Pigmentosa, una malattia incurabile.
La vista che si riduceva velocemente mi costrinse presto ad abbandonare il mio lavoro da carpentiere, diventato troppo pericoloso, e la passione per le moto Guzzi. Le mie più grandi preoccupazioni divennero allora quella di guadagnarmi da vivere e quella di proteggermi; perciò ottenni un MBA e la cintura nera nelle arti marziali. Inizialmente cercai lavoro in banca; il master tuttavia non mi aiutò molto, nessuno era disposto ad assumere un lavoratore destinato a diventare cieco. Mi trasferii con mia moglie a Sacramento, città molto adatta ai non-vedenti per la sua struttura piatta e regolare, e lì trovai un posto nella pubblica amministrazione, proprio nel settore dell’assistenza ai ciechi, ma mi resi presto conto di quanto la burocrazia, il sistema statale fosse più un impiccio che un aiuto per il disabile in generale; in California l’85% dei ciechi era disoccupato.
Decisi così di licenziarmi per dedicarmi a qualcosa di più divertente.
Presi un cane-guida per acquistare maggiore sicurezza, ripresi le arti marziali e l’arte, cimentandomi con l’incisione del legno…
il sito di Pete Eckertci sono anche le sue foto

sabato 12 novembre 2011

Tribunale Russell accusa: Israele pratica apartheid

Si è chiusa  a Cape Town (Sud-Africa) la terza sessione del Tribunale Russell sulla Palestina. Nel corso dei tre giorni appena trascorsi, giuristi, intellettuali e attivisti provenienti da tutto il mondo si sono confrontati con la domanda se le pratiche israeliane contro la popolazione palestinese violino il divieto di apartheid in base al diritto internazionale. La conclusione è stata una netta affermazione di responsabilità nei confronti di Israele: il Tribunale Russell ha affermato che il popolo palestinese è “soggetto a un regime istituzionalizzato di dominazione che integra la nozione di apartheid come definita in diritto internazionale”.
Nato dall’idea del filosofo inglese Bertrand Russell e del commediografo e filosofo francese Jean Paul Sartre nel 1966 – come risposta ai crimini commessi durante la guerra del Vietnam – il Tribunale Russell è un cosiddetto tribunale di opinione. Si tratta in altre parole di un’istituzione priva di poteri giudiziari o coercitivi, composta non da magistrati togati ma da personalità emerite, giuristi e intellettuali, tra cui, storicamente, diversi premi Nobel. Il suo scopo è di portare attenzione e pubblica consapevolezza su gravi situazioni di violazioni di diritti umani, commissione di crimini di guerra, contro l’umanità, o altre violazioni del diritto internazionale…
Molti testimoni ed esperti sono stati chiamati a testimoniare davanti al Tribunale Russell a Cape Town; tra questi Raji Sourani, il direttore del Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR) di Gaza. Esponendo le pratiche discriminatorie perpetrate da Israele ai danni del popolo Palestinese, Sourani ha messo bene in luce come queste pratiche siano diverse a seconda che si tratti della minoranza palestinese residente in Israele, dei Palestinesi in Cisgiordania, a Gerusalemme Est o dell’oltre milione e mezzo di Palestinesi di Gaza.  E tuttavia nella sostanza poco cambia: il complesso delle gravi discriminazioni commesse ai danni della popolazione non ebrea in Israele o dei Palestinesi nei territori occupati integra una forma di apartheid, che sebbene non coincidente nella forma quella a suo tempo praticata in Sud-Africa, ne ricalca la sostanza…
Non solo lo stato di Israele viene continuamente meno al suo obbligo, imposto dal diritto internazionale come potenza occupante, di garantire il benessere e la sicurezza della popolazione civile del territorio occupato (è bene notare che quasi tutte le infrastrutture nel territorio palestinese, incluse le scuole, gli ospedali, le strade, gli acquedotti sono opera di donors stranieri e agenzie di aiuti internazionali); Israele pratica, sempre nelle parole di Dugard, il peggiore tipo di colonalismo, sfruttando le risorse idriche e la terra dei Palestinesi mediante una aggressiva comunità di coloni ebrei che non ha alcun interesse nel benessere degli abitanti della zona.
Se non è apartheid questa, occorre allora coniare una nuova parola per descrivere il crimine che i palestinesi stanno subendo, una parola che rispecchi la disumanità delle politiche di soggiogamento e oppressione di una intera popolazione da oltre 44 anni.

venerdì 11 novembre 2011

Morte di un supereroe – Anthony McCarten

inizia un po' lento, ma una volta che sei entrato nella storia sei in trappola.
e Donald e Adrian non te li dimentichi, poco ma sicuro.
da non perdere - franz



Come sono i supereroi moderni? Se volete saperlo questa è la storia che state cercando.
Donald ha quattordici anni, “ha un aspetto strano. Niente ciglia, niente capelli, faccia come una patata sbucciata. In testa ha uno zuccotto tirato quasi fin sugli occhi e la musica che esce a manetta da auricolari collegati a un iPod lo accompagna per una città avvolta dalle nuvole. La rabbia è la sua modalità predefinita. Anche la malinconia. Il suo grande problema? Che in testa non ha altro che il sesso, come al solito.” Eccolo, è tra noi, pronto a salvare povere bambine da pirati della strada, gattini smarriti in cima agli alberi, vecchiette in balia di ladri serali… ma è solo questa la vita di un supereroe o c’è dell’altro? Perché per lui è così difficile amare e, soprattutto, qual’è l’età giusta per perdere la verginità? Il suo chiodo fisso diventa la sua prossima missione fino a scoprire che il sesso è “una gara in cui ognuno dei due cerca di fare vincere l’altro”. Ma cosa vuol dire?

da qui



…E quindi Anthony McCarten ci fa prima conoscere questo giovane, ce lo rende irresistibilmente simpatico, tra l'energia incontenibile e la goffaggine delle varie "prime volte". Nel contempo, però, ci dice che non c'è niente da fare.
Cosa fareste voi, se conosceste un tipo così e voleste aiutarlo? E se foste al posto dei suoi genitori, che non riescono a condurre il loro ruolo di tutori in un tale "incidente di percorso" nella vita di un ragazzino? Tutto, no? Ecco, loro provano quel tutto, ingaggiando uno psicologo affinché aiuti il nostro supereroe nella sua ultima impresa.
Certo, ma chi aiuta Adrian, lo psicologo? Che con la sua vita non ci sa proprio fare. Proprio lui, che ha passato l'esistenza ad analizzare la vita degli altri per far superare loro le nevrosi, è la classica persona che predica bene e razzola male, in balia degli eventi e soprattutto delle persone più vicine…

da qui



Lo sapevo che questo libro poteva essere un pugno nello stomaco.
Non lovolevo prendere perchè certi argomenti, solo a sentirli fanno male. Poi, un po' come la fiamma e la falena... mi sono incuriosito, mi sono lasciato tentare, l'ho letto... e mi sono scottato, di brutto.

E' impossibile leggere questo romanzo e non piangere.
( vabbè io sono un caso patologico, ho cominciato a farlo già dalla metà http://forum.italianzone.eu/images/smilies/crasd.gif )
L'autore è bravissimo ad usare un tono distaccato, comico ( assurdo da dire ma vero ), cinematografico ( descrive le scene come in un copione, piu' spesso come in un fumetto ) .. ma alla fine la situazione del protagonista è quella descritta nella "trama" ..e non si scappa, nonstante i corsivi, i grassetti e tutti i trucchi/espedienti grafici possibili usati. Donald diventa reale, presente ...

Veniamo distratti dai continui riferimenti a Devil, a Internet, alla pirateria, all' Ipod... per poi trovarci tutt'uno con Donald con le sue incertezze di fronte al sesso, all'amicizia, all'amore... ma mai di fronte alla Morte, come Miracleman il suo supereroe che ad un certo punto diventa la valvola di sfogo con cui l'autore gioca a spiegarci come stanno davvero le cose ( che stile http://forum.italianzone.eu/images/smilies/snob.gif ).
Romanzo geniale, stupendo, doloroso, senza essere mai retorico, che vi stra-consiglio.
E' riuscito a farmi ridere e a farmi piangere in egual misura ( e dato che parla del tumore di un ragazzino di 14 anni non è poco! ).

da qui

Canto notturno di un pastore errante dell'Asia - Giacomo Leopardi (legge Arnoldo Foà)


Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move le greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolare dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir della terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno co' suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in ciel arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, Alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu se' queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
la mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda, o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s'avvess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia grerggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando l'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.




Se la democrazia diventa un optional della finanza - Rossana Rossanda

Credevo che ci fosse un limite a tutto. Quando Papandreou ha proposto di sottoporre a referendum del popolo greco il «piano» di austerità che l'Europa gli impone (tagli a stipendi e salari e servizi pubblici nonché privatizzazione a tutto spiano) si poteva prevedere qualche impazienza da parte di Sarkozy e Merkel, che avevano trattato in camera caritatis il dimezzamento del debito greco con le banche. Essi sapevano bene che le dette banche ci avevano speculato allegramente sopra, gonfiandolo, come sapevano che Papandreou aveva chiesto al Parlamento la facoltà di negoziare, e che una volta dato il suo personale assenso, doveva passare per il suo governo e il parlamento (dove aveva tre voti di maggioranza). Ed era un diritto, moralmente anzi un dovere, chiedere al suo popolo un assenso per il conto immenso che veniva chiamato a pagare. Era un passaggio democratico elementare. No?
No. Francia e Germania sono andate su tutte le furie. Come si permetteva Papandreou di sottoporre il nostro piano ai cittadini che lo hanno eletto? È un tradimento. E non ci aveva detto niente! Papandreou per un po' si è difeso, sì che glielo ho detto, o forse lo considerava ovvio, forse pensava che fare esprimere il paese su un suo proprio pesantissimo impegno fosse perfino rassicurante. Sì o no, i greci avrebbero deciso tra due mesi, nei quali sarebbero stati informati dei costi e delle conseguenze. Ma evidentemente la cancelliera tedesca e il presidente francese, cui l'Europa s'è consegnata, avrebbero preferito che prendesse tutto il potere dichiarando lo stato d'emergenza, invece che far parlare il paese: i popoli sono bestie; non sanno qual è il loro vero bene, se la Grecia va male è colpa sua, soltanto un suo abitante su sette pagava le tasse (e non era un armatore), non c'è parere da chiedergli, non rompano le palle, paghino. Quanto ai manifestanti, si mandi la polizia…

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il default di Guido Viale

Quando il governo che succederà a Berlusconi avrà fatto l'inventario, se mai avrà il coraggio e la capacità di farlo, di questi 17 anni della sua egemonia - esercitata sia dal governo che dall'opposizione - si troverà di fronte un deserto: uno «spirito civico» devastato in tutti i gangli dell'apparato istituzionale e in tutte le strutture imprenditoriali (corruzione ed evasione fiscale hanno ben lavorato...); un razzismo di stato ormai consolidato, che rende improbo ricreare le condizioni di una convivenza civile; scuola, università e ricerca alle corde; un tessuto industriale ridotto ai minimi termini da chiusure, delocalizzazioni, lavoro nero; tre dei maggiori gruppi industriali (Fiat, Finmeccanica e Fincantieri) in via di smantellamento, e impegnati a «recuperare» produttività con licenziamenti, chiusure e ritmi di lavoro insostenibili; le maggiori catene distributive in mani estere, a fare acquisti lontano dai produttori italiani; un'agricoltura che non esiste più; e pochi settori che ancora esportano, ma ormai incapaci di fare da traino al sistema. Che cosa significa «crescita» in queste condizioni? E di che crescita si parla? Tornare a produrre tante automobili Fiat (suv, soprattutto), portando via quote di mercato a Volkswagen? O tanti elettrodomestici Merloni a spese di Elettrolux? O tante navi da guerra, missili e carri armati in Fincantieri e Finmeccanica? O tante arance commercializzate da mafia e 'ndrangheta? O tanti visitatori stranieri nei nostri musei chiusi e dissestati o nei nostri alberghi formato rapina? O tanti Tav e Ponti e Mose da affidare in concessione, sacrificando la salvaguardia del territorio? O tanti palazzi, e uffici, e condomìni formato Ligresti sui terreni che l'expo avrà «liberato» dall'agricoltura? E può esserci una «crescita» dell'economia italiana, e tale da rimettere in sesto i conti, in un contesto in cui tutti i paesi dell'Occidente, e in parte anche quelli emergenti, prevedono un rallentamento, una stasi o un arretramento della loro? E perché chi continua a vedere nel ritorno alla crescita «la soluzione» non affronta mai queste questioni? Che sono in realtà quelle di una radicale conversione ecologica dell'apparato produttivo, degli stili di vita, della cultura….

…un default non si può affrontare a cuor leggero: parlare di «diritto al default» è come invocare un «diritto al disastro». Perché un default è un disastro. Ma imboccare quella strada potrebbe evitare disastri maggiori (come aprire una chiusa e allagare un territorio per evitare danni molto più gravi a valle); soprattutto se si cerca di farlo per via negoziale. C'è un punto di forza nel fatto che un default italiano incontrollato «genererebbe - come scrive Pizzuti - seri rischi di altri fallimenti a catena nell'economia europea e mondiale. L'euro e la stessa Unione europea avrebbero molte difficoltà a sopravvivere». D'altra parte, si può cercare di dosare il danno. Le soluzioni oggetto di un negoziato sono tante; e non tutte si escludono tra loro: moratoria sul pagamento degli interessi, prolungamento delle scadenze del rimborso; dimezzamento del valore dei bond (come in Grecia; ma prima di imboccare la strada senza ritorno di Papandreou); azzeramento del debito con franchigia fino a una soglia data - come per i conti correnti delle banche fallite - riduzione selettiva per tipologia di creditore; sterilizzazione di una quota di debito di tutti i paesi dell'eurozona con i fatidici eurobond (ma senza finanziarli con nuovo debito; bisogna cominciare a sgonfiare la bolla della finanza mondiale); ecc.
Tutto è meglio della deriva di rimpiazzare Berlusconi per portare a termine quello che lui non ha saputo o voluto fare: cioè assumere la lettera di Draghi (ormai senza Trichet) come programma di governo. Che è un po' come mettersi nelle mani di Goldman Sachs. Certo, parlare di cose del genere oggi è quasi impossibile; anche perché non ci sono economisti impegnati sul merito tecnico - e sulla valutazione delle conseguenze economiche - delle diverse opzioni. Ma un grande audit sul debito pubblico italiano, sulle sue origini, i suoi detentori, le conseguenze di un default selettivo, potrebbe sopperire a questa debolezza. E rilanciare un vero dibattito - oggi inesistente per via dei «vincoli» finanziari - sul «che fare?». Un punto imprescindibile di un programma di governo: per l'Italia e per l'Europa.