La battaglia per la riappropriazione dei beni comuni confligge con il patto di stabilità europeo. Per questo bisogna pensare a un suo superamento. La vittoria al referendum insegna che vincere è possibile C'entra la battaglia per la ripubblicizzazione dell'acqua con la crisi e con le politiche monetariste della Bce? Moltissimo e per diversi motivi.
Il primo ha a che fare con la risposta che governo e poteri forti hanno dato alla vittoria referendaria dello scorso giugno. Consapevoli di aver perso il consenso sociale, preoccupati dell'evidente erosione della catena culturale che per più di due decenni ha legato le persone all'idea del pensiero unico del mercato, governo e poteri forti hanno rilanciato una nuova stagione di privatizzazioni dei servizi pubblici locali, giustificandola con le risposte da dover dare all'Unione europea in merito alla riduzione del debito pubblico.
La stessa Ue, nell'ormai famosa lettera-diktat con la quale chiede addirittura modifiche della Costituzione al nostro Paese, rilancia le politiche liberiste proprio nel senso della svendita del patrimonio pubblico e della messa sul mercato di tutti i beni comuni.
L'operazione ideologica che sottende a questo perseverare in politiche che sono state la causa stessa della crisi globale, è quella che tenta di far credere, come se fossimo nell'antica Grecia, che esistano nuove divinità impalpabili e inconoscibili - i cosiddetti mercati - che tuttavia provano emozioni: possono dare e togliere fiducia, divenire euforici o collerici, turbarsi. E che alle popolazioni non resti altro che fare continui sacrifici in loro onore, sperando di ingraziarli per suscitare la loro benevolenza o per mitigarne la collera.
Di conseguenza, il voto della maggioranza assoluta del popolo italiano a favore dell'uscita dell'acqua dal mercato e dei profitti dall'acqua non può essere c o n s i d e r a t o perché cause di forza maggiore, ed indipendenti dalle v o l o n t à umane, impongono altre strade e direzioni.
Il secondo motivo sta proprio nella radicalità della battaglia del movimento per l'acqua. Avendo scelto, con la legge d'iniziativa popolare e con la battaglia referendaria, l'obiettivo strategico di non limitarsi a contrastare le privatizzazioni selvagge cercando di ottenere una riduzione del danno, bensì di disegnare uno scenario di fuoriuscita totale dei beni comuni dalle gestioni attraverso SpA, il movimento per l'acqua apre nuovi scenari che parlano di nuovo ruolo della fiscalità generale, di necessità di una nuova finanza pubblica, di ridisegno radicale degli enti locali di prossimità, di cultura dellademocrazia come partecipazione.
Tutti obiettivi che cozzano inevitabilmente con la costruzione di un'Unione europea che, lungi dall'essere stata pensata come entità politica e culturale, è stata forgiata come spazio monetario con un unico scopo: il consolidamento dei dogmi liberisti, attraverso le politiche della Bce, finalizzate esclusivamente alla stabilità dei prezzi, all'equilibrio di bilancio e allo stimolo della concorrenza e sottratte, attraverso la totale "indipendenza" dai governi, a qualsivoglia controllo democratico dei cittadini.
La battaglia per la riappropriazione sociale dell'acqua e dei beni comuni contrasta inevitabilmente con il patto di stabilità esterno ed interno, perché è esattamente attraverso questo strumento che si impedisce agli Stati di poter esercitare un ruolo pubblico nell'economia e si costringono gli enti locali al drastico restringimento delle loro funzioni, fino al loro smantellamento definitivo. Significativa a questo proposito la norma contenuta nell'art. 4 della manovra finanziaria estiva che, nell'obbligare - nonostante il voto referendario - i Comuni a vendere tutti i servizi pubblici locali, prevede che i ricavi di tali vendite possano essere introitati dai Comuni stessi e spesi per opere che non verranno conteggiate nel patto di stabilità interno (come dire, se vuoi asfaltare una strada o costruire un asilo devi vendere l'acqua o il trasporto pubblico)…
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