II primo punto è l’assunzione di una presa di posizione netta di fronte alle scelte politiche dei gruppi dirigenti dell’Urss e degli altri paesi socialisti europei. Non è più possibile puntare su una loro autocorrezione; si è costretti a puntare sulla loro sconfitta e la loro sostituzione, per iniziativa e da parte di un nuovo blocco di forze sociali diretto dalla classe operaia, un rilancio socialista che investa le strutture politiche e sia capace di esprimere realmente le potenzialità immense uscite dalla rivoluzione d’ottobre.
I cauti condizionamenti dall’esterno, le critiche generiche che non individuano esplicitamente obiettivi, responsabilità, gruppi dirigenti, non rappresentano ormai che segmenti di un “realismo” sempre più somigliante all’omertà, che avalla gli stati di fatto e scoraggia sul nascere ogni forza di opposizione. Finché la resistenza cecoslovacca si troverà di fronte – nel campo internazionale – all’alternativa fra le simpatie degli anticomunisti e le prudenziali realistiche coperture all’attuale gruppo dirigente, non le resterà che l’isolamento e il ripiegamento su se stessa.
Ma anche questo è un punto preliminare. Il proletariato occidentale ha un solo modo per diventare un punto di riferimento mondiale, un momento di internazionalismo attivo ed efficace: quello di portare avanti la sua rivoluzione; essere in grado di proporre un modello di socialismo diverso, perché lo sta realizzando. Il discorso sulla Cecoslovacchia ci riporta così all’Italia. Con una nuova consapevolezza, e cioè che se la crisi oggi aperta in occidente si dovesse ancora una volta chiudere con una sconfitta o un nulla di fatto, dovremmo scontare un arretramento grave su tutto il fronte rivoluzionario internazionale. Vi è una perfetta coerenza fra chi perdona la politica di Brežnev e chi sollecita da noi una linea di compromesso. Se in occidente i comunisti si inseriscono non c’è da attendersi che un congelamento conservatore nelle società socialiste. Sarebbe
l’internazionalizzazione della rinuncia.
[“Praga è sola”, Il manifesto, 1969, 4, pp. 3-5]
Sarebbe interessante, col senno di poi, valutare cosa sarebbe potuto accadere se una nuova alternativa di sinistra fosse sorta e portata avanti già in quegli anni....
RispondiEliminasicuramente avremmo assistito ad una rapida crisi dell'URSS, ma non possiamo neppure escludere che sarebbe esso stesso riuscito a riformarsi come nel modello di Gorbaciov sotto l'influenza esterna;
probabilmente invece avremmo avuto una sinistra più reattiva ai cambiamenti sociali, più attenta alle nuove tendenze, più seria verso le sfide del neoliberismo e più pronta a rispondere a questa e tante crisi degli anni '90.
putroppo sono solo ipotesi, col rischioso sapore di dietrologia.
in ogni caso, va dato merito a chi già in quegli anni intravedeva tali prospettive
non si può sapere, certo, ma possiamo dire che certi avevano visto giusto, a proprio rischio e pericolo, fuori dagli agi del grande partito, anche nel 1956 era successo lo stesso.
RispondiEliminariporto le parole di Napolitano:
"Giorgio Napolitano nel nov. 1956: "Come si può, ad esempio, non polemizzare aspramente col compagno Giolitti quando egli afferma che oltre che in Polonia anche in Ungheria hanno difeso il partito non quelli che hanno taciuto ma quelli che hanno criticato? E' assurdo oggi continuare a negare che all'interno del partito ungherese - in contrapposto agli errori gravi del gruppo dirigente, errori che noi abbiamo denunciato come causa prima dei drammatici avvenimenti verificatisi in quel paese - non ci si è limitati a sviluppare la critica, ma si è scatenata una lotta disgregatrice, di fazioni, giungendo a fare appello alle masse contro il partito. E' assurdo oggi continuare a negare che questa azione disgregatrice sia stata, in uno con gli errori del gruppo dirigente, la causa della tragedia ungherese.
Il compagno Giolitti ha detto di essersi convinto che il processo di distensione non è irreversibile, pur continuando a ritenere, come riteniamo tutti noi, che la distensione e la coesistenza debbano rimanere il nostro obiettivo, l'obiettivo della nostra lotta. Ma poi ci ha detto che l'intervento sovietico poteva giustificarsi solo in funzione della politica dei blocchi contrapposti, quasi lasciandoci intendere - e qui sarebbe stato meglio che, senza cadere lui nella doppiezza che ha di continuo rimproverato agli altri, si fosse più chiaramente pronunciato - che l'intervento sovietico si giustifica solo dal punto di vista delle esigenze militari e strategiche dell'Unione Sovietica; senza vedere come nel quadro della aggravata situazione internazionale, del pericolo del ritorno alla guerra fredda non solo ma dello scatenamento di una guerra calda, l'intervento sovietico in Ungheria, evitando che nel cuore d'Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all'Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista nel Medio Oriente abbia contribuito, oltre che ad impedire che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell'Urss ma a salvare la pace nel mondo."
sarebbe oggi il presidente della Repubblica se dopo l'invasione dell'Ungheria del 1956 fosse uscito insieme a Giolitti e Calvino dal PCI?
certo, poi Scrive Giorgio Napolitano: «La mia riflessione autocritica sulle posizioni prese dal Pci, e da me condivise, nel 1956, e il suo pubblico riconoscimento da parte mia ad Antonio Giolitti "di aver avuto ragione" valgono anche come pieno e doloroso riconoscimento della validità dei giudizi e delle scelte di Pietro Nenni e di gran parte del Psi, in quel cruciale momento».
ma, come dice Mao, "La critica va fatta a tempo; bisogna disfarsi del brutto vizio di criticare dopo."
ci voleva e vuole coraggio a rischiare la carriera e rinunciare alle sicurezze del grande partito.
RispondiEliminaper esempio, dopo l'invasione sovietica dell'Ungheria del 1956, Giolitti e Calvino lasciarono il Pci.
Giorgio Napolitano, uno che ha fatto carriera, diceva nel nov. 1956: "Come si può, ad esempio, non polemizzare aspramente col compagno Giolitti quando egli afferma che oltre che in Polonia anche in Ungheria hanno difeso il partito non quelli che hanno taciuto ma quelli che hanno criticato? E' assurdo oggi continuare a negare che all'interno del partito ungherese - in contrapposto agli errori gravi del gruppo dirigente, errori che noi abbiamo denunciato come causa prima dei drammatici avvenimenti verificatisi in quel paese - non ci si è limitati a sviluppare la critica, ma si è scatenata una lotta disgregatrice, di fazioni, giungendo a fare appello alle masse contro il partito. E' assurdo oggi continuare a negare che questa azione disgregatrice sia stata, in uno con gli errori del gruppo dirigente, la causa della tragedia ungherese.
Il compagno Giolitti ha detto di essersi convinto che il processo di distensione non è irreversibile, pur continuando a ritenere, come riteniamo tutti noi, che la distensione e la coesistenza debbano rimanere il nostro obiettivo, l'obiettivo della nostra lotta. Ma poi ci ha detto che l'intervento sovietico poteva giustificarsi solo in funzione della politica dei blocchi contrapposti, quasi lasciandoci intendere - e qui sarebbe stato meglio che, senza cadere lui nella doppiezza che ha di continuo rimproverato agli altri, si fosse più chiaramente pronunciato - che l'intervento sovietico si giustifica solo dal punto di vista delle esigenze militari e strategiche dell'Unione Sovietica; senza vedere come nel quadro della aggravata situazione internazionale, del pericolo del ritorno alla guerra fredda non solo ma dello scatenamento di una guerra calda, l'intervento sovietico in Ungheria, evitando che nel cuore d'Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all'Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista nel Medio Oriente abbia contribuito, oltre che ad impedire che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell'Urss ma a salvare la pace nel mondo."
dopo 50 anni Scrive Giorgio Napolitano: «La mia riflessione autocritica sulle posizioni prese dal Pci, e da me condivise, nel 1956, e il suo pubblico riconoscimento da parte mia ad Antonio Giolitti "di aver avuto ragione" valgono anche come pieno e doloroso riconoscimento della validità dei giudizi e delle scelte di Pietro Nenni e di gran parte del Psi, in quel cruciale momento»
diceva Mao "La critica va fatta a tempo; bisogna disfarsi del brutto vizio di criticare dopo."
grazie per la citazione di Mao, che temo però non applicasse così pedissequamente....
RispondiEliminaHai ragione sia sul coraggio, sia su Napolitano (che almeno, 20 anni dopo, lo trovò per pronunciarsi su Praga). Coraggio, soprattutto pensando all'uniformità dottrinale dei partiti comunisti in quell'epoca (uniformità che si è rivista anche a PRC nel primo congresso dopo Bertinotti)... non saprei perchè (forse per paura di infiltrazioni), ma il comunismo ha sempre avuto un'ingiustificata paura di ripensarsi e criticarsi. Questa è stata fra le sue peggiori mancanze.
concludo quindi con una citazione attribuita a Wittgenstein: "Si potrebbe fissare il prezzo dei pensieri. Alcuni costano molto, altri poco. E con cosa si pagano i pensieri? Io credo così: con il coraggio."
sono d'accordo con te, è stato un dramma l'incapacità dei partiti comunisti occidentali a fare critica e autocritica, senza dover rinnegare tutto.
RispondiEliminae poi penso a Cuba, a quanto avrebbe potuto rappresentare se avesse saputo fare autocritica al momento giusto.
dice Stanislaw J. Lec:
"Gli uomini hanno i riflessi lenti; in genere capiscono solo nelle generazioni successive."