Uno degli
aspetti che più inquietano dell’universo culturale italiano risuonante negli
ultimi giorni è lo spaesamento rispetto ad alcune categorie che ci pareva
fossero sufficientemente acquisite. Più o meno davamo per scontato che
sposare ideologie identitarie, fossero esse nazionali, confederali o legate
a definizioni come “Occidente”, producesse un arroccamento che azzerava
le differenze, buono per andare in guerra, per creare nemici o capri espiatori,
per rinforzarsi nella propria immagine lasciandone in ombra gli aspetti meno
dignitosi, ma non certo utile per comprendere se stessi e gli altri, per
accorgersi di ciò che dei presunti altri è in noi, per costruire relazioni e
non scontri.
Negli ultimi
giorni vediamo e ascoltiamo interventi che vanno in questa direzione,
osserviamo una cultura del “noi” avanzare e affermarsi in modo inedito,
attraversando inaspettatamente confini politici e culturali spesso ritenuti
(forse a torto) distanti tra loro.
Prendiamo
l’intervento di un cantautore ed ex insegnante come Roberto Vecchioni,
che alla manifestazione del 15 marzo Una piazza per l’Europa dice:
“Vogliamo
parlare di un gruppo di stati che vengono dalle stesse cose, dalle stesse
tradizioni, siamo tutti indoeuropei, abbiamo avuto una filologia romanza,
parliamo allo stesso modo, ci guardiamo allo stesso modo, abbiamo gli stessi
proverbi, modi di dire, pensieri […] abbiamo libertà ovunque, abbiamo
la democrazia, ma quella non ce l’hanno tutti, ce l’abbiamo noi. Che è
un’invenzione […] dei Greci, che è arrivata fino a noi. Ora, chiudete gli occhi
un momento e pensate ai nomi che vi dico: io vi dico Socrate, vi dico Spinoza,
Cartesio, vi dico Hegel, Marx e vi dico anche Shakespeare, vi dico Cervantes,
vi dico Pirandello, Manzoni, Leopardi. Ma gli altri le hanno queste cose?[…]”.
Davvero
dobbiamo circoscrivere la nostra identità culturale all’uso delle “nostre
tradizioni”, richiamare l’identità “indoeuropea”, sentirci superiori e unici
nel mondo per una presunta ubiqua libertà? Davvero possiamo ignorare non solo
le tradizioni culturali degli altri continenti ma soprattutto cancellare senza
remore l’intenso intreccio che esse hanno creato con quella che viene definita
“nostra” cultura?
Prendiamo
ora l’intervento, nella stessa occasione, dello scrittore Antonio
Scurati:
“Ci sono
giorni nella vita di un uomo in cui ti svegli, ti guardi allo specchio, e ti
chiedi “chi sono?”. Secondo me questo è uno di quei giorni per gli
europei. La prima cosa che ci viene in mente citando il poeta è quello che non
siamo, che non vogliamo essere. Allora noi non siamo gente che invade i Paesi
confinanti, noi non siamo gente che bombarda e rade al suolo le città, noi
non massacriamo e torturiamo i civili con gusto sadico, noi non sequestriamo i
bambini e li deportiamo usandoli come riscatto”.
Qui Igiaba
Scego ci aiuta a mettere in discussione questa supponenza culturale
che negli ultimi tempi si è trasformata in virulenza bellicista:
“Il collega
Scurati nel suo discorso di sabato a Piazza del Popolo ha detto tra le altre
cose ‘non massacriamo i civili e non deportiamo i bambini e li usiamo come
riscatto’. Nell’Europa che ha esternalizzato le frontiere, messo in mano terzi
la tortura, calpestando il diritto al viaggio delle persone del sud del mondo,
tacendo sulle gravi violazioni del diritto internazionale degli ultimi anni,
dire questo è diciamo, per usare un eufemismo, qualcosa di molto (ma moooltooo)
lontano dalla verità. Nel discorso del collega, che rispetto in quanto collega,
ma di cui non condivido le idee, soprattutto quelle esposte nei suoi ultimi
articoli e nel discorso di sabato, ho trovato molto pericoloso quel “Noi” che
presuppone già nella sua enunciazione esclusione. È un noi molto recintato. Un
noi bianco, borghese, elitario, eterosessuale. Un noi che appena è stato enunciato
fa sentire esclusi. Io confesso mi sono sentita esclusa da questo discorso. Un
noi poi che professa innocenza e candore […]
La cosa che
più inquieta però è che sembra che la matrice culturale comune di questi e
altri discorsi che stanno prendendo forza negli ultimi tempi sia la stessa che
emerge dalle pagine sulla materia Storia nella bozza delle
nuove Nuove indicazioni 2025 per la scuola.
A partire
dalla frase di apertura, apodittica, secca, senza ombra di dubbio, orgogliosa:
“Solo
l’Occidente conosce la Storia”.
La netta
gerarchizzazione delle “culture” implicita nell’affermazione emerge evidente
nelle frasi che seguono:
“Altre
culture, altre civiltà hanno conosciuto qualcosa che alla storia vagamente
assomiglia, come compilazioni annalistiche di dinastie o di fatti eminenti
succedutisi nel tempo; allo stesso modo, per un certo periodo della loro
vicenda secolare anche altre civiltà, altre culture, hanno assistito a un
inizio di scrittura che possedeva le caratteristiche della scrittura storica.
Ma quell’inizio è ben presto rimasto tale, ripiegando su se stesso e non dando
vita ad alcuno sviluppo; quindi non segnando in alcun modo la propria cultura
così come invece la dimensione della Storia ha segnato la nostra”.
In queste
frasi emerge un’idea di “cultura” rigida, impermeabile, che agisce con le
“altre culture” solo confliggendo con esse per il dominio, rimanendo pura nella
sua essenza. Proseguendo addirittura il discorso si trasforma in una vera e
propria esaltazione della superiorità [!] della “cultura occidentale” che
le avrebbe permesso di divenire “intellettualmente padrona del mondo”:
“È
attraverso questa disposizione d’animo e gli strumenti d’indagine da essa
prodotti che la cultura occidentale è stata in grado di farsi innanzi tutto
intellettualmente padrona del mondo, di conoscerlo, di conquistarlo per secoli
e di modellarlo”.
Come non
leggere queste parole come una rivendicazione orgogliosa della funzionalità
della cultura al dominio, come ad esempio è avvenuto nelle vicende del colonialismo?
Quali
riferimenti culturali si stanno affermando oggi in Italia? Quali intellettuali
trovano spazio negli organi di informazione? Quali stanno cercando di farsi
strada nella scuola?
E “noi”,
quelli con la “n” minuscola, che non si sentono dentro quel recinto di
italocentrismo, Occidente dominante, presuntuoso europeismo bellicista, noi,
avremo la forza di difendere i principi di giustizia, uguaglianza, pace come
cittadini del mondo?
Nessun commento:
Posta un commento