Capita talvolta di saggiare sulla propria
pelle la validità delle proprie analisi. È ciò che mi è successo nella vicenda
della presidenza della Fondazione Ginori:
pur dicendo, da un pezzo, che questo governo è fascista nelle idee e nei
metodi, quando l’ho verificato sperimentalmente su di me, la prima reazione è
stata lo stupore. Come è possibile che siamo arrivati a
questo punto?
I fatti, in breve.
A ottobre scorso è scaduto il mio mandato
di presidente della Fondazione del Museo Ginori, alle porte di Firenze: il più
importante museo di porcellana del Paese, acquistato dallo Stato dopo una lunga
decadenza. Dopo una mia campagna a favore della salvezza del museo, e dopo una
mostra anche da me curata al Museo del Bargello, fu il ministro Dario
Franceschini a nominarmi presidente: a titolo gratuito. In questi anni abbiamo
fatto moltissime cose, e avviato il processo di riprogettazione e riapertura
del museo, oggi in un punto delicatissimo. Prima Gennaro Sangiuliano, e poi Alessandro Giuli, mi avevano detto che mi
avrebbero confermato in quel ruolo: nonostante il ben noto dissenso politico
che ci lega. Del resto, proprio su queste pagine non avevo mai risparmiato le
critiche a Franceschini, che si dimostrò
libero e istituzionale.
Il 17 ottobre scorso, dunque, il MiC apre
il procedimento di nomina inviando una lettera ufficiale al presidente della
Regione Toscana Eugenio Giani e al sindaco di
Sesto Fiorentino Lorenzo Falchi: “considerata
l’imminente scadenza dell’incarico del prof. Tomaso Montanari, comunica che è
intendimento del Sig. Ministro confermare il predetto prof. Montanari
l’incarico in parola. Nel restare in attesa di un cortese riscontro, invio i
miei più cordiali saluti. D’ordine del ministro, il capo di gabinetto”. I due
interpellati rispondono manifestando a Giuli pieno consenso sul
mio nome.
Ai primi di dicembre, in occasione della
visita di Giuli agli scavi di San Casciano dei Bagni (guidati
dalla mia università) mi viene mostrato il decreto di nomina, pronto per essere
firmato. L’11 dicembre Giuli mi scrive che è a casa con la febbre: “Firmo
domattina, se non ti serve tutto entro oggi”. Ma la mattina dopo sparisce,
e un muro di silenzio si oppone a me, alla Regione e
al Comune. Finché martedì scorso, l’11 marzo, arriva a Regione e Comune una lettera
identica a quella del 17 ottobre: ma stavolta con un altro nome,
quello dell’avvocato Marco Corsini, sindaco di Rio nell’Elba, già assessore
di Alemanno, zero competenza in governo del patrimonio
culturale e tantomeno in Storia dell’arte.
Perché? Al telefono con Giani, Giuli
si ‘giustifica’ dicendo: “Ora faccio io il cattivo,
Montanari mi ha attaccato in televisione”. Fonti autorevoli del MiC mi dicono
che la querela che il ministro Lollobrigida ha sporto contro di me per un
articolo sul Fatto relativo alle sue
dichiarazioni sulla sostituzione etnica sarebbe il pretesto (del tutto
inconferente sul piano legale). Se davvero questo fosse il motivo,
sarebbe gravissimo. Se un ministro querela qualcuno, e un
altro ministro (dello stesso partito…) per questo ne blocca la nomina a un
incarico pubblico, siamo all’uso non solo politico, ma personale, del
patrimonio della nazione.
La verità è che Giuli aveva provato a
muoversi con una relativa autonomia, volendo accreditarsi come ‘uomo di
cultura’ rispetto ai cavernicoli del suo partito. Un tentativo finito malissimo: con l’estromissione del capo di gabinetto Francesco Spano,
che aveva la colpa di essere omosessuale. Da lì in poi, Giuli è stato un
ministro dimezzato, al guinzaglio di Palazzo Chigi e del partito.
Molti sono i profili inquietanti di
questa vicenda.
Primo: l’autodemolizione della credibilità
di Alessandro Giuli. Che valore avrà la parola, e addirittura una lettera
ufficiale, di un ministro della Cultura pronto a rimangiarsela senza nemmeno
spiegare perché? Alla faccia dei valori tradizionali della destra: questa
destra, della parola data ‘se ne frega’.
Secondo: il disprezzo per qualsiasi
correttezza istituzionale. Regione Toscana e Comune di Sesto tengono in piedi
economicamente la fondazione: come è possibile trattarli in questo modo?
Terzo: il disprezzo per il merito. Una
fondazione culturale esige che chi la guida conosca profondamente la missione
della fondazione stessa.
Quarto: la punizione del dissenso. Il
ministro Crosetto scrive sulle chat di Fratelli d’Italia che Saviano “va
punito”: e questa è l’essenza del fascismo.
Quinto, e più grave di tutti: la teorizzazione
della dittatura della maggioranza. I signori del governo ripetono che, avendo
vinto le elezioni, sono i padroni di tutto: vogliono decidere le sentenze,
stabilire cosa si insegna all’università, prendersi i musei. Ebbene, non è
così: il popolo esercita la sua sovranità “nelle forme e nei limiti della
Costituzione” (art. 1). Altrimenti non è più democrazia, ma arbitrio totalitario. Esattamente la situazione in cui
siamo.
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