venerdì 14 marzo 2025

Io, rimosso dalla Fondazione Ginori da un ministro dimezzato. Dietro questa storia, molti aspetti inquietanti - Tomaso Montanari

 

Capita talvolta di saggiare sulla propria pelle la validità delle proprie analisi. È ciò che mi è successo nella vicenda della presidenza della Fondazione Ginori: pur dicendo, da un pezzo, che questo governo è fascista nelle idee e nei metodi, quando l’ho verificato sperimentalmente su di me, la prima reazione è stata lo stupore. Come è possibile che siamo arrivati a questo punto?

I fatti, in breve.

A ottobre scorso è scaduto il mio mandato di presidente della Fondazione del Museo Ginori, alle porte di Firenze: il più importante museo di porcellana del Paese, acquistato dallo Stato dopo una lunga decadenza. Dopo una mia campagna a favore della salvezza del museo, e dopo una mostra anche da me curata al Museo del Bargello, fu il ministro Dario Franceschini a nominarmi presidente: a titolo gratuito. In questi anni abbiamo fatto moltissime cose, e avviato il processo di riprogettazione e riapertura del museo, oggi in un punto delicatissimo. Prima Gennaro Sangiuliano, e poi Alessandro Giuli, mi avevano detto che mi avrebbero confermato in quel ruolo: nonostante il ben noto dissenso politico che ci lega. Del resto, proprio su queste pagine non avevo mai risparmiato le critiche a Franceschini, che si dimostrò libero e istituzionale.

Il 17 ottobre scorso, dunque, il MiC apre il procedimento di nomina inviando una lettera ufficiale al presidente della Regione Toscana Eugenio Giani e al sindaco di Sesto Fiorentino Lorenzo Falchi: “considerata l’imminente scadenza dell’incarico del prof. Tomaso Montanari, comunica che è intendimento del Sig. Ministro confermare il predetto prof. Montanari l’incarico in parola. Nel restare in attesa di un cortese riscontro, invio i miei più cordiali saluti. D’ordine del ministro, il capo di gabinetto”. I due interpellati rispondono manifestando a Giuli pieno consenso sul mio nome.

Ai primi di dicembre, in occasione della visita di Giuli agli scavi di San Casciano dei Bagni (guidati dalla mia università) mi viene mostrato il decreto di nomina, pronto per essere firmato. L’11 dicembre Giuli mi scrive che è a casa con la febbre: “Firmo domattina, se non ti serve tutto entro oggi”. Ma la mattina dopo sparisce, e un muro di silenzio si oppone a me, alla Regione e al Comune. Finché martedì scorso, l’11 marzo, arriva a Regione e Comune una lettera identica a quella del 17 ottobre: ma stavolta con un altro nome, quello dell’avvocato Marco Corsini, sindaco di Rio nell’Elba, già assessore di Alemanno, zero competenza in governo del patrimonio culturale e tantomeno in Storia dell’arte. ⁠

Perché? Al telefono con Giani, Giuli si ‘giustifica’ dicendo: “Ora faccio io il cattivo, Montanari mi ha attaccato in televisione”. Fonti autorevoli del MiC mi dicono che la querela che il ministro Lollobrigida ha sporto contro di me per un articolo sul Fatto relativo alle sue dichiarazioni sulla sostituzione etnica sarebbe il pretesto (del tutto inconferente sul piano legale). Se davvero questo fosse il motivo, sarebbe gravissimo. Se un ministro querela qualcuno, e un altro ministro (dello stesso partito…) per questo ne blocca la nomina a un incarico pubblico, siamo all’uso non solo politico, ma personale, del patrimonio della nazione.

La verità è che Giuli aveva provato a muoversi con una relativa autonomia, volendo accreditarsi come ‘uomo di cultura’ rispetto ai cavernicoli del suo partito. Un tentativo finito malissimo: con l’estromissione del capo di gabinetto Francesco Spano, che aveva la colpa di essere omosessuale. Da lì in poi, Giuli è stato un ministro dimezzato, al guinzaglio di Palazzo Chigi e del partito.

Molti sono i profili inquietanti di questa vicenda.

Primo: l’autodemolizione della credibilità di Alessandro Giuli. Che valore avrà la parola, e addirittura una lettera ufficiale, di un ministro della Cultura pronto a rimangiarsela senza nemmeno spiegare perché? Alla faccia dei valori tradizionali della destra: questa destra, della parola data ‘se ne frega’.

Secondo: il disprezzo per qualsiasi correttezza istituzionale. Regione Toscana e Comune di Sesto tengono in piedi economicamente la fondazione: come è possibile trattarli in questo modo?

Terzo: il disprezzo per il merito. Una fondazione culturale esige che chi la guida conosca profondamente la missione della fondazione stessa.

Quarto: la punizione del dissenso. Il ministro Crosetto scrive sulle chat di Fratelli d’Italia che Saviano “va punito”: e questa è l’essenza del fascismo.

Quinto, e più grave di tutti: la teorizzazione della dittatura della maggioranza. I signori del governo ripetono che, avendo vinto le elezioni, sono i padroni di tutto: vogliono decidere le sentenze, stabilire cosa si insegna all’università, prendersi i musei. Ebbene, non è così: il popolo esercita la sua sovranità “nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1). Altrimenti non è più democrazia, ma arbitrio totalitario. Esattamente la situazione in cui siamo.

da qui

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