Le baby gang e i ragazzini criminali e
pericolosi sono oggi l’ultima frontiera del nemico costruito, imposto, sbattuto
in faccia. Sarebbero loro – vogliono farci credere – il problema dell’Italia, il problema di noi tutti, il
motivo per il quale non dovremmo dormire tranquilli e dovremmo avere paura a
uscire per strada.
Il meccanismo è sempre lo stesso:
incuranti di ogni statistica, si comincia a raccontare a gran voce quanto
pericolosa sia quella certa categoria di
persone (sono stati a volte gli immigrati o i tossicodipendenti o addirittura
gli organizzatori di rave party). Anche se l’evidenza dice il contrario, anche
se i reati sono in calo, anche se non è vero nulla. L’importante è che in tutti
noi venga ben rinforzata la paura: è questa
emozione a costituire la chiave del trucco. Dopodiché si procede a promettere
che verremo protetti da tali pericoli immaginari, liberati dai sentimenti spaventosi che hanno prodotto in noi.
E come accadrà la liberazione?
Naturalmente con l’unico strumento che si può promettere a costo zero (e che si
sa bene che non serve a niente): carcere su carcere, aumento delle pene, pugno
di ferro e tolleranza zero.
Nonostante l’unica ricerca promossa dal
Ministero dell’Interno su questo argomento (ottobre 2022) ci spieghi che i
fattori che spingono i giovani ad aderire a una gang sono “rapporti
problematici con le famiglie, con i pari o con il sistema scolastico,
difficoltà relazionali o di inclusione nel tessuto sociale e un contesto
di disagio sociale o economico. Influente è anche
l’uso dei social network come strumento per rafforzare le identità di gruppo e
generare processi di emulazione o autoassolvimento”, investire sull’educazione,
sulla prevenzione, sul sostegno è ben più impegnativo e
costoso che scrivere un decreto-legge per promettere più galera
per i minorenni. E, soprattutto, porta meno consensi sul
breve periodo.
I media non aiutano, contribuendo anche
loro alla costruzione di allarmi senza riflessione: la stessa ricerca ci
racconta come nell’anno 2017 siano stati identificati nella stampa italiana 612
articoli che parlavano di gang giovanili, mentre nei soli quattro mesi iniziali
del 2022 essi siano stati 1.909. Eppure nell’anno precedente, il 2021, i
servizi sociali della giustizia minorile avevano in carico solamente 186 ragazzi appartenenti a gang, su un
totale di oltre 13.500 giovani complessivamente in loro carico.
Qualche giorno fa è stato pubblicato il
dossier del Ministero dell’Interno sugli omicidi volontari. Siamo uno dei paesi più sicuri al
mondo. Ma questo è bene non raccontarlo: come
si potrebbe, infatti, continuare a promettere penalità e prigione? Tra il 2023
e il 2024 gli omicidi volontari in Italia sono passati da 340 a 319. Un numero
già basso, se paragonato agli altri paesi europei e del mondo, si è ulteriormente
ridotto. All’interno di questa cifra, sono aumentati di 21 unità gli omicidi
commessi da minorenni. Qualcosa su cui senz’altro tutti noi come società
dobbiamo interrogarci. Ma certamente non come è accaduto nei giorni scorsi. Non
sapendo infatti su quale dramma titolare, essendo il dossier sostanzialmente
rassicurante, tante testate hanno puntato sul solo dato capace di rinforzare la
paura di turno: boom di omicidi tra i minori, aumentano i baby
killer. Nessuno dice che nel 2017, ad esempio, il numero è stato di
poco superiore a quello del 2024. Dunque un andamento oscillante, come sempre
accade a ogni fenomeno sociale, ma comunque contenuto.
Con spettacolare linearità, meno di
quarantott’ore dopo altri titoli occupavano le testate: retate tra le baby
gang, arrestati 73 giovani in tutta la penisola. Per arrivare a questi arresti,
la polizia ha dovuto controllare 13.000 ragazzi e ragazze, con grande
dispiegamento di forze. Nel frattempo i ragazzi nelle carceri minorili, dopo il
Decreto Caivano sempre di più e sempre più soli, sono mandati al macero. La retorica del pugno di ferro
colpisce anche qui: se sono così cattivi, se sono loro la fonte di tutte le
nostre angosce, delle nostre insicurezze, delle nostre paure, allora che marciscano in galera, certo non ci
impegneremo a cercare di recuperarli e di offrire loro una vita migliore di
quella che hanno avuto fin qui.
Noi che nelle carceri minorili ci andiamo
in continuazione ben sappiamo che ad abitarle sono troppo spesso ragazzi fragili, con un passato drammatico alle spalle, che
avrebbero bisogno di sostegno e attenzione invece di ricevere solamente
abbandono e punizione. Tanti sono i minori
stranieri non accompagnati (la già citata ricerca ministeriale ci racconta come
“nella maggior parte dei casi i membri delle gang sono italiani, mentre gruppi
formati in maggioranza da stranieri o senza una nazionalità prevalente sono
meno frequenti”).
Capisco bene che i numeri sono più noiosi
di “Mare fuori” o del racconto di una maxi retata che avrebbe sgominato chissà
quale pericolosa mala giovanile. Ma la conoscenza del dato di realtà ci aiuta a
pensare con la nostra testa. E a non farci manipolare da
chi ha bisogno della nostra ignoranza.
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