Insensatezze, appelli a vuoto e misconoscimento della
realtà - Omar Onnis
L’ex assessore alla
Sanità della Regione Automa Sardegna, Mario Nieddu, riceverà un incarico
governativo dal suo padrone politico, Salvini. Intanto il presidente Solinas,
finito il rito del rimpasto, fa un appello di mobilitazione ai sardi e lo
scrittore Marcello Fois ne lancia un altro agli/lle intellettuali di nascita sarda
affinché si occupino dei problemi dell’isola. Perché suona tutto così
dannatamente insensato?
Il mondo sta andando già abbastanza a farsi benedire, non ci sarebbe
bisogno di aggiungere disordine e insensatezza. Eppure sembra che la produzione
di questi beni di larghissimo consumo in Sardegna proceda sempre a ritmi
sostenuti.
La condizione materiale dell’isola è drammatica. Ogni tanto qualcuno si
sveglia e scopre che ci stiamo spopolando, che la povertà cresce, che
l’economia vacilla in balia di forze che possiamo solo subire, che i servizi
fondamentali – quelli che integrano diritti di cittadinanza – sono ormai a un
livello mortificante. Be’, vi do una notizia: è da un pezzo che va così.
Il presidente Solinas e la sua giunta di destra sardo-italiana non solo non
hanno risolto alcuno dei gravi problemi ereditati dalla disastrosa giunta
Pigliaru, ma ci hanno messo del loro per aggravarli. Nella partita della
continuità territoriale non meno che in quella della sanità e in quella
dell’energia. Patetico e anche offensivo, ora, che si svegli e faccia appello a una mobilitazione “dei
sardi” sul tema dei trasporti. Caro Solinas, sei stato eletto per governare
l’isola, sei tu che devi darti una mossa e trovare soluzioni.
Il neo-assessore Moro, dal canto suo, col petto in fuori e il cipiglio da
sardignolo orgoglioso, dichiara che a loro dei modelli efficienti usati da altri
(tipo le Baleari o la Corsica) non gliene frega niente. Bisogna dotarsi di un
modello sardo.
Benissimo, evviva. Cosa state aspettando a farlo? E a cosa serve il
passaggio nella Commissione insularità se non a perdere tempo e a far finta di
combinare qualcosa? Del resto, che fosse questa la funzione dell’insularità era
chiaro da un pezzo.
È una mania sardista, questa di schifare le soluzioni più avanzate adottate
da altri in nome di un mal indirizzato orgoglio identitario. Lo stesso Statuto
regionale sardo nacque da un’alzata di ingegno come questa, quando la
Commissione preposta alla sua redazione rifiutò di adottare il testo della
Sicilia, con i dovuti adattamenti; per poi partorire quella mezza schifezza che
ci ritroviamo. Ma su questa parentesi storica possiamo evitare di dilungarci.
A proposito di assessori, un ex assessore di peso della giunta Solinas,
l’immarcescibile Mario Nieddu, lasciata la gestione della Sanità, dopo aver
contribuito a completare la devastazione già avviata dal suo predecessore Luigi
Arru in combutta con il resto della giunta Pigliaru-Paci-Maninchedda, trova
atterraggio confortevole sotto l’ala protettrice del suo padrone. Uno strapuntino di
governo si trova sempre, per il podatario di turno che abbia servito così bene
la causa.
Tanta mediocrità e tanta cialtronaggine conclamate, quasi ostentate, se non
depongono a favore di chi le dimostra, non è però che facciano rilucere
l’intelligenza e l’onestà della controparte. Che, nel caso del Consiglio
regionale sardo, è davvero poca cosa. E non depone nemmeno a favore di chi
questa gente continua a votarla.
Ma c’è un’altra categoria che prima o poi dovrà fare i conti con la realtà,
se non con la propria coscienza. Non è un tema inedito (ne avevo già
parlato qui, o qui, o qui, e anche altrove).
L’occasione di tornarci su ce la dà Marcello Fois. Sulle pagine della Nuova,
organo di riferimento dell’area di centrosinistra italiano in Sardegna, lo
scrittore nuorese si fa promotore di un appello – appello
proprio in senso tecnico, dato che è un elenco di nomi – rivolto a quelli che a
suo parere sono i personaggi pubblici, di ambito intellettuale e creativo,
degni di essere chiamati alla lotta.
L’incipit è una domanda, che suona retorica, anche se forse non intendeva
esserlo:
Quando giungerà il momento in cui l’immenso patrimonio intellettuale di
quest’isola, benedetta dall’intelligenza, riuscirà a concretizzare una massa
critica trasversale, democratica, tollerante, esplicita, che possa smarcarla
dal sospetto di tacere, per vigliaccheria e impotenza, riguardo all’abisso di
senso e contenuti in cui il popolo dei sardi sta sprofondando?
Suona retorica, proprio perché elude almeno due problemi. Uno è quello
fondamentale della condizione storica della Sardegna, della sua subalternità
imposta dal rapporto di natura asimmetrica e per molti versi apertamente
coloniale con lo Stato italiano. Sarebbe interessante sollecitare ad esprimersi
in proposito tutte le persone chiamate in causa nell’appello. Temo che in poche
vorrebbero/saprebbero rispondere.
Un altro aspetto eluso è il problema specifico dell’intellettualità sarda
contemporanea, prevalentemente organica al sistema di potere vigente in ogni
epoca, affamata di glorie italiche e di riconoscimenti personali o di clan,
propensa a mettere più distanza possibile tra sé e il volgo rozzo, barbarico,
arretrato e atavicamente inferiore da cui il suo talento e la sua capacità l’ha
miracolosamente estratta. Magari col concorso della buona sorte e di qualche
altra variabile che non stiamo qui a indagare.
Che poi, a dirla tutta, tra tutte le persone nominate, ce ne sono diverse a
cui non si può affatto rimproverare di essere mancate al proprio dovere di
testimonianza e persino di azione politica diretta (trovatele voi, non è
difficilissimo). Altre sono persone che con la Sardegna, a parte forse esserci
nate, hanno poco a che fare. La gran parte, è vero, non si è mai esposta
politicamente, e in questo caso le motivazioni potrebbero essere le più
disparate, persino comprensibili. Non basta essere “intellettuali” o “creativə”
per avere idee chiare e una solida consapevolezza politica (e storica). Senza
considerare che gli interessi “di bottega” o più genericamente “di classe”
qualcosa da dire ce l’hanno sempre.
Non dubito affatto delle buone intenzioni di Marcello Fois. Il suo appello
però tralascia di evocare le tante soggettività (singole persone, gruppi
organizzati, gruppi informali) già presenti nell’isola e attive sul campo, che
forse banalmente non conosce. Naturalmente, queste ultime non hanno bisogno di
appelli altrui per darsi una mossa.
C’è poi il fastidioso dubbio che un appello del genere sia espresso solo
ora con tanta veemenza – giustificata, non c’è dubbio – perché al governo
dell’isola c’è una maggioranza diversa da quella in cui Marcello Fois e molte
delle persone da lui tirate in ballo si riconoscono. Il che è comprensibile, ma
non deve farci dimenticare che i problemi a cui ci si riferisce, come detto,
sono piuttosto datati e mai risolti, a dispetto delle varie alternanze alla
guida della Regione.
Dall’insieme di queste circostanze occasionali emerge un quadro desolante.
Molto più desolante di quello tratteggiato da Fois. Perché la stessa
intellettualità a cui lui si appella in larga misura è parte del problema, non
certo una possibile risorsa risolutiva. E lo è proprio per via della rimozione
della questione di fondo: la condizione dipendente e subalterna della Sardegna.
Dalla politica sarda – di destra, democristiana, opportunista o
moderatamente progressista che sia (questo è il quadro del Consiglio regionale)
– c’è poco da aspettarci. Ormai abbiamo visto di cosa sono capaci. Dubito che
potremo aspettarci qualcosa anche dalla maggior parte delle persone citate
nell’appello di Fois, ma in questo caso mi piacerebbe essere smentito. A patto
che non si tratti solo di rilasciare una dichiarazione una tantum, magari
atteggiandosi a paladini del popolo, salvo poi tornare nei ranghi al cospetto
della dura realtà e delle sfide vere che essa ci impone. Ne riparleremo.
La mosca cocchiera - Alberto
Masala
Il 14 dicembre, da Marcello Fois, ho
ricevuto l’appello che metto qui in immagine. Ho pensato di aderire, ma anche
di rispondere. Ecco qui sotto la mia risposta.
—————————————————————————-
A Marcello.
“nella vita spirituale
si agisce, sì, da affaristi,
ma per antica tradizione si parla da idealisti”
(Musil)
Il tuo appello,
conoscendoti da circa 40 anni, non giunge inaspettato. Di te ho visto
tutto fin dall’inizio: percorsi, evoluzioni, cammino e passi.
Grande generosità materiale in contrappeso ad altrettanta prudente
accortezza intellettuale.
E stavolta ho avuto
tre diverse reazioni:
- “Ma neppure rispondo!” (No… Sarei sgarbato,
apparirei presuntuoso… non è da me… in fondo sarebbe come non
rispondere a un saluto. E non si fa).
- “Firmo e taccio. Lascio perdere. Sto
zitto”. (Eh no!
Caspita! Tacere su quello che mi muove da mezzo secolo! La mia
visione etica, la mia appartenenza… Io sono ancora Sardo).
- “Firmo o non firmo, non importa… ma almeno
rispondo”. (Negli
anni te le ho lasciate passare tutte, davvero troppe, senza dire mai
niente).
Per carità… l’appello
è legittimo, giusto e condivisibile. Lo firmo senz’altro. Ma… bisogna
contestualizzarlo.
La chiamata,
apparentemente generosa e patriottica, si colloca in un percorso che
potrei descrivere nei particolari. È il procedere indefesso di una Mouche
du coche, mirabilmente narrata da La Fontaine e ancor prima da Fedro.
La famosa mosca cocchiera di cui parlavano Gramsci e
Turati o, in letteratura, Carducci, riferendosi agli epigoni del Manzoni.
Da quando ti conosco,
per te c’è sempre stato un cocchio su cui saltare, un cavallo da pungere
all’orecchio, un atteggiarsi a questa nobile funzione.
Nessuno ha
interpretato meglio questo ruolo. Fin dagli albori, quando sostenevi
e diffondevi l’appello per un Assessore alla Cultura, socialista,
sul quale ho un parere strettamente politico: il peggiore della storia di
Bologna da tutti i tempi. Ma non posso fartene una colpa: arrivasti in
città da giovane militante del PSI e quella rete ben attrezzata fu tua da
subito, testa bassa e senso del dovere. Scendendo poi dal cocchio rapidamente,
con un mirabile colpo di reni, appena prima che Craxi e Mani Pulite lo
conducessero a schiantarsi in un precipizio. Era il cocchio sbagliato, e
tu eri dotato di ancora giovani ali. Hop…! Un opportuno salto e via…
Il cocchio successivo
era più stabile. Più cooperativo. Largo e solidissimo fin dal dopoguerra, e qui
in Emilia ancora regge nonostante le evoluzioni e i cambi di modello della
Ditta.
Il coraggio
dell’arroganza fu sdoganato quando un democristiano, il miglior interprete di
quelle attitudini, ne diventò il risolutivo Amministratore Delegato. A
lui, almeno spiritualmente, ti riconosco ancora fedele. Mi colpì molto la
tua rabbiosa difesa dei suoi referendum al tavolo di un’osteria. Da manzoniano
convinto e militante, hai accolto i Renzi come modello, eleggendo nel
percorso tutte le diverse Lucie (non importa di che sesso, non prendermi alla
lettera) secondo l’utilità. Si passava risolutivamente dal “tengo
famiglia” al più spietato “da ora finalmente va così, e così
sarà”.
Tutto questo mentre la
nostra terra intanto avanzava verso un disastro di entità terminale. Oggi,
con la piena complicità politica espressa dal silenzio anche tuo, la mia
Sardegna si conferma:
·
La zona d’Europa su cui (in rapporto al territorio) sono le più estese
e invadenti basi militari di tutta Europa.
·
La maggiore vittima di pericolose e inquinanti
esercitazioni (Teulada).
·
Il supermercato in cui si sperimentano nuove armi (Quirra).
·
Il conseguente aumento di tumori (siamo ormai nella fascia dei
primati mondiali) in rapporto alla popolazione.
·
La fabbrica di armi per i paesi arabi che compiono stragi in
Yemen (Domusnovas).
E se non bastasse, la
colonia italiana (tale è) invasa dal turismo più becero e arrogante. Una terra
cui si possono perfino cambiare i nomi dei luoghi senza suscitare reazioni. Per
capirci ora immagina che l’Emilia, senza colpo ferire, sia ribattezzata col
nome del suo supermercato più rappresentativo: COOPlandia. Così è successo
in Costa Smeralda. È come vendersi la madre.
Ne deriva che le
prospettive per i giovani, come in ogni colonia, sono soltanto quelle di
servire i colonizzatori diventando loro guardiani, giardinieri o camerieri. I
più svegli, se va bene, saranno gli chef che tu inviti a sottoscrivere
l’appello. Niente da dire… mestieri dignitosissimi e perfino belli per chi li
sceglie, ma a patto che non resti l’unica strada possibile. A proposito… Non ho
capito perché insieme agli chef non inviti i grandi falegnami sardi, o i pastori
(fra i migliori del mondo), o le progettiste di meravigliosi tappeti, e così
via…
Marcello, non ti ho
mai sentito denunciare questa situazione. Al contrario, in luogo di usare la
parola COLONIA, ti sei reso profondamente complice con le tue chiamate alla Patria
italiana. Non hai fatto altro che consolidare inesistenti radici per un popolo
al quale erano imposte con la forza. Hai affiancato il colonizzatore e,
casomai, gli hai spesso dato consigli per potersi mascherare meglio.
Hai fatto furbi
outings (“Ho tradito”) che niente cambiavano del continuare a tradire.
Senza vergognarti hai serialmente recitato in ruoli di menzogna, (ne potrei
citare una lunga collana, ultimo il tuo inesistente bilinguismo: “penso
in sardo e devo tradurre in italiano”), avendo capito che per atteggiarsi
basta mentire in luoghi dove nessuno può smentirti o rubacchiare un pochino le
idee di quelli che, come me, non hanno voglia di smentirti. Una lezione questa
che ha fatto scuola anche in altre/altri dopo di te.
Intanto il cocchio corre.
E le mosche, ronzando con la bocca a tromba, con un ennesimo coup de
théatre incitano il cavallo. Che faranno nelle soste? Riposeranno su
ciò che il cavallo depone?
Anch’io dico
sacrosanto ribellarsi, ma da 50 anni lo faccio con ben altri argomenti, quelli
che tu non hai mai nemmeno sfiorato. Lo faccio, come sempre, perfino sotto il
tuo sguardo di sufficienza per le donchisciottesche battaglie che io perdo
e tu, prudentemente, non combatteresti mai.
Ora ti dedico alcune
meritate citazioni che riportano il discorso alla sua oggettività. Ho
tralasciato Gramsci e messo Turati che, da socialista, capisci molto meglio…
(…) Ma le
mosche, per altro, le mosche cocchiere sono pur le male bestie e noiose! Si
fermano alla prima osteria e van ronzando negli orecchi alla gente (Carducci 1897).
(…) una
propaganda, che fa appello esclusivamente ai romanticismi impulsivi dei
sofferenti, forse traduce, più che altro, la favola della “mosca
cocchiera”, che presume di guidare, in codesto duplice solco, l’aratro
della sedizione (Turati 1913).
Perciò sappi
che, même si tu joues la mouche du coche, tu ne peux pas
me tromper.
Marcello, non mi
trampas.
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