Segnaliamo l’articolo di Caterina La Porta e Stefano Zapperi pubblicato su Nature lo scorso 4 dicembre (qui per una versione in Italiano). I due ricercatori guardano al sistema universitario italiano non dal punto di vista delle classifiche accademiche, che come noto dipingono un quadro desolante delle università italiane ma che sono anche soggette a critiche metodologiche sulla loro compilazione nonché a bias di vario tipo, ma considerano i i dati sulle assunzioni di docenti negli Stati Uniti. In effetti, i risultati di questo studio potrebbero apparire paradossali: come è possibile che le università italiane tanto indietro nei rankings formano tanti scienziati che vengono assunti nelle migliori università americane?
Gli autori hanno dunque analizzato pubblicato un interessante studio
statistico sulla struttura e la dinamica delle assunzioni di docenti nelle università
statunitensi recentemente pubblicato da Nature. L’analisi è basata su un ampio
set di dati che comprende informazioni sulla formazione dottorale dei docenti
tenure-track assunti da tutte le università statunitensi che concedono
dottorati negli anni 2011-2020. I due autori scrivono
Abbiamo scoperto che quasi 3.000 docenti assunti negli
Stati Uniti nell’arco di tempo considerato hanno conseguito il dottorato in
Italia. Questo numero è sorprendente, soprattutto se confrontato con i 7.384
ricercatori tenure-track assunti in Italia nello stesso periodo. La situazione
dei ricercatori in Italia è sempre stata piuttosto complessa, con periodi di
reclutamento seguiti da anni senza posti vacanti. I posti di ricercatore
tenure-track sono stati istituiti nel 2010, ma sono entrati effettivamente in
vigore solo nel 2013. Prima di questa data, l’Italia offriva poche opportunità
ai giovani ricercatori. Dopo l’introduzione delle posizioni tenure-track, il
numero di nuove posizioni per i ricercatori è cresciuto e ora si aggira intorno
alle 1.000 unità all’ anno. Si tratta di un numero esiguo se confrontato con i
circa 10.000 dottori di ricerca che si laureano ogni anno, considerando anche
l’arretrato dovuto dal blocco delle assunzioni. Questo spiega perché molti dottori
di ricerca italiani cercano opportunità all’estero.
Alla luce di questa situazione:
Abbiamo quindi deciso di studiare i dati in modo più
dettagliato. In primo luogo, abbiamo analizzato i settori scientifici che erano
sovra-rappresentati e sotto-rappresentati tra gli assunti con dottorato
ottenuto in Italia , rispetto a quanto ci saremmo aspettati in base alla quota
complessiva di dottori di ricerca italiani assunti dalle università
statunitensi….
le materie STEM come la fisica, la biologia e
l’ingegneria sono generalmente sovrarappresentate, mentre le materie
umanistiche come la storia e la sociologia, ad eccezione degli studi classici,
sono generalmente sottorappresentate. Abbiamo poi esaminato le università
italiane in cui si sono formati questi docenti assunti negli Stati Uniti….
La Sapienza si classifica al primo posto con più di
400 docenti, seguita dall’Università di Milano con più di 300. L’Università di
Napoli ha fornito 143 docenti alle università statunitensi e la Scuola Normale
Superiore 115. L’elenco delle università statunitensi che hanno assunto docenti
italiani formati è guidato da università prestigiose come la Columbia
University, la Weill Cornell e la Harvard University.
Per esaminare in modo più quantitativo la posizione
delle università che assumono docenti formati in Italia, abbiamo considerato il
punteggio di “prestigio” assegnato a ciascun dipartimento universitario
statunitense dallo studio di Nature.
Abbiamo scoperto che il 35% dei docenti formati nelle
università italiane è stato assunto da dipartimenti statunitensi appartenenti
al primo 25% in termini di prestigio. Questa percentuale è del 35% per la
Sapienza, del 32% per l’Università di Milano, del 36% per l’Università di
Napoli e del 54% per i laureati della Scuola Normale Superiore.
È interessante confrontare questi valori con quelli
ottenuti per le università statunitensi classificate allo stesso livello dai
principali ranking accademici: è l’11% per la Texas A&M, il 15% per la
University of Utah e la North Carolina State University, il 7% per la
University of Southern Florida e l’8% per la University of Alaska.
La conclusione di questo studio è amara:
Non vogliamo suggerire che non ci sia nulla da
migliorare nel sistema accademico italiano, le cui carenze sono ampiamente
note. L’Italia ha problemi strutturali legati alla mancanza di opportunità per
i giovani ricercatori e al fatto che i finanziamenti per la ricerca e gli
stipendi dei docenti sono relativamente bassi rispetto ad altri Paesi. L’Italia
non sembra in grado di capitalizzare il grande potenziale costituito dalle
persone che forma. I dati dicono però che la qualità della formazione e della
ricerca in molte materie, soprattutto quelle STEM, rimane alta. Dovremmo
continuare a puntare sul mantenimento della qualità, e magari imparare
un’abilità in cui le istituzioni accademiche statunitensi eccellono:
l’autopromozione.
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