mercoledì 28 dicembre 2022

Fuga di cervelli e rankings delle università: c’è un paradosso?


Segnaliamo l’articolo di Caterina La Porta  e Stefano Zapperi pubblicato su Nature lo scorso 4 dicembre (qui per una versione in Italiano). I due ricercatori  guardano al sistema universitario italiano non dal punto di vista delle  classifiche accademiche, che come noto dipingono un quadro desolante delle università italiane ma che sono anche soggette a critiche metodologiche sulla loro compilazione nonché a bias di vario tipo,  ma considerano i i dati sulle assunzioni di docenti negli Stati Uniti. In effetti, i risultati di questo studio potrebbero apparire paradossali: come è possibile che le università italiane tanto indietro nei rankings formano tanti scienziati che vengono assunti nelle migliori università americane?

Gli autori hanno dunque analizzato pubblicato un interessante studio statistico sulla struttura e la dinamica delle assunzioni di docenti nelle università statunitensi recentemente pubblicato da Nature. L’analisi è basata su un ampio set di dati che comprende informazioni sulla formazione dottorale dei docenti tenure-track assunti da tutte le università statunitensi che concedono dottorati negli anni 2011-2020. I due autori scrivono 

 

Abbiamo scoperto che quasi 3.000 docenti assunti negli Stati Uniti nell’arco di tempo considerato hanno conseguito il dottorato in Italia. Questo numero è sorprendente, soprattutto se confrontato con i 7.384 ricercatori tenure-track assunti in Italia nello stesso periodo. La situazione dei ricercatori in Italia è sempre stata piuttosto complessa, con periodi di reclutamento seguiti da anni senza posti vacanti. I posti di ricercatore tenure-track sono stati istituiti nel 2010, ma sono entrati effettivamente in vigore solo nel 2013. Prima di questa data, l’Italia offriva poche opportunità ai giovani ricercatori. Dopo l’introduzione delle posizioni tenure-track, il numero di nuove posizioni per i ricercatori è cresciuto e ora si aggira intorno alle 1.000 unità all’ anno. Si tratta di un numero esiguo se confrontato con i circa 10.000 dottori di ricerca che si laureano ogni anno, considerando anche l’arretrato dovuto dal blocco delle assunzioni. Questo spiega perché molti dottori di ricerca italiani cercano opportunità all’estero.

Alla luce di questa situazione:

Abbiamo quindi deciso di studiare i dati in modo più dettagliato. In primo luogo, abbiamo analizzato i settori scientifici che erano sovra-rappresentati e sotto-rappresentati tra gli assunti con dottorato ottenuto in Italia , rispetto a quanto ci saremmo aspettati in base alla quota complessiva di dottori di ricerca italiani assunti dalle università statunitensi….

 

le materie STEM come la fisica, la biologia e l’ingegneria sono generalmente sovrarappresentate, mentre le materie umanistiche come la storia e la sociologia, ad eccezione degli studi classici, sono generalmente sottorappresentate. Abbiamo poi esaminato le università italiane in cui si sono formati questi docenti assunti negli Stati Uniti….

La Sapienza si classifica al primo posto con più di 400 docenti, seguita dall’Università di Milano con più di 300. L’Università di Napoli ha fornito 143 docenti alle università statunitensi e la Scuola Normale Superiore 115. L’elenco delle università statunitensi che hanno assunto docenti italiani formati è guidato da università prestigiose come la Columbia University, la Weill Cornell e la Harvard University.

Per esaminare in modo più quantitativo la posizione delle università che assumono docenti formati in Italia, abbiamo considerato il punteggio di “prestigio” assegnato a ciascun dipartimento universitario statunitense dallo studio di Nature.

Abbiamo scoperto che il 35% dei docenti formati nelle università italiane è stato assunto da dipartimenti statunitensi appartenenti al primo 25% in termini di prestigio. Questa percentuale è del 35% per la Sapienza, del 32% per l’Università di Milano, del 36% per l’Università di Napoli e del 54% per i laureati della Scuola Normale Superiore.

 

È interessante confrontare questi valori con quelli ottenuti per le università statunitensi classificate allo stesso livello dai principali ranking accademici: è l’11% per la Texas A&M, il 15% per la University of Utah e la North Carolina State University, il 7% per la University of Southern Florida e l’8% per la University of Alaska.

La conclusione di questo studio è amara:

Non vogliamo suggerire che non ci sia nulla da migliorare nel sistema accademico italiano, le cui carenze sono ampiamente note. L’Italia ha problemi strutturali legati alla mancanza di opportunità per i giovani ricercatori e al fatto che i finanziamenti per la ricerca e gli stipendi dei docenti sono relativamente bassi rispetto ad altri Paesi. L’Italia non sembra in grado di capitalizzare il grande potenziale costituito dalle persone che forma. I dati dicono però che la qualità della formazione e della ricerca in molte materie, soprattutto quelle STEM, rimane alta. Dovremmo continuare a puntare sul mantenimento della qualità, e magari imparare un’abilità in cui le istituzioni accademiche statunitensi eccellono: l’autopromozione.

da qui

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