Il mattino di Natale stavo facendo colazione in trincea, quando è passata la voce: “I tedeschi sono fuori dalle trincee!”. Gli ufficiali tedeschi hanno detto di volere un armistizio per seppellire i caduti. Dopo una breve discussione si sono accordati per una tregua, perché anche noi avevamo dei morti da seppellire. In realtà credo che ci siano state anche ragioni sentimentali, dopotutto non era forse Natale, giorno di pace e fratellanza tra gli uomini? Il nostro cappellano, che per un caso fortunato era arrivato in trincea quella mattina per farci gli auguri di Natale, ha potuto celebrare una breve messa. Il cappellano ha letto il servizio funebre. Un soldato tedesco, credo uno studente di teologia, ha tradotto per la parte tedesca. Non capivo cosa stesse dicendo, ma ascoltarlo era bellissimo. Finita la messa abbiamo iniziato a fraternizzare con i tedeschi, come se fossimo vecchi amici. Qualcuno parlava molto bene inglese – uno era stato cameriere all’Hotel Cecil di Londra – e abbiamo capito che sono davvero esausti di questa orrenda situazione.
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Stamattina abbiamo fatto la comunione in una fattoria a mezzo miglio di distanza. Siamo partiti prima che facesse giorno per stare tranquilli. È stato assurdo. La fattoria era stata bombardata, ed era praticamente distrutta. Dove abbiamo fatto la messa, il tetto era mezzo crollato. Credo che non mi capiterà più di assistere a una messa del genere, una situazione così riverente e intorno tutto così brutale. Al ritorno abbiamo deciso di rimanere sulla strada, anche se saremmo stati in piena vista del nemico. Siamo arrivati sani e salvi, e poco dopo alcuni dei nostri hanno fatto due tiri a pallone appena fuori dalla trincea. I tedeschi si sono fatti vedere, e, per farla breve, è finita che ci siamo incontrati a metà strada, per darci la mano e scambiare sigarette e piccole cose, e ci siamo salutati come migliori amici. Uno mi ha lasciato il suo indirizzo per scrivergli, dopo la guerra. Erano proprio dei bravi ragazzi, davvero. Immagino che possa sembrare una storia incredibile ma è andata proprio così. Sono certo che se la decisione stesse agli uomini, non ci sarebbe nessuna guerra.
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Verso le 5 di giovedì stavamo tutti pensando a casa e alla Vigilia di Natale, e abbiamo cominciato a intonare canti natalizi. Ai tedeschi è piaciuto molto, tanto che hanno iniziato a cantare anche loro gridandoci: “Buon Natale!”. Per tutta la notte non è stato sparato un colpo da entrambe le parti. La mattina dopo, il giorno di Natale, abbiamo fatto una breve messa in trincea e poi siamo arrivati fino a metà strada per incontrare i tedeschi. Meno di mezz’ora dopo stavamo conversando animatamente, e ci hanno rivelato di essere impazienti che la guerra finisca. Due di loro con i quali ho conversato più a lungo erano davvero bravi ragazzi. Erano due fratelli del 107° sassoni, ed erano stati chiamati perché arruolati tra le riserve. Uno aveva con sé un biglietto per Londra, e ci ha raccontato che stava andando in vacanza proprio a Londra quando è stato chiamato. Entrambi erano molto dispiaciuti di doverci combattere.
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Questo sarà il Natale più indimenticabile che abbia mai passato, e probabilmente che mai passerò. Da ieri all’ora del tè non è stato sparato un colpo da entrambe le parti. La notte scorsa è stata una fredda e gelida notte di luna piena, così poco dopo il tramonto abbiamo acceso dei grandi fuochi e abbiamo cantato canzoni di Natale. Oggi sono venuti a trovarci alcuni tedeschi. Hanno anche mandato una squadra a seppellire un cecchino che avevamo abbattuto una settimana fa. I nostri ragazzi sono usciti e hanno aiutato a scavare la fossa. Verso le 10.30 abbiamo fatto una breve processione e la messa si è tenuta in trincea. Come abbiamo cantato! Prima di cena ho avuto il piacere di stringere la mano a diversi tedeschi: un gruppo è arrivato a metà strada verso di noi, e così alcuni di noi sono andati a raggiungerli. Ci siamo scambiati da fumare e abbiamo fatto quattro chiacchiere. Dopo esserci scambiati i nomi e augurati felice anno nuovo ci siamo salutati e siamo tornati in trincea. Non possiamo credere che abbiamo passato le ultime due settimane a spararci. Sembra tutto così strano.
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I fuochi erano spenti nelle linee inglesi, e solo lo sguazzare di stivali fradici sul terreno fangoso, gli ordini sussurrati degli ufficiali e dei graduati e il lamento del vento rompevano il silenzio della notte. Lo scrigno dei ricordi ci ha trascinati in un incanto di malinconico silenzio. Nel mio sogno sentivo le risate e le mille melodie della cena di Natale. Col mantello appesantito dal fango, le mani spaccate e piagate dal freddo, stavo in piedi contro il bordo della trincea, e attraverso uno spiraglio lanciavo sguardi stanchi alle trincee tedesche. Pensieri furibondi mi affollavano la mente; ma non c’era un ordine, non un filo conduttore. Pensieri d’infanzia e casa, di come erano stati tutti gli anni che mi avevano portato a questo. Mi sono chiesto come potevo essere finito in una trincea umida, infelice, quando avrei potuto essere in Inghilterra, al caldo e soddisfatto. Mentre osservavo il campo ancora sognante, i miei occhi hanno colto un bagliore nell’oscurità. A quell’ora della notte una luce nella trincea nemica è una cosa così rara che ho passato la voce. Non avevo ancora finito che lungo tutta la linea tedesca è sbocciata una luce dopo l’altra. Subito dopo, vicino alle nostre buche, così vicino da farmi stringere forte il fucile, ho sentito una voce. Ho teso le orecchie, rimanendo in ascolto, ed ecco arrivare lungo tutta la nostra linea un saluto mai sentito in questa guerra: “Soldato inglese, soldato inglese, buon Natale! Buon Natale!”. Dopo gli auguri quelle voci profonde sono esplose in un invito: “Venite fuori, soldati inglesi, venite qui da noi!”. Per un po’ siamo rimasti diffidenti, senza neanche rispondere. Gli ufficiali, temendo un agguato, hanno ordinato agli uomini di restare in silenzio. Ma ormai su e giù per la linea si udivano i soldati rispondere agli auguri del nemico. Così è cominciato un fitto dialogo con i tedeschi, le mani sempre pronte sui fucili. Sangue e pace, odio e fratellanza: il più strano paradosso della guerra. Il Natale aveva trasformato in amici gli acerrimi nemici. (da qui)
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