Con l’estensione del blocco degli sfratti fino a giugno, migliaia di inquilini e inquiline che rischiavano di finire in strada hanno ottenuto qualche mese di respiro in più. Mentre esplode l’ira dei proprietari immobiliari associati a Confedilizia, convinti che si stia violando un qualche loro diritto – al profitto? nessuno ha parlato di requisire le loro proprietà! –, le persone più colpite dalla crisi del Covid-19 vedono aumentare il loro debito, iniziano a finire i risparmi se ne avevano o a non sapere più a chi chiedere prestiti. Si avvicina il momento in cui un ufficiale giudiziario busserà alla loro porta per eseguire lo sfratto.
Intanto sulle loro case si
allunga l’ombra del grande capitale internazionale. Il tracollo del mercato immobiliare italiano durante e
dopo il 2020 potrebbe essere la porta attraverso cui
entreranno i grandi operatori finanziari globali: gli hedge fund statunitensi come Cerberus e Blackstone, i “fondi
avvoltoio” che si nutrono dei cadaveri lasciati sul terreno dalle crisi
economiche. Questi mostri non entrano mai da soli: sono sempre i governi a
invitarli. Nel 2018 Confedilizia ha
dichiarato di volersi aprire ai grandi fondi
immobiliari per “raggiungere la massa critica di rappresentanza” per fare
pressioni sui governi. Più di recente, il suo presidente Spaziani Testa ha chiesto al governo Conte di eliminare l’IMU sugli
immobili sfitti, per far aumentare i profitti a chi ha investito
sull’immobiliare nonostante il crollo del mercato. Mettiamoci forse anche l’accordo tra Confedilizia e le
banche popolari per coprire le ristrutturazioni finanziate al centodieci per
cento dallo stato: sembrerebbe insomma che il progetto sia proprio quello di
attirare i grandi investitori esteri creando una nuova bolla immobiliare, in
assenza di un vero mercato. Un rapido sguardo a un paese vicino può aiutarci a
capire l’entità del pericolo.
È SUCCESSO IN SPAGNA
In Spagna i fondi immobiliari internazionali sono
entrati grazie a una serie di manovre governative architettate dopo la crisi
del 2008, che hanno comportato, nel corso di un decennio, l’aumento degli
affitti del cinquanta per cento e
l’attuale moltiplicarsi degli sfratti. È un’operazione che solo di recente sta
emergendo chiaramente. Uno dei pochi che hanno messo insieme i pezzi è Javier Gil, ricercatore e membro del Sindacato Inquilini di Madrid, che ha ricostruito “una delle
principali operazioni politiche avvenute in Spagna negli
ultimi anni”, come la definisce Manuel Gabarre, autore del libro Toccare il fondo: la mano invisibile dietro l’aumento degli
affitti (Traficantes de Sueños,
2019). Sapevamo già che le banche spagnole sono state salvate con enormi
quantità di soldi pubblici, ma non avevamo ancora chiaro come un’altra parte di
soldi, sempre pubblici, fossero stati usati per far passare le case possedute
dalle banche nelle mani dei mostri immobiliari internazionali.
Vediamo come. Dopo la
crisi, le banche e le casse di risparmio spagnole che avevano gonfiato
artificialmente il mercato dei mutui si sono ritrovate con un enorme numero di
case vuote, pignorate agli abitanti, così come di cantieri lasciati a metà, e
di crediti che non avrebbero mai potuto riscuotere. Tutti questi beni erano
“crediti deteriorati”: rappresentavano un pericolo non solo per le banche
spagnole, ma anche per quelle europee con cui queste erano indebitate. “Il
mercato finanziario è un castello di carte, basta che ne cada una perché cadano
tutte le altre”, spiega Gabarre. Per evitare
che il debito si estendesse al resto dell’Ue, il Consiglio europeo ha stanziato
– oltre al più grande salvataggio dell’Eurozona – un prestito speciale di
cinquanta miliardi al governo spagnolo, con cui questo avrebbe dovuto
ricomprare i circa duecentocinquantamila alloggi ormai svalutati di
proprietà delle banche. Inutile dire che la garanzia del prestito erano soldi
pubblici.
Questo prestito allo stato
si sarebbe potuto usare per trasformare questi immobili in case popolari, o per
facilitarne l’acquisto ai loro stessi inquilini sotto sfratto a un prezzo
accessibile. Ma queste misure avrebbero calmierato il mercato, che è
precisamente ciò che chi vuole fare profitti deve evitare. Il governo spagnolo
ha preparato il terreno per gli avvoltoi: tra il 2012 e il 2013 il
presidente conservatore Mariano Rajoy ha
detassato le società che comprano alloggi da mettere in affitto (le
cosiddette Socimi, in inglese REIT) e ha modificato la legge sugli affitti che
impediva ai proprietari di alzare i canoni a piacimento. Comprare case e
metterle in affitto è diventato improvvisamente molto redditizio: ma non perché
si facessero più profitti, bensì perché il governo aveva trasformato questo
settore in un paradiso fiscale. A quel punto il governo spagnolo e
il Consiglio europeo hanno creato la Sareb, una bad bank: società
semi-pubblica il cui obiettivo era comprare tutti i beni svalutati dalle banche
e venderli agli hedge fund statunitensi a un
prezzo molto minore, coprendo la differenza con gli aiuti europei.
I fondi iniziarono ad
accaparrarsi decine di migliaia di immobili, mentre si costruivano una rete di
influenze politiche locali analoga a quella che avevano negli USA. Il più grande di loro, Cerberus Capital Management S.L., diretto da ex
alti papaveri del Partito Repubblicano, ha nominato come consigliere in Spagna nientemeno che l’ex primo ministro José María Aznar. Difficile immaginare una commistione
così diabolica tra pubblico e privato: il vecchio “modello Barcellona” di fine anni Novanta, che aveva
prodotto giganti della speculazione locale come Focivesa,
si è esteso su scala planetaria (una spiegazione molto completa di
questa storia la fa Melissa Garcia-Lamarca).
In pochi anni i fondi avvoltoio hanno triplicato i loro investimenti grazie ai
prezzi stracciati a cui hanno acquistato gli immobili, alla possibilità di
alzare gli affitti e alla capacità di fare pressioni perché gli sfratti
riprendessero nonostante la crisi del Covid-19. In
un precedente articolo avevo
parlato della ASVAL, falsa associazione di
proprietari di immobili in affitto, creata in pieno lockdown e presieduta
dall’ex sindaco socialista di Barcellona Joan Clos, in realtà uno strumento delle Socimi controllate dai fondi avvoltoio. La sua
capacità di lobbying per la ripresa degli sfratti fa impallidire Confedilizia.
Così, pochi anni dopo una crisi
che aveva mandato sul lastrico migliaia di famiglie, la Spagna ha visto un nuovo boom della costruzione,
una nuova bolla creata sui resti della prima grazie ai fondi europei e
alla bad bank. Ma non è un caso isolato, bad bank come la Sareb sono
state create in Svezia, Irlanda, Slovenia, sempre con
enormi perdite per gli stati ed enormi guadagni per gli investitori. È la
finanziarizzazione del mercato immobiliare: contesti locali sofferenti vengono
messi in mano a mostri potentissimi, disposti a qualunque cosa per moltiplicare
i loro profitti. La finanziarizzazione ha fatto esplodere la costruzione in
tutto il mondo, in particolare nei paesi dalle economie più deboli come
il Maghreb: demolizioni, ricostruzioni selvagge e
trasferimenti forzati stanno devastando città come il Cairo e Casablanca. Un reportage del Guardian nel 2019 ha
mostrato come la produzione di cemento cresca dopo le crisi. Visto com’è andato
quest’ultimo mezzo secolo, non può stupirci che a dicembre 2020 la massa di cemento, asfalto e altri
materiali prodotti dall’umanità abbia superato l’intera biomassa
del pianeta Terra.
SUCCEDE IN ITALIA
In Italia, intanto, abbiamo sempre l’impressione di essere
al sicuro e che la nostra controparte, al massimo, siano i palazzinari locali.
Sicuramente il cemento non manca, ma c’è una ricchezza delle famiglie
maggiore, il sistema di welfare abitativo fino agli anni Settanta era più
efficace, la percentuale di case popolari è più alta che nel resto del Sud
Europa, gli sfratti sono più lenti e le banche sono state meno propense a
concedere mutui a rischio. Ma dopo quindici anni di recessione, queste
protezioni si stanno sciogliendo. Il mercato attraverso cui i mostri
immobiliari sono entrati in Spagna è quello
dei non performing loans (NPL), “crediti
non performanti” o “deteriorati”. Ebbene, il mercato dei crediti deteriorati
italiani oggi è ancora più appetitoso di quello spagnolo negli anni della
crisi. I crediti deteriorati in possesso delle banche italiane in questo
momento sono di più che in ogni altro paese dell’Unione europea. Centinaia di
pagine web, siti di notizie, agenzie di intermediazione, ci fanno capire come
le mani dei grandi fondi si stiano allungando sulle nostre città attraverso
l’acquisto degli NPL. E lo stato sta giocando un
ruolo chiave.
Secondo un rapporto dell’ottobre scorso, i crediti
deteriorati italiani nel 2021 saranno trecento ottantacinque
miliardi; la Sareb ne aveva gestiti appena
cinquanta. Lo stesso vale per il numero di immobili: la Sareb ne aveva acquisiti in tutto duecentocinquantamila,
in Italia ne sono andati all’asta duecentomila solo
nel 2019 e Assoimmobiliare ne prevede
altri quattrocentomila, forse cinquecentomila, nei prossimi cinque anni.
Nel 2020 ci sono
stati colloqui presso la Banca
Centrale Europea, audizioni parlamentari,
un congresso a ottobre,
nuove pressioni sull’Ue. Si è
discusso ancora del progetto di una bad bank europea, cioè una Sareb per tutta l’Europa. I paesi del
Nord non sono d’accordo, l’Unione rimanda ai singoli stati, intanto il governo
italiano ha semplificato le procedure per la compravendita di NPL. Il nuovo mercato sarà cruciale anche per
determinare l’esito del recovery fund. La banca più
attiva negli NPL sul mercato italiano
è Banca Ifis, legata alla
famiglia Agnelli, ma una bad bank italiana
semi-pubblica già esiste, è finanziata interamente da Bankitalia e garantita da Cassa Depositi e Prestiti, anche se per ora ha gestito
poco più di un miliardo di euro in NPL. Li ha
comprati Cerberus, che ha come senior advisor per l’Europa l’ex
direttore di Unicredit.
Questi crediti deteriorati,
nel linguaggio degli operatori finanziari, sono solo numeri e percentuali, che
possono essere gestiti senza pensare alle conseguenze. Ma nel mondo reale
gli NPL sono le case delle famiglie pignorate, gli
appartamenti di chi non riuscirà a pagare i debiti di questi mesi, i cantieri
rimasti bloccati, i terreni dei progetti falliti, i centri commerciali vuoti,
le stesse imprese andate in bancarotta. Ma anche le case occupate, gli spazi
sociali, i locali autogestiti, i cinema e teatri chiusi; e ancora, i terreni
dove gli abitanti hanno creato un parco autogestito o un orto urbano, le grandi
aree che i comuni non sanno come “rigenerare”, i porti o le infrastrutture
sequestrate agli speculatori, gli immobili e le terre del demanio, le aree
contese tra varie amministrazioni e dove magari vivono, fanno attività o si
organizzano migliaia di persone. La città popolare, insomma; quello che rende
vivibile la metropoli, tutti gli spazi dove si è affermato un valore d’uso,
tutto quello che è stato sottratto all’imperativo di produrre profitto a tutti
i costi. Su questa città, la nostra, si stanno allungando le mani dei fondi
immobiliari.
La Sareb in questo momento sta fallendo. Ha svenduto
la maggior parte del patrimonio e deve restituire all’Ue ancora quaranta miliardi.
Il deficit naturalmente sarà coperto con soldi pubblici. Ma
l’obiettivo è stato raggiunto: oggi a Barcellona un
appartamento in affitto su tre è passato nelle mani di un grande
proprietario. Cerberus, Blackstone e gli altri avvoltoi si sono
appropriati di tutto, e lo stanno mettendo a profitto, sfrattando e demolendo
senza riguardi. Con un po’ di ritardo, gli abitanti e i movimenti catalani e
spagnoli hanno capito il meccanismo e stanno rivendicando che ciò che è stato
garantito con fondi pubblici dev’essere pubblico. Una nuova campagna dei
sindacati inquilini di Valencia dice
chiaramente: la Sareb es nuestra.
Teniamolo a mente, perché sta succedendo anche qui. Appena lo vedremo, non
dobbiamo aver timore di dirlo: tutte queste cose sono nostre.
Nessun commento:
Posta un commento