L'hanno portato via ieri mattina
all'alba, tra gli applausi di una cinquantina di manifestanti che si erano
barricati con lui nell'università di Lleida, in Catalogna, accatastando sedie e
banchi per intralciare la polizia. Un arresto scenografico quello di Pablo
Hasel, il rapper diventato un simbolo della libertà di espressione dopo una
condanna a nove mesi per il reato di «glorificazione del terrorismo» e insulti
alla monarchia.
«Morte allo Stato fascista» ha
gridato lui con il pugno chiuso in alto mentre gli agenti dei Mossos d'Esquadra
lo facevano entrare nell'auto della polizia. «Vinceremo, non ci piegheranno con
la loro repressione, mai!», aveva detto poco prima davanti alle telecamere
delle tv.
Il mandato d'arresto era stato
emesso lunedì dalla Corte nazionale dopo che l'artista non si era presentato in
prigione volontariamente per scontare la condanna. Lui aveva reso chiaro di
ritenere «un'umiliazione indegna» la sentenza e aveva spiegato su Twitter, dove
ha oltre 125 mila follower: «Il prossimo potresti essere tu». Come a dire: non
viviamo in uno Stato libero e democratico.
La sua battaglia ha trovato appoggi
illustri come quelli del regista Pedro Almodóvar, dell'attore Javier Bardem e
del cantante Joan Manuel Serrat, che hanno firmato, insieme con altre 63 mila
persone, la petizione di Amnesty International in cui si chiedeva di evitargli
il carcere e di cambiare la cosiddetta ley mordaz a, la legge bavaglio del
2015: «L'incarcerazione di Pablo Hasel è una spada di Damocle sulla testa di
tutte le figure pubbliche che osano criticare apertamente le istituzioni dello
Stato - si legge nel testo - . Siamo consapevoli che se consentiamo che Pablo
venga imprigionato, domani potranno inseguire ognuno di noi, finché non saranno
riusciti a silenziare ogni sospiro di dissidenza».
La questione imbarazza la
coalizione di sinistra al governo, e in particolare il Partito socialista.
Tanto che la scorsa settimana, pur senza citare espressamente Hasel,
l'esecutivo ha promesso una riforma del codice penale, affinché gli «eccessi
verbali nell'ambito di manifestazioni artistiche, culturali o intellettuali»
non costituiscano più reato e non portino a pene detentive.
La proposta, tuttavia, era stata
respinta dall'opposizione conservatrice del Partito popolare e dall'estrema
destra di Vox. Ieri, dopo l'arresto, la vicepremier Carmen Calvo aveva detto
alla stampa che «mettere in carcere le persone su questioni di libertà
d'espressione non dovrebbe accadere in una democrazia come quella spagnola».
Hasel, all'anagrafe Pablo Rivadulla
Duró, classe 1988, ha scoperto il rap a dieci anni e ha cominciato a registrare
le sue canzoni nel 2005. I suoi sono testi crudi e rivoluzionari come «Morte ai
Borbone», in cui accusa la famiglia reale di essere l'erede del regime
franchista.
Il rapper era stato condannato nel
2018 per una canzone sull'ex re Juan Carlos e 64 tweet, tutti pubblicati fra il
2014 e il 2016, che, oltre a descrivere l'ex monarca come un boss mafioso,
accusavano la polizia di torturare e uccidere manifestanti e migranti,
incitavano all'insurrezione, tirando in ballo più volte l'Eta e il Grapo, due
noti gruppi armati ormai estinti, e paragonavano i giudici ai nazisti.
Ma ci sono dei precedenti. Hasel
era stato accusato in altre tre occasioni di aggressione, violazione di
domicilio, insulti alla monarchia, apprezzamento di gruppi armati. Nel 2014 era
stato condannato a due anni di carcere per apologia di terrorismo ma non era
stato incarcerato perché incensurato. L'anno dopo altri sei mesi per aver
aggredito un giornalista. Questa volta, però, è finito in cella.
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