… Se il tempo dunque può essere
galantuomo, per Matteo Renzi siamo ancora tutti in attesa di questo colpo di
scena che renderà chiaro il significato ultimo delle sue gesta che fino a
questo momento sembrano più i deliri di un mitomane piuttosto che scelte fatte
per il bene dell’Italia. Nel frattempo però, in questa storia lunga e piena di
risvolti inaspettati, c’è un personaggio che è stato graziato dal tempo, a
riprova dell’insensatezza di un’altra vicenda che ha coinvolto il leader di
Italia Viva e l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino.
Le vicende legate a
quei ventotto mesi di mandato di Marino, medico di fama internazionale che da
qualche anno ha comprensibilmente preferito allontanarsi dalla
vita politica italiana, sono infatti un tassello emblematico per comprendere
il modus operandi di Matteo Renzi. Partendo da un presupposto
fondamentale, ossia che non siamo in un romanzo di Harry Potter né
in una favola per bambini e dunque non esistono cattivi e buoni, ma persone che
agiscono in modo più o meno egoistico rendendo la politica un gioco di
personalizzazione, è giusto sottolineare che Ignazio Marino è il sindaco di
Roma succeduto nel 2013 a Gianni Alemanno, coinvolto nello scandalo di Mafia
Capitale. Chiaramente, gestire la Capitale è forse una delle
sfide politiche più grandi che si possano affrontare nel nostro Paese, e se
questa sfida si combina con un’eredità simile le cose si complicano
ulteriormente.
Marino, da subito
battezzato il “sindaco
marziano” – una definizione che prende spunto dal racconto di
Ennio Flaiano, Un marziano a Roma – per via delle sue
politiche progressiste e forse, per molti aspetti, visionarie, criticabili, ma
anche oggettivamente innovative per l’assetto della città, è caduto in una
trappola tesa dal suo stesso partito. L’ex sindaco di Roma eletto con il Pd,
rimasto in carica dal 2013 al 2015 per poi lasciare la città a Virginia Raggi,
è stato il capro espiatorio del partito dell’allora segretario Matteo Renzi,
che in quel periodo galoppava nella sua corsa per il consenso all’insegna della
rottamazione e di alcune strategie che,
come è facile notare a distanza di anni, non ha smesso di replicare.
“Pugnalato alle
spalle” – come ha dichiarato lui
stesso – da 26 consiglieri comunali, Ignazio Marino ha dato le dimissioni dopo
essere stato coinvolto in due scandali da cui è stato poi assolto perché
il fatto non sussiste; due scandali che hanno il sapore di un servizio di Striscia
la notizia con Staffelli che consegna il Tapiro d’Oro o di un
reportage sensazionalistico de Le Iene realizzato in
più parti dal giornalista Dino Giarrusso, ex consulente per la comunicazione
della Regione Lazio e ora deputato al Parlamento europeo del M5S. O forse,
peggio ancora, ha il sapore di vicende talmente marginali che ricordano il
grillismo della prima ora fatto di indignazione spicciola e dita puntate sul
mostro da sbattere in prima pagina. Il famoso “Pandagate”
con l’utilitaria del sindaco parcheggiata in Ztl e delle relative multe non
pagate fu infatti la scusa per scatenare contro Marino lo pseudo-moralismo da
bar in cui si tuffarono a
capofitto giornalisti, oppositori politici e commentatori vari. Di quella
vicenda si ricordano la macchina rossa, le multe, lo “scandalo”, ma l’unica
cosa che dovrebbe rimanere nella storia è il fatto che si tratta solo di un
pretesto, dal momento che era frutto di un semplice ritardo nel database del
comune e di un attacco
informatico per screditare Marino.
Ad aggiungere
un’altra dose di indignazione a buon mercato alle vicende del “sindaco
marziano” famoso per la sua ostinazione ciclistica arrivò anche lo scandalo
degli scontrini: Ignazio Marino venne accusato di
peculato per aver utilizzato la carta di credito del comune per cene e spese
non previste dai compiti istituzionali. La Cassazione ha
annullato nel 2019 qualsiasi condanna nei confronti
dell’ex sindaco per quanto riguarda queste spese, alcune migliaia di euro che
Marino ha
restituito prima ancora dell’esito della sentenza. Non che
non sia grave e condannabile un comportamento scorretto nei confronti delle
spese improprie da parte di un rappresentante eletto, ma fa specie
l’accanimento di partiti che in altre circostanze hanno tollerato “sviste”
molto più gravi da parte dei loro rappresentanti. Anche perché, proprio di
recente, nel novembre del 2020, si è tornati a
parlare di Ignazio Marino e delle ragioni che lo hanno
spinto alle dimissioni in un
servizio di Report su Roma in cui emerge
che l’ex sindaco, cercando di arginare gli abusi dei vigili
urbani di Roma e l’assurda questione degli straordinari,
sia stato vittima di un’azione mirata. Vigili urbani e Pd – come emerso
dalle intercettazioni di
Renato e Raffaele Marra, quest’ultimo consigliere di Raggi – hanno unito le
forze per eliminare un personaggio che stava toccando un ben consolidato status
quo. Sta di fatto che sia la questione degli scontrini che quella della Panda
si sono risolte in un nulla di fatto.
Ignazio Marino non è
un santo, non è un eroe, non è il personaggio positivo di un romanzo né di un
film, così come Matteo Renzi non è lord Voldemort. Marino non sarà stato né
Giulio Argan né Luigi
Petroselli, ma il modo in cui è stato costretto alle dimissioni
è il sintomo di un sentimento che dovrebbe essere estraneo a qualsiasi partito,
destra o sinistra che sia, ossia quello della personalizzazione e dello
strapotere del singolo a danno della collettività. Il culto di qualsiasi
“-ismo”, che sia renzismo o salvinismo, è il segnale di una direzione sbagliata
del fare politica. Quando prevale l’impulso personale e individualistico in una
realtà che dovrebbe essere la traduzione materiale di una collettività, le
scelte sono per forza di cose viziate; il modo di fare politica di Matteo
Renzi, dall’inizio della sua carriera a livello nazionale sino a oggi, è la
prosecuzione diretta di questa tendenza dannosa, egoistica e narcisistica.
La vicenda di Ignazio Marino e del sabotaggio che ha subito da parte del Pd di
Renzi non fa di lui un sindaco perfetto, ma una vittima di una tendenza che
corrode gli ideali che dovrebbero guidare la politica fatta per il bene di un
Paese e dei suoi cittadini. E anche se fosse tutto parte di un piano superiore,
di un qualche stratagemma che Matteo Renzi coltiva da anni per traghettarci in
un mondo migliore, comincio ad avere i miei dubbi su quanto sia giusto sperare
nella galanteria del tempo mentre il presente cade a pezzi.
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