Io rivendico il
carattere politico, e non umanitario, del mio impegno quinquennale con i
migranti. Un impegno umanitario si limita a lenire la sofferenza senza
tentar d’intervenire sulle cause che la producono. Un impegno politico,
nell’attuale situazione storica, è prima di tutto resistenza nei confronti di
un’organizzazione della vita sociale basata sullo sfruttamento degli uomini e
della natura, portato al limite della devastazione (come la pandemia ci
mostra). Un impegno politico è, inoltre, un tentativo di costruire punti di
socialità solidale che possano costantemente allargarsi e approfondirsi.
Su questo impegno è balzato lunedì 22 febbraio 2021 alle
cinque del mattino, con una perquisizione
in casa mia, un intervento calunnioso di magistratura e questura che,
basandosi su un aiuto effettivo di assistenza e ospitalità, dato nel luglio del
2019 a una famiglia iraniana – composta da padre, madre e due bambini -,
vogliono collegarmi a una rete di sfruttatori (passeur)
che avrebbe, prima e dopo il mio intervento, approfittato della famiglia
profuga.
Secondo
il mio sentire non sarebbe nemmeno il caso di alzare le spalle nei confronti di
questa insinuazione, che neanche giuridicamente mostra prove ma crea solo
insinuanti parallelismi temporali. Tuttavia, ci
sono di mezzo oltre alla mia persona, anche coloro che collaborano con me.
Credo, allora, doveroso affermare pubblicamente che non esiste neanche uno
straccetto di prova. Esiste soltanto l’insinuazione che, essendo stata questa
famiglia contattata e usata da alcuni trafficanti (secondo gli inquirenti), io
avrei potuto non solo esserne a conoscenza ma trarne addirittura un mio
personale profitto.
Ritengo che ciò, che nel documento presentatomi è mera
allusione, sia soltanto una sorta di macchina
del fango che si vuol gettare non tanto sulla mia persona ma su
un lavoro collettivo di solidarietà.
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