Lorena e Gian Andrea sotto accusa per reato di solidarietà
Questa mattina all’alba la polizia ha fatto irruzione nell’abitazione privata di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, nonché sede dell’associazione Linea d’Ombra ODV.
Sono stati sequestrati i telefoni personali, oltre ai libri contabili
dell’associazione e diversi altri materiali, alla ricerca di prove per
un’imputazione di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che noi
contestiamo, perché utilizzata in modo strumentale per colpire la solidarietà.
Siamo indignati e sconcertati nel constatare che la solidarietà sia vista
come un reato dalle forze dell’ordine.
Oggi, in Italia, regalare scarpe, vestiti e cibo a chi ne ha bisogno per
sopravvivere è un’azione perseguitata più che l’apologia al fascismo, come
abbiamo potuto vedere il 24 ottobre scorso sempre in Piazza Libertà.
Condanniamo le azioni repressive nei confronti di chi è solidale, chiediamo
giustizia e rispetto di quei valori di libertà, dignità ed uguaglianza, scritti
nella costituzione, che invece lo Stato tende a dimenticare.
Chiediamo la solidarietà di tutta la società civile, per tutte le persone
attaccate perché solidali.
Sarà nostra premura comunicare informazioni più precise appena ne entreremo
in possesso.
Nessuna legge ci convincerà mai che alcune donne e alcuni uomini rispetto ad altri sono illegali.
Nessuna legge ci convincerà mai che il diritto a spostarsi è solo di alcuni e non di altri.
Nessuna legge ci convincerà mai che le persone sono divise in due categorie: chi ha diritto a vivere e chi no.
Per questo, senza alcun dubbio, esprimiamo piena e totale solidarietà a Lorena Fornasir, Gian Andrea Franchi e a tutto il collettivo di Linea d’ombra.
Donne e uomini attivisti che da anni sostengono concretamente e quotidianamente le persone migranti attraverso la rotta balcanica e ammassate nei campi in Bosnia. Che cercano di denunciare e far luce su quanto avviene al di qua e al di là dei confini dell’Unione Europea.
Luoghi troppo spesso teatro di violenze, abusi e violazioni delle leggi e dei trattati internazionali.
Per questo oggi non abbiamo nessun dubbio: totale solidarietà a Lorena, Gian Andrea e Linea d’Ombra.
Saremo sempre con voi.
Forum Antirazzista Palermo
COMUNICATO STAMPA
Questa
mattina forze di polizia hanno occupato la casa di Lorena Fornasir e Gian
Andrea Franchi, attivisti dell'associazione di solidarietà triestina
"Linea d'Ombra", accusandoli paradossalmente di favorire
l'immigrazione clandestina, sequestrando loro oggetti personali e di lavoro.
E'
sconcertante che, in questo paese dove dilaga la delinquenza organizzata e
gran parte delle risorse pubbliche sono rapinate sotto gli occhi di tutti
dall'evasione fiscale, la magistratura e le forze dell'ordine siano impegnate a
perseguitare chi è colpevole solo del "reato di solidarietà",
cercando di lenire con il proprio, gratuito, impegno personale alla gravissime
condizioni di "vita" dei migranti. D'altronde, pochi anni fa abbiamo
assistito ad un caso analogo, quello del sindaco di Riace Mimmo Lucano:
delegittimato, cacciato dalla sua carica e costretto ad assistere allo
smantellamento del suo imponente piano di accoglienza e rinascita civica ...
finché tutte le accuse si sono sgonfiate.
Evidentemente
viviamo in un mondo che funziona alla rovescia.
Come
associazione di cooperative sociali, che hanno come finalità la promozione del
benessere pubblico, ed in particolarità delle categorie più deboli della
società umana, protestiamo vivacemente ed esprimiamo la nostra solidarietà a
Lorena, Gian Andrea ed alle altre ed altri volontari/e di "Linea
d'Ombra".
Il
Presidente
Gian Luigi
Bettoli
Un ponte di corpi - Lorena Fornasir
C’è un carrettino verde che tutti i giorni si porta sulla piazza del
mondo[1] per accogliere chi riesce a varcare il bordo mortifero del
confine. Conserva storie di corpi e di dolore e, tra le sue bende e
pomate, la memoria di una pratica della cura che le donne conoscono bene.
La donna, con il suo corpo pensante, è l’anticonfine per eccellenza. Contiene
in se stessa la negazione del confine poiché è un corpo naturalmente aperto
alla generatività, alla creatività, al pensiero sorgivo, al perturbante che la
abita come intima estraneità. Il carrettino della cura ha scritto un
manifesto per convocare donne e uomini a chiedere l’apertura delle frontiere.
Le donne, soprattutto loro, ma non solo, sono chiamate ad assumere il
mandato che altre donne, madri, sorelle amiche, compagne, hanno trasmesso in
modo tacito alle donne di questo altro mondo che noi abitiamo. Si tratta di una
eredità che scorre sul filo del legame che accomuna la nascita, la vita, la
sopravvivenza, purtroppo anche la morte ma dove l’amore tiene assieme i legami
spezzati da una parte all’altra del mondo. Chi è mandato in salvezza, il figlio o
uomo di altre terre, bimbo o minore solo, può trovare altre mani che lo
accolgono e lo accompagnano nel desiderio di una vita degna di essere vissuta.
Perché corpi di donne sui confini? Perché il corpo femminile è il
corpo attraverso cui si ri-produce la vita e il confine è uno di principali
dispositivi che la controlla e la violenta. Perché il confine è
profondamente androcentrico, dato che l’antica inferiorizzazione della
donna dipende dalla volontà di controllo del maschio che nasce dalla paura
della vita e quindi dal bisogno di dominarla.
Il gesto del carrettino verde, in verità una carrettina dedita alla cura, è
un gesto che rimanda alle radici arcaiche del dominio dell’uomo sulla donna, di cui il confine è
oggi un dispositivo caratteristico in quanto impedisce il libero movimenti dei
corpi che vengono da luoghi di morte, di cui l’Occidente porta la
responsabilità.
Noi vogliamo portare un segno di vita sul confine e contemporaneamente in
molti luoghi in cui donne e uomini si riconoscono nella pratica della cura. Dopo più di un anno
passato a curare centinaia di corpi, di piedi di cammino, feriti dal cammino,
dall’impedimento del cammino, dall’inseguimento di chi cammina proveniente da
luoghi di morte per cercare di vivere una vita degna, il carrettino
verde ha pensato di fare il gesto simbolico e concreto di invitare un gruppo di
donne sul confine più violento, più mortifero, quello della Croazia che si erge
ad antemurale dell’Europa contro l’estraneo, contro il migrante, il profugo,
che viene spinto dal suo bisogno-desiderio di vita, a dirci, ben al di là della
sua consapevolezza, che anche noi non viviamo se abbiamo paura di lui, che la
nostra vita agiata è ben misera cosa se non sa aprirsi all’altro, se non è un
tessuto di solidarietà.
Con il nostro corpo di donne su un confine di morte vogliamo dire che il
migrante è portatore di vita, ciò che va ben oltre la ricerca di un
luogo in cui poter lavorare e vivere tranquillamente e che l’accoglienza è un
gesto di vita non solo verso i migranti ma verso di noi, verso tutti.
Noi siamo coloro che dicono no alla paura e all’odio per lo straniero, per
il diverso, per l’altro, perché da sempre noi donne siamo state considerate
inferiori all’uomo.
Noi siamo coloro che maledicono i confini perché quelle strisce
di terra o di mare sono bagnate di sangue, selezionano chi può passare e chi
no, chi può vivere e chi può morire, chi può essere torturato e chi può essere
deportato.
Noi siamo coloro che vogliono gridare la voce della maternità, che è la voce
della solidarietà, della vita che donne di altre terre hanno generato,
consegnandola alle donne di questo mondo affinché la conservino e la promuovano
Il 6 marzo “Un ponte di corpi” attraverserà l’Italia dal sud al nord,
dall’est all’ovest, dentro l’Europa, fra le frontiere, mentre una farfalla
gialla volerà sopra i reticolati.
[1] Piazza Libertà di fronte alla stazione di Trieste è il luogo dove
arrivano i migranti dalla rotta balcanica
Manifesto del carrettino verde Download
Lorena Fornasir, la donna che cura i piedi dei migranti giunti a Trieste:
denunciato il marito - Fabrizio Maffioletti
Lavare i piedi, lenire le ferite, qualcosa che è profondamente radicato
nella nostra cultura: un simbolo di bontà
Ho avuto
occasione di ascoltare Lorena Fornasir e Gian
Andrea Franchi solo una volta, naturalmente mi era nota la loro
attività a favore degli immigrati giunti a Trieste dalla rotta balcanica.
Gli articoli
di Nello Sclavo di Avvenire hanno avuto il pregio di portare all’attenzione del
grande pubblico ciò che in molti non sapevano: quella che è difficile non
definire come crudeltà istituzionalizzata, ovvero il trattamento riservato ai
migranti sulla rotta balcanica.
C’è una pena
per coloro che dalla Libia “osano” sfidare i confini europei: la morte, la
morte in un Mediterraneo nel quale nessuno ti salverà.
Ci sono
altre pene per coloro che “osano” sfidare i confini europei via terra da est,
la famosa rotta balcanica, sono i campi minati, la sottrazione di documenti,
telefono, scarpe, e botte: pestaggi feroci.
Le
istituzioni non si preoccupano di infliggere sofferenza, la discriminazione tra
cittadini europei e extra-europei supera ogni possibile immaginazione.
Ora questa,
che è dolorosamente difficile non chiamare violenza istituzionale, colpisce…
cosa? L’empatia, la bontà, l’immedesimazione, o se preferiamo il senso di
carità, di compassione delle persone, definendolo “favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina”.
Uno Stato che
colpisce, anzi che criminalizza, la bontà dei propri cittadini.
Sbalordisce
la debolezza di uno Stato che nell’incapacità di governare un fenomeno che non
finirà, ma aumenterà, colpisce i propri cittadini con tutta la forza di cui
dispone.
Preoccupa
quella che pare una paralisi attonita delle Istituzioni che sembrano ripararsi
dietro ai Corpi dello Stato scagliati contro cittadini letteralmente inermi.
Ci
ricordiamo quando favorire qualcuno era reato? Ora quelle persone sono
ricordate come eroi, vedremo cosa racconterà la storia tra 80/90 anni.
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