Per la
verità alcuni di noi avevano da tempo avvistato, navigando per i mari interni
d’Italia, banchi di sardine vagare a fior d’onda e in ordine sparso. Ma nessuno
sapeva in tutta onestà se e quando sarebbero emersi in superficie e con quale
luminosità di squame si sarebbero offerte allo sguardo dei terrestri.
Chi da anni
infatti, frequenta scuole, Università, festival e convegni, circoli e
associazioni culturali, sa molto bene che esiste una vasta Italia, senza voce e
senza rappresentanza, che legge, lavora o cerca lavoro, mite, assetata di
giustizia, disgustata dalla società dello spettacolo che ha inghiottito la
politica, preoccupata, in varia misura, per le sorti della Terra, e
potenzialmente proiettata verso un futuro di possibilità uguali per tutti.
Una vasta
massa di cittadini italiani – voglio dirlo ai produttori industriali di
menzogne e di confusione – di sinistra, perché trova naturalmente giusto che in
una società opulenta come la nostra ci sia posto e mani tese anche per gli
ultimi e per gli sconfitti.
Sono emersi
ora questi pesci dispersi, onesti e attivi, ma scoraggiati, delusi, perché a un
certo punto, per accumulazione di nefandezze a cui hanno dovuto assistere, la misura
è apparsa colma. La pretesa di una destra feroce e barbarica, che ostenta come
stemma di nobiltà il proprio disprezzo e odio per il diverso, di rappresentare
la totalità degli italiani è diventata ormai intollerabile. Ed ecco che qualche
intraprendente si è mosso e ha mostrato la via a tutti gli altri.
Io credo che
questa originale esperienza – ma simile, come sappiamo, a tante precedenti,
trascorse rapide come comete – dovrebbe rimanere fedele a se stessa, non
cercare di diventare un partito, ma restare, rafforzandosi, movimento
organizzato. Un movimento che abbia una strutturazione snella, di rete, poco
costosa e poco impegnativa, che vive normalmente di routine informativa, in
latenza, ma che scatta in massa nelle occasioni necessarie: allorché c’è da
combattere battaglie per opporsi a scelte di governi o di imprese o proporre
progetti, soluzioni, rivendicazioni.
Occorre
essere consapevoli dei meccanismi propri dell’energia umana. Le mobilitazioni
permanenti non durano. Anche le grandi rivoluzioni, che in passato hanno
sconvolto la vita quotidiana per mesi e per anni di una massa innumerevole di
individui, trascinati in un turbine di eventi giganteschi e indomabili, alla
fine si sono spente, trovando un assetto di normalità anche per effetto di esaurimento
di umana energia. L’ energia supplementare necessaria per animare quella
euforica eccezione che è l’uscita degli individui dal guscio della loro vita
privata e il vivere in massa per strada.
Quella delle
sardine potrebbe essere la prefigurazione stabile di una nuova modalità della
politica, che si aggiunge, sostituisce in parte, integra, quella dei partiti.
Una apparizione miracolosa in una fase storica in cui i dirigenti dei partiti
politici interpretano ed esaltano le malattie della democrazia in età
neoliberistica.
Diventate
agenzie di marketing elettorale, i partiti non operano più per la
trasformazione della società secondo un progetto, inseguono rivendicazioni,
umori, tendenze, paure, interessi, di settori elettorali da cui attendono
consensi. Le Sardine potrebbero riportare nella politica la visione d’insieme,
e anche la prefigurazione delle catastrofi imminenti possibili, creare
l’allarme sui pericoli che i singoli dirigenti, impegnati a gestire il
particulare, non riescono a vedere.
Le Sardine
sono nate a Bologna. Ebbene, quel che devono sapere è che l’Emilia Romagna-
dove si voterà a gennaio – per iniziativa del candidato alla presidenza della
Regione, Stefano Bonaccini, dopo il Veneto e la Lombardia, è capofila della
lotta per la cosiddetta autonomia differenziata. Di che cosa si tratta? Sono
milioni gli italiani che non lo sanno e saranno tante anche le sardine. E’ il
progetto delle regioni più ricche d’Italia di ritagliarsi un’autonomia
privilegiata (differenziata significa diversa da quella di tutte le altre) in
23 materie le prime due regioni, “solo” in 15 l’Emilia.
Queste
regioni vorrebbero gestire autonomamente la scuola, la sanità, l’ambiente, le
reti stradali e ferroviarie, i beni culturali e artistici, godendo di somme
supplementari da parte dello stato centrale. Si tratta dell’antica
rivendicazione secessionista di Bossi, che scava come una vecchia talpa,
attraversa varie metamorfosi e si ripresenta in forme camuffate e truffaldine,
per staccare il destino delle regioni ricche d’Italia dal resto del Paese e
soprattutto del Sud.
Quindi le
scintillanti sardine devono sapere che hanno davanti a sé il più grave rischio
che abbia mai corso l’Italia repubblicana: una frantumazione in statarelli
regionali in reciproca competizione e in continua rivendicazione nei confronti
del potere centrale. Al noto caos politico nazionale se ne aggiungerebbe uno
istituzionale, e il dialogo con l’Europa sarebbe affidato a una moltitudine di
capi e assessori regionali con gli esiti che si possono immaginare.
E dunque la
prima rivendicazione, se le sardine volessero usare la propria forza in Emilia,
per scongiurare la vittoria della Lega, è convincere Bonaccini, che non si può
rincorrere la destra per ragioni elettorali. L’Emilia Romagna non ha bisogno di
ulteriori autonomie. Una onesta politica progressista può farla ridiventare un
modello di democrazia per tutta l’Italia.
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