lunedì 2 dicembre 2019

Africo - Corrado Stajano

mentre guardavo Aspromonte mi sono ricordato di un libro di Corrado Stajano, l'ho trovato e l'ho letto d'un fiato.
è come un romanzo, ma non lo è, è un'indagine sulle storie di quel paese, che nel 1951 era stato spostato a valle, gli abitanti e le loro poche cose.
i tempi sembrano quelli del feudalesimo, ma dalla pubblicazione del libro è passato solo mezzo secolo.
e molte zone d'Italia sono ancora così, e noi andiamo a portare la nostra civiltà in Afghanistan.
chi vive in quei posti dello stivale deve scegliere fra fuggire, o combattere, a rischio di morire, o di essere emarginato, oppure subire in silenzio, ammalandosi dentro.
c'è un'altra scelta, aderire al sistema e sostenerlo.
interessante il ruolo delle scuole private, puro malaffare.
leggere questo libro, fa soffrire, ma serve.
buona lettura,




Africo di Corrado Stajano è un libro paradigma: senza Africo non ci sarebbe stato Gomorra ha detto Roberto Saviano. Perché? Provo anch’io a dare una risposta. Certo perché ha inaugurato un certo tipo di letteratura di denuncia mafiosa. Non solo. Direi piuttosto perché ha inventato quello che Italo Calvino nelle sue quarte di copertina avrebbe potuto definire un Libro-paese (qui, a proposito, nella riedizione per il Saggiatore è riportata quella che nella edizione einaudiana del 1979 è firmata da Giulio Bollati).
Un libro-mondo che a un paese emblematico del Sud più misero – abbandonato nel 1951 in seguito a una violenta alluvione e poi ricostruito in un’area anonima del territorio di Bianco sulla costa calabra col nome di Africo Nuovo – Stajano ha ridato una forma, un volume storico, volti e parole. Tutti aperti al dubbio. Ambivalenti. Così che Africo, questa la forza dirompente del libro ancora a tanti anni di distanza, assurge, si può dire, a emblematico equivoco italiano. Un paese-mondo fuori dal mondo si può dire (“out of Joint”, fuori dai cardini, è l’espressione che Zanotti Bianco, il grande meridionalista, oltre che archeologo, trae da Amleto per definire Africo in cui risiedette alla fine degli anni Venti e a cui dedicò uno scritto appassionato Tra la perduta gente). “Ricorderò sempre – confessa lui stesso – la sensazione paurosa più che la morte di quelle vite perdute”…
  
Se fossi un libraio, non saprei se mettere i libri di Corrado Stajano tra gli scaffali del giornalismo, della storia o della narrativa. Perché certamente Stajano è un narratore, ma altrettanto certamente non è un romanziere: in tutti i suoi libri ha avuto bisogno di partire dalla realtà e di restarvi fedele fin nei minimi dettagli, con maniacale precisione.
Un autore anomalo che ha fatto sue le forme, le regole e gli intenti dell’inchiesta giornalistica, o “microstorica”, pur non avendo il dna di un giornalista o di uno storico. E i suoi libri – quale che sia l’argomento scelto – sono quelli di uno scrittore dal respiro manzoniano: come romanzi storici privati completamente dell’elemento finzionale (romanzi senza romanzo, in un certo senso).
Anche in Africo, il suo libro del 1979, è chiaro questo carattere ibrido di “giornalismo letterario” (o di “letteratura giornalistica”). Africo è infatti un paese realmente esistente sull’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria, come è reale l’alluvione che lo ha distrutto nel 1951, e come sono reali tutti i personaggi e i fatti ricostruiti da Stajano.
L’autore – originario di Cremona – si è recato all’epoca in questo poverissimo e sconosciuto borgo della Calabria, e vi è rimasto per diversi mesi, intervistandone gli abitanti, assorbendone l’aria e il modo di vivere, subendone anche gli atteggiamenti chiusi fino all’ostilità…

Questo libro ­ storia politica, narrazione, testimonianza, documento, inchiesta ­ non è soltanto un nuovo importante libro dedicato alla Calabria, al Mezzogiorno, alla mafia. Non è soltanto il racconto corale di un paese che sembra inventato e invece è minuziosamente vero, denso di drammi e di conflitti, popolato di personaggi che sembrano romanzeschi: preti, ribelli, capimafia e uomini faticosamente maturati alla politica. É anche una metodica insistente lettura di segni che decifrati e disposti in un discorso coerente tracciano un disegno più vasto, quello dell’intera Italia malata, tradita, impedita di essere se stessa, provocata alla lotta o a un tenace e responsabile, ma sfibrante, esercizio di pazienza”.

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