(Riceviamo e
con piacere pubblichiamo la versione italiana di un articolo recentemente uscito sul blog
di Moneylab#7 per Institute of network culture.)
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Se il mondo
è in fiamme non sarà una intelligenza artificiale a spegnerlo. Quello che
occorre è una Intelligenza Comune, un uso della tecnologia in grado di
costruire un corpo sociale non oppresso.
Cosa c’è al di là della singolarità apocalittica figlia dell’antropocene? Cosa c’è al di là di una deriva tecnologica che distrugge le risorse energetiche?
Cosa c’è al di là della singolarità apocalittica figlia dell’antropocene? Cosa c’è al di là di una deriva tecnologica che distrugge le risorse energetiche?
La
cooperazione sociale deve essere radicalmente ripensata e deve prendere le
distanze dal progetto moderno in quanto esasperazione del controllo attraverso
il dominio tecnico della natura o del bios.
Ciò che mi preme è comprendere meglio come la cooperazione sociale su larga scala sta distruggendo il pianeta, creando disuguaglianze economiche, e potere di vita e di morte sulla linea del genere e della razza.
Ciò che mi preme è comprendere meglio come la cooperazione sociale su larga scala sta distruggendo il pianeta, creando disuguaglianze economiche, e potere di vita e di morte sulla linea del genere e della razza.
La
cooperazione sociale che sta distruggendo il pianeta e che riproduce processi
di sfruttamento su molteplici livelli è iscritta nei nostri corpi. Noi
desideriamo andare in giro per il mondo con aeroplani, avere una macchina di
grande cilindrata, dedicare così tanta attenzione agli schermi luminosi dei
nostri dispositivi social, noi desideriamo queste tecniche di costruzione della
cooperazione sociale. Ma queste stesse tecniche ci controllano, ci
impoveriscono, ci rendono tristi e incendiano l’Amazzonia. Questa
contraddizione ontologica per me è interessante. Perchè diamo valore a ciò che
ci opprime?
Questo scritto seguirà una metodologia non convenzionale: si propone di essere un esercizio di messa in comune di domande e di riferimenti, cercherò di definire i confini di una lotta e di individuare le sue possibili alleanze.
Questo scritto seguirà una metodologia non convenzionale: si propone di essere un esercizio di messa in comune di domande e di riferimenti, cercherò di definire i confini di una lotta e di individuare le sue possibili alleanze.
A che cosa diamo valore?
Parlare
di Valore non è solo questione di soldi, finanza, logistica,
automazione del lavoro e costo della vita…. Parlare di valore significa anche
parlare di cosa ci interessa essere. É questione di corpo e soggettività.
Qualcosa acquista un valore che siamo disposti a pagare, solo a partire dal
fatto che lo desideriamo. Siamo disposti a pagare per realizzare noi stessi, per
costruire il nostro futuro, per fuggire dalle nostre ansie e paure, per
soddisfare i nostri bisogni. In questo senso una domanda da cui partire è come
funziona il nostro desiderio?
Pierre
Klossowski nel 1970 scrive La monnaie vivante (La Moneta
Vivente) e fa una lettura importante del rapporto fra sessualità e capitalismo.
Insomma, mette in diretta relazione la teoria del valore con la teoria del
desiderio. Foucault scriverà una lettera a Klossowski in cui saluta il
manoscritto come il testo più importante del ‘900. Nel leggere questo testo mi
sono posto queste domande: a che cosa diamo valore? Perché siamo disposti a
lavorare, a fare fatica e a fare tutti i sacrifici che facciamo? E perché il
valore che diamo alle cose è una esperienza collettiva, sociale? Vale a dire,
perché il desiderio di fare qualcosa, dare importanza
a qualcosa,
definisce una economia, una circolazione di valori? Ma, soprattutto, perché chi
acquista valore sono oggetti, bisogni, speranze, scenari futuri, progetti
politici, o un equivalente così astratto e inerte come quello di moneta? Perché
di fronte alla necessità di soddisfare i nostri impulsi, che sono diversi,
amorali, libidinali, incoerenti, non negoziabili, noi costruiamo oggetti,
architetture sociali, fantasticherie di ogni genere in cui identificarci?
Klossowski
dice che ognuno di noi è fatto di una molteplicità di impulsi che facciamo
fatica a tenere assieme. Questi impulsi sono contraddittori e mutevoli, per
questo al posto di soddisfarli noi creiamo dei fantasmi, delle identità
fittizie, cui dedichiamo tutta la vita a soddisfare. Invece di soddisfare la
molteplicità dei nostri impulsi, costruiamo dei fantasmi o fantasie, che in
seguito desideriamo realizzare.
Una fede cieca nella tecnologia
L’immaginazione
crea sempre un debito, afferma Klossowski. Il concetto di fantasia, fantasma,
finzione è direttamente connesso a quello di debito. Investiamo in un oggetto
l’attesa di ciò che non abbiamo. Il capitalismo, che non è stupido, trasforma
il desiderio in bisogni indotti. Ci troviamo così a desiderare una serie di
cose a cui dedicheremo tutta la vita, come un lavoro, una serie di oggetti e
stili di vita che non possiamo fare a meno di avere o raggiungere. Questa forza
immaginativa, questa collettiva produzione di fantasmi/finzioni e circolazione
di desiderio è ciò che crea un enorme debito, cui dedichiamo tutta la nostra
vita e quella delle generazioni future a ripagare. Ed è per questo che noi
amiamo, desideriamo un buon lavoro, le belle macchine e le belle donne, essere
famos*, finzioni sociali che ci legano e diventano di colpo indiscussi bisogni
sociali.
Anche
Maurizio Lazzarato in La fabbrica dell’uomo indebitato, descrive il
debito come una situazione antropologica permanente che definisce l’esistenza
dell’uomo post-fondista. L’imperativo di dover espiare un debito per potersi
realizzare, e la produzione di soggettività che ne deriva, a ben vedere,
affonda le sue radici più nella religione che nella laica economia politica:
“Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Nel
Padre Nostro, la più importante preghiera cristiana, si invoca la salvezza
proporzionalmente alla nostra capacità di ripagare i debiti. E, sempre come fa
notare Lazzarato, in lingua tedesca c’è una unica parola per definire sia colpa
che debito: Schuld.
Nel disegno
modernista, mentre la fantasia crea un debito nei confronti del reale, la
tecnologia mostra il modo in cui attuarla. Insomma, il capitalismo trasforma il
desiderio nella naturalizzazione di alcuni bisogni, e il bisogno trasforma il
desiderio in un programma funzionale. E’ così che passiamo da una serie di
impulsi non negoziabili ad un programma funzionale che definisce ciò che è
utile fare.
Per questo
motivo, non c’è alcuna opposizione fra fede, fiducia, cooperazione e tecnologia.
Occorre avere fede e cooperare (ubbidire agli stessi protocolli) per attuare il
programma. Nel progetto modernista la fede in un progetto collettivo che deve
essere a tutti costi realizzato va a braccetto con gli algoritmi sociali che ci
servono per attuarlo.
In The
Question Concerning Technology in China: An Essay in Cosmotechnics, Yuk
Hui pone il pensiero occidentale alla fine del percorso intrapreso con il
progetto illuminista, caratterizzato dall’invenzione del ruolo della scienza e
della tecnica contrapposto a quello di natura. La matematica e la tecnica sono
il luogo in cui l’uomo può dominare/difendersi/controllare e razionalizzare il
bios. Il progetto sta per terminare, a suo avviso, perché l’uomo al termine di
questo programma si dissolve negli aspetti tecnici. L’umanità si accorge di non
essere altro che un algoritmo e che attorno a lei ci sono algoritmi molto più
veloci e molto più potenti, che non sarà più in grado di controllare. Il
progetto illuminista di determinazione della natura attraverso la scienza porta
al predominio della singolarità tecnica.
Yuval Noah
Harari in Homus Deus finisce affermando che siamo a un bivio
fra Techno-Umanesimo e Dataismo. Nel primo scenario, cerchiamo di ampliare i
confini percettivi della specie umana, accrescendo gli orizzonti attraverso il
controllo tecnologico. Il Dataismo, invece, è la religione a venire, in cui gli
algoritmi organici si dissolveranno nel flusso di dati digitali e di
processori.
Tutto fa pensare che se nel passato la fantasia dava un senso alle cose e al loro funzionamento, ora la tecnologia può trasformare ogni fantasia in realtà e tutto ha perso di senso.
Tutto fa pensare che se nel passato la fantasia dava un senso alle cose e al loro funzionamento, ora la tecnologia può trasformare ogni fantasia in realtà e tutto ha perso di senso.
Ma siamo
così sicuri che la dicotomia fra corpi, tessuto relazionale, organicità da una
parte, e tecnologia, datificazione e intelligenza artificiale dall’altra, sia
così netta?
La cooperazione sociale è una tecno-finzione
Matteo
Pasquinelli in 3000 Years of Algorithmic Rituals: The Emergence of AI
from the computation of Space richiama l’immagine dei rituali Indiani
Agnicayana dove il Dio si frantuma in pezzi. Il rito consisteva nella
ricomposizione spaziale del corpo frammentato del Dio. L’algoritmo è questa
procedura in cui si ritualizza la divisione spaziale in unità di misura. Non è
dissimile dai primi prototipi di Intelligenza Artificiale in cui una macchina
trasforma lo spazio in unità processabili. É il caso del Perceptron (Frank
Rosenblatt), primo prototipo di intelligenza artificiale per tradurre
un’immagine reale in pattern computabili.
Mi trovo nel
Museo del Sale di Trapani in Sicilia e una guida mi spiega come ha funzionato
per secoli l’estrazione del sale dall’acqua marina. Fino a cinquant’anni fa, i
lavoratori lavoravano duramente sotto il sole cantando tutto il giorno per
staccare dal suolo delle vasche le zolle di sale e trasportarle nei piazzali di
essiccazione. Cantavano insieme una canzone che aveva la funzione di conteggio
delle ceste di sale. Al contempo, il canto teneva il ritmo dell’azione di
raccolta e ogni ritornello dichiarava in modo progressivo quanti cesti venivano
riempiti di sale. Il supervisore capo, quando sentiva concludersi un intero
giro di strofa, sapeva che erano stati raccolti 24 secchi e segnava una tacca
in più su di una fettuccia di cuoio legata alla cinta. In questo modo, alla
fine della giornata, si calcolava il compenso a cottimo, cioè proporzionale
alla quantità di sale raccolto. Il compenso veniva distribuito in parti uguali
fra tutti i lavoratori del gruppo, perché il valore prodotto era frutto di un
lavoro cooperativo. Più si sudava a ritmo insieme, più si guadagnava a fine
giornata. Questo è un esempio di come un algoritmo pre industriale definisce un
processo produttivo e come il canto può essere il suo strumento di calcolo e,
infine, di come la storia sia ricca di differenti schemi di attribuzione del
valore prodotto. La cooperazione sociale ha sempre inventato algoritmi che
trasformano in dati informazionali e unità di valore la forza lavoro. La
ripetizione di questi protocolli è una ritualità che attribuisce e distribuisce
valori e significati linguistici. Nell’impero Romano, il sale veniva usato come
moneta per pagare il lavoro e la parola (dal latino salis = sale) Salario in
quanto paga del lavoro sembra derivare da queste ritualità.
Sono seduto
in una sala piena di gente e Paul B. Preciado inizia una conferenza in un
centro d’arte a Milano, e dice che per prima cosa desidera porci una domanda:
que pasa? che cosa sta succedendo? Quello che sta succedendo è che il
necrocapitalismo sta attuando un programma di definizione del bios e lo fa
cercando di definire attraverso la tecnologia il concetto di natura, come
finizione-politica di dominio. Si riferisce alla definizione del concetto di
differenza di genere, la definizione, la restrizione, la semplificazione di che
cosa è un uomo e di che cosa è una donna, e il controllo sulla riproduzione
esemplifica i vari processi di individuazione che opera la tecno-finzione
politica. Per Preciado, siamo tutti da sempre costruiti da tecnologie come
soggetti. L’azione politica che dobbiamo intraprendere è prendere coscienza di
quali finizioni tecno-politiche siamo costruiti.
Questo è il
punto. E in questa apertura si crea la possibilità di costruire alleanze ed
assemblaggi nuovi.
La scienza è la nuova ideologia, la scienza è la nuova religione. Perché la scienza attraverso la definizione di un programma, seleziona le fantasie in cui credere, e di conseguenza l’economia del nostro desiderio.
La scienza è la nuova ideologia, la scienza è la nuova religione. Perché la scienza attraverso la definizione di un programma, seleziona le fantasie in cui credere, e di conseguenza l’economia del nostro desiderio.
L’oppress* è sempre sotto il tappeto
Un altro
aspetto importante di questa costruzione di finzioni del dominio è il processo
di invisibilizzazione degli oppressi. Perchè non funziona che Marilyn
Monroe sia una schiava? Si chiede Klossowski. Perché Marilyn vende il simulacro
della femmina da desiderare. Marylin vende il suo corpo e non può che vendere
quel corpo, come costruzione di una finzione, trasformata dall’industria
Hollywoodiana in bisogno normalizzante di milioni di spettator*. Il punto è che
non funzionerebbe allo stesso modo se fosse svelata la verità, non avrebbe lo
stesso fascino se fosse trattata da schiava.
Nel 2019 le
femministe italiane indicono la manifestazione dell’8 marzo mettendo al centro
il concetto di sciopero dal lavoro di cura non retribuito e dal lavoro
gratuito. So di essere stata assunta come
commessa/badante/quota-rosa/casalinga/madre/insegnante/studiosa… perché la
costruzione del mio corpo produce la finzione politica della donna
affascinante/accudente/sottomessa/intelligente…., so che quello che sono
obbligat* a fare, ma per cui non sono pagat*, è questo lavoro di cura
socialmente utile. E questo lavoro di cura è invisibilizzato, non pagato, non
riconosicuto. Questo patto di oppressione implicito costruisce questa finzione
politica che produce valore riconosciuto, ma non retribuito. E non importa che
sia attraversato anche da ribellione, lotta, resistenza e conflitto. Se non mi
fai un sorriso ti licenzio.
In modo
analogo, Preciado crea il concetto di tecno-patriarcale barocco: “il risultato
dell’esercizio della politica pensato come la sovranità di un solo corpo sulla
totalità del pianeta”. Il barocco come estetica della colonizzazione, il
barocco che nasconde il processo di oppressione e espropriazione. Il Barocco è
l’eccesso di “oro da mostrare” per nascondere l’oppresso.
Questo
processo di estrazione di valore da aspetti riproduttivi non riconosciuti come
“lavoro comunemente inteso” è diventato per molt* commentator* la vera cifra
del nostro tempo. In altre parole, il capitalismo tradizionale si è tramutato
in biocapitalismo, cioè in un processo di finanziarizzazione della riproduzione
sociale. E per lo più di una riproduzione sociale normalizzata da un esercizio
tecno-politico che invisibilizza l’oppressione a favore di una estetica barocca
luminosa oliata e tecno futurista.
In Art
After Money Money After Art, Max Haiven analizza un analogo processo di
finanziarizzazione nella produzione artistica. Gli artisti contemporanei sono
per lo più schiavi (poco pagati) al lavoro per creare simulacri, ovvero oggetti
che alimentano finzioni tecno-politiche. Allo stesso modo, l’attitudine a
produrre finzioni e narrazioni artistiche si è diffusa all’interno della
società che abbisogna sempre più di un continuo flusso informazionale creativo.
Come ben descrive Gregory Sholette con il concetto di Dark Matter,
la produzione artistico-creativa nel contemporaneo ha un enorme peso
in-visibilizzato, non visibile, simile alla materia oscura di cui è fatto la
maggior parte dell’universo, che riproduce quotidianamente il corpo sociale. I
processi di finanziarizzazione dell’arte tendono a capitalizzare questo valore nella
quotazione di singoli e pochi artisti, trattati come stelle visibili e
scintillanti del firmamento, ma che a ben vedere acquistano valore per il
continuo lavoro di produzione culturale disperso nella società. La società
contemporanea ci fa desiderare di essere creativi, non si può non essere
creativi (Paolo Virno 2002), ma questo lavoro di soggettivazione normativo non
viene retribuito e, di conseguenza, per un processo di finanziarizzazione, il
valore di questa funzione sociale viene espropriato e valorizzato in pochi
circuiti di lusso. Di nuovo l’oro barocco che nasconde nuove forme di
oppressione.
Che fare?
Sgombro
subito il campo dicendo che credo sia impossibile uscire dal mondo, vale a dire
uscire dalla cooperazione sociale tecno-politica.
Preciado
dice che per rifiutare il tecno patriarcato barocco, e cioè rifiutare il potere
di vita e di morte esercitato dalla sovranità di un solo modello di corpo sulla
totalità del pianeta, occorre “aprire la pillola, decodificare le tecnologie
che producono le finzioni politiche che crediamo di essere”. Bisogna aprire la
scatola nera in cui vi è scritto come siamo stati programmati e costruiti come
soggetti.
In altre
parole, dobbiamo disidentificarci dai processi di finanziarizzazione normativi
barocchi. Dobbiamo assemblare nuove finzioni comuni, riprogrammare noi stessi
in modo diverso. Dobbiamo costruire corpo. Ma la costruzione di una finzione di
corpo altra è lenta. Come possiamo dare corpo a questo processo di hacking
del soggetto oppresso? Come dare corpo a una intelligenza Comune?
Klossowski
commentando il lavoro di Sade e Fourier dice che ciò che si monetizza è il
valore che creano le finzioni sociali, tutto sommato i soldi non sono altro che
traffico in fantasmi. Per uscire da questo tipo di commercio, occorre creare
società altre e circuiti del valore altri. Per il primo sono La società
degli amici del crimine mentre, per Fourier, l’architettura della
Società di Armonia. Seppur in modo diverso, per entrambi la cura ha un tratto
comune: occorre controllare in modo comunitario come il desiderio si trasforma
in bisogno, occorre svuotare il fantasma.
Il tratto
comune di questi casi citati è che il punto di attacco sta nella costruzione
tecnica di un corpo, una costruzione tecno-politica, architettonica, una corpo
eretico, conflittuale, malato, informe, depravato, minorato e quindi resistente
al patriarcato ma, allo stesso tempo costituente, movimento rivoluzionario.
Il concetto
che abbiamo sviluppato all’interno del movimento dei Commons a partire dai
movimenti italiani, ha molti tratti in comune con questo tipo di analisi
politica. Il punto è senza dubbio concepire una forma di gestione comune delle
risorse, siano esse energetiche che di dati, capace di hackerare i monopoli (il
corpo unico del sovrano naturale).
Sviluppando
meglio questo programma, ci siamo accort* che da una parte il comune poteva
solo essere un processo in movimento: i commons non sono già “dati in natura”
ma sono un processo di “commoning”: non si trattava quindi di trovare un solo
altro modello utopico, ma di stare all’interno di un processo costituente.
L’Intelligenza Comune non poteva avere una architettura, una forma
statica, ma essere architettura di un processo che modifica se stessa nel tempo
e nel conflitto.
Credo quindi
che parlare di Intelligenza Comune significhi comprendere in un unico movimento
la posta in gioco dell’autonomia con quella dell’automazione. Da una parte, non
vogliamo cedere il volante (o l’utero) ad una intelligenza artificiale, tanto
quanto non possiamo pensare di non essere dei soggetti tecno-politici. La
questione vera che preme sul contemporaneo è come l’auto-organizzazione di
corpi non normati possa automatizzare tecnicamente la cooperazione sociale.
Nell’esperienza
di auto-organizzazione di artisti e di gruppi di attivisti che compone
l’assemblea di Macao a Milano, di cui faccio parte, questo punto è stato il
campo a mio parere più denso di sperimentazione. In primo luogo abbiamo
cercato di lavorare su protocolli di governance dell’assemblea e dei processi
di auto-organizzazione. Abbiamo lavorato sulle regole di accessibilità ai
processi decisionali, sul rapporto fra centralizzazione e decentralizzazione,
sulla modalità in cui si possono modificare le regole, su come gestire il
conflitto o il riconoscimento con le autorità che stanno al di fuori
dell’organizzazione, su come interfacciare il nostro sistema con altri sistemi.
Insomma, abbiamo provato a dare risposte a domande che più o meno si sono poste
e si stanno ponendo infiniti altri gruppi di persone auto-organizzate.
Con il
progetto di Commoncoin abbiamo poi posto al centro la
questione del valore. Commoncoin è uno schema di attribuzione e distribuzione
di valore eretico che regola la cooperazione interna all’organizzazione.
Commoncoin è anche una moneta digitale che utilizza un protocollo tecnologico
per poter transare soldi, ma è soprattutto un algoritmo auto-organizzato e in
continua ridiscussione, che definisce il valore che diamo alle nostre risorse.
Disegnando
questo algoritmo, che non è altro che un protocollo automatizzato di
comportamento economico, l’assemblea ha deciso di creare un fondo in euro da
redistribuire equamente fra i membri come reddito, indipendentemente dal modo
in cui si decide di impiegare il proprio tempo. Questa decisione è stata politicamente
molto sentita e discussa. E ha sganciato in modo forte la qualità del tempo
speso dal denaro ricevuto in cambio. Non si investe tempo nella organizzazione
per fare soldi perchè i soldi che l’organizzazione raccoglie vengono
distribuiti non più proporzionalmente a quanto lavori. Per dimostrare
l’appartenenza alla cooperazione sociale nell’organizzazione i membri possono
inventarsi attribuzioni di valore non convenzionali.
Per esempio
un membr* può dire alla comunità che ritiene di avere prodotto valore sociale
partecipando a delle riunioni queer, essersi dedicato a una amicizia, aver
partecipato a una manifestazione politica, essere un richiedente asilo, tanto
quanto aver assolto a compiti manageriali o gestionali più convenzionali. In
questo modo si crea una organizzazione mostro in cui l’intelligenza comune da
valore all’ozio, all’essersi pers* per le torture appena subite in Libia,
all’ascolto di altri comitati di passaggio, tanto quanto alla bravura di un
artista, di un programmatore e a chi si occupa di buttare la spazzatura quando
è finito il concerto. Per il fatto che le persone vogliono capire (anche nel
conflitto) ciò che per un altro è importante, si accetta di ridistribuire un
reddito uguale che ci permette di prenderci questo tempo di cooperazione e
complicità. É un progetto di finanza radicale, perché la moneta in sé si svuota
di valore, diventa piuttosto la porta d’accesso per poter scoprire che cosa è
davvero importante. Proviamo a controllare in modo comunitario come il
desiderio si trasforma in bisogno, per svuotare il fantasma innescando
algoritmi del comune.
Conclusioni
Il nostro
vivere sociale è un soggetto tecno-politico. Da sempre la società si organizza
attorno a delle tecniche di costruzione del corpo. Ciò a cui diamo valore e per
cui proviamo desiderio è da sempre legato a una tecnologia di costruzione di
finzioni. I protocolli che regolano queste organizzazioni sono algoritmi
sociali, in quanto automatizzano protocolli di comportamento cooperativo. Le
tecniche di dominio patriarcale, in cui un sovrano decide quale tipo di corpo
ha diritto di vita e di morte determina (norma) l’economia del desiderio
all’interno della cooperazione sociale. Normare l’economia del desiderio
significa circoscrivere il campo delle finzioni a cui possiamo dare valore. Per
normare una determinata circolazione di valori si instaura una
finanziarizzazione tecno-politica mediante la invisibilizzazione dell’oppresso
e una divisione sociale del lavoro. Il campo di maggiore invisibilizzazione
attuale e di maggiore finanziarizzazione è la riproduzione sociale e il lavoro
di cura. L’oppresso è chi desidera un altra finzione. L’oppresso è
transessuale, omosessuale, migrante, precario, l’aria e le risorse minerarie,
gli animali di allevamento intensivo, le monoculture agricole e le foreste in
fiamme. Non esiste una Intelligenza Artificiale neutra, un progetto
Biotecnologico o un Socialnetwork a cui affidare la costruzione dei nostri
corpi e le risorse energetiche. Le tecnologie del dominio mostrano rassicuranti
schermi luminosi per nascondere e invisibilizzare l’oppressione. L’intelligenza
comune parte sempre dal riconoscere il modo in cui siamo costruiti e da un
processo di disidentificazione. Rappresenta la nostra capacità di creare
alleanze trasversali per costruire il nostro corpo tecno-politico.
L’intelligenza Comune automatizza l’autonomia, è lo spazio costituente di
algoritmi non normati, in cui si auto-organizza la circolazione del desiderio.
Cosa ci
dicono i movimenti di lotta sociale riguardo il prezzo del lavoro?
Dopotutto il prezzo del lavoro equivale al desiderio di non fare nulla. Sono
disposto a lavorare e fare soldi per potermi permettere di non fare nulla. Non
è forse questa la principale battaglia sindacale sull’orario di lavoro
nell’epoca del capitalismo fordista? Lavoro, lavoro, sudo e lavoro, così posso
avere più tempo libero, più ozio. E cosa faccio nell’ozio? Do sfogo a impulsi
non negoziabili, a impulsi senza valore, studio e ascolto, costruisco corpi e
finizioni non normate, assemblo corpo, come il sapore del cibo, la noia,
l’affetto, la convivialità, gridare, fare sesso, fantasticare sulla chimica,
passeggiare, respirare e volare.
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