sabato 21 dicembre 2019

Common Intelligence – Emanuele Braga

(Riceviamo e con piacere pubblichiamo la versione italiana di un articolo recentemente uscito sul blog di Moneylab#7 per Institute of network culture.)
****
Se il mondo è in fiamme non sarà una intelligenza artificiale a spegnerlo. Quello che occorre è una Intelligenza Comune, un uso della tecnologia in grado di costruire un corpo sociale non oppresso.
Cosa c’è al di là della singolarità apocalittica figlia dell’antropocene? Cosa c’è al di là di una deriva tecnologica che distrugge le risorse energetiche?
La cooperazione sociale deve essere radicalmente ripensata e deve prendere le distanze dal progetto moderno in quanto esasperazione del controllo attraverso il dominio tecnico della natura o del bios.
Ciò che mi preme è comprendere meglio come la cooperazione sociale su larga scala sta distruggendo il pianeta, creando disuguaglianze economiche, e potere di vita e di morte sulla linea del genere e della razza.
La cooperazione sociale che sta distruggendo il pianeta e che riproduce processi di sfruttamento su molteplici livelli è iscritta nei nostri corpi. Noi desideriamo andare in giro per il mondo con aeroplani, avere una macchina di grande cilindrata, dedicare così tanta attenzione agli schermi luminosi dei nostri dispositivi social, noi desideriamo queste tecniche di costruzione della cooperazione sociale. Ma queste stesse tecniche ci controllano, ci impoveriscono, ci rendono tristi e incendiano l’Amazzonia. Questa contraddizione ontologica per me è interessante. Perchè diamo valore a ciò che ci opprime?
Questo scritto seguirà una metodologia non convenzionale: si propone di essere un esercizio di messa in comune di domande e di riferimenti, cercherò di definire i confini di una lotta e di individuare le sue possibili alleanze.

A che cosa diamo valore?
Parlare di Valore non è solo questione di soldi, finanza, logistica, automazione del lavoro e costo della vita…. Parlare di valore significa anche parlare di cosa ci interessa essere. É questione di corpo e soggettività. Qualcosa acquista un valore che siamo disposti a pagare, solo a partire dal fatto che lo desideriamo. Siamo disposti a pagare per realizzare noi stessi, per costruire il nostro futuro, per fuggire dalle nostre ansie e paure, per soddisfare i nostri bisogni. In questo senso una domanda da cui partire è come funziona il nostro desiderio?
Pierre Klossowski nel 1970 scrive La monnaie vivante (La Moneta Vivente) e fa una lettura importante del rapporto fra sessualità e capitalismo. Insomma, mette in diretta relazione la teoria del valore con la teoria del desiderio. Foucault scriverà una lettera a Klossowski in cui saluta il manoscritto come il testo più importante del ‘900. Nel leggere questo testo mi sono posto queste domande: a che cosa diamo valore? Perché siamo disposti a lavorare, a fare fatica e a fare tutti i sacrifici che facciamo? E perché il valore che diamo alle cose è una esperienza collettiva, sociale? Vale a dire, perché il desiderio di fare qualcosa, dare importanza
a qualcosa, definisce una economia, una circolazione di valori? Ma, soprattutto, perché chi acquista valore sono oggetti, bisogni, speranze, scenari futuri, progetti politici, o un equivalente così astratto e inerte come quello di moneta? Perché di fronte alla necessità di soddisfare i nostri impulsi, che sono diversi, amorali, libidinali, incoerenti, non negoziabili, noi costruiamo oggetti, architetture sociali, fantasticherie di ogni genere in cui identificarci?
Klossowski dice che ognuno di noi è fatto di una molteplicità di impulsi che facciamo fatica a tenere assieme. Questi impulsi sono contraddittori e mutevoli, per questo al posto di soddisfarli noi creiamo dei fantasmi, delle identità fittizie, cui dedichiamo tutta la vita a soddisfare. Invece di soddisfare la molteplicità dei nostri impulsi, costruiamo dei fantasmi o fantasie, che in seguito desideriamo realizzare.

Una fede cieca nella tecnologia
L’immaginazione crea sempre un debito, afferma Klossowski. Il concetto di fantasia, fantasma, finzione è direttamente connesso a quello di debito. Investiamo in un oggetto l’attesa di ciò che non abbiamo. Il capitalismo, che non è stupido, trasforma il desiderio in bisogni indotti. Ci troviamo così a desiderare una serie di cose a cui dedicheremo tutta la vita, come un lavoro, una serie di oggetti e stili di vita che non possiamo fare a meno di avere o raggiungere. Questa forza immaginativa, questa collettiva produzione di fantasmi/finzioni e circolazione di desiderio è ciò che crea un enorme debito, cui dedichiamo tutta la nostra vita e quella delle generazioni future a ripagare. Ed è per questo che noi amiamo, desideriamo un buon lavoro, le belle macchine e le belle donne, essere famos*, finzioni sociali che ci legano e diventano di colpo indiscussi bisogni sociali.
Anche Maurizio Lazzarato in La fabbrica dell’uomo indebitato, descrive il debito come una situazione antropologica permanente che definisce l’esistenza dell’uomo post-fondista. L’imperativo di dover espiare un debito per potersi realizzare, e la produzione di soggettività che ne deriva, a ben vedere, affonda le sue radici più nella religione che nella laica economia politica: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Nel Padre Nostro, la più importante preghiera cristiana, si invoca la salvezza proporzionalmente alla nostra capacità di ripagare i debiti. E, sempre come fa notare Lazzarato, in lingua tedesca c’è una unica parola per definire sia colpa che debito: Schuld.
Nel disegno modernista, mentre la fantasia crea un debito nei confronti del reale, la tecnologia mostra il modo in cui attuarla. Insomma, il capitalismo trasforma il desiderio nella naturalizzazione di alcuni bisogni, e il bisogno trasforma il desiderio in un programma funzionale. E’ così che passiamo da una serie di impulsi non negoziabili ad un programma funzionale che definisce ciò che è utile fare.
Per questo motivo, non c’è alcuna opposizione fra fede, fiducia, cooperazione e tecnologia. Occorre avere fede e cooperare (ubbidire agli stessi protocolli) per attuare il programma. Nel progetto modernista la fede in un progetto collettivo che deve essere a tutti costi realizzato va a braccetto con gli algoritmi sociali che ci servono per attuarlo.
In The Question Concerning Technology in China: An Essay in Cosmotechnics, Yuk Hui pone il pensiero occidentale alla fine del percorso intrapreso con il progetto illuminista, caratterizzato dall’invenzione del ruolo della scienza e della tecnica contrapposto a quello di natura. La matematica e la tecnica sono il luogo in cui l’uomo può dominare/difendersi/controllare e razionalizzare il bios. Il progetto sta per terminare, a suo avviso, perché l’uomo al termine di questo programma si dissolve negli aspetti tecnici. L’umanità si accorge di non essere altro che un algoritmo e che attorno a lei ci sono algoritmi molto più veloci e molto più potenti, che non sarà più in grado di controllare. Il progetto illuminista di determinazione della natura attraverso la scienza porta al predominio della singolarità tecnica.
Yuval Noah Harari in Homus Deus finisce affermando che siamo a un bivio fra Techno-Umanesimo e Dataismo. Nel primo scenario, cerchiamo di ampliare i confini percettivi della specie umana, accrescendo gli orizzonti attraverso il controllo tecnologico. Il Dataismo, invece, è la religione a venire, in cui gli algoritmi organici si dissolveranno nel flusso di dati digitali e di processori.
Tutto fa pensare che se nel passato la fantasia dava un senso alle cose e al loro funzionamento, ora la tecnologia può trasformare ogni fantasia in realtà e tutto ha perso di senso.
Ma siamo così sicuri che la dicotomia fra corpi, tessuto relazionale, organicità da una parte, e tecnologia, datificazione e intelligenza artificiale dall’altra, sia così netta?

La cooperazione sociale è una tecno-finzione
Matteo Pasquinelli in 3000 Years of Algorithmic Rituals: The Emergence of AI from the computation of Space richiama l’immagine dei rituali Indiani Agnicayana dove il Dio si frantuma in pezzi. Il rito consisteva nella ricomposizione spaziale del corpo frammentato del Dio. L’algoritmo è questa procedura in cui si ritualizza la divisione spaziale in unità di misura. Non è dissimile dai primi prototipi di Intelligenza Artificiale in cui una macchina trasforma lo spazio in unità processabili. É il caso del Perceptron (Frank Rosenblatt), primo prototipo di intelligenza artificiale per tradurre un’immagine reale in pattern computabili.
Mi trovo nel Museo del Sale di Trapani in Sicilia e una guida mi spiega come ha funzionato per secoli l’estrazione del sale dall’acqua marina. Fino a cinquant’anni fa, i lavoratori lavoravano duramente sotto il sole cantando tutto il giorno per staccare dal suolo delle vasche le zolle di sale e trasportarle nei piazzali di essiccazione. Cantavano insieme una canzone che aveva la funzione di conteggio delle ceste di sale. Al contempo, il canto teneva il ritmo dell’azione di raccolta e ogni ritornello dichiarava in modo progressivo quanti cesti venivano riempiti di sale. Il supervisore capo, quando sentiva concludersi un intero giro di strofa, sapeva che erano stati raccolti 24 secchi e segnava una tacca in più su di una fettuccia di cuoio legata alla cinta. In questo modo, alla fine della giornata, si calcolava il compenso a cottimo, cioè proporzionale alla quantità di sale raccolto. Il compenso veniva distribuito in parti uguali fra tutti i lavoratori del gruppo, perché il valore prodotto era frutto di un lavoro cooperativo. Più si sudava a ritmo insieme, più si guadagnava a fine giornata. Questo è un esempio di come un algoritmo pre industriale definisce un processo produttivo e come il canto può essere il suo strumento di calcolo e, infine, di come la storia sia ricca di differenti schemi di attribuzione del valore prodotto. La cooperazione sociale ha sempre inventato algoritmi che trasformano in dati informazionali e unità di valore la forza lavoro. La ripetizione di questi protocolli è una ritualità che attribuisce e distribuisce valori e significati linguistici. Nell’impero Romano, il sale veniva usato come moneta per pagare il lavoro e la parola (dal latino salis = sale) Salario in quanto paga del lavoro sembra derivare da queste ritualità.
Sono seduto in una sala piena di gente e Paul B. Preciado inizia una conferenza in un centro d’arte a Milano, e dice che per prima cosa desidera porci una domanda: que pasa? che cosa sta succedendo? Quello che sta succedendo è che il necrocapitalismo sta attuando un programma di definizione del bios e lo fa cercando di definire attraverso la tecnologia il concetto di natura, come finizione-politica di dominio. Si riferisce alla definizione del concetto di differenza di genere, la definizione, la restrizione, la semplificazione di che cosa è un uomo e di che cosa è una donna, e il controllo sulla riproduzione esemplifica i vari processi di individuazione che opera la tecno-finzione politica. Per Preciado, siamo tutti da sempre costruiti da tecnologie come soggetti. L’azione politica che dobbiamo intraprendere è prendere coscienza di quali finizioni tecno-politiche siamo costruiti.
Questo è il punto. E in questa apertura si crea la possibilità di costruire alleanze ed assemblaggi nuovi.
La scienza è la nuova ideologia, la scienza è la nuova religione. Perché la scienza attraverso la definizione di un programma, seleziona le fantasie in cui credere, e di conseguenza l’economia del nostro desiderio.

L’oppress* è sempre sotto il tappeto
Un altro aspetto importante di questa costruzione di finzioni del dominio è il processo di invisibilizzazione degli oppressi. Perchè non funziona che Marilyn Monroe sia una schiava? Si chiede Klossowski. Perché Marilyn vende il simulacro della femmina da desiderare. Marylin vende il suo corpo e non può che vendere quel corpo, come costruzione di una finzione, trasformata dall’industria Hollywoodiana in bisogno normalizzante di milioni di spettator*. Il punto è che non funzionerebbe allo stesso modo se fosse svelata la verità, non avrebbe lo stesso fascino se fosse trattata da schiava.
Nel 2019 le femministe italiane indicono la manifestazione dell’8 marzo mettendo al centro il concetto di sciopero dal lavoro di cura non retribuito e dal lavoro gratuito. So di essere stata assunta come commessa/badante/quota-rosa/casalinga/madre/insegnante/studiosa… perché la costruzione del mio corpo produce la finzione politica della donna affascinante/accudente/sottomessa/intelligente…., so che quello che sono obbligat* a fare, ma per cui non sono pagat*, è questo lavoro di cura socialmente utile. E questo lavoro di cura è invisibilizzato, non pagato, non riconosicuto. Questo patto di oppressione implicito costruisce questa finzione politica che produce valore riconosciuto, ma non retribuito. E non importa che sia attraversato anche da ribellione, lotta, resistenza e conflitto. Se non mi fai un sorriso ti licenzio.
In modo analogo, Preciado crea il concetto di tecno-patriarcale barocco: “il risultato dell’esercizio della politica pensato come la sovranità di un solo corpo sulla totalità del pianeta”. Il barocco come estetica della colonizzazione, il barocco che nasconde il processo di oppressione e espropriazione. Il Barocco è l’eccesso di “oro da mostrare” per nascondere l’oppresso.
Questo processo di estrazione di valore da aspetti riproduttivi non riconosciuti come “lavoro comunemente inteso” è diventato per molt* commentator* la vera cifra del nostro tempo. In altre parole, il capitalismo tradizionale si è tramutato in biocapitalismo, cioè in un processo di finanziarizzazione della riproduzione sociale. E per lo più di una riproduzione sociale normalizzata da un esercizio tecno-politico che invisibilizza l’oppressione a favore di una estetica barocca luminosa oliata e tecno futurista.
In Art After Money Money After Art, Max Haiven analizza un analogo processo di finanziarizzazione nella produzione artistica. Gli artisti contemporanei sono per lo più schiavi (poco pagati) al lavoro per creare simulacri, ovvero oggetti che alimentano finzioni tecno-politiche. Allo stesso modo, l’attitudine a produrre finzioni e narrazioni artistiche si è diffusa all’interno della società che abbisogna sempre più di un continuo flusso informazionale creativo. Come ben descrive Gregory Sholette con il concetto di Dark Matter, la produzione artistico-creativa nel contemporaneo ha un enorme peso in-visibilizzato, non visibile, simile alla materia oscura di cui è fatto la maggior parte dell’universo, che riproduce quotidianamente il corpo sociale. I processi di finanziarizzazione dell’arte tendono a capitalizzare questo valore nella quotazione di singoli e pochi artisti, trattati come stelle visibili e scintillanti del firmamento, ma che a ben vedere acquistano valore per il continuo lavoro di produzione culturale disperso nella società. La società contemporanea ci fa desiderare di essere creativi, non si può non essere creativi (Paolo Virno 2002), ma questo lavoro di soggettivazione normativo non viene retribuito e, di conseguenza, per un processo di finanziarizzazione, il valore di questa funzione sociale viene espropriato e valorizzato in pochi circuiti di lusso. Di nuovo l’oro barocco che nasconde nuove forme di oppressione.

Che fare?
Sgombro subito il campo dicendo che credo sia impossibile uscire dal mondo, vale a dire uscire dalla cooperazione sociale tecno-politica.
Preciado dice che per rifiutare il tecno patriarcato barocco, e cioè rifiutare il potere di vita e di morte esercitato dalla sovranità di un solo modello di corpo sulla totalità del pianeta, occorre “aprire la pillola, decodificare le tecnologie che producono le finzioni politiche che crediamo di essere”. Bisogna aprire la scatola nera in cui vi è scritto come siamo stati programmati e costruiti come soggetti.
In altre parole, dobbiamo disidentificarci dai processi di finanziarizzazione normativi barocchi. Dobbiamo assemblare nuove finzioni comuni, riprogrammare noi stessi in modo diverso. Dobbiamo costruire corpo. Ma la costruzione di una finzione di corpo altra è lenta. Come possiamo dare corpo a questo processo di hacking del soggetto oppresso? Come dare corpo a una intelligenza Comune?
Klossowski commentando il lavoro di Sade e Fourier dice che ciò che si monetizza è il valore che creano le finzioni sociali, tutto sommato i soldi non sono altro che traffico in fantasmi. Per uscire da questo tipo di commercio, occorre creare società altre e circuiti del valore altri. Per il primo sono La società degli amici del crimine mentre, per Fourier, l’architettura della Società di Armonia. Seppur in modo diverso, per entrambi la cura ha un tratto comune: occorre controllare in modo comunitario come il desiderio si trasforma in bisogno, occorre svuotare il fantasma.
Il tratto comune di questi casi citati è che il punto di attacco sta nella costruzione tecnica di un corpo, una costruzione tecno-politica, architettonica, una corpo eretico, conflittuale, malato, informe, depravato, minorato e quindi resistente al patriarcato ma, allo stesso tempo costituente, movimento rivoluzionario.
Il concetto che abbiamo sviluppato all’interno del movimento dei Commons a partire dai movimenti italiani, ha molti tratti in comune con questo tipo di analisi politica. Il punto è senza dubbio concepire una forma di gestione comune delle risorse, siano esse energetiche che di dati, capace di hackerare i monopoli (il corpo unico del sovrano naturale).
Sviluppando meglio questo programma, ci siamo accort* che da una parte il comune poteva solo essere un processo in movimento: i commons non sono già “dati in natura” ma sono un processo di “commoning”: non si trattava quindi di trovare un solo altro modello utopico, ma di stare all’interno di un processo costituente. L’Intelligenza Comune non poteva avere una architettura, una forma statica, ma essere architettura di un processo che modifica se stessa nel tempo e nel conflitto.
Credo quindi che parlare di Intelligenza Comune significhi comprendere in un unico movimento la posta in gioco dell’autonomia con quella dell’automazione. Da una parte, non vogliamo cedere il volante (o l’utero) ad una intelligenza artificiale, tanto quanto non possiamo pensare di non essere dei soggetti tecno-politici. La questione vera che preme sul contemporaneo è come l’auto-organizzazione di corpi non normati possa automatizzare tecnicamente la cooperazione sociale.
Nell’esperienza di auto-organizzazione di artisti e di gruppi di attivisti che compone l’assemblea di Macao a Milano, di cui faccio parte, questo punto è stato il campo a mio parere più denso di sperimentazione. In primo luogo abbiamo cercato di lavorare su protocolli di governance dell’assemblea e dei processi di auto-organizzazione. Abbiamo lavorato sulle regole di accessibilità ai processi decisionali, sul rapporto fra centralizzazione e decentralizzazione, sulla modalità in cui si possono modificare le regole, su come gestire il conflitto o il riconoscimento con le autorità che stanno al di fuori dell’organizzazione, su come interfacciare il nostro sistema con altri sistemi. Insomma, abbiamo provato a dare risposte a domande che più o meno si sono poste e si stanno ponendo infiniti altri gruppi di persone auto-organizzate.
Con il progetto di Commoncoin abbiamo poi posto al centro la questione del valore. Commoncoin è uno schema di attribuzione e distribuzione di valore eretico che regola la cooperazione interna all’organizzazione. Commoncoin è anche una moneta digitale che utilizza un protocollo tecnologico per poter transare soldi, ma è soprattutto un algoritmo auto-organizzato e in continua ridiscussione, che definisce il valore che diamo alle nostre risorse.
Disegnando questo algoritmo, che non è altro che un protocollo automatizzato di comportamento economico, l’assemblea ha deciso di creare un fondo in euro da redistribuire equamente fra i membri come reddito, indipendentemente dal modo in cui si decide di impiegare il proprio tempo. Questa decisione è stata politicamente molto sentita e discussa. E ha sganciato in modo forte la qualità del tempo speso dal denaro ricevuto in cambio. Non si investe tempo nella organizzazione per fare soldi perchè i soldi che l’organizzazione raccoglie vengono distribuiti non più proporzionalmente a quanto lavori. Per dimostrare l’appartenenza alla cooperazione sociale nell’organizzazione i membri possono inventarsi attribuzioni di valore non convenzionali.
Per esempio un membr* può dire alla comunità che ritiene di avere prodotto valore sociale partecipando a delle riunioni queer, essersi dedicato a una amicizia, aver partecipato a una manifestazione politica, essere un richiedente asilo, tanto quanto aver assolto a compiti manageriali o gestionali più convenzionali. In questo modo si crea una organizzazione mostro in cui l’intelligenza comune da valore all’ozio, all’essersi pers* per le torture appena subite in Libia, all’ascolto di altri comitati di passaggio, tanto quanto alla bravura di un artista, di un programmatore e a chi si occupa di buttare la spazzatura quando è finito il concerto. Per il fatto che le persone vogliono capire (anche nel conflitto) ciò che per un altro è importante, si accetta di ridistribuire un reddito uguale che ci permette di prenderci questo tempo di cooperazione e complicità. É un progetto di finanza radicale, perché la moneta in sé si svuota di valore, diventa piuttosto la porta d’accesso per poter scoprire che cosa è davvero importante. Proviamo a controllare in modo comunitario come il desiderio si trasforma in bisogno, per svuotare il fantasma innescando algoritmi del comune.

Conclusioni
Il nostro vivere sociale è un soggetto tecno-politico. Da sempre la società si organizza attorno a delle tecniche di costruzione del corpo. Ciò a cui diamo valore e per cui proviamo desiderio è da sempre legato a una tecnologia di costruzione di finzioni. I protocolli che regolano queste organizzazioni sono algoritmi sociali, in quanto automatizzano protocolli di comportamento cooperativo. Le tecniche di dominio patriarcale, in cui un sovrano decide quale tipo di corpo ha diritto di vita e di morte determina (norma) l’economia del desiderio all’interno della cooperazione sociale. Normare l’economia del desiderio significa circoscrivere il campo delle finzioni a cui possiamo dare valore. Per normare una determinata circolazione di valori si instaura una finanziarizzazione tecno-politica mediante la invisibilizzazione dell’oppresso e una divisione sociale del lavoro. Il campo di maggiore invisibilizzazione attuale e di maggiore finanziarizzazione è la riproduzione sociale e il lavoro di cura. L’oppresso è chi desidera un altra finzione. L’oppresso è transessuale, omosessuale, migrante, precario, l’aria e le risorse minerarie, gli animali di allevamento intensivo, le monoculture agricole e le foreste in fiamme. Non esiste una Intelligenza Artificiale neutra, un progetto Biotecnologico o un Socialnetwork a cui affidare la costruzione dei nostri corpi e le risorse energetiche. Le tecnologie del dominio mostrano rassicuranti schermi luminosi per nascondere e invisibilizzare l’oppressione. L’intelligenza comune parte sempre dal riconoscere il modo in cui siamo costruiti e da un processo di disidentificazione. Rappresenta la nostra capacità di creare alleanze trasversali per costruire il nostro corpo tecno-politico. L’intelligenza Comune automatizza l’autonomia, è lo spazio costituente di algoritmi non normati, in cui si auto-organizza la circolazione del desiderio.
Cosa ci dicono i movimenti di lotta sociale riguardo il prezzo del lavoro?
Dopotutto il prezzo del lavoro equivale al desiderio di non fare nulla. Sono disposto a lavorare e fare soldi per potermi permettere di non fare nulla. Non è forse questa la principale battaglia sindacale sull’orario di lavoro nell’epoca del capitalismo fordista? Lavoro, lavoro, sudo e lavoro, così posso avere più tempo libero, più ozio. E cosa faccio nell’ozio? Do sfogo a impulsi non negoziabili, a impulsi senza valore, studio e ascolto, costruisco corpi e finizioni non normate, assemblo corpo, come il sapore del cibo, la noia, l’affetto, la convivialità, gridare, fare sesso, fantasticare sulla chimica, passeggiare, respirare e volare.

da qui

Nessun commento:

Posta un commento