Nel 2018 il budget per la farmaceutica è esploso in molti Paesi, Italia
inclusa, per il costo di salvavita per patologie croniche o malattie rare.
Servono nuove trattative globali con le case produttrici, che l’Aifa aveva
appena intrapreso. E ora?
Sono
trascorsi venti anni esatti da quando a Seattle, alla prima Conferenza
Interministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc), prorompeva
sui media del mondo – grazie alla mobilitazione della società civile – il tema
dell’accesso ai farmaci essenziali, e del pericoloso nuovo regime globale sui
brevetti istituito con l’accordo TRIPS (Trade-Related Aspects of
Intellectual Property Rights), che istituzionalizzava la creazione
di monopoli industriali fra cui, nella fattispecie, quello farmaceutico. Una
questione sconosciuta e spinosissima, allora. Il virus dell’HIV/Aids aveva
attecchito in diverse aree del sud del mondo con le fattezze di una pandemia
inarrestabile, e con livelli di prevalenza semplicemente spaventosi soprattutto
in Africa sub-sahariana, in Paesi da poco pacificati come il Sudafrica e il
Mozambico. Gli unici farmaci a disposizione per curare i pazienti, gli
antiretrovirali sviluppati e prodotti nel Nord industrializzato, avevano un
prezzo talmente inafferrabile che il 95% dei malati non riuscivano a
procurarseli. I governi a basso reddito non potevano in alcun modo comprare
quei farmaci di lusso. Così le morti si sprecavano, anzi si sprecavano le vite,
in nome del profitto di Big pharma. Mai
prima era accaduto, nella storia della medicina, che una terapia salvavita
fosse così inavvicinabile e distante dai malati che maggiormente ne avevano
bisogno. Intorno a questa impietosa omissione di soccorso, una delle pagine più
ruvide della globalizzazione, si attivò una campagna globale di esperti e
organizzazioni, medici e pazienti, che da allora prosegue senza soluzione di
continuità.
E in
effetti, dopo due decenni, l’accesso ai farmaci essenziali non solo non è
risolto per i Paesi impoveriti, ma ora agguanta come un virus anche il mondo
occidentale. Non è un ironico rigurgito della storia, semmai una profezia
largamente anticipata da molti esperti sul tema, che si è fatta incalzante realtà:
da qualche tempo, le nuove classi di farmaci che la ricerca genetica sviluppa
con grande impulso innovativo – 46 nuovi prodotti sono stati lanciati solo
negli ultimi cinque anni – impongono ai Paesi ricchi di affrontare ostacoli
insormontabili per i bilanci sanitari, se vogliono garantire ai loro cittadini
nuove cure essenziali. Il primo assaggio del nuovo scenario si è presentato con
i farmaci antitumorali di ultima generazione, ma gli esempi di medicinali con
prezzi fuori controllo sono ormai molteplici.
Ci ha
provato Luca Li Bassi, direttore generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco
(Aifa) approdato in Italia un anno fa dopo una lunga carriera internazionale
come medico ed esperto di management
sanitario, a prendere il toro per le corna. Alla fine del 2018, in accordo con
l’allora ministra Giulia Grillo, il neo direttore generale ha avviato una sorta
di rivoluzione della gestione del rapporto con il mondo farmaceutico prendendo
di mira la fitta coltre di opacità che domina sul ciclo di vita dei medicinali
e che impone ai governi una negoziazione “alla cieca” del prezzo dei farmaci
con le imprese multinazionali. Aifa, come tutte le agenzie nazionali del
farmaco, è l’organismo pubblico responsabile della buona salute della
popolazione; seleziona accuratamente i farmaci che possono entrare nel mercato
in un’ottica di sostenibilità della spesa per i medicinali nell’ambito del
Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
Li Bassi si
è messo al lavoro con i ministeri competenti (Salute e Affari esteri) e
ha scoperto che esistono già direttive europee e risoluzioni internazionali che
impongono la trasparenza su brevetti, studi clinici, prezzo dei farmaci.
Innanzitutto, la Direttiva UE sulla Trasparenza del dicembre 1988 per lo
sviluppo di un mercato competitivo nei paesi dell’Unione. Infine, ultima in
ordine di tempo, la risoluzione del Parlamento Europeo del marzo 2017 per
promuovere l’accesso ai farmaci essenziali. Strumenti approvati e rimasti
lettera morta. Dispositivi da applicare con senso di priorità perché “il muro
della riservatezza non giova alla salute pubblica”, mi dice in un colloquio nel
suo ufficio a settembre.
Ma non basta
farlo in un solo Paese. Così, con intuizione, Li Bassi ha rilanciato con
intelligenza la palla nel campo di gioco a lui più familiare,
all’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), così da far leva anche sui
governi del Sud globale per guadagnare un graduale consenso. La sua demarche sulla trasparenza del prezzo dei farmaci
ha preso di sorpresa un po’ tutti – l’Italia non è in genere una gran
protagonista della salute sul piano internazionale – ma ha innescato un
dirompente effetto domino di dibattiti e iniziative politiche, per approdare
alla risoluzione che il nostro Paese ha lanciato a febbraio e presentato a
maggio 2019 con altri dieci governi alla assemblea dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità (http://apps.who.int/gb/ebwha/pdf_files/WHA72/A72_ACONF2Rev1-en.pdf).
Una “risoluzione storica”, come l’ha definita il direttore generale dell’Oms.
Un game changer, un cambio di gioco che ha stimolato una
nuova consapevolezza politica sul tema della relazione fra governi e settore
farmaceutico; ha alimentato il fuoco di un nuovo dialogo pubblico nei dibattiti
parlamentari di alcuni Paesi europei. Grazie alla risoluzione, il governo del
Sudafrica ha riportato il tema in seno all’Organizzazione Mondiale del
Commercio. Nuovi processi di collaborazione fra governi e agenzie nazionali del
farmaco sono scaturiti in Europa – il
cosiddetto Valletta Group, composto da 9 paesi UE.
Che servisse
una terapia d’urto della politica per riorientare il mercato lo spiegano i
dati: nel 2018, è cresciuto a vista d’occhio (+42%) l’impatto sulla spesa
farmaceutica globale delle terapie contro le malattie croniche complesse. In
Europa la questione era esplosa con una certa durezza per via del farmaco
Sofosbuvir contro l’epatite C, lanciato a dicembre 2013 negli Stati Uniti al
costo di 84 mila dollari, in Italia circa 41 mila euro a trattamento in regime
ospedaliero (74 mila euro per acquisto privato in farmacia), per una terapia di
12 settimane. Di fronte al potenziale collasso per i budget sanitari nazionali,
diversi Paesi della UE in quella occasione avevano fatto a gara tra loro per
spuntare il prezzo migliore per il farmaco con la azienda Gilead Sciences, con
trattative del tutto segretate.
Dal canto
suo, la Norvegia dichiara di essere preoccupata dalla sfida democratica che
l’attuale scenario comporta, e dalle ripercussioni sulla salute delle
popolazioni – nel 2018 il governo norvegese ha dovuto rifiutare il 51% dei
nuovi farmaci sul mercato, a causa di prezzi troppo elevati. Per questo
appoggia la proposta dell’Italia. Basti pensare infine alla terapia che
l’agenzia del farmaco statunitense ha autorizzato a luglio per la vendita negli
USA, e che è stato raccontato come il “medicinale più costoso della storia”. Mi
riferisco a Zolgensma, prodotto da Novartis: la prima terapia genetica che cura
la atrofia muscolare spinale (SMA) nei bambini sotto i due anni, a un prezzo di
2,125 milioni di dollari! Viene da chiedersi: ma a
chi serve un’innovazione che nessuno può permettersi?
Ora, invece
di sostenere e accompagnare questo faticoso ma premiante percorso di cui è
protagonista, l’Italia che fa? Per quella vocazione all’autofagia che
contraddistingue il nostro Paese, nel passaggio dal governo gialloverde al
governo giallorosso l’Italia compromette definitivamente questo straordinario e
innovativo esercizio di leadership, esautorando Luca Li Bassi dal posto di
comando di Aifa. Oggi, 9 dicembre, è il suo ultimo giorno di
lavoro.
Ricopre il
ruolo di ministro della Sanità da poche settimane Roberto Speranza quando, il
24 ottobre, apre un nuovo bando per l’incarico di dirigere Aifa. Spoil system, si dice. Questa almeno la
giustificazione consegnata a Luca Li Bassi. Se così fosse, in una compagine
governativa che ancora comprende il Movimento 5 Stelle, il ministro Speranza
farebbe l’errore clamoroso e imperdonabile di prediligere una figura di forte
obbedienza politica a una persona di forte competenza e credibilità
internazionale, come Li Bassi. Un medico che sa di farmaci, ma ha anche
spiccate doti politiche di mediatore e soprattutto una chiara visione di salute
pubblica. Se il motivo fosse invece legato più a dinamiche di gestione della
agenzia o a scontri interni di potere, come mi è parso di intuire cercando di
interloquire nel frattempo con alcune tra le persone più vicine al ministro,
allora Speranza farebbe un errore, ugualmente clamoroso e imperdonabile. Quello
di non saper gestire la vicenda con la necessaria contezza delle conseguenze
geopolitiche della sua decisione, o con la creatività istituzionale adatta a
salvaguardare la leadership conquistata da Aifa nell’ultimo anno sulla scena
internazionale.
Speranza
deve sapere che la sua scelta danneggia pesantemente un ambizioso processo
diplomatico di salute globale. E’ un peccato che non abbia dato ascolto
all’appello firmato dalle principali organizzazioni impegnate nel mondo da anni
per l’accesso ai farmaci , a sostegno di Li Bassi.
Speranza
deve sapere anche che la sua decisione affossa l’Italia. Non solo per la
incommensurabile fragilità dei processi che il Paese intraprende.
L’interpretazione intorno alla rimozione dopo un anno del direttore generale di
Aifa, fuori dai confini nazionali, sarà intuitiva. Il governo italiano si è
fatto intimidire dall’industria farmaceutica, la quale non è rimasta inerte, a
fronte del risveglio della politica internazionale. Non possiamo
sapere quanto sia verosimile questa supposizione. Di certo sarà univoco il
sentimento generale: se neppure un paese del G7 riesce a tener testa alla lobby
farmaceutica, per provare a ricreare i presupposti essenziali di un mercato
disciplinato, chi altri mai potrà farlo?
Ritorni sui
suoi passi, ministro Speranza. Dopo anni di incrostazioni di potere ad Aifa,
preservi il positivo criterio di discontinuità introdotto da chi l’ha
preceduto, nel segno della competenza e della visione. Faccia restare Luca Li
Bassi alla direzione generale di Aifa, e lo faccia lavorare per i prossimi
anni, come previsto dal suo contratto. Ci lasci una
speranza, per favore!
Le cure per i ricchi e la
politica dei farmaci
10 Dicembre 2019 | Sezione: primo piano, Società
Nel 2018 il budget per la farmaceutica è esploso in molti Paesi, Italia
inclusa, per il costo di salvavita per patologie croniche o malattie rare.
Servono nuove trattative globali con le case produttrici, che l’Aifa aveva
appena intrapreso. E ora?
Sono trascorsi
venti anni esatti da quando a Seattle, alla prima Conferenza Interministeriale
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc), prorompeva sui media del
mondo – grazie alla mobilitazione della società civile – il tema dell’accesso
ai farmaci essenziali, e del pericoloso nuovo regime globale sui brevetti
istituito con l’accordo TRIPS (Trade-Related Aspects of
Intellectual Property Rights), che istituzionalizzava la creazione
di monopoli industriali fra cui, nella fattispecie, quello farmaceutico. Una
questione sconosciuta e spinosissima, allora. Il virus dell’HIV/Aids aveva
attecchito in diverse aree del sud del mondo con le fattezze di una pandemia
inarrestabile, e con livelli di prevalenza semplicemente spaventosi soprattutto
in Africa sub-sahariana, in Paesi da poco pacificati come il Sudafrica e il
Mozambico. Gli unici farmaci a disposizione per curare i pazienti, gli
antiretrovirali sviluppati e prodotti nel Nord industrializzato, avevano un
prezzo talmente inafferrabile che il 95% dei malati non riuscivano a
procurarseli. I governi a basso reddito non potevano in alcun modo comprare
quei farmaci di lusso. Così le morti si sprecavano, anzi si sprecavano le vite,
in nome del profitto di Big pharma. Mai
prima era accaduto, nella storia della medicina, che una terapia salvavita
fosse così inavvicinabile e distante dai malati che maggiormente ne avevano
bisogno. Intorno a questa impietosa omissione di soccorso, una delle pagine più
ruvide della globalizzazione, si attivò una campagna globale di esperti e
organizzazioni, medici e pazienti, che da allora prosegue senza soluzione di
continuità.
E in
effetti, dopo due decenni, l’accesso ai farmaci essenziali non solo non è
risolto per i Paesi impoveriti, ma ora agguanta come un virus anche il mondo
occidentale. Non è un ironico rigurgito della storia, semmai una profezia
largamente anticipata da molti esperti sul tema, che si è fatta incalzante
realtà: da qualche tempo, le nuove classi di farmaci che la ricerca genetica
sviluppa con grande impulso innovativo – 46 nuovi prodotti sono stati lanciati
solo negli ultimi cinque anni – impongono ai Paesi ricchi di affrontare
ostacoli insormontabili per i bilanci sanitari, se vogliono garantire ai loro
cittadini nuove cure essenziali. Il primo assaggio del nuovo scenario si è
presentato con i farmaci antitumorali di ultima generazione, ma gli esempi di
medicinali con prezzi fuori controllo sono ormai molteplici.
Ci ha
provato Luca Li Bassi, direttore generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco
(Aifa) approdato in Italia un anno fa dopo una lunga carriera internazionale
come medico ed esperto di management
sanitario, a prendere il toro per le corna. Alla fine del 2018, in accordo con
l’allora ministra Giulia Grillo, il neo direttore generale ha avviato una sorta
di rivoluzione della gestione del rapporto con il mondo farmaceutico prendendo
di mira la fitta coltre di opacità che domina sul ciclo di vita dei medicinali
e che impone ai governi una negoziazione “alla cieca” del prezzo dei farmaci
con le imprese multinazionali. Aifa, come tutte le agenzie nazionali del
farmaco, è l’organismo pubblico responsabile della buona salute della
popolazione; seleziona accuratamente i farmaci che possono entrare nel mercato
in un’ottica di sostenibilità della spesa per i medicinali nell’ambito del
Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
Li Bassi si
è messo al lavoro con i ministeri competenti (Salute e Affari esteri) e
ha scoperto che esistono già direttive europee e risoluzioni internazionali che
impongono la trasparenza su brevetti, studi clinici, prezzo dei farmaci.
Innanzitutto, la Direttiva UE sulla Trasparenza del dicembre 1988 per lo
sviluppo di un mercato competitivo nei paesi dell’Unione. Infine, ultima in
ordine di tempo, la risoluzione del Parlamento Europeo del marzo 2017 per promuovere
l’accesso ai farmaci essenziali. Strumenti approvati e rimasti lettera morta.
Dispositivi da applicare con senso di priorità perché “il muro della
riservatezza non giova alla salute pubblica”, mi dice in un colloquio nel suo
ufficio a settembre.
Ma non basta
farlo in un solo Paese. Così, con intuizione, Li Bassi ha rilanciato con
intelligenza la palla nel campo di gioco a lui più familiare,
all’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), così da far leva anche sui
governi del Sud globale per guadagnare un graduale consenso. La sua demarche sulla trasparenza del prezzo dei farmaci
ha preso di sorpresa un po’ tutti – l’Italia non è in genere una gran
protagonista della salute sul piano internazionale – ma ha innescato un
dirompente effetto domino di dibattiti e iniziative politiche, per approdare
alla risoluzione che il nostro Paese ha lanciato a febbraio e presentato a
maggio 2019 con altri dieci governi alla assemblea dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità (http://apps.who.int/gb/ebwha/pdf_files/WHA72/A72_ACONF2Rev1-en.pdf).
Una “risoluzione storica”, come l’ha definita il direttore generale dell’Oms.
Un game changer, un cambio di gioco che ha stimolato una
nuova consapevolezza politica sul tema della relazione fra governi e settore
farmaceutico; ha alimentato il fuoco di un nuovo dialogo pubblico nei dibattiti
parlamentari di alcuni Paesi europei. Grazie alla risoluzione, il governo del
Sudafrica ha riportato il tema in seno all’Organizzazione Mondiale del
Commercio. Nuovi processi di collaborazione fra governi e agenzie nazionali del
farmaco sono scaturiti in Europa – il
cosiddetto Valletta Group, composto da 9 paesi UE.
Che servisse
una terapia d’urto della politica per riorientare il mercato lo spiegano i
dati: nel 2018, è cresciuto a vista d’occhio (+42%) l’impatto sulla spesa
farmaceutica globale delle terapie contro le malattie croniche complesse. In
Europa la questione era esplosa con una certa durezza per via del farmaco
Sofosbuvir contro l’epatite C, lanciato a dicembre 2013 negli Stati Uniti al
costo di 84 mila dollari, in Italia circa 41 mila euro a trattamento in regime
ospedaliero (74 mila euro per acquisto privato in farmacia), per una terapia di
12 settimane. Di fronte al potenziale collasso per i budget sanitari nazionali,
diversi Paesi della UE in quella occasione avevano fatto a gara tra loro per
spuntare il prezzo migliore per il farmaco con la azienda Gilead Sciences, con
trattative del tutto segretate.
Dal canto
suo, la Norvegia dichiara di essere preoccupata dalla sfida democratica che
l’attuale scenario comporta, e dalle ripercussioni sulla salute delle
popolazioni – nel 2018 il governo norvegese ha dovuto rifiutare il 51% dei
nuovi farmaci sul mercato, a causa di prezzi troppo elevati. Per questo
appoggia la proposta dell’Italia. Basti pensare infine alla terapia che
l’agenzia del farmaco statunitense ha autorizzato a luglio per la vendita negli
USA, e che è stato raccontato come il “medicinale più costoso della storia”. Mi
riferisco a Zolgensma, prodotto da Novartis: la prima terapia genetica che cura
la atrofia muscolare spinale (SMA) nei bambini sotto i due anni, a un prezzo di
2,125 milioni di dollari! Viene da chiedersi: ma a
chi serve un’innovazione che nessuno può permettersi?
Ora, invece
di sostenere e accompagnare questo faticoso ma premiante percorso di cui è
protagonista, l’Italia che fa? Per quella vocazione all’autofagia che
contraddistingue il nostro Paese, nel passaggio dal governo gialloverde al
governo giallorosso l’Italia compromette definitivamente questo straordinario e
innovativo esercizio di leadership, esautorando Luca Li Bassi dal posto di
comando di Aifa. Oggi, 9 dicembre, è il suo ultimo giorno di
lavoro.
Ricopre il
ruolo di ministro della Sanità da poche settimane Roberto Speranza quando, il
24 ottobre, apre un nuovo bando per l’incarico di dirigere Aifa. Spoil system, si dice. Questa almeno la
giustificazione consegnata a Luca Li Bassi. Se così fosse, in una compagine
governativa che ancora comprende il Movimento 5 Stelle, il ministro Speranza
farebbe l’errore clamoroso e imperdonabile di prediligere una figura di forte
obbedienza politica a una persona di forte competenza e credibilità
internazionale, come Li Bassi. Un medico che sa di farmaci, ma ha anche
spiccate doti politiche di mediatore e soprattutto una chiara visione di salute
pubblica. Se il motivo fosse invece legato più a dinamiche di gestione della
agenzia o a scontri interni di potere, come mi è parso di intuire cercando di
interloquire nel frattempo con alcune tra le persone più vicine al ministro,
allora Speranza farebbe un errore, ugualmente clamoroso e imperdonabile. Quello
di non saper gestire la vicenda con la necessaria contezza delle conseguenze geopolitiche
della sua decisione, o con la creatività istituzionale adatta a salvaguardare
la leadership conquistata da Aifa nell’ultimo anno sulla scena internazionale.
Speranza
deve sapere che la sua scelta danneggia pesantemente un ambizioso processo diplomatico
di salute globale. E’ un peccato che non abbia dato ascolto all’appello firmato
dalle principali organizzazioni impegnate nel mondo da anni per l’accesso ai
farmaci , a sostegno di Li Bassi.
Speranza
deve sapere anche che la sua decisione affossa l’Italia. Non solo per la
incommensurabile fragilità dei processi che il Paese intraprende.
L’interpretazione intorno alla rimozione dopo un anno del direttore generale di
Aifa, fuori dai confini nazionali, sarà intuitiva. Il governo italiano si è
fatto intimidire dall’industria farmaceutica, la quale non è rimasta inerte, a
fronte del risveglio della politica internazionale. Non possiamo
sapere quanto sia verosimile questa supposizione. Di certo sarà univoco il
sentimento generale: se neppure un paese del G7 riesce a tener testa alla lobby
farmaceutica, per provare a ricreare i presupposti essenziali di un mercato
disciplinato, chi altri mai potrà farlo?
Ritorni sui
suoi passi, ministro Speranza. Dopo anni di incrostazioni di potere ad Aifa,
preservi il positivo criterio di discontinuità introdotto da chi l’ha
preceduto, nel segno della competenza e della visione. Faccia restare Luca Li
Bassi alla direzione generale di Aifa, e lo faccia lavorare per i prossimi
anni, come previsto dal suo contratto. Ci lasci una
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