Il grado zero della politica - Guido Viale
Le
sardine hanno riunito a Roma almeno 200mila persone richiamate dalla richiesta di abrogare (poi maldestramente
corretto in “rivedere”) il decreto Salvini; dall’invito a
contrastare i linguaggi d’odio (che dominano non tanto il confronto tra
avversari politici, quanto l’aggressione sistematica contro migranti,
minoranze, donne, difensori della vita e persino della memoria); e dall’appello
a restituire vigore all’antifascismo. La gestione del palco di piazza San Giovanni ha rispettato pienamente
questo copione, con particolare attenzione ai migranti. Sono temi
più volte ribaditi, con diverse accentuazioni, da tutte le forze di sinistra.
Perché queste non riescono più a mobilitare nemmeno i loro sostenitori
dichiarati e alle sardine invece riesce tutto così bene? Siamo nel campo delle
supposizioni. Nessuno, nemmeno chi ha chiamato a raccolta le sardine, ha una
risposta sicura. Quelle che si possono avanzare sono riconducibili a due ordini
di considerazioni:
Primo: totale sfiducia nelle organizzazioni della
sinistra da parte delle figure sociali a cui queste fanno riferimento e dei cui
interessi si considerano rappresentanti, almeno in forma virtuale. Continuare
a chiedersi se le sardine sono o no “di sinistra” non aiuta certo a recuperare
questo rapporto. Dare per scontato che lo siano, ancor meno. Soprattutto da
quando definire che cosa sia di sinistra e che cosa no è diventato difficile.
Forse proprio la sicumera del considerarsi “di sinistra” crea i maggiori
problemi.
Secondo: l’inconsistenza, e forse l’impraticabilità,
al di là dei tre punti indicati, della proposta “politica” delle sardine. Fare
le pulci al loro primo manifesto, e ancor più al secondo, è un gioco facile
quanto sterile, perché probabilmente è proprio quel vuoto ciò che ha funzionato
maggiormente da richiamo: alla faccia di coloro che subordinano il sostegno
alle sardine al fatto che gli venga servito un piatto (di centinaia di migliaia
di persone) già bell’e confezionato come lo vorrebbero loro… O di coloro che
sanno già che cosa le sardine devono fare per strutturarsi o quali punti
ineludibili devono mettere nel loro programma. Quel loro exploit ci dice che siamo al grado zero della politica.
Se però
alziamo lo sguardo dalla loro vicenda per rivolgerlo al contesto mondiale si
vede subito che questa non è una peculiarità di casa nostra: la crisi climatica e ambientale sta azzerando
tutto ciò a cui i politici di tutto il pianeta hanno appeso i loro programmi,
le loro manovre, le loro carriere. Non se ne sono ancora accorti,
ma se ne accorgeranno presto: anche loro stanno per scoprirsi tutti al grado
zero della politica: come le sardine. Gianfranco Mascia, su Il
fatto quotidiano, raccomanda alle sardine di aggiungere al loro programma
la crisi climatica (non ne hanno nemmeno fatto cenno). Ma per loro, come per
tutto il resto del mondo, il problema non è “aggiungere”. Chi ha colto le dimensioni e l’urgenza della
crisi di clima e ambientale sa che bisogna ricominciare da capo. Certo,
reddito, occupazione, migrazioni, casa, istruzione, salute e quant’altro non
devono assolutamente scomparire dall’orizzonte, anche se di fatto, tranne, in
negativo, le migrazioni, sono già sostanzialmente scomparse. Per ricomparirvi
in modo costruttivo occorre che venga messa al centro di tutto la mobilitazione
per la difesa di clima e ambiente, come condizione ineludibile del
perseguimento di ogni altro obiettivo: cosa che non compare nei programmi, e
meno che mai nelle scelte e nella pratica quotidiana di alcuna forza
politica.
Lo hanno capito, in tutto il mondo, i giovani
di Fridays for future e pochi altri (non
certo tutta “la Scienza” a cui si appella Greta Thunberg, in gran parte
venduta; ma solo i pochi scienziati che si occupano seriamente del clima). Ma
anche loro stentano, per ora, a tradurre questa comprensione in iniziative che
non siano la mera sollecitazione ad “agire subito” rivolta agli establishment. Cosa evidentemente insufficiente vista
la levatura di cui tutti i Governi del mondo hanno dato prova al summit di
Madrid, logica conclusione di 25 anni di inerzia e ipocrisie pressoché totali. La
cultura della competizione universale a cui sono tutti affiliati, fa di ogni
governante un free rider, che aspetta che ad agire siano gli altri
per trarne un proprio vantaggio: per il tempo che basta per confermarlo nel suo
ruolo e nei suoi privilegi. Senza cultura della solidarietà no se ne esce.
Lo ha capito, forse ancor meglio, il movimento Nonunadimeno che
nella denuncia e nella lotta contro i mille aspetti in cui si manifesta il
dominio patriarcale sul mondo ha individuato il filo conduttore di un
rovesciamento radicale del nostro rapporto con la Terra: quel
rapporto che mette in evidenza il nesso inestricabile tra capitalismo ed
estrattivismo. Un tema peraltro ben chiaro anche al capo della più patriarcale
e maschilista organizzazione del pianeta, papa Francesco: tre fonti a cui le
sardine potrebbero attingere, non programmi e proposte politiche immediate, ma
cultura e visione.
Le
Sardine si sono ''contate'' a Roma ma non hanno riempito il mare - Stefano Bertoldi
A Roma
il Movimento delle Sardine, circa trentamila, è stato pacifico, silenzioso,
praticamente senza striscioni, niente megafoni o casse acustiche assordanti a
parte quelle allestite su un piccolo palco trasportato da un camion dal quale
Mattia Santori, dopo aver cercato invano l'applauso di sardine reatine o
viterbesi, ha ringraziato Romano Prodi per aver pagato il noleggio del mezzo.
Poi lo stesso Santori, ha un po' voluto testare l'energia populista della folla
e al suo unico ma deciso grido di incitamento della folla questa ha risposto ma
''weltronianamente'' (ovvero pacatamente!) forse per non confondersi troppo con
le folle dei ''vaffa-day'' o quelle molto più grezze e ignoranti dei salviniani
o semplicemente a causa dell'età media delle corde vocali un po' in là con gli
anni, a occhio, intorno ai 50 anni. Del
resto la cosiddetta anti-politica, ormai confusa con l'anti-partitismo non
poteva che essere la cifra di un movimento molto poco integrato nel tessuto
sociale ma semplicemente ''trasversale'' ad esso, alle sue associazioni,
partiti, gruppi, ecc. e che anzi propone proprio un distacco totale dalla
forma-partito attuale. Non si è sentita o letta nessuna critica al cuore del
sistema culturale ed economico attuale, né tanto meno al nostro modello
neo-liberista e capitalistico con il paradosso di ritrovarsi in una piazza che
per una sua porzione sgombera e recintata ha visto fluire indisturbato il fiume
dei turisti in una basilica di San Giovanni protetta dalle forze di polizia a
riprova che the show must go on nella città-simbolo della gentrificazione in
atto da anni in tutti i nostri pittoreschi centri storici. In piazza, tra una chiacchiera e l'altra, si
è sentito solo l'auspicio impellente che nei palazzi della politica si lavori
secondo le regole del rispetto della persona, con la dovuta attenzione per chi
sta indietro o è più debole e indifeso e soprattutto in modo silenzioso.
Dalle interviste effettuate, però, verrebbe da dire che l'idea inconfessabile
sottostante è che il lavoro ''sporco'', imbarazzante ma che molte sardine
considerano appunto necessario, va fatto con garbo, con un'estetica
della comunicazione che non urti le sensibilità radical-chic o di quel popolo
orfano delle cinque stelle cui le ''il rispetto delle regole'' piace così
tanto. Si sono visti, quindi, tanti capannelli di amici, alcuni con figli
muniti di sardine di cartone, molti anziani, tante singole persone, parti del
cosiddetto “popolo”, richiamato dallo slogan tanto affascinante quanto poco
rivoluzionario ''basta con la politica dell'odio, della divisione, strillata
violentemente'': chi l'ha lanciato questo slogan? Al momento si può solo dire
che nasce dall'iniziativa di qualche gruppo di giovani bolognesi, tutti bravi
ragazzi, tutti più o meno precari, aiutati anche finanziariamente da Romano
Prodi allarmato dal rischio di perdere l'ultimo feudo in mano al PD prima della
paventata capitolazione alla destra salviniana. Dopo la conferma degli ultimi
sondaggi della disintegrazione del Movimento 5 Stelle e il conseguente ritorno
in casa PD di un suo pezzo e dall'altro la fuoriuscita verso la sua componente
fascistoide, l'Emilia Romagna deciderà la sorti dei prossimi 5 anni
dell'Italia. Da qui la necessità, per il popolo moderato ex o attuale filo-PD,
di contarsi attraverso Facebook, Twitter, ecc.ecc. e in modo più tradizionale
anche riversandosi nelle piazze. Quello che il popolo delle sardine vuole
deliberatamente rimuovere è che oggi la sinistra cui fa riferimento esplicito è di fatto al potere
e nulla sta facendo per rimuovere le leggi sulla sicurezza che peraltro lei ha
introdotto per decreto con Minniti o per aprire i porti a dei veri canali
umanitari, dopo aver pagato nel 2017 i trafficanti di uomini, la cosiddetta
Guardia costiera libica per trattenere e riportare indietro i migranti nei loro
lager secondo lo slogan ''aiutiamoli a casa loro''. Il codice di condotta
promosso con Minniti in base al quale 'i ''taxi del mare'' secondo la definizione dell'attuale partner
di governo, potevano operare a non meno di 20 miglia dalla costa è stato
rinnovato, così come come i finanziamenti alle milizie armate e le situazioni
di stand-by intimate alle ONG in mar libico si moltiplicano al fine di far lavorare
in pace i poliziotti libici lontano da occhi indiscreti. Le contraddizioni e
purtroppo anche i luoghi comuni di stampo populista emergono chiaramente da tutte le interviste
effettuate: dai decreti sicurezza che sarebbero stati introdotti da Salvini,
alla precarizzazione ulteriore del lavoro del Job's act considerata
''necessaria'' così come le norme per
regolamentare i flussi migratori o meglio per evitare l'invasione. Il
popolo delle Sardine non vuole ammettere insomma che quella sinistra cui si fa
riferimento è la stessa al governo ed è quella che negli ultimi anni si è
distinta per fare lo stesso lavoro sporco per abbattere diritti acquisiti,
limitare il diritto di sciopero e di protesta, nel massacrare le popolazioni in
fuga, nel vendere armi alla Turchia o all'Arabia Saudita, nel difendere la
proprietà privata anche quella abbandonata da anni e divenuta rifugio
indispensabile per gruppi crescenti di poveri.
Il popolo delle Sardine, dunque, si definisce di ''sinistra'' ma messo
di fronte a queste contraddizioni tiene a precisare che quella dei decreti
sicurezza e del codice di condotta delle ONG in mare, del Job's act e degli
sgomberi non era ''vera'' sinistra o al
limite si è trattato di una sinistra messa alle strette da fatti epocali più grandi di lei cui andava data una qualche
forma di regolamentazione. Il palco di San Giovanni, quindi, ha puntato su
alcuni cavalli di battaglia come la parità di genere, i diritti LGBT e dei
migranti, dimenticando che lo ius soli o i matrimoni gay non si sono
voluti introdurre. In modo altrettanto coerente ma tendenzioso ad intervenire a
nome delle ONG impegnate in mare è stata Giorgia Linardi di Sea Watch resasi
protagonista del braccio di ferro con Salvini a Lampedusa ma non, per esempio,
SOS MEDITERRANEE che ha dovuto sottostare ai codici di condotta, ai primi
stand-by in mare e poi ai sequestri e alle denunce per ''traffico
internazionale di esseri umani'' o per l'altrettanto fantasiosa accusa di
''smaltimento illecito di rifiuti tossici'' sotto il governo della cosiddetta
''sinistra'' attualmente, non si sa per quanto, al governo.
Lettera aperta alle Sardine - Andrea
Segre
Non è l’accoglienza la risposta all’odio. Le piazze piene di persone che si riuniscono per difendere i diritti e
contrastare l’odio sono un segnale nuovo e importante, non c’è alcun
dubbio. Credo sia però importante in questo momento portare in quelle piazze
contenuti e proposte perché tutto ciò provi a diventare anche un laboratorio di
rinnovamento politico. In questa chiave ho deciso di scrivere questa lettera
aperta.
Il tema migrazioni è senza dubbio il perno di
quanto sta accadendo dentro e fuori queste piazze. La
deriva autoritaria e xenofoba della Lega di Salvini è la preoccupazione che ha
portato migliaia di cittadini a riempire le piazze di Sardine. Questa deriva fa
spavento e inquieta, perché risveglia istinti pericolosi che minano alla base
lo stato di diritto costruito a fatica dal dopo guerra in poi. Ma credo sia un
errore assai grave non capire quali condizioni reali, materiali abbiano in
questi anni aiutato una crescita così impetuosa del consenso a Salvini; non
possiamo imputare la sua crescita solo a ignoranze o semplificazioni, sarebbe
miope e anche offensivo. Ovviamente i ragionamenti a questo proposito possono
essere tanti, ma credo ce ne sia uno basilare più importante di altri.
Per proporlo parto da una provocazione. Io credo che la crescita di
Salvini sia stata fortemente aiutata negli ultimi anni dalle politiche di
accoglienza. Credo infatti che queste politiche abbiano distratto troppa parte
della società civile antirazzista dalla capacità di individuare le
responsabilità più profonde delle ingiustizie che vivono i migranti forzati
(viaggiatori non autorizzati, preferisco definirli). Ci siamo divisi tra chi li vuole accogliere e
chi li vuole respingere, tra chi li vuole salvare e chi li vuole
abbandonare (o peggio). Questa divisione ci ha portati a credere che il nemico
dei diritti sia chi vuole respingere e il paladino della civiltà sia chi vuole
accogliere. Abbiamo alzato lo scontro, portando corpi a salvare corpi e
sfidando fisicamente le chiusure dei porti. Ma facendo questo ci siamo
profondamente distratti e soprattutto abbiamo portato tanta parte della
cittadinanza a cercare in questo scontro un leader pronto a innalzarlo fino
alle massime conseguenze, ossia l’attacco alle basi costituzionali della
convivenza civile. Tutto questo va
fermato, non solo contrastando il leader di quella deriva, ma anche avendo il
coraggio di dire che non è l’accoglienza l’alternativa all’odio.
L’accoglienza, come il salvataggio, come
l’aiuto umanitario hanno schiacciato i migranti al ruolo di vittime passive e
tantissimi di loro sono stati abbandonati in luoghi inutili e impreparati
diventando simboli materiali utili al consenso salviniano: “li vedi gli africani che ciondolano in giro senza far niente? Quelli
li paghiamo noi”. Questa la base del consenso salviniano. Città per città,
quartiere per quartiere. Da Nord a Sud, in tantissimo Sud. Abbiamo il coraggio
di dirlo: sì è vero, molti ragazzi africani sono stati abbandonati a non far
nulla. Perché l’errore è stato “accoglierli”, ridurli a soggetti beneficiari di
progetti che non volevano e non chiedevano. Per poi ovviamente abbandonarli,
lasciarli vagare ancora di più nei meandri fangosi dell’economia nera e
illegale.
Questa storia deve cambiare, se no Salvini o chi per lui sarà
inarrestabile. Deve cambiare a mio avviso facendo tre cose:
– Aprendo vie regolari di
viaggio a chi cerca lavoro, studio, dignità ed è disposto a farlo
in modo controllato, come è normale per tutti noi migranti liberi (viaggiatori
autorizzati).
– Finanziando politiche di
integrazione e welfare sociale, economico e culturale che difendano
diritti di cittadini e lavoratori di qualsiasi provenienza etnica (italiani
inclusi).
– Garantendo accoglienza
seria e professionale a chi davvero ne ha bisogno, e non obbligando tutti a
chiederla, anche se non vorrebbero.
Questa direzione sarebbe una novità radicale, contraria tanto a Salvini
quanto alla stragrande maggioranza delle forze di governo europee, più o meno
democratiche e anti-sovraniste, che continuano a sostenere politiche di
chiusura e discriminazione del diritto
di mobilità, concedendo piccoli e farraginosi pertugi al diritto
d’asilo, applicato per spirito umanitario, ma con grande timore.
Contrastare l’odio della Lega e dei suoi
alleati è insufficiente se non immaginiamo anche una svolta vera e profonda
delle politiche migratorie; altrimenti ci troveremo
ancora per decenni a contare barche e cadaveri e a dare loro il macabro peso
elettorale che hanno tanto a destra quanto a sinistra.
Mi auguro che il Movimento delle Sardine abbia
la voglia di liberare idee e proposte per uscire dall’inutile dicotomia tra
“accoglienza” e “respingimento” e per
invitare i cittadini a immaginare un mondo più libero e giusto dove tutti i
soggetti stranieri o autoctoni abbiano diritti e doveri comuni e condivisibili.
Per questo invito concretamente le Sardine a partecipare al laboratorio
del Forum Per cambiare l’ordine
delle cose, un coordinamento libero e plurale di tante realtà
territoriali che si stanno chiedendo come far crescere proposte concrete di
radicale cambiamento delle politiche migratorie europee, fin qui causa di tante
violenze e violazioni, ed anche in fondo vero sostegno all’affermarsi dell’odio
della Lega e degli altri sovranismi xenofobi.
(La lettera aperta è stata pubblicata l’8 dicembre
2019 su L’Espresso)
Le sardine, la legge del branco e la fine del tonno
– Andrea Le Moli
Aristotele ci aveva già
avvertito e la biologia marina contemporanea lo ha precisato: il mare è
popolato di oloturie, organismi detritivori importanti perché ripuliscono i
fondali dei mari, rimettono in circolo sostanze nutritive e aiutano a mantenere
in equilibrio l'ecosistema. Ma sono meglio le sardine, purché non facciano la
fine del tonno.
Recenti sviluppi nell’uso
della comunicazione pubblica fanno pensare che più che il cielo sia il mare il
vero limite dell’immaginario umano. Almeno se ha un senso la scelta della sardina come
espressione di una “legge del banco” opposta a quella del “branco”
(intelligenza distribuita versus coesione regolata da rapporti
di forza e leadership incondizionata); come lo aveva
l’immagine di un parlamento “scatoletta di tonno” da sventrare o quella della
“minchia marina” (oloturia) a simbolo dell’ottusità di chi
rifugge dall’azione civile libera e responsabile.
Sul potenziale delle minchie
marine/oloturie e sulla conseguente efficacia di questa metafora ci sarebbe da
discutere. Di questi fondamentali organismi di transizione tra mondo vegetale e
mondo animale parla già Aristotele (Hist. An. 487 b; De part.
an. 681 a) per spiegare come la natura passi senza soluzioni di
continuità dalle cose inanimate agli animali per il tramite di esseri che, pur
essendo viventi, non sono tuttavia “semplicemente” animali. Aggiungendo che
questi miracoli organici sono come quelle piante terrestri "dotate della
capacità di vivere e di crescere ora su altre piante, ora persino
sradicate". Anche per la biologia marina contemporanea le oloturie sono
organismi detritivori importantissimi perché ripuliscono i fondali dei mari,
rimettono in circolo sostanze nutritive e aiutano a mantenere in equilibrio
l'ecosistema. Per tacer del fatto che possiedono incredibili capacità
rigenerative e risultano capaci di vivere a profondità inaspettate, costituendo
quasi il 90% delle forme viventi sotto gli 8.000 metri di profondità. Dunque
attenzione, nel mare e nel linguaggio, alle oloturie. Che continuano a vivere
quando e dove meno ce lo aspettiamo, che se proviamo a toccarle ci bruciano e
che, a differenza nostra, non hanno sempre il problema di decidere da che parte
stare.
Il “banco di sardine” appare
invece immagine più promettente, perché cifra di una resistenza prodotta dalla
capacità dei piccoli di organizzare la propria debolezza, di far fronte
circondando il predatore, sempre pronti a disperdersi per non offrire un
bersaglio. Una sorta di riscatto degli individui polverizzati dal contesto
socio-politico globale che scoprono di poter sfruttare la polverizzazione come
arma; e dunque immagine di una organizzazione spontanea alternativa ai modelli
distorti di leadership incondizionata. Oltre alla riprova del
fatto che sempre più spesso, nell’azione politica, è necessario metterci i
corpi, e non solo la faccia. Questo, ovviamente, posto che non si
tratti dell’ennesima architettonica del consenso travestita da spontaneismo e
veicolata da mezzi solo apparentemente universalisti e democratici come i social
network.
In ogni caso, quanto questa
strategia possa funzionare in politica è sempre stata questione aperta, campo
di predizioni facili ma scivolose in quell’acquapark collettivo che
è diventata la comunicazione pubblica. Dall’Uomo Qualunque di Giannini,
passando attraverso Girotondi e Popolo Viola, la storia del movimentismo
italiano è fatta di esperienze destinate a naufragare nell’assenza di
progettualità a lungo termine e capacità politica. Buon gioco sembrerebbe avere
allora la corsa alla predizione disfattista. Mentre un’attenzione forse troppo
benevola per esser sincera viene concessa da forze politiche in attesa di accreditamento
elettorale. Il tutto a legittimar l’impressione che si sia ufficialmente aperta
la stagione della pesca. Aggiungeteci che il candidato alla poltrona di
governatore della Calabria per il centrosinistra potrebbe essere un pregiato
inscatolatore professionista di tonno e il cerchio, davvero, si chiude.
Ma forse si era già aperto un
po’ chiuso, l’ultimo cerchio di quella balza da purgatorio che è la politica di
casa nostra. Come non notare infatti il paradosso di un movimento che si
dichiara antipopulista, ossia contrario proprio a
quell’espressione di antipolitica che è stato il populismo
italiano, dai Cinquestelle fino alla svolta nazional-balneare della Lega? Se
poi, oltre a contemplare la disfida dei simboli, ci imbarchiamo nel contest dei
contenuti l’impressione non cambia. Nel manifesto delle sardine di contenuti
infatti non ce n’è. La cosa migliore che se ne possa dire è che è pieno di
buoni sentimenti, i quali però non fanno piattaforma politica.
Purtuttavia, se le sardine non
sembrano aver molto da dire nel merito tantissimo ne hanno nel metodo.
Perché la loro è anzitutto rivoluzione metodologica, riforma dello stile
comunicativo dominante e scossone dato all’idea che l’unica maniera efficace di
compattare il consenso sia la ricerca della bolgia, dell’ordalìa, della
tonnara. Che in fondo, come pensano in molti, non si tratti che di rincorrere,
imitare e magari un giorno primeggiare nell’uso sapiente e spregiudicato della
Bestia. Non gli dobbiamo chiedere di più, alle sardine. Certo possiamo aspettare
il risultato delle elezioni in Emilia, fra due mesi. Se si registrasse un
successo schiacciante del fronte anti-Lega o un incremento dei votanti tra i
giovani e giovanissimi prenderebbe forza la tesi di un’influenza in positivo
della protesta; il capitone (again, il mare) prenderebbe qualche pesce
in faccia (la mer, encore) e avrebbe senso insistere su questa strada.
Ma se quanti oggi accorrono festosi in piazza dovessero dimenticarsi di andare
a votare domani racconteremmo un’altra storia. E magari le sardine si
troverebbero di fronte all’accusa di aver contribuito al successo altrui, in
quanto la strategia di un’opposizione di piazza rivolta ad una forza
all’opposizione avrebbe avuto l’effetto di presentare quest’ultima come
vittima, o come talmente forte da essere inevitabilmente destinata al governo.
Tuttavia, se anche grazie a
questo piccolo gesto dovesse prodursi un aumento di sensibilità politica,
magari un inizio di quella trasformazione dello stile comunicativo che non
possiamo non auspicare, si porrebbe la questione se lasciare questa forza
ridisperdersi senza un progetto o, peggio, vederla procedere verso lo
schieramento di reti in attesa. Diverso sarebbe se ci fosse un ecosistema
disposto ad accogliere l’impatto con il banco di sardine equilibrandosi sin da
subito in una intelligenza collettiva in grado di declinarne la spinta in un
progetto di vita associata, e non semplicemente in una “pesca” elettorale. Non
so quanti di coloro che ancora si chiamano a sinistra abbiano le risorse per
entrare in questa logica. O se invece preferiscano continuare a farsi
trasportare dalle maree giocando a mozzicarsi reciprocamente. In questo
destinati, prima o poi, a fare “la fine del tonno”, che poi è davvero il pesce
a cui finisce sempre peggio, nel mare e nel linguaggio.
Lettera
aperta alle sardine - Paolo Flores d’Arcais
Cari Andrea Garreffa, Roberto Morotti, Mattia Santori e Giulia Trappoloni (rigorosamente in ordine alfabetico), spero con tutto il cuore che la manifestazione di sabato a piazza San Giovanni a Roma risulti GIGANTESCA. Più gigantesca ancora di quella dei Girotondi del 14 settembre 2002, quando i cittadini di quella “Festa di protesta” nella stessa piazza erano davvero stipati come sardine e debordavano per duecento metri su via Merulana, per metà di via Carlo Felice che dalla piazza conduce a Santa Croce in Gerusalemme, e dietro le mura in tutta la zona della sottostante via Sannio.
Spero in un successo che vada oltre le più esuberanti speranze perché c’è bisogno che la società civile democratica, quella che vuole realizzare la Costituzione repubblicana, ritrovi la fiducia e l’entusiasmo della lotta e non si rassegni più a coltivare l’ideale della “Costituzione presa sul serio” solo in interiore homine, e nella rassegnazione di troppi anni all’egemonia vuoi di una destra becera ed eversiva, vuoi di un Pd impaniato nella sudditanza all’establishment, vuoi di un M5S che alle originarie ambiguità e contraddizioni ha aggiunto il carico suicida del tradimento delle promesse elettorali nell’accucciarsi a Salvini (governo Conte 1), non riscattato dagli ondeggiamenti e avvitamenti degli ultimi mesi.
Voi avete il merito di aver osato, con la semplicità di chi ricorda che un programma che unisca gli italiani e restituisca dignità alla politica c’è già, si chiama Costituzione, e bisogna farne la stella polare di ogni azione pubblica. Che solo i valori della Costituzione danno significato all’Italia come Patria, perché solo l’interiorizzazione di quei valori ci rende con-cittadini di una democrazia ancora vitale. Interiorizzazione che significa azione coerente per realizzare quei valori quotidianamente: Calamandrei, uno dei protagonisti dell’Assemblea Costituente, proprio in un discorso ai giovani agli inizi degli anni cinquanta ricordava come senza questa azione quotidiana la Costituzione diventasse lettera morta.
Infine spero che il successo della manifestazione di sabato sia ancora più gigantesco di quello dei Girotondi, perché voi avete deciso di riunirvi il giorno dopo per decidere come continuare. Come dare futuro organizzato all’esplosione di passione civile e fedeltà alla Costituzione repubblicana di queste settimane. COME non SE. Avete già deciso, insomma, di non ripetere l’errore di noi Girotondi, che non dotandoci di strutture organizzative, nell’illusione che i partiti avrebbero ascoltato il messaggio della piazza e si sarebbero rinnovati radicalmente e di conseguenza, siamo rimasti solo un falò, per quanto ciclopico ed entusiasmante, che non ha invertito la deriva partitocratica e le ulteriori degenerazioni di imbarbarimento.
Spero che un gigantesco successo vi offra la chance irripetibile di una gigantesca responsabilità: non lasciar dissipare le splendide energie di democrazia che avete evocato e catalizzato. Perché dirsi il “partito” della Costituzione è quanto di più esigente e radicale si possa affermare, e ritrovarsi con centinaia di migliaia di italiani che partecipando alle manifestazioni dichiarano di volerne fare parte vi obbliga moralmente ad elaborare insieme a loro l’articolazione di questa fedeltà alla Costituzione solennemente sbandierata. Una Costituzione che assumete come vostra identità proprio in quanto denunciate che resta a tutt’oggi disattesa, e spesso anzi lungo oltre settant’anni volutamente tradita dai governi.
C’è stato un momento, dopo il Sessantotto e sulla sua onda, che alcuni principi della Costituzione trovarono applicazione nelle leggi ordinarie. Una su tutte, lo Statuto dei lavoratori, che dava sostanza al primo articolo della Costituzione. O la legge che istituì il divorzio e poi il diritto della donna a decidere se interrompere la sua gravidanza.
Ma da almeno un quarto di secolo viviamo invece nella REAZIONE contro quelle conquiste, quelle prime parziali attuazioni dei valori costituzionali. Lo Statuto dei lavoratori è stato calpestato, cancellato, considerato un “male sociale” anziché una irrinunciabile conquista. Nella scuola e nell’università il linguaggio e troppi meccanismi sono ormai quelli dell’imprenditoria anziché della scuola egualitaria repubblicana delineata dalla Carta. E la Costituzione è stata addirittura sfigurata, inserendovi il diktat liberista del pareggio di bilancio.
Perciò, per non far disperdere e dissipare le energie che avete suscitato dovrete saper tradurre e articolare la fedeltà alla Costituzione in movimenti e obiettivi di lotta. La Costituzione, per essere una bussola, implica saper proporre le leggi per attuarla, nel campo del lavoro, in quello della giustizia eguale per tutti (dove identiche siano garanzie e severità per l’ultimo degli emarginati e il primo dei potenti, il che da decenni viene dell’establishment bollato come “giustizialismo”), in un rilancio del Welfare (quale eguaglianza vi sarà mai tra donne e uomini se gli asili nido gratuiti non sono una ovvia normalità?), in una informazione sottratta tanto alla lottizzazione quanto al potere del denaro, in un ritorno alla sanità pubblica ogni giorno invece impoverita, in una laicità mai realizzata, e via articolando.
Senza di che il richiamo alla Costituzione rischia di diventare rituale, quell’omaggio che non costa nulla e non impegna a nulla.
E non potrete neppure eludere il problema cruciale e spinosissimo del “con chi” realizzare questo programma di lotte e di obiettivi. Per fare in modo che tutti i cittadini scesi in piazza possano essere con voi protagonisti, e non solo “mobilitati” una tantum, del movimento che nasce.
Io spero che non avrete paura di affrontare tutte queste gravosissime responsabilità, perché senza affrontarle le meravigliose energie di queste settimane si spegnerebbero in nuova apatia. Del resto in questo compito enorme non sarete soli, tutti i manifestanti di sabato saranno con voi, pronti a condividerle. Avanti, Sardine!da qui
Cari Andrea Garreffa, Roberto Morotti, Mattia Santori e Giulia Trappoloni (rigorosamente in ordine alfabetico), spero con tutto il cuore che la manifestazione di sabato a piazza San Giovanni a Roma risulti GIGANTESCA. Più gigantesca ancora di quella dei Girotondi del 14 settembre 2002, quando i cittadini di quella “Festa di protesta” nella stessa piazza erano davvero stipati come sardine e debordavano per duecento metri su via Merulana, per metà di via Carlo Felice che dalla piazza conduce a Santa Croce in Gerusalemme, e dietro le mura in tutta la zona della sottostante via Sannio.
Spero in un successo che vada oltre le più esuberanti speranze perché c’è bisogno che la società civile democratica, quella che vuole realizzare la Costituzione repubblicana, ritrovi la fiducia e l’entusiasmo della lotta e non si rassegni più a coltivare l’ideale della “Costituzione presa sul serio” solo in interiore homine, e nella rassegnazione di troppi anni all’egemonia vuoi di una destra becera ed eversiva, vuoi di un Pd impaniato nella sudditanza all’establishment, vuoi di un M5S che alle originarie ambiguità e contraddizioni ha aggiunto il carico suicida del tradimento delle promesse elettorali nell’accucciarsi a Salvini (governo Conte 1), non riscattato dagli ondeggiamenti e avvitamenti degli ultimi mesi.
Voi avete il merito di aver osato, con la semplicità di chi ricorda che un programma che unisca gli italiani e restituisca dignità alla politica c’è già, si chiama Costituzione, e bisogna farne la stella polare di ogni azione pubblica. Che solo i valori della Costituzione danno significato all’Italia come Patria, perché solo l’interiorizzazione di quei valori ci rende con-cittadini di una democrazia ancora vitale. Interiorizzazione che significa azione coerente per realizzare quei valori quotidianamente: Calamandrei, uno dei protagonisti dell’Assemblea Costituente, proprio in un discorso ai giovani agli inizi degli anni cinquanta ricordava come senza questa azione quotidiana la Costituzione diventasse lettera morta.
Infine spero che il successo della manifestazione di sabato sia ancora più gigantesco di quello dei Girotondi, perché voi avete deciso di riunirvi il giorno dopo per decidere come continuare. Come dare futuro organizzato all’esplosione di passione civile e fedeltà alla Costituzione repubblicana di queste settimane. COME non SE. Avete già deciso, insomma, di non ripetere l’errore di noi Girotondi, che non dotandoci di strutture organizzative, nell’illusione che i partiti avrebbero ascoltato il messaggio della piazza e si sarebbero rinnovati radicalmente e di conseguenza, siamo rimasti solo un falò, per quanto ciclopico ed entusiasmante, che non ha invertito la deriva partitocratica e le ulteriori degenerazioni di imbarbarimento.
Spero che un gigantesco successo vi offra la chance irripetibile di una gigantesca responsabilità: non lasciar dissipare le splendide energie di democrazia che avete evocato e catalizzato. Perché dirsi il “partito” della Costituzione è quanto di più esigente e radicale si possa affermare, e ritrovarsi con centinaia di migliaia di italiani che partecipando alle manifestazioni dichiarano di volerne fare parte vi obbliga moralmente ad elaborare insieme a loro l’articolazione di questa fedeltà alla Costituzione solennemente sbandierata. Una Costituzione che assumete come vostra identità proprio in quanto denunciate che resta a tutt’oggi disattesa, e spesso anzi lungo oltre settant’anni volutamente tradita dai governi.
C’è stato un momento, dopo il Sessantotto e sulla sua onda, che alcuni principi della Costituzione trovarono applicazione nelle leggi ordinarie. Una su tutte, lo Statuto dei lavoratori, che dava sostanza al primo articolo della Costituzione. O la legge che istituì il divorzio e poi il diritto della donna a decidere se interrompere la sua gravidanza.
Ma da almeno un quarto di secolo viviamo invece nella REAZIONE contro quelle conquiste, quelle prime parziali attuazioni dei valori costituzionali. Lo Statuto dei lavoratori è stato calpestato, cancellato, considerato un “male sociale” anziché una irrinunciabile conquista. Nella scuola e nell’università il linguaggio e troppi meccanismi sono ormai quelli dell’imprenditoria anziché della scuola egualitaria repubblicana delineata dalla Carta. E la Costituzione è stata addirittura sfigurata, inserendovi il diktat liberista del pareggio di bilancio.
Perciò, per non far disperdere e dissipare le energie che avete suscitato dovrete saper tradurre e articolare la fedeltà alla Costituzione in movimenti e obiettivi di lotta. La Costituzione, per essere una bussola, implica saper proporre le leggi per attuarla, nel campo del lavoro, in quello della giustizia eguale per tutti (dove identiche siano garanzie e severità per l’ultimo degli emarginati e il primo dei potenti, il che da decenni viene dell’establishment bollato come “giustizialismo”), in un rilancio del Welfare (quale eguaglianza vi sarà mai tra donne e uomini se gli asili nido gratuiti non sono una ovvia normalità?), in una informazione sottratta tanto alla lottizzazione quanto al potere del denaro, in un ritorno alla sanità pubblica ogni giorno invece impoverita, in una laicità mai realizzata, e via articolando.
Senza di che il richiamo alla Costituzione rischia di diventare rituale, quell’omaggio che non costa nulla e non impegna a nulla.
E non potrete neppure eludere il problema cruciale e spinosissimo del “con chi” realizzare questo programma di lotte e di obiettivi. Per fare in modo che tutti i cittadini scesi in piazza possano essere con voi protagonisti, e non solo “mobilitati” una tantum, del movimento che nasce.
Io spero che non avrete paura di affrontare tutte queste gravosissime responsabilità, perché senza affrontarle le meravigliose energie di queste settimane si spegnerebbero in nuova apatia. Del resto in questo compito enorme non sarete soli, tutti i manifestanti di sabato saranno con voi, pronti a condividerle. Avanti, Sardine!da qui
Metafore
– Erri de Luca
Di sera accendo il fuoco nel camino, uno dei gesti più antichi della
specie umana. Irradia luce, scalda, non ha corpo e non proietta ombra. Mentre
lo guardo divorare il legno, passano dei pensieri suscitati dalle sue
forme mobili.
Dante nel canto 26 dell’Inferno incontra Ulisse trasformato in fuoco e così scrive: ”Lo maggior corno della fiamma antica”. Dove la metafora corrente vede una lingua di fuoco, lui sceglie di vedere un corno, dal cui interno sta per uscire una voce.
Il fervore poetico insiste poco dopo: ”pur come quella cui vento affatica”. Sa bene che il vento aizza la fiamma, la rinforza, ma vuol vedere invece uno sforzo, una fatica nei guizzi del fuoco sbattuto dal vento.
Queste metafore afferrano l’immaginazione di un lettore, dilagano fino alla visione.
Studiati al liceo, mandati per obbligo a memoria, quei versi sono rimasti conficcati nella percezione. Il fuoco che accendo di sera nel camino è lo stesso che anneriva le caverne della preistoria, veniva rubato agli dèi da Prometeo e scatenava metafore negli occhi di Dante. Quello nella mia cucina non ha corni dai quali escono voci, versi, però ha bisbigli, schiocchi, sputi di scintille, brontolii. Se formano un linguaggio, non lo intendo.
Al mattino ne raccolgo la cenere e la restituisco agli alberi, alla terra.
Dante nel canto 26 dell’Inferno incontra Ulisse trasformato in fuoco e così scrive: ”Lo maggior corno della fiamma antica”. Dove la metafora corrente vede una lingua di fuoco, lui sceglie di vedere un corno, dal cui interno sta per uscire una voce.
Il fervore poetico insiste poco dopo: ”pur come quella cui vento affatica”. Sa bene che il vento aizza la fiamma, la rinforza, ma vuol vedere invece uno sforzo, una fatica nei guizzi del fuoco sbattuto dal vento.
Queste metafore afferrano l’immaginazione di un lettore, dilagano fino alla visione.
Studiati al liceo, mandati per obbligo a memoria, quei versi sono rimasti conficcati nella percezione. Il fuoco che accendo di sera nel camino è lo stesso che anneriva le caverne della preistoria, veniva rubato agli dèi da Prometeo e scatenava metafore negli occhi di Dante. Quello nella mia cucina non ha corni dai quali escono voci, versi, però ha bisbigli, schiocchi, sputi di scintille, brontolii. Se formano un linguaggio, non lo intendo.
Al mattino ne raccolgo la cenere e la restituisco agli alberi, alla terra.
Metafora è alla lettera un mezzo di trasporto, il verbo greco indica
spostare, trasferire. Si è poi allargato al passaggio da un senso letterale a
un altro. Quando porto la cenere dal piano del camino fino al piede di un
albero, io svolgo la funzione di metafora, mezzo di trasporto.
Molte migliaia di persone decidono di chiamarsi sardine e fare massa critica sulla superficie delle piazze. Affiorano e brulicano come le sardine sul pelo dell’acqua per confondere il tonno che si aggira sotto.
Quelle molte migliaia sono la pubblica metafora di un paese sprovvisto di sinistra. Non si scioglieranno finché non se ne va il tonno.
Molte migliaia di persone decidono di chiamarsi sardine e fare massa critica sulla superficie delle piazze. Affiorano e brulicano come le sardine sul pelo dell’acqua per confondere il tonno che si aggira sotto.
Quelle molte migliaia sono la pubblica metafora di un paese sprovvisto di sinistra. Non si scioglieranno finché non se ne va il tonno.
Sardine
o bandiera rossa? Di sicuro antifasciste e antirazziste - Guido Viale
Chi ha paura delle sardine? Chiunque abbia
partecipato a una delle loro mobilitazioni ha percepito una grande voglia di
partecipazione (che fa seguito ad altre mobilitazioni: molte di lavoratori, ma
soprattutto quelle di Fridays for future e Nonunadimeno), il rifiuto dei
discorsi d’odio (ma anche delle prese in giro) che hanno dominato la scena
politica e mediatica negli ultimi anni, la presenza di giovani e anziani,
lavoratori e studenti, donne e uomini. E anche di destra e sinistra?
O di né di destra né di sinistra? Certo di molte
persone che non hanno votato, non sanno per chi votare, ma che vorrebbero
tornare a contare. Sicuramente antifasciste e antirazziste.
Per questo quelli di Casa Pound e, attraverso Casa
Pound, Salvini, sentendosene assediati, hanno cercato di “sporcare” la
manifestazione romana minacciando una loro presenza grazie all’ingenuità di uno
dei suoi promotori. E qualche risultato – qualcuno che si è ritirato –
probabilmente l’hanno ottenuto. E senza equipararle a Casa Pound, hanno
concorso allo stesso effetto adesioni come quelle della fidanzata di Berlusconi
o delle “madamine” siTav (già, che fine hanno fatto?) che di Salvini si erano
servite, servendolo a loro volta, per riempire la loro piazza.
Ma il piatto forte per “fare l’esame del sangue”
alle sardine e prenderne le distanze è la favola di una macchinazione di Prodi
e del Pd per recuperare spazi perduti: che sembra trovare conferma in diverse
prese di posizione, presenti e passate, di alcuni promotori: specie di Mattia
Santori, che ha partecipato al comizio elettorale di Bonaccini e che in passato
si è schierato per il sì al referendum costituzionale di Renzi e per il
boicottaggio di quello contro le trivelle. Tutto vero; e di casi simili se ne troveranno
altri cento.
Ma si può identificare sentimenti e aspettative di
piazze finalmente piene come queste con le idee di qualcuno dei loro promotori,
che pochi conoscevano prima e molti non conoscono nemmeno ora? Per molti la
“prova definitiva” è che lì non si vogliono le bandiere di partito né si può
cantare Bandiera rossa. Proprio come nei cortei di Fridays for Future e di
Nonunadimeno.
Tutte queste mobilitazioni, proprio perché
l’orientamento partitico dei e delle partecipanti è sconosciuto, e in molti
casi indeterminato, o parecchio disorientato, sono un terreno di confronto e –
perché no? – di scontro tra idee e prospettive diverse, e in alcuni casi anche
opposte, in competizione per un’egemonia non scontata; idee e prospettive che
devono anche ridefinirsi e riqualificarsi alla luce dei problemi e delle
incomprensioni che emergono nel contatto con persone che non si incontrano più
da tempo, o che mai si sarebbero incontrate altrimenti.
Questa è la grande occasione che le sardine
offrono: smettere di parlarsi tra quelle e quelli che già si frequentano o
incontrano spesso e sanno tutto uno dell’altra; avere un pubblico con cui
mettere alla prova la propria capacità di farsi capire e di capire gli altri,
quelli che non si sa più, o non si sa ancora, che cosa pensino.
C’è chi si chiede perché sardine e Fridays for
Future o Nonunadimeno non si colleghino, riunendo le reciproche istanze in un
movimento più generale attraverso i rispettivi comitati promotori. Perché no?
Ma gran parte degli studenti e delle studentesse che partecipano ai cortei di
Fridays for Future o Nonunadimeno sono gli stessi e le stesse che vanno alle
mobilitazioni delle sardine. E’ a quel livello che deve avvenire un vero
incontro, con iniziative condivise nelle scuole, nelle Università, nei
quartieri. Coinvolgere tutti nella lotta contro la crisi climatica e ambientale
(e come evitare di farlo una volta che si conosca la realtà della catastrofe
che incombe?) spazzerebbe ogni possibilità di schierarsi (e meno che mai
mobilitarsi) per le Grandi opere, a partire dal Tav, pietra di paragone di
tutta la politica nazionale.
Mancano i lavoratori? No, le mobilitazioni delle
sardine ne sono piene. Il problema è ritrovarli nelle fabbriche e nelle aziende
dove lavorano, nei quartieri dove vivono, nei bar che frequentano; e per questo
bisogna andarli a cercare. A capo” delle sardine ci sono troppi “fighetti”? A
me non piacciono i confronti tra l’oggi e i movimenti di 50 anni fa: è un modo
per far divorare i vivi dai morti.
Ma è indubbio che questa critica ricalca quelle
ripetute a iosa allora da chi si riteneva l’autentico rappresentante della
classe operaia. Tranne ricredersi di lì a poco; perché ciò che avrebbe poi
permesso agli operai delle fabbriche di allora di farsi per qualche anno
protagonisti della storia d’Italia con le loro lotte era stato smosso dalle
mobilitazioni antiautoritarie degli studenti: un clima di libertà, di spirito
antigerarchico ed egualitario, di ricerca di una strada nuova per cambiare se
stessi e il mondo di cui tutte le donne e gli uomini coinvolti nelle lotte di
allora avrebbero poi saputo beneficiare.
LA MOBILITAZIONE È GENEROSA, MA LA
MALATTIA DELL’ITALIA DI OGGI NON È SALVINI. LA SUA FRASEOLOGIA XENOFOBA È
INVECE IL SINTOMO DELL’INGIUSTIZIA SOCIALE - Barbara Spinelli
Le sardine non sono contro l’establishment, né italiano né tantomeno
europeo. Sono gentili, non urlano, e riempiono le piazze con quella che esse
stesse chiamano “energia pura”. Ingenerano un entusiasmo generale e trasversale
perché secondo alcuni potrebbero scompigliare le ambizioni della Lega di
Salvini nelle prossime elezioni regionali e soprattutto in Emilia Romagna dove
il nuovo movimento è nato. Pur essendo gentili hanno un avversario - i
populisti - cui si rivolgono nel loro Manifesto del 21 novembre con sorda
durezza.
Fingono di ignorare che tutto l’establishment, in Italia e anche ai vertici
dell’Unione europea, ha scelto come avversari i populisti, non importa se di
destra o sinistra (negli anni ’60 e ‘70 si chiamavano “opposti estremismi”). Se
un partito anti-sistema o anche molto critico del sistema vince alle elezioni è
subito definito populista e scomunicato.
I maggiori applausi alle sardine, finora, vengono da un establishment
centrista che sempre meno sa e vuole gestire la natura aleatoria del suffragio
universale. Che dall’inizio della crisi nel 2007-2008 usa l’accusa di populismo
per non mettere in questione le politiche che lo hanno scatenato.
Le sardine non conoscono le bassezze della disperazione, della rivolta
contro disuguaglianze sociali e povertà. Si sentono di sinistra perché si
preoccupano del clima, ma i precursori in questo campo sono Grillo e 5Stelle.
Di sé dicono, con un linguaggio che ricorda quello degli scout: “Siamo un
popolo di persone normali, di tutte le età: amiamo le nostre case e le nostre
famiglie, cerchiamo di impegnarci nel nostro lavoro, nel volontariato, nello
sport, nel tempo libero. Mettiamo passione nell’aiutare gli altri, quando e
come possiamo. Amiamo le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale
e fisica), la creatività, l’ascolto”. Dunque non conoscono difficoltà nella
vita.
Nelle crisi dell’ultimo decennio si ritagliano una loro zona di conforto.
Non hanno niente di particolare da dire sulle questioni che oggi contano: le
miserie del lavoro precario o del non lavoro; il disastro dell’Ilva o di
Alitalia; la manomissione del territorio attraverso grandi opere inutili che
tolgono risorse alla sua manutenzione; le politiche di austerità che l’Unione
Europea continua a difendere a denti stretti, nonostante il prezzo pagato da
ceti medi e classi popolari (la questione del Fondo salva Stati non è tecnica
ma concreta e politica: nella prossima crisi finanziaria si ripeterà
l’umiliante catastrofe greca?).
Non criticano neanche il rinnovo dell’accordo con Tripoli, che dai tempi di
Gentiloni e Minniti rispedisce nei Lager libici i migranti in fuga. Questo non
vuol dire che le sinistre radicali dispongano di ricette migliori: la capacità
di mobilitazione di queste ultime è poca cosa rispetto a quella delle sardine.
Ma non vuol dire nemmeno che il movimento appena nato, così come viene
presentato non da tutti ma da molti suoi esponenti, abbia in mano una ricetta
veramente comprensibile.
Nel raccontare se stesse le sardine mescolano condizioni umane e concetti
banali, trasformandoli non si sa perché in virtù superiori (la normalità, la
famiglia, lo sport, il divertente, il bello, etc. Manca solo l’Anima). Meno
banale è il rifiuto della violenza e tutt’altro che banale l’appello
all’ascolto. Su quest’ultimo c’è tuttavia da dubitare: pochi paragrafi dopo,
nel Manifesto, proclamano che il diritto all’ascolto spetta a tutti ma non ai
populisti di Salvini (circa il 30 per cento degli italiani): “Grazie ai nostri
padri e nonni avete il diritto di parola, ma non avete il diritto di avere
qualcuno che vi stia ad ascoltare”. Non ho mai sentito un antifascista
(immagino che l’allusione a padri e nonni si riferisca all’antifascismo) dire
che esistono categorie di avversari o perfino nemici politici privati di tale
diritto.
Proclami simili sono non solo insensati ma forse anche nefasti. Lo vedremo
alle prossime scadenze elettorali, locali o nazionali che siano. Può darsi che
il movimento segnali il salutare risveglio di chi si è allontanato dalla
politica e riscopre l’importanza del voto. Può darsi che riempia un vuoto
creatosi a sinistra, anche se non è chiaro con cosa verrà riempito. Ma può
anche darsi che il loro Manifesto esasperi la rabbia, la frustrazione,
l’umiliazione di chi si è rifugiato nella Lega pur di essere per una volta
ascoltato. Una buona parte dei voti per il Brexit nel 2016, o per Trump, o per
il partito di Kaczynski in Polonia, ha origine in questa rabbia dei non più
ascoltati, dei cancellati.
La malattia dell’Italia non è oggi Salvini, come ha scritto giustamente su
questo giornale Tomaso Montanari. Salvini e la sua fraseologia xenofoba sono i
sintomi di un male che si chiama ingiustizia sociale, disuguaglianza, furore
dei declassati: il leader della Lega cavalca questi mali offrendo gli immigrati
come capri espiatori e finte battaglie contro il Meccanismo europeo di
stabilità, contestato solo dopo che la Lega, per mesi imbambolata e disattenta,
è uscita dal governo.
Sono rare e poco udibili le sardine che parlano delle radici dei mali
italiani, che si interrogano sulle città già passate a destra in Emilia
Romagna. Chi soffre questi mali, fidandosi di Salvini senza ancora vederne
l’impostura, non ha comunque diritto all’ascolto. Come riconquistare la loro
fiducia, se neanche li ascolti. Questo significa che l’impostura può
continuare.
Dicono: “Benvenuti in mare aperto”. Speriamo che sarà aperto sul serio. Che
dal vuoto di programmi, idee, parole nascano gli anticorpi che tanti invocano.
Fino a ora, il nuovo movimento dà il benvenuto, ma non ancora in mare aperto.
Cosa vede nei fondali marini, oltre il disegno ittico della propria pura
energia? In genere, le sardine stanno amichevolmente strette quando sono
inscatolate. Per il momento è la scatola che li protegge più che le profondità
del mare.
Grazie di questa panoramica plurale sul movimento delle sardine. Buone festività.
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