Con un tempismo straordinario, la crisi di governo che si è consumata negli ultimi giorni ha visto il Presidente del Consiglio Draghi presentare le sue dimissioni definitive esattamente nello stesso giorno in cui la Banca Centrale Europea (BCE), per bocca della sua Presidente Christine Lagarde, ufficializzava delle importanti, e funeste, novità per quanto riguarda la politica monetaria dell’area euro. La misura più appariscente riguarda un aumento dei tassi di interesse, il primo dopo undici anni e di ammontare doppio rispetto a quanto sembrava nell’aria nelle settimane passate. Come già avevamo avuto modo di discutere approfonditamente, questo provvedimento ha due precise implicazioni. Da un lato, è un attacco diretto al potere d’acquisto della stragrande maggioranza della popolazione, sacrificato sull’altare della difesa dei profitti. Dall’altro, è un’ulteriore mazzata alla stagnante economia europea, sempre più avviluppata nelle autoinflitte conseguenze economiche della guerra.
Non finisce qui, purtroppo.
Contestualmente, la BCE ha anche varato un nuovo strumento di politica
monetaria, il Transition Protection Instrument (TPI), ossia il famigerato scudo
anti-spread. Il tempismo stupisce, e preoccupa, perché il TPI rappresenta la
più aggiornata e rifinita evoluzione del famigerato “pilota automatico”,
termine coniato proprio dal Draghi Presidente della BCE per definire
quell’insieme di strumenti di disciplina fiscale che avrebbero garantito la
rigida applicazione dell’austerità e delle politiche neoliberiste in ciascun
Paese membro dell’Unione Europea a prescindere dall’indirizzo politico del
governo di turno.
Con il “pilota automatico”, le
istituzioni europee hanno dimostrato di riuscire a condizionare la politica
economica dei Paesi membri attraverso il ricatto dello spread: qualsiasi governo, di qualsiasi colore politico
e indirizzo ideale, sarebbe stato costretto a conformarsi alle prescrizioni
della Commissione Europea dalla minaccia dell’instabilità finanziaria, una
minaccia che si materializzava non appena la BCE allentava il suo sostegno
monetario. Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e poi Italia hanno dovuto
applicare – dal 2010 ad oggi – le rigide agende politiche neoliberiste
prescritte dalla Commissione per non ritrovarsi abbandonati dalla BCE in balia
della speculazione finanziaria. Lo strumento tecnico attraverso cui si esercita
il ricatto dello spread è rappresentato dagli
acquisti di titoli del debito pubblico effettuati dalla BCE: quando questa
acquista, ad esempio, i titoli di Stato italiani, ne sostiene la domanda e
dunque riduce il tasso di interesse che l’Italia deve pagare ai creditori;
specularmente, quando la BCE riduce i suoi acquisti di quei titoli, l’Italia
vede crescere il costo del suo debito pubblico e compromette la sua stabilità
finanziaria.
Come dicevamo, il 21 luglio, mentre
il premier italiano Draghi presentava le sue
dimissioni, la BCE introduceva il TPI, un nuovo strumento attraverso cui
acquistare titoli di Stato sui mercati finanziari per governare i tassi di
interesse nell’area dell’euro. Il TPI consente alla BCE di acquistare titoli
pubblici di uno Stato membro solo a condizione che siano verificate quattro
condizioni: a) disciplina fiscale, b) stabilità macroeconomica, c)
sostenibilità del debito pubblico ed infine d) rispetto delle condizioni del
PNRR e delle altre raccomandazioni della Commissione Europea. La prima
condizione implica sostanzialmente che il Paese in questione non stia
accumulando nuovo debito, cosa possibile solo aumentando le tasse e tagliando
la spesa sociale, la sanità pubblica, le pensioni ed i servizi pubblici. La
seconda condizione richiede invece l’assenza di quelli che la Commissione
Europea definisce “squilibri macroeconomici”, che includono anche – per fare un
esempio – un tasso troppo elevato di crescita dei salari: per carità! La terza
condizione prevede una valutazione della BCE circa la sostenibilità del debito
pubblico: per capire l’arbitrarietà di questa valutazione, basti pensare che la
Grecia venne dichiarata prossima al fallimento con un debito pubblico pari al
120% del PIL e, successivamente, venne promossa a Paese virtuoso con un debito
pubblico prossimo al 200% del PIL. Miracolosamente, la valutazione della BCE
era cambiata drasticamente quando la Grecia aveva firmato un memorandum of understanding che ha impegnato i
governi che si sono succeduti nel decennio successivo a mettere in ginocchio la
società greca attraverso le più rigide politiche di austerità, in quello che
potremmo definire come il primo esperimento di “pilota automatico”.
Infine, il quarto requisito di
accesso al TPI richiede che il Paese beneficiario degli acquisti della BCE stia
rispettando tutti gli impegni assunti nell’ambito del PNRR (il Piano Nazionale di Ripresa
e Resilienza), cioè le famose 528 condizioni capestro, nonché tutte le prescrizioni della Commissione contenute nelle
periodiche Raccomandazioni Specifiche per Paese. Finalmente, e si spera in maniera
definitiva, viene messa una pietra tombale sopra alla favola, che ci è stata
raccontata negli ultimi due anni, circa le virtù salvifiche di questo PNRR, che
ci era stato venduto come un regalo delle istituzioni europee privo di
qualsiasi condizionalità, e che invece si rivela essere l’ennesimo cavallo di
Troia dell’austerità: mancare un obiettivo stabilito nel PNRR significa perdere lo scudo
della BCE sui mercati finanziari e finire in balia della speculazione
finanziaria. Con il PNRR, dunque, le istituzioni europee sono riuscite ad
estendere a tutti gli Stati membri quella camicia di forza che aveva consentito
di piegare l’economia greca alle violente politiche di smantellamento dello
stato sociale, di attacco alle pensioni e ai salari e di precarizzazione del
lavoro. Difatti, il PNRR non fa che impegnare i Paesi in un’agenda neoliberista
a tappe forzate: se una di queste tappe viene mancata, la speculazione
finanziaria può scagliarsi contro il Paese “indisciplinato” nella piena
certezza che la BCE non interverrà, perché così funziona il TPI, come d’altronde già abbondantemente
previsto.
Così, proprio mentre Draghi
abbandona Palazzo Chigi sbattendo la porta, la sua spregiudicata agenda
politica neoliberista rientra dalla finestra attraverso il nuovo strumento di
politica monetaria della BCE. Davanti al fallimento politico dell’ennesimo
governo tecnico imposto al Paese, la classe dirigente europea rispolvera l’arma
del ricatto del debito che tanto efficace si è dimostrata, in passato, come
strumento di disciplina delle economie europee a suon di spread.
Gli eventi di questi ultimi giorni
ci ricordano anche che, quale che sarà l’esito delle elezioni del prossimo 25
settembre, il programma di governo è già pronto ed è scritto nero su bianco nel
PNRR, messo appunto dall’esecutivo Draghi e vincolante per chiunque uscirà
vittorioso dalle urne per tutta la durata della legislatura, pena l’esplosione
dell’instabilità finanziaria sotto la spinta della BCE. Salvini, Letta e Meloni
potranno così azzuffarsi sulle briciole e sulle quisquilie, consapevoli che
l’agenda di politica economica e sociale sarà la stessa, chiunque di essi
prevalga, perché questa è la naturale e unica conseguenza dell’adesione cieca
alla politica del pilota automatico di matrice europea. E, visto che stiamo
entrando in campagna elettorale, è buffo osservare che pezzi degli stessi
partiti che hanno sostenuto il governo Draghi ora provino improvvisamente a
rimettere i panni barricaderi, con una divisione dei ruoli fra poliziotto buono
e poliziotto cattivo che era insopportabile prima ed è intollerabile ora che
escono dalla prova del governo. Noi da parte nostra ripetiamo che niente di
buono potrà venire da questi, ma continuiamo a riporre speranza in chi – finora
fuori dall’arco parlamentare – in questi anni ha coerentemente individuato il
meccanismo europeo quale uno dei fattori di controllo degli interessi della
classe lavoratrice. La strada da fare è ancora molto lunga, ma il
cammino è iniziato.
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