La prima bozza metteva in guardia
rispetto agli “interessi costituiti”. Questo passaggio, che appare nella
relazione, è venuto meno nella sintesi finale, vittima di quegli stessi
interessi costituiti – gli interessi del capitale.
Ci sono due versioni dell’ultimo rapporto
IPCC sul cambiamento climatico: la prima, una bozza trapelata nell’estate 2021,
più radicale, basata sulla realtà dei fatti – che abbiamo a suo tempo presentato; la seconda, quella
ufficiale, più edulcorata. E non è tutto: anche nella versione formale, le
2.900 pagine del rapporto hanno un tono molto diverso dalla sintesi ad uso e
consumo di Policymarkers e managers, una sintesi negoziata (proprio così) con
gli stessi responsabili e dirigenti governativi e del grande capitale.
Premettendo alcune considerazioni, riprendiamo da Climate&Capitalism (che ha a sua volta attinto a CTXT
– Contexto y Acción) un’analisi accurata, compiuta da alcuni scienziati, del lavoro di
censura operato dagli interessi dominanti sul rapporto sintetico IPCC; potete leggerla in traduzione.
Quando la “scienza” è costretta a fare i
conti con il modello sociale esistente, qualcosa della realtà inevitabilmente
trapela: nel rapporto, ad esempio, si denunciano gli “interessi costituiti” che
si oppongono ferocemente alle misure che si dovrebbero adottare per salvare il
pianeta o – meglio – la vita così come la conosciamo. Senonché questa denuncia
scompare nella sintesi negoziata proprio con gli stessi interessi costituiti
che andrebbero attaccati, e che al di fuori delle formule ingessate delle
pubblicazioni scientifiche, sono individuabili senza margini di incertezza con
le lobby dei fossili, e più in generale con le grandi forze del capitalismo che
spingono sull’acceleratore per continuare indisturbate ad accrescere
indefinitamente la produzione di merci e servizi, e con essa la produzione di
emissioni climalteranti. Non è un caso che nella seconda versione del rapporto
Ipcc, quella ufficiale, sparisca la necessità di chiudere entro un decennio le
centrali a carbone e a gas, venga cancellata la responsabilità del 10% più
ricco della popolazione nel super-inquinare, scompaia il settore
dell’allevamento industriale dal novero dei grandi produttori di gas serra, e
non si faccia più alcun cenno alla scarsa reperibilità delle materie prime
necessarie all’impossibile svolta verde del capitalismo globale.
Paradossalmente l’IPCC ha azionato il
freno a mano sulla sua analisi proprio mentre è massima la velocità del
cambiamento climatico e della crisi alimentare, a cui si aggiungono le
aggravanti della guerra e di un riarmo generalizzato nel mondo, tra tutte le
più micidiali forze distruttive dell’ecosistema. Le temperature canadesi con i
relativi incendi dell’estate scorsa, la siccità diffusa nel mondo, il crollo
del ghiacciaio della Marmolada, le masse di emigranti che premono a Ceuta o al
confine tra Messico e Stati Uniti, o sulla sponda sud del Mediterraneo,
disposti a morire a migliaia pur di superare un confine e scappare alle
devastazioni sociali conseguenza anche del cambiamento climatico, dimostrano
che siamo già dentro una catastrofe ecologica e che incombono disastri ancora
più gravi di quelli sotto i nostri occhi. Solo un anticipo della barbarie che
sarà se non si abbattono alla radice senza rimandi, negoziazioni e illusioni di
riforme, gli “interessi costituiti” di cui l’IPCC ultima versione “alla
vasellina” ha deciso di non parlare più: il modo di produzione capitalistico, e
i potentati che lo comandano.
***
Come gli interessi costituiti hanno riscritto
l’ultimo rapporto dell’IPCC
Di Juan Bordera, Antonio Turiel (Spanish
National Research Council), Fernando Valladares (Spanish National Research
Council), Marta García Pallarés, Javier de la Casa (Ecological and Forestry
Applications Center), Fernando Prieto (Sustainability Observatory), Ferran Puig
Vilar (Engineer and Climate expert). Pubblicato originariamente in CTXT –
Contexto y Acción, traduzione pubblicata da MR Online.
Il documento della vergogna. Questo
rapporto è una litania di promesse sul clima infrante. Senza una riduzione
rapida e profonda delle emissioni di gas serra in tutti i settori, sarà
impossibile evitare il disastro climatico verso cui ci stiamo andando alla
massima velocità. Gli attivisti per il clima sono talvolta descritti come
pericolosi radicali, ma i radicali veramente pericolosi sono i paesi che stanno
aumentando la produzione di combustibili fossili. Queste dichiarazioni – che
potrebbero appartenere ad un qualsiasi portavoce di un movimento sociale – sono
solo alcune delle frasi più forti che il segretario generale dell’Onu, António
Guterres, ha proclamato a seguito dell’ufficializzazione dell’ultima parte del
report sul clima più importante a livello mondiale, quello del Gruppo
intergovernativo sul cambiamento climatico [Intergovernmental Panel on Climate
Change (IPCC)].
Si tratta questa volta del gruppo III.
Quello incaricato di proporre uno specifico piano di mitigazione, cioè di
ridurre le emissioni e cercare soluzioni praticabili (tecnologiche, economiche
e sociali) alla più grande crisi che l’essere umano abbia mai dovuto
affrontare. La scienza non è mai stata così chiara: dobbiamo ridurre
drasticamente le emissioni per avere la possibilità di mantenere la stabilità
climatica che ci permette di vivere su questo pianeta. Ma la Sintesi per
politici e dirigenti d’azienda [Summary for Policymakers and Managers (SPM)],
che sarà l’unica cosa che la stragrande maggioranza dei politici e dei leader
aziendali leggerà, delle oltre 2.900 pagine del rapporto, non è all’altezza del
lavoro scientifico sottostante, né della sfida posta dal cambiamento climatico,
dalla crisi ecologica e dalla transizione energetica. Questo è l’unico
documento ad non essere strettamente scientifico. Il protocollo stabilito dalle
Nazioni Unite consente ai paesi, spesso pressati dalle rispettive lobby
imprenditoriali, di proporre modifiche e negoziare frase per frase il contenuto
di questo documento. Siamo indubbiamente davanti alla parte del rapporto in cui
appaiono più chiaramente le due anime del processo di redazione dell’IPCC: le
sue luci ed ombre, la sua vera natura insomma, decisamente bipolare.
Con il concludersi dell’ultima fase di
revisione del rapporto, che ha richiesto parecchi più giorni del previsto e la
cui pubblicazione è stata addirittura ritardata per via dello scontro apertosi
sulla revisione della sintesi, una cosa è chiara, cristallina: il belletto che
lobby e governi applicano alla sintesi del rapporto nel processo di revisione –
documentato anche dalla BBC – è disgraziatamente ben reale, e la ribellione di
una parte della comunità scientifica di fronte a questa situazione non solo è
più che giustificata, ma, vista l’inerzia domninante, è fondamentale per
cercare di risolvere la situazione.
Alcuni mesi fa, grazie ad un gruppo di
scienziati dissidenti (Scientist Rebellion), siamo riusciti a pubblicare il
leak della prima bozza del gruppo III; l’impatto internazionale è stato
immediato – The Guardian, Der Spiegel, CNBC, Yale University etc. Decine di
media provenienti da più di 35 paesi hanno fatto eco al messaggio di allerta
rossa documentato dalla bozza dell’IPCC fatta trapelare.
L’altro grande titolo, secondo cui tutte
le centrali a carbone e a gas esistenti dovrebbero chiudere entro circa un
decennio, è scomparso del tutto dalla sintesi.
Per intitolare i propri articoli i
giornalisti perlopiù sceglievano tra due delle perle contenute questa bozza, su
cui c’era la mano dei soli scienziati. La prima, secondo cui le emissioni
dovrebbero raggiungere il picco nel 2025 e diminuire rapidamente, rimane
intatto nella versione finale di questa sintesi per i politici. L’altro grande
titolo, secondo cui tutte le centrali a carbone e a gas esistenti dovrebbero
chiudere entro circa un decennio, è scomparso del tutto dalla sintesi.
Ma non è l’unica cosa ad essere
cambiata. Confrontando le due versioni si hanno delle sorprese davvero
notevoli. Abbiamo trovato una sfilza di esempi di modifiche che ammorbidiscono
una relazione che, se di suo pecca per qualcosa, è proprio per la grande
moderazione. Soprattutto, qualcos’altro è cambiato, ed è il mondo. I lavori
analizzati nel compendio conclusivo sono stati pubblicati entro una data
stabilita: ottobre 2021. Da allora abbiamo subito i primi gravi shock di una
crisi, insieme energetica e delle catene di approvvigionamento, che veniva
preparandosi da anni. È scoppiata una guerra che ha cambiato forse per sempre
la politica e l’economia e sempre più voci avvertono che siamo sull’orlo di una
grave crisi alimentare. Quando tutto accelera, la validità delle analisi diventa
ancora più effimera.
Questo è probabilmente l’ultimo lavoro
corposo dell’IPCC che arriva in tempo per guidare le nostre società
nell’affrontare ed evitare il disastro. Alcuni credono che la direzione
delineata nel rapporto sia chiara, ma leggendo il riassunto rivolto ai
responsabili politici, la sensazione è piuttosto quella di una civiltà che
vacilla e sbanda anzi pericolosamente. Una civiltà che si regge su un petrolio
sempre più scarso, che deve essere progressivamente abbandonato – come un
ghiacciaio che si scioglie sempre più rapidamente. Sia la stabilità climatica
che quella energetica dipendono dalla nostra capacità di accettare questa
situazione.
Nel processod di revisione, tra la
versione della sintesi trapelata ad agosto e quella infine pubblicata, i
cambiamenti più notevoli sono i seguenti:
– Scompare il passaggio relativo alla
chiusura delle centrali a gas e a carbone entro un decennio. Le lobby
dell’industria fossile sono riuscite a smorzare il tono generale della sintesi
diretta contro la loro stessa industria. È noto che il ritardo nella
pubblicazione del rapporto è dovuto principalmente a questo motivo. I paesi
interessati – spicca il ruolo dell’Arabia Saudita – hanno insistito per
eliminare questa raccomandazione.
– Si smorzano i toni circa le
responsabilità del 10% più ricco. Nella sintesi trapelata ad agosto è stato
sottolineato che inquinano 10 volte di più del 10% più povero.
– Molti dei riferimenti alle emissioni
dirette dell’aviazione, dell’industria automobilistica e del consumo di carne
scompaiono. Di fatto la parola “carne” scompare dal nuovo riassunto. Queste
emissioni vengono trattate nel rapporto di recente pubblicazione in
associazione ad altre emissioni proprie di questo settore; la loro importanza
viene quindi attenuata.
La prima bozza metteva in guardia
rispetto agli “interessi costituiti”. Questo passaggio, che appare nella
relazione, è venuta meno nella sintesi finale, vittima di quegli stessi
interessi costituiti, che esercitano pressioni sui governi. Chi dice che non
c’è poesia nelle relazioni scientifiche?
– Viene eliminata una delle frasi che
più entravano in contrasto con l’ottimismo tecnologico che pervade il rapporto:
“i costi, le prestazioni e l’adozione di molte singole tecnologie sono
progrediti, ma i tassi di diffusione e attuazione globali del cambiamento
tecnologico sono attualmente insufficienti per raggiungere gli obiettivi
fissati in ordine al clima. Un’affermazione che si scontrava nettamente con la
logica dei mercati volontari del carbonio e delle grandi aziende.
– Circa il meccanismo di cattura e
stoccaggio del carbonio [Carbon Capture and Sequestration]: l’Arabia Saudita,
anche qui, insieme ad altri Paesi come il Regno Unito, si è battuta perché
venisse conferita forza a questo punto controverso, che permette loro di
continuare come se nulla fosse, con assoluta leggerezza. L’ottimismo
tecnologico imperante vuole che una tecnologia ancora da sviluppare verrà
magicamente in soccorso e consentirà addirittura di “continuare a utilizzare
combustibili fossili”. Molto materiale è stato introdotto riguardo a queste
tecnologie per giustificare l’idea di emissioni nette pari a zero, idea che ha
un fondamento scientifico piccolo, o nullo, e su sui si regge tuttavia la tesi
centrale del rapporto.
– Scompare dal riassunto ogni timido
accenno ai problemi riscontrati con i materiali necessari alla transizione
energetica, indispensabili per lo sviluppo delle rinnovabili, delle batterie o
dell’auto elettrica. Nella prima bozza era presente.
– Scompare anche l’accenno alla democrazia
partecipativa come uno dei principali strumenti per sbloccare e accelerare una
transizione per compiere la quale non c’è quasi più tempo.
– Scompare del tutto il punto secondo
cui “gli obiettivi ambiziosi di mitigazione e sviluppo non possono essere raggiunti
attraverso cambiamenti graduali”. Sono stati imbellettati i passaggi in cui si
cerca di evidenziare come i cambiamenti individuali e graduali non sono
sufficienti.
Fortunatamente, se analizziamo il
rapporto per intero – immune da pressioni esterne –, possiamo invece trovare un
percorso che ci porta, né più né meno, alla necessità di una rivoluzione dei
nostri sistemi energetici e socio-economici, lasciando intravedere l’emergente
impegno di parte della comunità scientifica verso l’obiettivo della decrescita.
È l’unico modo che ci resta per affrontare le molteplici emergenze in cui sono
sprofondate le nostre società. La parola “decrescita” – sempre meno tabù – è
citata 28 volte nel rapporto completo, contro le zero volte della sintesi per i
politici. Viene mantenuta anche la frase che si riferiva alla natura
insostenibile della società capitalista, a dimostrazione della genuinità del
rapporto.
Per la prima volta l’IPCC fa eco a ciò
su cui la società civile richiama da anni l’attenzione, e nei suoi capitoli 14
e 15 denuncia l’ostacolo posto dal Trattato sulla Carta dell’energia [Energy
Charter Treaty (ECT)] e dal suo meccanismo di risoluzione delle controversie
tra investitori e Stati (ISDS ) per lo sviluppo di politiche di mitigazione dei
cambiamenti climatici. Il fatto è che, dopo essere passato inosservato per tre
decenni, oggi questo accordo internazionale per il settore energetico continua
a tutelare gli investimenti nei combustibili fossili e permette a investitori e
multinazionali – proprio quelli che ci hanno condotto a questo bivio – di
citare in giudizio gli Stati quando ritengano che essi abbiano legiferato
contro i loro interessi economici, presenti o futuri. I numeri parlano da soli:
nella sola Europa le infrastrutture fossili protette dal trattato ammontano a
344,6 miliardi di euro.
La domanda è: possiamo abbandonare i
combustibili fossili senza prima abbandonare l’ECT? E perché ciò non è stato
inserito nella sintesi per i politici?
Arrivati a questo punto, non basta più
inserire citazioni audaci in rapporti i cui riassunti vengono poi annacquati
dai lobbisti. Non è solo normale che una parte della comunità scientifica si
ribelli e agisca: è più che auspicabile. È proprio ciò di cui abbiamo bisogno
per suscitare un dibattito che sembriamo evitare. La questione da dibattere,
l’elefante nella stanza, è che dobbiamo cambiare il modello socio-economico, e
in fretta. Dobbiamo agire, correre rischi e così stimolare – speriamo – la
società a mobilitarsi di nuovo. Dobbiamo abbandonare i combustibili fossili
prima che essi abbandonino noi [sotto terra, N.d.E.].
https://pungolorosso.wordpress.com/2022/07/30/come-lipcc-contraddice-per-vilta-se-stesso/
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