Non si può continuare a firmare appelli, manifestare e protestare, anche in forme estreme, perché i governanti in Italia e nel mondo facciano “qualcosa” in direzione di una conversione ecologica tanto più urgente quanto più si allontana, obliterata da guerre, produzione di armi, ossessione dei PIL, crisi energetica, inflazione, ecc.
Della conversione ecologica dobbiamo occuparci direttamente; farne almeno
un pezzo noi; sapere e dire che cosa va fatto; costruire le forze per imporre
ai governi di fare tutto quello che richiede – leggi, divieti, programmi,
finanziamenti.
Certo, dobbiamo adottare uno stile di vita più sobrio: mangiare molta meno
carne (è più importante di quanto si creda), spostarci con i mezzi pubblici, in
bicicletta o a piedi, smettere di comprare gadget inutili, fare la raccolta
differenziata, spegnere le luci e chiudere i rubinetti che non si usano, ecc,
ma è evidente che non basta.
Dobbiamo trasformare le sedi dove viviamo, studiamo, lavoriamo, incontriamo
il nostro prossimo – condomini, scuole, aziende, quartieri, parrocchie,
associazioni – in luoghi aperti al confronto tra interno ed esterno, tra generi
e generazioni diverse, tra classi (sì, classi) e culture differenti, tra lavoro
ed esigenze sociali, tra produzione e riproduzione sociale.
Mirando a farne, ciascuno a suo modo, degli ambienti adatti al contesto
assai più difficile in cui le prossime generazioni, ma anche le nostre, si
troveranno a vivere (o a sopravvivere). Ma per farlo dobbiamo mettere al lavoro
l’immaginazione, raffigurarci il mondo di qui a qualche anno, fare attenzione a
ciò che succede e che i governanti non vogliono vedere, farci alcune domande banali.
Per esempio:
Ci sarà ancora l’acqua? E quanta? Ne avremo a disposizione molta
meno di ora e di quanta se ne è avuta prima di noi. Nevai e ghiacciai si
ritirano, il suolo disseccato dall’aridità la lascia scivolare senza
trattenerla; l’acqua non si accumula e non alimenta più dei flussi regolari.
Ovunque: il Po è solo un esempio.
Quando arriva precipita subito a valle, provocando alluvioni e dissesti
idrogeologici. Quella ancora disponibile è sequestrata da coltivazioni,
allevamenti intensivi, impianti e industrie che la inquinano e persino dalla
produzione di bibite in bottiglia, in India come in Italia.
Ci sarà ancora energia elettrica a sufficienza? Senza
acqua, con poca acqua, o con flussi irregolari, le centrali termoelettriche non
funzionano e quelle nucleari nemmeno: diventano intermittenti come e più di
quelle delle rinnovabili. Questo, fino a che risparmio e rinnovabili non
avranno coperto tutto il fabbisogno, ridimensionerà anche le attività
produttive: chiusure, fallimenti, licenziamenti. In che settori? Con quali
priorità? Quelle imposte dal profitto, non certo dai bisogni.
Ci saranno ancora gas, petrolio e carbone? Certo, dovrebbero
scomparire al più presto dal nostro orizzonte. Ma non saranno le imprese e i
governi a rinunciarvi, anche se, come tante altre materie prime, vengono da
lontano e guerre, sanzioni e predazione ne renderanno l’approvvigionamento meno
regolare e sicuro, ostacolando l’agognata crescita dei PIL.
Ci sarà ancora Internet? Certo, ma è diventato un settore
energivoro, in competizione con tutti gli altri e i servizi che oggi ci
sembrano gratis, mentre in realtà li paghiamo in altri modi, saranno più cari.
Ci mancherà da mangiare? Improbabile, ma dovremo
cambiare dieta. Lo vediamo già oggi con i cereali di Ucraina e Russia
(e ora anche dell’India e altri Paesi). Per molte popolazioni quel blocco
significa carestia, fame, morte. Per noi, per ora, solo crisi degli allevamenti
(che nel mondo impegnano il 70 per cento del suolo e dell’acqua destinati
all’agricoltura). Ma ci vuole un’agricoltura di prossimità, un’alimentazione
stagionale.
E la salute? Farà sempre più caldo e l’aria d’estate sarà
soffocante. Gli ultimi due anni ci hanno ormai abituato a nuovi virus – a volte
devastanti, a volte endemici – e a presìdi, obbligatori o meno, per
proteggerci. Dovremo imparare a curarci da soli, o a capire come farci curare
senza soggiacere a Big Pharma, mentre medici personali e ospedali saranno
sempre di più riservati a chi paga. È l’America, bellezza!
Ci sarà ancora lavoro? E quanto? Così come è adesso, ce ne sarà
sempre di meno, sia qui che nei Paesi che oggi ci riforniscono di merci a basso
prezzo. D’altronde non ce ne è mai stato per tutti. Bisognerà occuparsi di come
redistribuirlo tra il maggior numero, di potenziarlo in settori indispensabili,
come il riassetto del territorio sia urbano che rurale, e di ridurlo nelle
produzioni nocive o dannose.
Ci saranno ancora guerre e produzione di armi? Certamente sì.
Sono le ultime attività a cui chi governa è disposto a rinunciare. E la
conversione ecologica non è il paese della cuccagna, ma un campo di lotta
contro chi lavora alla distruzione dell’umanità. Ma avranno anche loro a che
fare con l’intermittenza degli approvvigionamenti e delle forniture, anche se a
spese di tutti gli altri settori.
Ci sarà ancora il denaro? Sicuramente sì. È l’arma fondamentale
con cui oggi si governa il mondo. Ma per sopravvivere si dovrà fare spazio
anche al baratto, al riuso, allo scambio di prestazioni, a qualche forma di
moneta locale.
Ci saranno ancora migrazioni? Sempre di più: guerre, predazione
ambientale e crisi climatica spingeranno milioni o miliardi di esseri umani
lontano dalle loro terre. Una piccola parte di essi cercherà di raggiungere
l’Europa: respingerle sarà sempre più difficile e criminale. Dobbiamo imparare
a fargli posto tra noi, ma soprattutto a far crescere le condizioni perché
possano tornare volontariamente nei luoghi da cui non avrebbero mai voluto
fuggire, in una libera circolazione tra tutti i Paesi.
Ci saranno ancora le automobili? Si, probabilmente elettriche,
ma condivise; non una a testa, o ogni due persone, come oggi da noi.
Ci saranno ancora sport e turismo? Si, ma l’Olimpiade invernale
di Cortina, con la sua neve finta, sarà probabilmente l’ultima della serie. E
molte spiagge verranno divorate dall’innalzamento dei mari. Oggi sport
professionale e turismo sono i settori economici più diffusi e impattanti del
mondo, anche se vengono spacciati come alternative all’industria inquinante. Ma
viaggiare verso mete lontane sarà sempre più pericoloso e costoso, molti aerei
dovranno restare a terra e il turismo come fonte di occupazione e di reddito
sarà uno dei primi settori a vedersi ridimensionato.
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