Siamo orgogliosi di aver sovvertito con le lotte un
sistema di sfruttamento di stampo mafioso cresciuto con la connivenza di tutte
le istituzioni
C’è un grande movimento in questi due mesi infuocati di luglio e agosto sul
fronte delle iniziative giudiziarie nei confronti del mondo della logistica. Un
fermento che si caratterizza con modalità molto diverse a seconda dei soggetti
indagati. Abbiamo sentito usare la stessa imputazione “associazione a delinquere” da
parte degli organi inquirenti sia per chi queste associazioni a deliquere le ha
combattute sia per chi invece le ha costituite e le ha usate per propri fini di
accumulo di ricchezza. In queste riflessioni, in riferimento all’inchiesta giudiziaria che ha
riguardato Si Cobas e USB parleremo usando sempre il “noi”, intendendo che ci
sentiamo totalmente interni a quel percorso di lotta che ha portato al
sovvertimento del sistema di sfruttamento presente nella logistica, e non
solo.
Nel respingere con grande sdegno e rabbia l’accusa di avere costituito
“associazioni a delinquere”, pertanto rivendichiamo fino in fondo il
merito di avere sovvertito un sistema di sfruttamento – creato ad arte con la
connivenza di tutte le istituzioni e di Cgil Cisl e Uil – che si muoveva su un
crinale di tipo delinquenziale e con infiltrazioni di stampo mafioso. Il
paradosso di questo grande movimento di lotta, che si è sviluppato a partire
dalla fine del primo decennio del 2000, è stato di avere dovuto mettere in
campo azioni radicali e considerate a volte illegali, per far applicare la
legalità. Incredibilmente il nostro agire “sovversivo” è servito a ripristinare
una legalità che nessuno voleva far rispettare, perciò è quasi grottesca
l’indagine della Procura di Piacenza che ha portato all’incriminazione e
all’arresto per associazione a delinquere.
A Piacenza abbiamo assistito agli arresti di 6 attivisti sindacali con la
gravissima imputazione di “associazione a delinquere” e all’applicazione di
altre misure cautelari in base ad una ricostruzione meticolosa, ma priva di una
analisi del contesto degli scioperi, della manifestazioni, delle vertenze
sindacali che hanno nel settore della logistica a Piacenza dal 2014 al 2021. In
sostanza, per la Procura di Piacenza, diventa associazione delinquere l’essere
riusciti in quel territorio a smantellare un sistema di sfruttamento basato sul
caporalato e sulle nuove forme di schiavitù; a inceppare quel sistema criminale
basato sulla figura del socio di cooperativa; a far applicare – NOI e non Cgil,
Cisl e Uil – il Contratto Collettivo Nazionale della Logistica che non veniva
mai applicato correttamente (con la conseguenza di una evasione contributiva e
fiscale enorme); a smascherare il sistema dei cambi periodici di appalto al
solo fine di fottere lavoratori e fisco; ad ottenere condizioni contrattuali e
retributive dignitose e anche migliorative rispetto al CCNL – come il pagamento
di malattia e infortunio al 100 %, per i soci di cooperativa che ricevevano in
precedenza solo la percentuale dell’INPS del 50 % a partire dal 4° giorno, il
riconoscimento pieno degli istituti contrattuali, passaggi automatici di
livello connessi unicamente all’anzianità di magazino, aumento dei giorni di
permessi retribuiti, il riconsocimento alle nostre organizzazioni dei diritti
sindacali e l’introduzione di nuove forme assicurative -; ad introdurre la
“clausola sociale” nei cambi appalto (che vuol dire che in caso di cambio
appalto, tutti i lavoratori presenti in quel magazzino avevano diritto al
passaggio alla nuova società mantenendo le stesse condizioni contrattuali e
retributive). Tra i tanti aspetti della condizione lavorativa che siamo riusciti a modificare
ce n’è uno in particolare che non ha un valore economico, ma che vale forse più
di tutti: quello della dignità. Dal essere trattati come schiavi, si è passati
ad una condizione di rispetto, dove i capi, fino ad un certo punto veri e
propri cani da guardia della cooperativa e della committenza, hanno dovuto
cambiare completamente atteggiamento rispettando i lavoratori.
Noi siamo riusciti poi a far recuperare decine di migliaia di euro a
migliaia di lavoratori per i furti che avevano subito sui salari dopo anni di
sfruttamento selvaggio. Questa cosa proprio non è andata giù alla Procura di
Piacenza che anziché valutare con grande positività queste azioni legali, che
hanno anche portato milioni di euro nelle casse dello Stato, vede in
queste iniziative una ulteriore prova dell’azione criminosa delle nostre
organizzazioni perché la ritiene volta a raccogliere entrate per il sindacato.
Si tratta di follia, dello stravolgimento della realtà. La procuratrice che ha
emesso dei mandati di cattura, qualora fosse in buona fede – ma probabilmente questa
inchiesta non è tutta farina del suo sacco – sarebbe da sottoporre ad un corso
di storia del movimento sindacale. Una inchiesta concepita in questo modo, dove
addirittura, l’aver recuperato parti di retribuzione rubate ai lavoratori e il
fatto di avere rivendicato e ottenuto condizioni migliorative del CCNL
diventano elementi estorsivi che avvalorano la tesi dell’”Associazione a
delinquere”, porta le lancette indietro di quasi duecento anni, quando
l’associazione sindacale e lo sciopero erano vietati e perseguiti penalmente
perché considerate pratiche distorsive del libero mercato.
Ora grazie alle enormi mobilitazioni che sono state messe in atto dopo gli
arresti, il Tribunale del Riesame ha fatto decadere l’accusa di “associazione a
delinquere” disponendo la liberazione dei 6 compagni. Si tratta sicuramente di
un fatto positivo, frutto della grande solidarietà di lotta espressa nelle
settimane scorse che ha portato alla revoca di un atto infame che ha costretto
i compagni alla privazione della libertà per due settimane. Rimane tuttavia in
piedi un impianto accusatorio inaccettabile e una ulteriore limitazione della
libertà, l’obbligo di firma per alcuni, contro la quale bisognerà
continuare la mobilitazione.
Assistiamo poi all’inchiesta della Guardia di Finanza che ha
interessato varie province del Veneto e del nord/centro Italia, riguardante un
“caporale” di origine indiane (ma potremmo definirlo pure un mercante di
schiavi con un “grado militare” superiore, visto il potere che ha sempre
esercitato e continua a esercitare) che da quasi vent’anni ha costruito una
macchina organizzativa in grado di produrre un grandissimo giro d’affari. Il
sistema super collaudato funzionava in questo modo: grazie ai rapporti
costruiti con la Grande Distribuzione Organizzata e con molte altre aziende, il
Sig. Tanwar Tarachand detto Taru, ha garantito un flusso
costante di forza lavoro a basso prezzo e ricattabile facendosi pagare migliaia
di euro per il viaggio, la garanzia dell’inserimento lavorativo, la collocazione
in case di sua proprietà dove stipava 10/20 anche 40 persone e facendo pagare a
ciascuno un affitto di 330 € comprensivo anche di una spesa settimanale
ridicola, che doveva servire ad alimentare per tutta la settimana anche 20 o 30
persone. Il controllo della forza lavoro avveniva dietro minacce, pestaggi e
ricatti che arrivavano anche ai familiari presenti in India. Per questa vera
organizzazione criminale, «al limite del cosiddetto metodo mafioso» come
sostiene il Gip Domenica Gambardella che ha firmato l’ordinanza, sono state
adottate nientepopodimeno che l’interdizione del principale
responsabile, Mister Taru, dall’esercizio dell’attività imprenditoriale per un anno e il sequestro preventivo di diciotto immobili, non tutti intestati
a lui, e numerosi conti correnti per un totale di 750 mila euro. Nessun altra
misura cautelare per gli indagati facenti parte della gang. Stiamo parlando di
un sistema di sfruttamento che, come Adl Cobas, abbiamo cominciato a denunciare
fin dal 2016, con testimonianze e documenti che dimostrano l’intreccio tra
questa banda organizzata di schiavisti e alcune delle principali aziende
legate alla grande distribuzione, sia committenze che fornitori. In questo caso
parliamo del Gruppo legato a Dario Brendolan, capofila di MaxiDì , il marchio
che raggruppa i seguenti supermercati: Famila, A&O, C+C , Galassia, Dpiù, e
tra i fornitori le cooperative del Gruppo facente capo a Simone Romagna e alla
Società Systema. E fuori dalla Grande Distribuzione Taru ad aziende
manifatturiere tra cui la Zoccarato Industrial Coatings.
Ebbene, a fronte di un impianto accusatorio di questo tipo, non è
stata disposta alcuna misura restrittiva della libertà, ben sapendo, Guardia di
Finanza e magistratura, che in più di una occasione alcuni dei lavoratori che hanno
avuto il coraggio di denunciare la banda di Taru hanno subito violenze e
minacce non solo in Italia, ma anche in India. Non siamo certo noi ad invocare
le manette, ma è evidente che si applicano pesi incommensurabilmente diversi:
vengono incriminati per associazione a delinquere e arrestati attivisti
sindacali che hanno sempre combattuto questo sistema di caporalato e si
lasciano a piede libero pericolosi personaggi per i quali sono state raccolte
prove inconfutabili per avere agito in concorso con altri, in una vera
associazione a delinquere. Ci verrebbe da dire che la montagna ha partorito il
topolino, che lo Stato vuole far vedere che ha gli occhi puntati anche
sul fronte padronale, ma mentre colpisce il cerchio (noi) con una mazza, la
botte (il sistema della logistica) viene sfiorata con una piuma.
Altre vicende ci fanno capire quanto, almeno una parte della magistratura,
sia subalterna ai poteri forti: nel caso di Grafica Veneta ad esempio un paio
di dirigenti dell’azienda sono stati messi agli arresti domiciliari e poco dopo
scarcerati in attesa della conclusione del procedimento a loro carico con un
bel patteggiamento trasformato in pena pecuniaria. Un altro caso emblematico,
quello del magazzino Acqua e Sapone, ora Tigotà, della società Gottardo Spa, ha
visto l’arresto del responsabile delle cooperative, ma nessun coinvolgimento
del committente che aveva sempre usufruito dei benefici delle truffe messe in
atto dal fornitore. Oppure il caso della Ditta Tresoldi che riforniva tutti
principali supermercati di Padova, da Alì, a Despar, al Pam ecc., che ha visto
l’arresto del titolare ma ha lasciato fuori completamente i clienti di questo
moderno schiavista. Anche oggi questa inchiesta della Guardia di Finanza non
sfiora i committenti, come se non fosse risaputo che tutto il sistema di
caporalato messo in atto da molti anni a questa parte, è stato molto apprezzato
dai vari Brendolan, Cestaro, Romagna o Zoccarato e dai molti altri, non citati
nell’ordinanza, che hanno beneficiato dei favori di Taru .
Non possiamo tacere sul fatto che il grado di responsabilità andrebbe
totalmente rovesciato, in quanto è troppo comodo per i committenti scaricare
tutto sui fornitori, quando sono loro i primi ad usufruire degli enormi
benefici in termini di grandi profitti che il sistema del caporalato e delle
cooperative gli garantisce .
Chiudiamo con l’ultima inchiesta della Guardia di Finanza che ha coinvolto
Natana.doc per bancarotta fraudolenta, evasione fiscale e contributiva per
oltre 10 milioni di euro: anche in questo caso i diretti responsabili sono
stati solamente denunciati dagli organi inquirenti e hanno subito
unicamente la misura del sequestro di beni. Peccato che uno degli
imprenditori coinvolti in questa vicenda è lo stesso che la Procura di Piacenza
usa come “fonte di prova” per accusare Si Cobas e Usb di aver messo in piedi
due associazioni a delinquere.
Insomma chi ha contribuito in modo determinate a smascherare un vero
sistema di sfruttamento basato su caporalato, violenze, minacce, contro decine
di migliaia di lavoratori è stato inquisito ed arrestato e chi quel sistema lo
ha alimentato e da quel sistema ha ricavato profitti enormi è stato
semplicemente denunciato. Lo Stato sa sempre da che parte stare, ma anche noi e
quindi nonostante tutto continueremo a fare quello che serve per combattere
sfruttamento e caporalato, al di là degli interventi inadeguati e intempestivi
della magistratura.
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