I salari, i premi Nobel, i mezzi d’informazione, perfino i bagni pubblici:
le disparità tra uomini e donne sono ovunque. Alcune sono note, altre nascoste,
altre ci sembrano normali. Conoscerle fa bene a tutti
Succede l’8 marzo (giornata internazionale
della donna) e il 25 novembre (giornata internazionale contro la violenza sulle
donne): tutti i mezzi d’informazione si danno molto da fare per offrire una
prospettiva ampia sulla condizione delle donne e sulla disuguaglianza di
genere. Proviamo invece a parlarne adesso, mentre tutti sono concentrati su
altro. Così, giusto per vedere l’effetto che fa.
Alcune disparità di genere sono così
sostanziali e permanenti che sembra noioso continuare a ricordarle. E invece bisogna
farlo. Altre sono sommerse e quasi invisibili, ma non meno rilevanti. Altre
cominciano a ridursi, ma parzialmente (di seguito, un paio di esempi recenti).
E altre ancora non vengono neanche percepite come disparità, ma come semplice
esito di scelte funzionali e “naturali”. Ma funzionali a chi? E in che modo
naturali?
Un sintetico ripasso può servire. Qui di
seguito metto in fila, senza troppi commenti perché non ce n’è bisogno, nove
ambiti in cui la parità di genere è, in Italia e nel mondo, ancora oggi
tutt’altro che acquisita. Si tratta di disparità concrete, reali, sistemiche e
sì, in larga parte strutturali. Cioè, profondamente radicate nelle strutture
sociali, economiche, politiche, tecnologiche, mediatiche. Piangersi addosso
serve a poco. Tutte e tutti, invece, dovrebbero fare la loro parte per cambiare
le cose.
Per cominciare ricordo che, nel Global gender gap index 2021, il documento che
censisce la disparità di genere in 156 paesi e in quattro ambiti (politica,
economia, educazione, salute) l’Italia si trova oggi a un inglorioso 63° posto,
tra il Perù e Timor Leste. Ed è lì perché ha guadagnato ben 15 posizioni rispetto
al report 2020, nel quale era collocata a un ancor più inglorioso 77° posto,
tra Thailandia e Suriname.
A farci restare così in basso nella
classifica sono l’insufficiente partecipazione economica delle donne e le
scarse opportunità di lavoro che gli vengono offerte.
Segnalo che diverse delle informazioni che
seguono (salute e sicurezza, intelligenza artificiale, oggetti e
infrastrutture) sono tratte da Per
soli uomini, di Emanuela Griglié e Guido Romeo (Codice 2021). È
un piccolo libro, equilibrato e istruttivo. Promuove un’idea semplice e
potente: ancora oggi viviamo in un mondo disegnato su parametri quasi
esclusivamente maschili. Ma una maggiore attenzione alla parità di genere favorisce
tutti. E non solo le donne: anche gli anziani, i bambini. E anche gli uomini.
Salute e sicurezza
La ricerca medica è sempre stata
asimmetrica. La necessità di una medicina genere-specifica, capace di tener
conto delle differenze fisiologiche tra corpo maschile e femminile, comincia a
essere percepita solo a partire dai primi anni novanta grazie a un articolo
della cardiologa Bernardine Healy, pubblicato
sul New England Journal of Medicine.
Healy parla di infarto, e segnala che i
sintomi delle donne, diversi da quelli degli uomini, vengono più difficilmente
riconosciuti o vengono sottostimati, e che quindi per le pazienti è assai più
difficile ricevere una diagnosi corretta e cure appropriate.
Oggi l’infarto è la prima causa di morte
tra le donne. Ricordiamo anche qui che, in caso d’infarto, gli uomini sentono
generalmente un dolore al petto che si irradia verso il braccio sinistro e la
schiena. Le donne possono avere sintomi più attenuati, a cui è indispensabile
prestare attenzione: dolore addominale, fiato corto, nausea, stanchezza, senso
d’ansia.
Secondo Daniela Trabattoni, responsabile
dell’unità di cardiologia presso il Centro Monzino, “storicamente le donne sono
poco rappresentate negli studi clinici per nuove terapie: negli ultimi dieci
anni la partecipazione femminile è risultata pari al 39 per cento. Questo pone
ovviamente un limite sia alla nostra comprensione delle malattie
cardiovascolari in più di metà della popolazione, sia alla nostra potenzialità
di sviluppare terapie o raccomandazioni specifiche per genere”.
I farmaci esistenti (per quelli di nuova
formulazione non sarà più così) sono stati progettati e testati (tollerabilità,
dosaggi, reazioni avverse) a partire da un “maschio bianco standard” tra i 20 e
i 30 anni, del peso di 70 chili e alto un metro e 70. Ovviamente, non si tratta
di un parametro rappresentativo neppure per gli uomini. In Italia, una legge
del 2018 ha
inserito la medicina di genere nel Servizio sanitario nazionale e
ne promuove lo sviluppo.
E ancora: le mestruazioni sono sempre state
ritenute un’imbarazzante faccenda di esclusiva pertinenza femminile. Solo
nell’ottobre 2021 l’iva sugli assorbenti igienici è stata ridotta al 10 per
cento. In
precedenza, come ha segnalato Milena Gabanelli in un memorabile articolo, erano
tassati al 22 per cento, come i tappeti orientali, lo spumante e le pellicce
(tra i beni considerati invece primari: tartufi, merendine, francobolli
da collezione, basilico e rosmarino).
Si sarebbe potuto fare meglio: dal 2007
l’Unione europea consente di ridurre la cosiddetta tampon tax al minimo previsto per i beni di prima
necessità (5 per cento). La Brexit ha permesso al Regno Unito di eliminare del
tutto la tassazione. Nelle scuole scozzesi (e in quelle neozelandesi) gli
assorbenti sono distribuiti gratuitamente.
Infine: è l’Organizzazione mondiale della
sanità a
definire la violenza contro le donne “un problema di salute di
proporzioni globali enormi”. Secondo
gli ultimi dati Istat disponibili (2014) circa un terzo
delle donne italiane ha subìto nella propria vita qualche forma di violenza.
Sarebbe opportuno aggiornare il dato, considerando che nel 2020, in piena
emergenza covid, le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la
violenza e lo stalking, sono aumentate del 79,5 per cento rispetto al 2019. Via
chat sono aumentate del 71 per cento.
Secondo i dati del ministero dell’interno,
nel 2021 i femminicidi sono cresciuti dell’8 per cento: ne abbiamo avuto uno
ogni 72 ore. Il 67,7 per cento delle chiamate al numero di emergenza 1522
riguarda violenze che sono in atto da anni.
Per l’Istat, “il senso di insicurezza
delle donne è decisamente maggiore di quello degli uomini: il 36,6 per cento
non esce di sera per paura (a fronte dell’8,5 per cento degli uomini), il 35,3
per cento quando esce da sola di sera non si sente sicura (il 19,3 per cento
degli uomini). Gli anziani hanno un profilo di insicurezza simile”.
Lavoro e stipendi
Secondo un’elaborazione di Openpolis su
dati Eurostat, in Italia c’è uno storico, ampio divario occupazionale tra
uomini e donne (20 punti nel 2019): lavora meno di una donna su due e solo la
Grecia fa peggio. L’Istat attesta che, durante la pandemia, le donne hanno
perso il lavoro due volte più degli uomini, e che il loro salario ha subìto
maggiori riduzioni.
In Italia le donne guadagnano il 3,8 per
cento in meno degli uomini nel settore pubblico, il 17 per cento in meno nel
settore privato (dati Eurostat 2019).
Una legge per contrastare la disparità
salariale è stata varata a fine ottobre del 2021, ma riguarda solo le aziende
con più di 50 dipendenti. Dobbiamo però ricordare che l’Italia è un paese di
imprese piccole e piccolissime: la media italiana di occupati per impresa è
inferiore ai 10 addetti. Più del 95 per cento delle imprese italiane ha meno di
50 addetti. Queste imprese piccole e piccolissime danno lavoro a circa il 90
per cento dei dipendenti totali (dati Istat, Annuario statistico 2019). La
legge, dunque, riguarda una frazione molto minoritaria delle lavoratrici.
C’è un altro fattore che peggiora la
situazione: tra le donne che lavorano, la percentuale di contratti part-time è
altissima (49,8 per cento secondo il Sole 24 Ore). Questo fa sì che lo
stipendio medio femminile risulti inferiore del 31 per cento (dato Inps 2021)
rispetto a quello degli uomini, che in gran parte lavorano a tempo pieno.
Anche in termini di carriera le cose in
Italia non vanno bene: solo il 28 per cento dei manager è donna, e peggio in
Europa c’è solo Cipro (Eurostat).
Il Censis sottolinea che “le donne tendono
anche a essere vittime di overeducation,
vale a dire che, anche quando sono occupate, non è raro il caso che svolgano
lavori per cui sarebbe sufficiente un titolo di studio più basso di quello
posseduto”.
Ancora oggi il lavoro di cura ricade per
l’80 per cento circa su spalle femminili.
Il sistema delle quote rosa si applica
solo agli organi di governo di grandi società. È una goccia nel mare, e non ha
prodotto gli auspicati effetti a cascata. Non significa che le quote rosa sono
inutili. Vuol dire che non bastano...
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