immagini, video, appelli, articoli di Carlos Latuff, Amnesty International,
Laura Ru, Adriano Madaro, Comitato NoMuos-NoSigonella, Simon Jenkins, Antonio
Mazzeo, Roberto Paura, Stefano Orsi, Nicola Rangeloni, Marco Bordoni, Fulvio
Scaglione, Francesco Sylos Labini, Caitlin Johnstone, Massimo A. Alberizzi,
Raniero La Valle, Annibale Scarpante, Pepe Escobar,
SE PUTIN CI GUARDA NEGLI OCCHI – Marco Bordoni
…come convincere gli Ucraini delle zone occupate a farsi Russi. E qui la risposta può essere identificata in un
programma più semplice a dirsi che a farsi: invertire il processo di
“nazionalizzazione” portato avanti, prima timidamente, poi a marce forzate, dai
Governi dell’Ucraina indipendente. La pratica di “acculturazione forzata,
imposta da una società dominante a una più debole, la quale in tal modo vede
rapidamente crollare i valori sociali e morali tipici della propria cultura e
perde, alla fine, la propria identità e unità” ha un nome in antropologia: etnocidio. Ed è precisamente quello
che abbiamo visto succedere in Ucraina negli ultimi anni. Putin
ha torto (e, da giurista, non può non esserne consapevole) quando accusa gli Ucraini di
genocidio ma parlare, per il periodo 2014 – 2022 di tentativo
di etnocidio dei Russi di Ucraina (e di bombardamenti terroristici a Donetsk)
non è fuori luogo.
I valori di riferimento di chi si
sentiva russo sono stati banditi da ogni aspetto della vita pubblica
(toponomastica, memorialistica, festività etc…) nell’istruzione e nel discorso
pubblico: le espressioni culturali e politiche represse con efficienza, talvolta
con brutalità. Menzione particolare, per la profondità dei sentimenti scossi,
la creazione in vitro, da parte di Poroshenko, della chiesa “autocefala”
nazionale, con tanto di “santa coercizione” per condurre all’ovile nuovo di
zecca le pecorelle smarrite. Le comunità russofone sono state sottoposte ad uno shock culturale
con appelli a (frase idiomatica) “uccidere il russo in loro” e
politiche tese a “formattarle” per installarvi coordinate identitarie,
politiche, etiche ed estetiche diverse. A chi non concordava una sola
possibile alternativa: “valigia, stazione, Russia” (altra espressione
idiomatica). Ora, nei territori occupati, la musica si inverte: i simboli non solo dei
battaglioni “punitivi” ma anche della stessa statualità ucraina sono platealmente
rimossi, sostituiti da statue di Lenin, bandiere “della
vittoria” e russe, araldica dei tempi dello zar. Non c’è nemmeno bisogno di
invitare i dissidenti ad andarsene, “valigia, stazione, Kiev”: ci hanno già
pensato, a far terra bruciata, le bombe e la paura, ben fondata, per i patrioti
ucraini, dell’arrivo dei Russi. Restano nelle retrovie unità di sabotatori, che
creano alle truppe di Mosca non pochi problemi.
In un ambiente di frontiera
permeabile come quello del Sud-Est ucraino, in cui l’humus cultural-identitario è neutro e fertile,
in cui il senso di appartenenza nazionale è un costrutto recente, che interseca
le linee di separazione sociali, linguistiche e religiose, e in cui solo una
parte minoritaria della popolazione ha una identità ben polarizzata mentre la
maggioranza “si adatta” per tirare a campare, facendo buon viso a cattivo
gioco, il condizionamento ha funzionato tanto bene che alla fine i Russi (intesi
come Stato) si sono sentiti costretti ad una scelta estrema: o perdere per
sempre territori che considerano, a torto o a ragione, un loro retaggio
ancestrale, o riprenderne il controllo con la violenza per (tentare di)
invertire il processo. E pazienza se, nel tentativo, il pomo della discordia
dovesse restare schiacciato.
All’ attuazione pratica di questa
seconda guerra di conquista, diretta ai cuori e alle menti, deve pensare Sergey Kirienko,
il manipolatore, che sta portando nella Novorussia l’approccio tecnocratico con
il quale si è guadagnato la fiducia di Putin: uomini nuovi, specialisti,
insegnanti russi, portati nelle terre controllate da Mosca dalle più remote
regioni, assieme ad adeguati investimenti, in un clima di mobilitazione
nazionale, per gestire la ricostruzione materiale ma soprattutto identitaria
dei nuovi territori. E l’odio della guerra? Le
guerre si dimenticano, pensano (e dicono) i
Russi. Si pensi ai Ceceni: venti anni fa nemici irriducibili, oggi in prima
linea a fianco a noi. Si pensi a Giapponesi, Tedeschi, Italiani: a suo tempo bombardati
dagli Americani, oggi vassalli fedeli. È un approccio
brutale, che ricorda i tempi dell’assolutismo: “Gli uomini non meritano la
verità”, scriveva Federico il Grande a Voltaire, proseguendo: “Sono un branco
di cervi nel parco di un grande nobile, che non servono ad altro che a
riprodursi, per popolare il parco”. Ma se vogliamo essere onesti fino in fondo
dobbiamo ammettere che è la medesima logica messa in atto dai governi
maidanisti e dai loro sponsor occidentali.
Identificate in questo modo, con
pochi margini di errore, le caratteristiche e le modalità del programma russo,
ci sarebbe da definire e calibrare le nostre possibili risposte.
Nostre, dei Governi cosiddetti “occidentali”, fronte eterogeneo che
comprende, ovviamente, chi i conti non sa o ha rinunciato a farli e altri che,
invece, li sanno fare da tempo, e molto bene. Comunque è chiaro che alle
iniziative russe ci opporremo. John Kirby lo ha già
detto: le annessioni non rimarranno impunite. Benissimo. Del resto,
in tutta questa faccenda, quando mai, da parte occidentale, si è vista un’
apertura?
Il 21 febbraio 2014 abbiamo
rifiutato di ripristinare il quadro delle istituzioni democratiche ucraine,
costringendo gli insorti a rispettare l’accordo con Yanukovich. L’inchiostro
dell’accordo era ancora fresco, le firme dei garanti (Polonia, Francia, Germania),
pure. Sarebbe stato un piccolo sacrificio, visto che l’ opposizione avrebbe
comunque, di lì a poco, vinto le elezioni in un quadro legale, come era
successo nel 2004. Poi abbiamo rifiutato di riconoscere i diritti
all’autodeterminazione della comunità russa della Crimea e i diritti della Russia
sulla penisola (che pure erano giuridicamente ben più
fondati di quelli, da barzelletta, che Putin accampa per i nuovi territori
occupati oggi). Sempre nella primavera del 2014 Mosca iniziò a soffiare
sul fuoco della guerra civile in Donbass e chiese che venisse consentito il
decentramento dell’Ucraina, una versione molto più blanda e incruenta di quello
a cui aspira oggi. Richiesta respinta, non si sa bene perché.
Poi abbiamo rifiutato
(“fermamente” come si dice in questi casi) di costringere Kiev ad applicare gli
Accordi di Minsk, fingendo che fossero solo i Russi a violarli. La
prima cosa da fare, trattato alla mano, dopo il cessate il fuoco, erano
negoziati diretti fra Governo e separatisti. Kiev ha detto quasi subito che non
ci pensava nemmeno. Eppure per anni i nostri politici hanno continuato a invitare
Putin ad applicare gli accordi.
Ci avviciniamo ai giorni
nostri. Poco prima dell’ inizio delle operazioni militari russe, quando
già la diplomazia pattinava su un ghiaccio assai sottile, abbiamo respinto le
richieste di Putin di accantonare la politica delle “porte aperte” per la NATO
e di “finlandizzare” l’Ucraina (anzi, poco dopo l’inizio della guerra,
praticamente senza alcun dibattito, abbiamo “ucrainizzato” la Finlandia). E oggi stiamo, nei fatti,
assecondando le ardite speranze di Zelensky di vincere la guerra con Mosca,
respingendo come folle questa soluzione “Coreana” che la Russia sembra
preparare in punta di baionetta. Comprensibile, per carità: quello che stanno
facendo i Russi non è uno spettacolo per stomaci delicati. Ma si noti: a ogni salto dell’escalation il
prezzo (politico, economico e morale) del compromesso è sempre più alto.
L’interlocutore sempre più ostile. Non ci piaceva parlare con la Russia del
2014, ancor meno ci piace farlo con quella di oggi. Ma non siamo a una festa,
in cui si può parlare solo con quelli che ci stanno simpatici. Il tema è: non parliamo oggi perché
pensiamo che la Russia di domani sarà più amichevole? Su
quali basi? Oppure pensiamo si possa continuare a tirare dritto ignorando le
loro richieste?
Gli Americani pensano di riuscire
a controllare il processo, e pensano che fino a che non si va troppo in là, la
cosa può anche fargli gioco. E va bene. Ma noi? Diseducati alla politica
estera, avendo vissuto tutte le nostre vite sotto tutela, in un mondo in cui nessuna
potenza ha mai avuto la forza di presentare all’alleanza occidentale il conto
della sua intransigenza e dei suoi errori, siamo diseducati all’ascolto e
al compromesso. Ci facciamo spingere per inerzia verso il momento terribile in cui
potremmo trovarci davanti alla prospettiva di un coinvolgimento diretto o a
quella di una resa disonorevole in una guerra in cui
abbiamo investito troppo, e perso moltissimo, senza nemmeno aver discusso se
valesse la pena combatterla, e senza prendervi parte.
Eppure le dinamiche dei rapporti
di potenza ci suggeriscono che almeno su questo punto Putin potrebbe aver ragione: la supremazia del “miliardo d’
oro” è agli sgoccioli. L’epoca delle scelte senza conseguenze,
dell’intransigenza gratis come posa, dell’obbedienza docile e irriflessiva
all’alleato, nella cieca fiducia del suo ombrello protettivo, sta per finire
per sempre.
Russia-Ucraina: “La condotta di guerra delle forze ucraine ha
messo in pericolo la popolazione civile”
Nel tentativo di respingere
l’invasione russa iniziata a febbraio, le forze ucraine hanno messo in pericolo la popolazione
civile collocando basi e usando armamenti all’interno di
centri abitati, anche in scuole e ospedali. Queste tattiche violano il diritto
internazionale umanitario perché trasformano obiettivi civili in obiettivi
militari. Gli attacchi russi che sono seguiti hanno ucciso
civili e distrutto infrastrutture civili.
“Abbiamo documentato un modello in cui le forze ucraine mettono a
rischio i civili e violano le leggi di guerra quando operano in aree popolate”, ha affermato Agnès Callamard, Segretario generale di Amnesty
International.
“Essere in una posizione difensiva non esenta l’esercito ucraino
dal rispetto del diritto umanitario internazionale”.
In altre località in
cui Amnesty International ha concluso che la Russia ha commesso crimini di guerra, incluse
aree della città di Kharkiv, l’organizzazione non ha trovato prove di forze ucraine dislocate
nelle aree civili prese di mira illegalmente dall’esercito russo.
Tra aprile e luglio, i
ricercatori di Amnesty International hanno trascorso diverse settimane a indagare
sugli attacchi russi nelle regioni di Kharkiv, del Donbass e di Mykolaiv. L’organizzazione
ha visitato luoghi colpiti dagli
attacchi, ha intervistato sopravvissuti, testimoni e familiari di vittime,
ha analizzato le armi usate e ha svolto ulteriori ricerche da remoto.
Durante queste ricerche, i
ricercatori di Amnesty International hanno riscontrato prove che le forze
ucraine hanno lanciato attacchi da
centri abitati, a volte dall’interno di edifici civili, in 19 città e villaggi. Per
convalidare ulteriormente queste prove, il Crisis Evidence Lab dell’organizzazione
per i diritti umani si è servito di immagini satellitari.
La maggior parte dei centri
abitati dove si trovavano i soldati ucraini era a chilometri di distanza dalle
linee del fronte e, dunque, ci sarebbero state alternative che avrebbero potuto evitare di
mettere in pericolo la popolazione civile. Amnesty
International non è a conoscenza di casi in cui l’esercito ucraino che si era
installato in edifici civili all’interno dei centri abitati abbia chiesto ai
residenti di evacuare i palazzi circostanti o abbia fornito assistenza nel
farlo. In questo modo, è venuto meno al dovere di prendere tutte le possibili precauzioni
per proteggere le popolazioni civili.
ATTACCHI LANCIATI DAI CENTRI ABITATI
Sopravvissuti e testimoni degli
attacchi russi nelle regioni di Kharkiv, del Donbass e di Mykolaiv hanno riferito ai ricercatori
di Amnesty International che l’esercito ucraino era operativo nei pressi delle
loro abitazioni e che in questo modo ha esposto la
popolazione civile alle rappresaglie delle forze russe.
“I soldati stavano in una casa accanto alla nostra e mio figlio
andava spesso da loro a portare del cibo. L’ho supplicato diverse volte di
stare lontano, avevo paura per lui. Il pomeriggio dell’attacco io ero in casa e
lui in cortile. È morto subito, il suo corpo è stato fatto a pezzi. Il nostro
appartamento è stato parzialmente distrutto”, ha dichiarato la madre di un uomo di 50 anni ucciso da un attacco
russo il 10 giugno in un villaggio a sud di Mykolaiv.
Nell’appartamento dove, secondo la donna, avevano stazionato i soldati ucraini
Amnesty International ha rinvenuto equipaggiamento e divise militari.
Questa è la testimonianza di Mykola,
che vive in un palazzo di Lysychansk, nel Donbass, più volte centrato dagli
attacchi russi:
“Io non capisco il motivo per cui i nostri soldati sparano dalle
città e non dai campi”.
E questa è quella di un uomo residente nella stessa
zona:
“C’è attività militare qui nel quartiere. Quando c’è fuoco in
uscita, subito dopo c’è fuoco in entrata”.
A Lysychansk i ricercatori di
Amnesty International hanno visto soldati in un palazzo a 20 metri di distanza
dall’entrata di un rifugio sotterraneo usato dagli abitanti e dove un anziano è
stato ucciso.
In una città del Donbass, il
6 maggio, le forze russe hanno colpito con le bombe a grappolo (vietate
dal diritto internazionale e inerentemente indiscriminate) un quartiere di case per
lo più a un piano o a due piani dove era in funzione l’artiglieria ucraina. I
frammenti delle bombe a grappolo hanno danneggiato l’abitazione dove Anna, 70
anni, vive con la madre novantacinquenne.
“Le schegge sono passate attraverso la porta. Io ero dentro casa.
L’artiglieria ucraina si trovava nei pressi del mio giardino. I soldati erano
dietro al giardino e dietro la casa. Da quando la guerra è iniziata li ho visti
andare e tornare. Mia madre è paralizzata, per noi è impossibile fuggire”.
All’inizio di luglio, nella regione di Mykolaiv, un
contadino è rimasto ferito nell’attacco delle forze russe contro un deposito di
grano. Ore dopo l’attacco, i ricercatori di Amnesty
International hanno notato la presenza di soldati ucraini e di veicoli militari
nella zona del deposito. Testimoni oculari hanno confermato che quella
struttura, situata lungo la strada che porta a una fattoria dove persone vivono
e lavorano, era stata usata dalle forze ucraine.
Mentre i ricercatori di Amnesty
International stavano esaminando i danni arrecati a palazzi e ad altre
strutture civili nelle regioni di Kharkiv, del Donbass e di Mykolaiv, hanno
udito spari provenienti dalle postazioni ucraine situate nelle vicinanze.
A Bakhmut, molte
testimonianze hanno parlato di un edificio usato dai soldati ucraini e situato
a neanche 20 metri di distanza da un palazzo a più piani. Il 18 maggio un
missile russo ha colpito il palazzo distruggendo parzialmente cinque appartamenti e danneggiando
edifici vicini.
Tre abitanti hanno riferito che
prima dell’attacco delle forze russe, quelle ucraine avevano utilizzato un
edificio dall’altra parte della strada e che due camion dell’esercito ucraino
erano parcheggiati di fronte a un’abitazione rimasta danneggiata dal missile.
I ricercatori di Amnesty
International hanno rinvenuto tracce, all’interno e all’esterno
dell’edificio, della presenza dei soldati ucraini, tra cui sacchi
di sabbia, pezzi di plastica nera per coprire le finestre e nuovi kit di pronto
soccorso di manifattura statunitense.
“Non ci è permesso dire nulla su cosa fa l’esercito, ma siamo noi
a pagare le conseguenze”, ha detto ad Amnesty
International un sopravvissuto all’attacco.
BASI MILITARI ALL’INTERNO DEGLI OSPEDALI
In cinque diverse località, i
ricercatori di Amnesty International hanno visto le forze ucraine usare gli ospedali come basi
militari. In due città decine di soldati stavano
riposando, passeggiando o mangiando all’interno di strutture ospedaliere. In
un’altra città i soldati stavano sparando nei pressi di un ospedale.
Il 28 aprile un attacco aereo
russo ha ucciso due impiegati di un laboratorio medico alla periferia di
Kharkiv dopo che le forze ucraine avevano installato una base nelle immediate
adiacenze.
Usare gli ospedali a scopi militari è un’evidente violazione del
diritto internazionale umanitario.
BASI MILITARI ALL’INTERNO DELLE SCUOLE
L’esercito ucraino colloca
abitualmente le sue basi all’interno delle scuole dei villaggi e delle città del Donbass e
della regione di Mykolaiv. Le scuole sono temporaneamente
chiuse ma molte sono situate vicino a insediamenti urbani.
In 22 delle 29 scuole visitate, i ricercatori di Amnesty International hanno trovato soldati o
rinvenuto prove delle loro attività, in corso al momento della
visita o precedenti: tenute da combattimento, contenitori di munizioni, razioni
di cibo e veicoli militari.
Le forze russe hanno colpito molte delle scuole usate
dall’esercito ucraino. In
almeno tre città, dopo i bombardamenti russi, i soldati ucraini si sono
trasferiti in altre scuole, mettendo ulteriormente in pericolo i civili.
In una città a est di Odessa,
Amnesty International ha notato in molte occasioni i soldati ucraini usare aree
civili per alloggiare e fare addestramento, tra cui due scuole situate in zone
densamente popolate. Tra aprile e giugno gli attacchi
russi contro le scuole della zona hanno causato diversi morti e feriti. Il 28
giugno un bambino e un’anziana sono stati uccisi nella loro abitazione, colpita
da un razzo.
A Bakhmut, il 21
maggio, un attacco delle forze russe ha
colpito un edificio universitario usato come base militare dalle forze ucraine
uccidendo sette soldati. L’università è adiacente a un
palazzo a più piani, danneggiato nell’attacco insieme ad altre abitazioni
civili a non più di 50 metri di distanza. I ricercatori di Amnesty
International hanno visto la carcassa di un veicolo militare nel cortile
dell’università bombardata.
Il diritto internazionale
umanitario non vieta espressamente alle parti in conflitto di installarsi in
scuole dove non sono in corso lezioni. Tuttavia, le forze armate devono evitare di usare scuole
situate nei pressi di insediamenti civili, salvo quando non vi sia un’urgente
necessità di tipo militare. Anche in questo caso, devono
avvisare i civili e se necessario assisterli nell’evacuazione, cosa che nei
casi esaminati da Amnesty International non pare si sia verificata.
I conflitti armati pregiudicano gravemente il diritto
all’istruzione. Inoltre, l’uso
a scopo militare delle scuole può dar luogo a distruzioni che, a guerra finita,
possono continuare a negare quel diritto. L’Ucraina è uno dei 114 stati che hanno sottoscritto la
Dichiarazione sulle scuole sicure, un accordo che intende
proteggere l’istruzione durante i conflitti armati e che prevede l’utilizzo di
scuole abbandonate o evacuate solo quando non vi siano alternative praticabili.
ATTACCHI INDISCRIMINATI DELLE FORZE RUSSE
Molti degli attacchi delle forze
russe documentati da Amnesty International nei mesi scorsi sono stati portati a
termine mediante l’uso di armi inerentemente indiscriminate, come le bombe a
grappolo che sono messe al bando a livello internazionale, o di armi esplosive
che producono effetti su larga scala. Altri attacchi sono stati condotti con
armi guidate con vari livelli di precisione che, in alcuni casi, hanno
effettivamente colpito il bersaglio designato.
La tattica delle forze ucraine di collocare obiettivi militari
all’interno dei centri abitati non giustifica in alcun modo attacchi
indiscriminati da parte russa. Tutte
le parti in conflitto devono sempre distinguere tra obiettivi militari e obiettivi civili e prendere
tutte le precauzioni possibili, anche nella scelta delle armi
da usare, per ridurre al minimo i danni ai civili. Gli attacchi indiscriminati
che uccidono o feriscono civili o danneggiano obiettivi civili sono crimini di
guerra.
“Chiediamo al governo ucraino di assicurare immediatamente
l’allontanamento delle sue forze dai centri abitati o di evacuare le
popolazioni civili dalle zone in cui le sue forze armate stanno operando. Gli
eserciti non devono mai usare gli ospedali per attività belliche e dovrebbero
usare le scuole o le abitazioni dei civili solo come ultima risorsa, quando
nessun’altra alternativa sia percorribile”,
ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
ULTERIORI INFORMAZIONI
Il diritto internazionale umanitario chiede a tutte le parti in
conflitto di fare il massimo possibile per non collocare obiettivi militari
all’interno o nei pressi di centri abitati. Altri obblighi circa la protezione delle
popolazioni civili prevedono la loro evacuazione da luoghi prossimi a obiettivi
militari e un preavviso efficace su ogni attacco che possa avere conseguenze
per le popolazioni civili.
Il 29 luglio Amnesty
International ha trasmesso al ministero della Difesa di Kiev le
conclusioni delle sue ricerche. Al momento, non è ancora pervenuta una
risposta.
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