Il carattere ideologico, pettegolo e demagogico che prevale in questo primo scorcio di campagna elettorale ci rafforza nella convinzione che anche in seguito non si parlerà della questione sociale e, ancora meno, della crisi della democrazia. Le differenze tra i contendenti, nelle pratiche di governo e amministrative, sono così lievi che finirebbero per dire cose assai simili, visto che simili sono le proposte sulla sanità e sulla scuola, quelle sul lavoro e sull’immigrazione e sulle libertà personali e collettive. D’altronde una parte consistente delle forze politiche (di destra e di sinistra) ha governato insieme in alcune occasioni e molte di quelle persone dedite alla politica sono passate, con una certa disinvoltura, da una parte all’altra degli schieramenti.
Univoco è il disinteresse per l’astensionismo che ha
raggiunto, e superato in alcuni casi, il 50%. Come se questa non fosse la
manifestazione più chiara della crisi della politica e con essa della
democrazia rappresentativa!
Chi rappresenta il Paese reale? Come è rappresentato
il Paese se il Parlamento, da molte legislature, non discute le leggi, che
vengono varate con il solo voto di fiducia? Perché far passare per incidenti o
emergenze una prassi che evidenzia una crisi della democrazia della
rappresentanza? Non funzionano più nemmeno le alchimie delle leggi elettorali
(che non si riescono a fare) e dei regolamenti.
I “poteri forti” condizionano le scelte politiche
degli Stati nazionali e dell’Europa. I nuovi grandi profitti delle imprese
farmaceutiche, delle industrie dell’energia, delle imprese della comunicazione
digitale, della logistica ed ora, ancor più, delle industrie delle armi ne
determinano le scelte economiche. Mentre la guerra in Ucraina favorisce le
speculazioni sui prezzi. Così le schermaglie elettorali, anche violente,
nascondono l’incapacità e la mancanza di volontà di operare scelte che rompano
quei condizionamenti e vadano verso politiche di controllo dei prezzi, di
redistribuzione della ricchezza, di rafforzamento dei servizi pubblici e
investimenti strutturali per creare lavoro stabile.
Mentre i giovani movimenti antifascisti da anni denunciano
le forme autoritarie assunte dalle istituzioni, dalle forze dell’ordine e dalla
magistratura, e cercano di mettere in guardia la politica dai rischi di nuove
forme di “fascismo”, agli elettori viene proposto, con un allarmismo
strumentale, lo scontro tra il PD di Letta e Fratelli d’Italia della Meloni! Si
chiede un “voto utile” per fermare la “barbarie neofascista” a favore del
“senso di responsabilità” di chi, in vari modi, ha governato, in alternanza con
il centro destra, senza aver inciso sulla struttura sociale del paese e sulla
qualità della vita dei cittadini più deboli. Una montatura! Ancora più evidente
nel momento in cui il percorso elettorale del PD corre verso il centro dello
schieramento politico raccolto intorno all’agenda Draghi.
Che fare?
Nessuna coalizione elettorale può contrastare le
destre e i moderati, solo la ripresa del conflitto sociale può fermare la
restaurazione neoliberale e aprire qualche prospettiva. Il 25 settembre
ciascunǝ faccia come crede, noi pensiamo che non sia così importante… Molto
importante invece è scegliere di occuparsi di ciò che sta accadendo, importante
è scegliere di non delegare ad altrǝ la propria vita e i propri bisogni. Molto
importante è condizionare, con il conflitto, l’agenda del governo, qualsiasi sia
(non sarà un governo “amico”), e trovare insieme ad altrǝ le forme di lotta più
efficaci.
La ribellione sociale può essere l’unico strumento che
abbiamo a disposizione per fare politica.
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