di Il Rovescio
Venne proposto
dapprima d’abbreviare il discorso col ridurre i polisillabi in
monosillabi e col sopprimere verbi e participii. In realtà, tutte le cose immaginabili
che altro sono se non nomi?
In secondo luogo si propose di abolire
qualsiasi parola per il vantaggio evidente che da tale abolizione sarebbe
derivato alla salute e alla brevità. Infatti, ogni parola che si pronuncia è in
certo modo un logorio dei nostri polmoni e contribuisce ad accorciare la vita.
Considerando che le parole sono soltanto nomi che designano cose, converrebbe
agli uomini di portare addosso tutte quelle cose necessarie ad esprimere i
particolari negozi intorno a cui si propongono di parlare. Tale riforma sarebbe
stata indubbiamente accettata e messa in atto, con incremento copioso di
comodità e con vantaggio della salute pubblica, se le donne, alleate coi
volgari e gl’illetterati, non avessero minacciato di ribellarsi e rivendicato
la libertà di adoperare la lingua a mo’ degli antenati. Il volgo, si sa, è
stato sempre il costante irreconciliabile nemico della scienza.
Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver
(cap. V, relativo alla Grande Accademia
di Lagado)
Di questi tempi la megamacchina sfoggia tutta la sua potenza evidenziando
la robusta connessione tra i tentacoli che la compongono. Forte dello
stordimento sociale prodotto dalla repressione sistematica di ogni dissenso e
dalla manipolazione mediatica delle emergenze che si susseguono, essa può
contare sull’affanno dovuto alla mancanza/perdita di una dimensione collettiva
capace di generare strategie specifiche di resistenza e lotta, frutto di quel
confronto che ad oggi non si è ancora generato. Così accade che gli evidenti
rapporti di causa (capitalismo) ed effetto (pandemia, guerra globale,
catastrofi ambientali) dettino il senso delle scelte non alla ricerca di
soluzioni radicali alle gravi evidenze che si impongono, bensì come ulteriori
possibilità di trarne profitto e come acceleratore verso una digitalizzazione
totale dell’esistente.
Benché non vorremmo essere annoverati tra quelli che dormono in piedi, ci
capita talvolta di restare basiti di fronte alla sfacciataggine di governanti e
burocrati.
Si prenda ciò che viene denunciato da USI Sanità di Milano (trovate il
comunicato in allegato). Con il Decreto Legge 21 marzo 2022 n. 21 (lo stesso
che dichiara, tra l’altro, che «i servizi di comunicazione
elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G costituiscono attività di
rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale»),
il governo ha autorizzato la possibilità di assumere personale sanitario
proveniente dall’Ucraina a tempo determinato. Con un esempio di “riforma del
linguaggio” che ricorda davvero la Grande Accademia di Lagado narrata da
Jonathan Swift, ecco come ne esce la «solidarietà»: infermiere
e infermieri ucraini possono essere assunti con contratti co.co.co (quindi con
stipendio inferiore), senza tutti i requisiti richiesti per poter svolgere tali
mansioni in Italia, tra cui l’obbligo “vaccinale” anti-Covid. Per i sospesi,
invece, nessuno spiraglio all’orizzonte, almeno fino a fine anno, nonostante
sia palese l’inutilità del “vaccino” dal punto di vista professionale alla luce
delle infezioni e reinfezioni nei colleghi con ben tre dosi (lo chiamiamo
“vaccino” sempre in virtù della suddetta “riforma del linguaggio”).
D’altro canto le sospensioni – vista anche la forza del ricatto governativo e
della pressione sociale – riguardano una percentuale molto bassa tra il
personale infermieristico e medico (parliamo all’incirca dell’1%); ma sono
state abilmente strumentalizzate per giustificare le madornali lacune del
Servizio Sanitario Nazionale, che in questi due anni e mezzo si è invece
adoperato senza indugi per iniziare a plasmare la riforma dei servizi disegnata
nel PNRR. Oltre ai governanti, chi si oppone risolutamente al loro reintegro
sono gli Ordini dei medici e delle professioni infermieristiche, spesso più
realisti del re (ne è un esempio il diniego dell’Ordine dei medici veneti di
fronte alla proposta formulata da Zaia volta a reintrodurli), che trovano
ingiusto farla passare liscia a chi ha semplicemente esercitato la facoltà di
decidere, almeno nello specifico della “vaccinazione”, della propria salute.
Ciò che è più grave, al di là dell’appartenenza a categorie e sindacati, è
stata ed è tutt’ora l’assenza di una solidarietà tra colleghi, tra il resto
della collettività e gli operatori sospesi. Un anno e quattro mesi dopo
l’introduzione dell’obbligo, e alla luce dell’inaggirabile evidenza empirica
sugli effetti concreti della “vaccinazione”, pretendere il reintegro di tutti i
sospesi – che, ricordiamolo, non percepiscono alcuno stipendio – sarebbe il
minimo della decenza, nonché un modo per rimarginare ferite profonde, che non
si cancelleranno da sole sotto il peso della rimozione.
Confinamenti, coprifuoco, schedature di massa, discriminazioni, violenza
verbale e psicologica in nome della salute e della Sanità.
Ed eccola la Sanità così salvaguardata: turni ancora oggi di 12 ore nella
maggioranza delle strutture pubbliche da Nord a Sud – a discapito della salute
dei lavoratori e dei pazienti; innalzamento del numero dei pazienti per i
medici di famiglia (di questi ne manca già oltre il 10%, ed entro il 2027 si
prevede che ne mancheranno altri 30000) da un massimale di 1500 a 2000 con
tempi di attesa per una visita programmata che superano il mese; infermieri
destinati sempre più frequentemente a sostituire i medici di medicina generale
(in Lombardia ormai è sperimentazione in corso presso diverse ASST, lo dichiara
con la boria che la contraddistingue la Moratti); dentisti e specializzandi nei
Pronto Soccorso a rimpiazzare in qualche modo gli oltre 4800 medici mancanti
solo in questo settore, dove l’attesa per una visita può durare anche giorni
(al Cardarelli di Napoli si è dovuto ricorrere alla chiusura temporanea degli
accessi) e dove confluiscono sempre più pazienti a causa della miserrima
condizione della medicina del territorio anche per la decisione del governo di
chiudere le USCA; introduzione del super-Oss per fronteggiare la carenza di
infermieri e di super-infermieri per fronteggiare quella di medici, con
l’assunzione di responsabilità che non competono loro (ad Orbassano un
infermiere di Pronto Soccorso è stato condannato ad otto mesi per aver
sbagliato la diagnosi e 48 suoi colleghi hanno chiesto il trasferimento in
altri reparti).
Stipendi irrisori e condizioni di lavoro impossibili che si evincono anche
dall’aumento del tasso di suicidi sempre celati nell’ambito sanitario.
Le ricadute sulla popolazione sono già ora devastanti, in un momento
storico in cui una persona su due ha una patologia cronica e gli ultimi anni
hanno generato (tra virus e “vaccini” biotecnologici, perdita dei posti di
lavoro, precarietà delle relazioni e disumanità che avanza) i presupposti per
schiere di nuovi malati e morti, con liste di attesa oltre l’anno per controlli
e diagnostica, con il rischio di affidarsi a personale non competente se non si
ha la possibilità di provvedere privatamente.
Ci salverà la telemedicina, che doveva riguardare il 10% della popolazione
sopra i 65 anni con cronicità, e che invece oggi interessa tutti e riguarda
diverse specialità (dalla cardiologia alla pediatria, dalla diabetologia alla
reumatologia), se riteniamo di essere un insieme di sintomi analizzabili
da remoto e se vogliamo o possiamo permetterci la tecnologia necessaria.
Ovviamente dopo aver attivato lo Spid, senza il quale l’accesso ai servizi
sanitari è già ora limitato. La priorità per lo Stato, in tale ambito, è il
fascicolo sanitario elettronico, con i succulenti dati che esso contiene (non a
caso sempre più frequentemente bersaglio di furti) e la possibilità –
così smart, vista la mole di informazioni che vi confluiscono – di
controllare e punire.
Ci salveranno gli algoritmi, che aiuteranno medici o infermieri nella
tempestività della diagnosi, privandoci di qualsiasi volontà individuale.
Ci salveranno le terapie digitali che consentono di evitare la relazione
con l’altro e di essere efficienti – cioè forza lavoro
costante; oppure la genetica e le biotecnologie che pervadono indisturbate
qualsiasi ambito della ricerca e produzione di nuovi farmaci, oltre ad
innalzarsi a panacea per una produzione alimentare “sicura e green”.
Magari contribuiranno le «Case della Comunità» – no,
non è un’invenzione della Grande Accademia di Lagado – previste nel PNRR (pare
che il loro numero sia stato dimezzato), dove ci affideremo, dopo averle
raggiunte, al medico di turno come fosse una guardia medica (quelle che
praticamente stanno scomparendo).
Ma dal virus del capitalismo, quello che sta mostrando le maggiori capacità
di resilienza e adattamento, senza solidarietà e lotta non c’è scampo.
Qui il Comunicato dell’USI
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