Un sondaggio svolto nel maggio scorso dalla Marist, un’università statunitense di New York, ha rivelato che la metà dei cittadini di quella nazione, il 47% per l’esattezza, ritiene che sia molto probabile o probabile assistere a una seconda guerra civile, 160 anni dopo la prima.
Scomponendo questa
rilevazione troviamo che tra chi pensa di assistere a questo evento, scopriamo
che tra i repubblicani la percentuale è del 53%, tra i democratici del 40% e
tra gli indipendenti del 41%.
Ne hanno maggiore certezza i
più giovani. All’interno della cosiddetta generazione Z (i nati tra fine dei
’90 e il 2010) e quella dei Millennials (nati tra inizio anni ’80 e il 2000) la
percentuale arriva al 58%, scende al 46% tra la generazione X (1965-80) e al
34% tra i baby boomer (1946-64). Cala nettamente, al 19% nella generazione
“silenziosa” (nati tra il 1928 e il 1945).
Vede vicina la guerra civile
il 51% delle donne e il 57% degli afroamericani. Tra questi ultimi il 22% la
ritiene molto probabile. Anche Il 50% dei latinoamericani e il 43% dei bianchi
pensa che un conflitto interno sia molto probabile o probabile che accada
durante la loro vita.
Dopo i crudi numeri alcune
riflessioni. Coloro che erano già nati o nacquero subito dopo che furono
assassinati John Kennedy, Martin Luther King, Bob Kennedy, Malcom X, sono meno
propensi a vedere nella situazione attuale i segni di una guerra civile
imminente.
D’altronde la violenza
politica è quasi una tradizione negli Stati Uniti d’America, iniziata con
l’omicidio del presidente Abraham Lincoln nel 1865, dopo la sua vittoria nella
guerra di secessione e passata per l’assalto della folla trumpiana a Capitol Hill
del 6 gennaio 2021 (5 morti e decine di feriti) culminato con scontri armati
tra dimostranti e polizia, ritenuto da molti un tentativo di colpo di Stato.
Su 45 presidenti Usa 13 hanno
subito attentati e, tra loro, sette tentativi di omicidio hanno riguardato gli
ultimi nove presidenti. C’è però un collegamento tra la violenza politica e la
violenza sociale che non viene fatto molto volentieri dai mezzi d’informazione.
Nell’anno record 2020 si sono
verificati 21.500 omicidi negli Usa, 5 mila in più rispetto al 2019, il 77% dei
quali commesso con armi da fuoco. Nel 2023, finiti i disordini sociali causati
dalla pandemia di Covid-19, dall’omicidio di George Floyd da parte della
polizia e dal tentato golpe di Trump, il numero di omicidi è e sceso del 15,6%
secondo l’Fbi.
Parliamo comunque di una
media di 20 mila omicidi l’anno negli Usa. Di sicuro la facilità con cui
procurarsi un’arma è una causa molto importante di tanta furia assassina, ma
non può essere isolata dal contesto sociale conflttuale in cui si verificano i
delitti.
Con crudo cinismo, ma
supportati dalle cifre, possiamo quindi concludere che la violenza politica
negli Usa verso i politici è speculare alla violenza sociale nelle strade e
nelle case dei comuni cittadini statunitensi. Episodi che avvengono con
maggiore frequenza, ovviamente, dei delitti politici.
Il motivo principale per cui
in particolare i più giovani ritengono probabile una guerra civile negli Usa
non risiede quindi negli sporadici episodi di violenza politica eclatanti come
l’attentato a Trump, ma nella violenza sociale e politica diffusa tutti i
giorni in tutta la società.
Sessant’anni dopo le marce
per i diritti civili, i neri sono ancora il bersaglio privilegiato delle forze
dell’ordine, la diffidenza verso i latinos è cresciuta, i cittadini di origine
asiatica sono stati vittiime di violenza durante il covid, buona parte della
società wasp (bianchi, anglo-sassoni, protestanti, l’etnia storicamente
dominante negli Stati Uniti) è ancora profondamente razzista e non inclusiva.
La facilità nel reperire armi
da fuoco è di sicuro un moltiplicatore di episodi violenti, ma la loro radice
profonda risiede nei grandi passi indietro compiuti dalla società statunitense
nel suo complesso negli ultimi cinque decenni.
Intorno alle organizzazioni
classiche della violenza politica Usa, come il Ku Klux Klan e le milizie
separatiste in molti stati del Sud, sono cresciuti i gruppi armati scaturiti
dai deliri nati nella rete virtuale di gruppi come Qanon.
Occupati come sono stati
negli ultimi due decenni a invadere paesi stranieri per combattere il
terrorismo esterno, gli Usa hanno trascurato completamente quello interno.
Perchè nel frattempo molti membri di organizzazioni reazionarie o direttamente
complottiste sono diventati deputati, senatori e governatori, locali e
nazionali, dando dignità politica alla violenza.
Non ultima questione rispetto
alla divisione in due del Paese, la frattura tra città e campagna. Un elemento
che proprio gli ultimi anni e il presunto ruolo di Donald Trump come difensore
del cittadino “assediato” dalle tasse dai migranti e dal potere federale hanno
fatto emergere.
La conclusione inquietante è
che non c’è in questo momento negli Usa una figura politica o culturale in
grado di riunire il Paese. L’unica speranza, e non soltanto a quella
latitudine, è che tra i trentenni di oggi emerga una nuova classe dirigente in
grado di superare le divisioni, di riunire il Paese ricostruendo lentamente e
dal basso un tessuto sociale coerente. La certezza è che l’attuale classe
dirigente Usa, per età e per cultura, può riproporre soltanto divisione.
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