Spirit, piccolo indiano degli Spakane che vive nella riserva, non è un bambino fortunato, è piccolo e con una salute cagionevole, e però accetta una grande scommessa, andare a studiare nelle città fuori dalla riserva, e riesce ad andare avanti e a farsi volere bene, senza fingere di non essere un indiano, e senza vergognarsene.
gran bel libro.
Arnold Spirit Jr, della tribù degli Spokane, è nato con
l'acqua nel cervello, un eccesso di fluido cerebrospinale che gli ha lasciato
tutta una serie di problemi fisici: mal di testa, convulsioni, un occhio miope
e uno ipermetrope che non vanno per niente d'accordo, un corpo sproporzionato e
quarantadue denti, dieci più del normale. Come se non bastasse, ha due
fastidiosi difetti di pronuncia, che insieme all'amore per lo studio lo rendono
diverso dagli altri ragazzi, facile bersaglio dei bulli della riserva. La sua vita
potrebbe sembrare assurda e ridicola, ma Arnold decide di raccontarla lo
stesso, con sentimento e ironia, parole e disegni. Perché nonostante l'ostilità
e l'indifferenza di chi lo circonda, lui non è un perdente, ma un guerriero,
che abbandona la scuola della riserva per studiare in mezzo ai bianchi, nella
vicina Reardan, sfidando i pregiudizi di tutti. E combatte senza cedere mai, a
scuola e sul campo da basket, sostenuto dall'amore incrollabile della sua
famiglia. Per non appartenere più a una sola tribù ma al mondo intero.
…Spirit – diverso per eccellenza, soprattutto perché nato
‘idrocefalo’ (con l’acqua nel cervello, come dice all’inizio del suo diario, ma
non per questo stupido) e ha, per voler essere carini, l’aspetto di un nerd, è
una sorta di giovane Holden alle prese con un ambiente in cui esiste come un
tassello di un puzzle fuori posto. Membro di una famiglia indiana su cui pesa
un forte senso di fallimento, ereditato, oltre che dalle singole storie dei
personaggi, anche dalla Storia con la ‘S’ maiuscola, Spirit passa le sue
giornate con una famiglia composta da un padre dedito all’alcool, una madre
rassegnata e una sorella maggiore auto-segregatasi nello scantinato di casa per
fuggire al mondo. Il suo unico amico (e si fa per dire) è Stizza, compagno di
scuola manesco e capace di violente sfuriate, che ha il pregio di sapere
difenderlo dalle numerose bande di bulli che vorrebbero malmenarlo,
approfittando della sua debolezza fisica, per riempire il loro vuoto
esistenziale.
Sarà il dialogo, inaspettato, con un insegnante a innescare, in
Spirit, una reazione di rifiuto per l’assenza di senso in cui sembra
sprofondare, ogni giorno di più, la sua vita nella riserva. Tutto ha inizio
quando, una mattina, nell’aula scalcinata della scuola di Wellpint, Spirit apre
il libro ‘nuovo’ su cui dovrà studiare e si accorge, da una firma a penna nella
prima pagina, che si tratta di un testo ‘vecchio’ almeno quanto sua madre,
essendo il nome che ha appena scoperto proprio il suo. A cosa serve andare in
una scuola decrepita in cui si studiano cose che non sono più vere o, almeno,
non sono al passo coi tempi?, si chiede Spirit, appena prima di scagliare –
ebbene, sì – il volume contro la testa dell’insegnante. Sospeso e relegato in
casa, il ragazzo vedrà arrivare, per parlargli, proprio la parte offesa (e non
solo in senso metaforico), che gli svelerà alcune cose che non sapeva (ad
esempio, che sua sorella, prima di rifugiarsi negli scantinati, era un’allieva
brillante che sognava di fare la scrittrice) e gli suggerirà di trovarsi un
destino migliore. Come? Andandosene dalla riserva e affrontando i bianchi, per
poter ottenere nuove opportunità…
Questo libro,
per quanto con i toni leggeri e divertenti di un romanzo adatto ai più giovani,
è un enorme e meritato calcio nel culo dei bianchi.
Vorrei finire
qui la recensione perché a dire di più mi sembra di sminuire l’impatto emotivo
che (su un bianco) può (o dovrebbe) avere questo romanzo, ispirato dalla vera
storia della vita dell’autore, Sherman Alexie. C’è ancora troppa gente che è
convinta che il privilegio dei bianchi non esista.
Lo so che
sentirsi dare dei privilegiati o dei razzisti non
è piacevole: per fortuna la nostra società si è evoluta abbastanza da connotare
negativamente queste due parole (anche se sulla seconda, negli ultimi tempi,
inizio a nutrire dei dubbi…). Però è così: non perché siamo tutti orribili
persone, ma perché siamo cresciuti in un mondo dove tutta una serie di
comportamenti e abitudini sono considerati normali, anche se non dovrebbero
esserlo affatto.
Allora, invece
di prendercela con le persone di colore che ce lo fanno notare, bisognerebbe
iniziare a fare autocritica per demolire tutto il razzismo interiorizzato, che
è quello più pericoloso, visto che non siamo consapevoli di esserne “portatori
sani”.
Quindi no, non
vi dirò nient’altro di questo romanzo se non: procuratevelo, leggetelo e
regalatelo, soprattutto ai giovani lettori.
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