Misure cautelari in Italia. In carcere per una manifestazione studentesca
Il comunicato nazionale del Fronte della Gioventù
Comunista che, dopo i fatti di Torino, invita alla mobilitazione “in tutte le
scuole e luoghi di studio, nella direzione di tornare in piazza il prima
possibile, a partire dallo Sciopero Generale del 20 maggio indetto dal
sindacalismo di base e conflittuale”
Giovedì 12 maggio, a Torino la Questura ha effettuato
un’operazione repressiva che ha portato all’attuazione di varie misure
cautelari per 11 persone – di cui 3 arrestati, 4 ai domiciliari e 4 con
l’obbligo di firma – per aver manifestato e protestato davanti alla sede di
Confindustria durante il corteo che il 18 febbraio ha portato in piazza più
10.000 studenti.
È gravissimo che in Italia si finisca in carcere per
una manifestazione studentesca. A maggior ragione se questo accade dopo mesi di
silenzio da parte delle istituzioni riguardo alle rivendicazioni che centinaia
di migliaia di studenti hanno portato nelle mobilitazioni e nelle occupazioni di
questo inverno: salute e sicurezza nei luoghi di lavoro per fermare la strage
che avviene quotidianamente tra le fila della nostra classe, salario e tutele
orarie in alternanza con la possibilità della sindacalizzazione e di potere
decisionale sui progetti, abolizione della seconda prova per l’anno scolastico
in corso. Alle rivendicazioni degli studenti per un modello di scuola
alternativo, nel paese in cui si sbandiera la natura democratica delle
istituzioni, si assiste sempre più spesso a episodi come quelli di ieri
mattina.
Questa operazione repressiva non ci stupisce, infatti
Stato e Governo stanno dalla parte degli industriali responsabili del sistema
di sfruttamento che ha portato alla morte di Lorenzo e Giuseppe. Gli studenti,
con lucidità, hanno individuato come diretto responsabile Confindustria,
l’associazione dei padroni, che è la più grande sostenitrice dell’alternanza scuola-lavoro e
rappresenta questo sistema basato sui profitti degli industriali fatti sulle
spalle dei lavoratori. Oggi, la Questura colpisce il movimento studentesco con
impeto, non tanto per un’azione in particolare, ma per aver contestato
direttamente gli interessi dei padroni, a dimostrazione di questo il GIP che ha
emesso le misure cautelari ha giustificato alcuni arresti sulla base di una
semplice megafonata. Questo dimostra il ruolo dello Stato che con
celerità si è mosso a difesa degli industriali e segnala la giustezza delle
rivendicazioni degli studenti che hanno toccato una corda sensibile di questo
sistema basato sullo sfruttamento. Non potendo accettare una così vasta
contestazione a Confindustria da parte di oltre 10 mila studenti, lo Stato
attiva la macchina del fango e colpisce i settori militanti, cercando di
ricondurre la contestazione ai settori politici, negando l’evidente
partecipazione di massa alla mobilitazione.
La stessa Questura di Torino che il 28 gennaio ha
fatto mangnellare centinaia di studenti e studentesse che si erano concentrati
in piazza Arbarello nell’intento di protestare contro la morte di Lorenzo
Parelli, avvenuta in alternanza scuola-lavoro, è la stessa che esegue le misure
cautelari cercando di criminalizzare la giusta lotta degli studenti. I primi
e unici responsabili delle violenze sono la polizia e più in generale le
istituzioni che impediscono l’esercizio della libertà di manifestazione e di
protesta: è grave il fatto che da ormai anni si assiste ad un incremento
significativo del livello di repressione da parte dello Stato, che colpisce chi
alza la testa contro questo sistema.
Questo incremento della repressione risponde ad una
logica molto chiara. Complessivamente, le lotte degli studenti sono
pericolose per il Governo Draghi perché spezzano la retorica dell’unità
nazionale che ci dovrebbe essere tra capitalisti e proletari. La
riconoscibilità di queste proteste, il fatto che si possano legare a quelle dei
lavoratori e dei segmenti più avanzati di lotta in questo paese, rende
necessaria una risposta da parte di un sistema in profonda crisi.
Il Governo, attraverso una repressione sempre più feroce,
che si articola anche nel tentativo di dividere gli studenti in buoni e
cattivi, prova a ridurre il problema politico ad una mera questione di ordine
pubblico. Questo segnala ulteriormente come il Governo non abbia
nessuna risposta reale e nessuna intenzione di affrontare i problemi degli
studenti e delle studentesse.
In questo momento, la risposta migliore che possiamo
dare è la massima mobilitazione, come dimostrato dopo la repressione subita il 28
gennaio. Le manganellate e la repressione non hanno fermato la nostra lotta:
non nutriamo nessuna illusione circa la natura delle istituzioni e del loro
ruolo nei confronti di chi contesta questo sistema. Sappiamo bene che compito
dello Stato in questa società è quello di tutelare gli interessi della classe
dominante: quello che è successo a Torino, ma anche nei mesi scorsi a Roma,
Napoli, etc., esprime plasticamente qual è il ruolo delle istituzioni nei
confronti di chi pretende un mondo diverso. Anzi, la dimensione di massa
acquisita dalle proteste, dalle occupazioni e dalla mobilitazione nelle
settimane successive, dimostrano come si deve parlare apertamente delle
problematiche che come studenti si vivono, che certe problematiche sono
endemiche e non possono essere liquidate come mere questioni generazionali.
Sono problemi inerenti alla condizione di classe che viviamo e che ci lega
sempre di più ai lavoratori e ai disoccupati. In questi mesi abbiamo
dimostrato che si può ingaggiare una lotta per soddisfare i nostri bisogni e
ottenere un sistema scolastico diverso: sta a noi in questo senso non arretrare
se decidono di colpirci.
La lotta e chi lotta non si processano: solidarietà
agli arrestati. Rilanciamo la mobilitazione in tutte le scuole e luoghi
di studio, nella direzione di tornare in piazza il prima possibile, a partire
dallo Sciopero Generale del 20 maggio indetto dal sindacalismo di base e
conflittuale.
Un nemico, un fronte, una lotta!
Fronte della Gioventù Comunista
Studenti
arrestati a Torino, le mamme: “sono tutti incensurati, non hanno potuto
interloquire con loro avvocati, rimandata l’udienza col GIP” - Fabrizio
Maffioletti
Il corteo è sfilato ieri in tardo pomeriggio da piazza
Solferino a Piazza Castello, per poi proseguire fino al liceo Gioberti, prima
scuola di Torino occupata dagli studenti per la morti di Lorezo Parelli e
Giuseppe Lenoci.
Presenti al corteo Potere al Popolo e i sindacati di base.
In tutto questo, al di là di qualunque considerazione,
occorre ricordare il motivo scatenante di queste proteste, su scala nazionale,
che hanno interessato il movimento studentesco: due morti di ragazzi in mano
allo Stato. Anche i tre ragazzi portati in carcere sono ora nelle mani dello
Stato.
Le mamme dei ragazzi arrestati hanno emesso un comunicato:
i ragazzi, tutti incensurati, sono stati sottoposti a misure cautelari
preventive per una manifestazione studentesca. S. è stata sottoposta ai
domiciliari per aver parlato al microfono, denunciano i manifestanti.
S. è la stessa ragazza che abbiamo visto con i nostri occhi
sanguinare dalla testa durante l’inqualificabile pestaggio del 28 gennaio operato dalle forze dell’ordine a danno degli
studenti in piazza Arbarello. Non ci risulta, eravamo presenti, che abbia preso
parte ad alcuno scontro durante i fatti all’Unione Industriali del 18 febbraio.
S.,un altro studente, secondo indiscrezioni, è sottoposto
ad obbligo di firma per una presunta “regia”, anche lui non ci risulta aver
preso materialmente parte ai fatti. Sarebbe il caso che la parola “regia”,
ormai così spesso usata insidiosamente come sinonimo di “mandante”, scomparisse
dal linguaggio ormai corrente in ambito giudiziario. Non si tratta di omicidi
di mafia.
I ragazzi, denunciano le loro madri, sono incensurati.
Sconcerta la durezza delle misure preventive, i 3 ragazzi detenuti al Lorusso
sono in isolamento per Covid: l’udienza col GIP è stata rinviata, non hanno
potuto sentire i propri avvocati, i ragazzi quindi sono in carcere, in
isolamento, senza che ci sia stato un pronunciamento. Non avendo potuto parlare
con i legali, verosimilmente non conoscono la loro situazione.
“Vivono in una bolla di sospensione in cui nessuno ha
potuto vederli, parlare con loro“, afferma il comunicato delle madri, “uno
di loro ha recentemente subito un intervento chirurgico per il quale dovrebbe
effettuare controlli“.
“Emiliano, Francesco e Jacopo sono finiti in un buco
nero“.
La sorella di uno dei ragazzi in carcere era anche lei in
piazza, sostenuta dalle amiche, anche sul suo viso abbiamo letto l’angoscia per
la situazione del fratello.
Questa mattina le mamme si sono recate al carcere per
consegnare pacchi, i generi alimentari, il cibo delle madri dei ragazzi, per le
complesse norme del sistema penale, non sono stati accettati.
Abbiamo assistito all’angoscia delle mamme degli studenti,
al dolore sui loro visi, alla forza con cui una donna tenta di proteggere il
proprio figlio partorito, che continua a sentire, inevitabilmente, come parte
di sé.
Durissimi gli interventi al microfono, anche di studenti
medi giovanissimi, in un corteo che è stato davvero l’altra faccia di una
Torino inebriata dall’Eurovision. Era palpabile lo stupore della gente a spasso
per il centro, in molti hanno ascoltato, con un’attenzione che ci ha stupito,
gli interventi al microfono dei manifestanti efficacemente diffusi dai watt
dall’impianto montato sull’auto in testa al corteo.
Mamme in Piazza per la Libertà di Dissenso ha sfilato a fianco di queste mamme. La sorellanza è
la cifra di queste donne, che in quanto mamme, ben comprendono la sofferenza
della madri dei ragazzi, indagati per forme di dissenso, stringendosi a loro
nel sostegno.
“Vogliamo che siano revocate queste gravi misure
cautelari per tutte e tutti, che si riconosca il fatto che sono incensurati,
che si permetta ai detenuti di interloquire immediatamente con i loro avvocati
e di tornare a casa. Noi madri siamo qui, sempre saremo qui, non un passo
indietro” hanno dichiarato le madri a chiusura del comunicato letto
il piazza Castello.
Prima pestati e poi arrestati: lo Stato si accanisce sui ragazzi - Selvaggia Lucarelli
A gennaio
gli studenti che protestavano contro le morti nell’alternanza scuola-lavoro
hanno preso manganellate tra ferite e traumi. Ora l’accanimento con
perquisizioni e indagini sulle vittime, non sui picchiatori
Giovedì
mattina, ore 8,00. Sono sveglia da poco, sto rifacendo il letto. Mio figlio
Leon è in gita da due giorni in Val Seriana, la prima gita dopo due anni, un
ritaglio di leggerezza. Suona il citofono, non succede mai a quell’ora. Il mio
fidanzato esce dal bagno e va a rispondere. Lo sento dire “Leon” e “sono i
carabinieri”. Ho pensato a una disgrazia in gita, credo di aver detto “Leon è
morto”.
Salgono,
sono sei persone gentili, una in divisa. Deve essere qualcosa di gravissimo.
No, Leon non è morto, anzi, lo stanno cercando. Hanno un mandato di
perquisizione.
É quel
momento in cui si pensa di non conoscere i propri figli, di aver sottovalutato
qualcosa. Chiedo di spiegarmi cosa ha combinato, ma questa cosa che lui non sia
in casa è un problema, dovranno andare a prenderlo in gita per perquisirlo.
Dico che mi
sembra una misura molto invasiva, che sarà un evento traumatico, chiedo di
nuovo che mi spieghino per quali fatti sono lì. Il capitano esce dalla porta
per riferire la situazione al magistrato del Tribunale dei minori (Leon ha 17
anni).
Rientra e
comunica che il magistrato ha compreso la delicatezza della situazione, per cui
procederanno alla perquisizione della casa e poi il resto si vedrà al suo
ritorno. Finalmente mi spiegano per quale grave crimine è indagato.
LA MANIFESTAZIONE DEGLI STUDENTI
Il 17
novembre durante un corteo per la giornata nazionale degli studenti, Leon
avrebbe tirato un palloncino di vernice rossa (lavabile, pare) sulla vetrina di
una banca.
Cercavano
dunque le prove per inchiodarlo: un paio di Nike, dei pantaloni grigi, una
felpa nera. Ho spiegato che essendo in gita aveva alcune scarpe e vestiti con
sé ma che comunque a quella manifestazione era andato e possedeva i vestiti che
cercavano. Hanno frugato un po’ in giro, mi hanno domandato se ci fossero
volantini sulle sue idee politiche (quali?) e alla fine gli hanno sequestrato
un tablet con cui disegna.
Il reato che
gli viene contestato è quello di deturpamento e imbruttimento di cose altrui,
punito dall’articolo 639 del codice penale che prevede una multa e, nei casi
più gravi, da uno a sei mesi di reclusione.
LA PERQUISIZIONE
Dunque, una
perquisizione, sei esponenti delle forze dell’ordine, la procura dei minori e,
udite udite, il dipartimento Antiterrorismo che ha coordinato il tutto, per un
uovo di vernice lanciato, forse, da un minorenne. Anzi, da più minorenni e
maggiorenni, suppongo, che quel giorno hanno imbrattato la vetrina di una banca
con la motivazione “Investe nelle armi e nei combustibili fossili” e che non
hanno spaccato macchine, vetrine, non hanno fatto male a nessuno.
Due mesi
dopo sono stati manganellati ferocemente nelle piazze di Milano, Torino,
Napoli, Roma per aver gridato che nessun ragazzo deve più morire per colpa
dell’alternanza scuola-lavoro.
Mio figlio è
stato colpito da una manganellata in testa senza che avesse toccato
nessuno o lanciato oggetti. Vista la violenza del colpo, l’ematoma dopo quattro
mesi non è ancora riassorbito.
Ora, non sta
a me ma a un giudice stabilire quale sia la giusta punizione (le cose altrui
non si imbrattano, siamo d’accordo) ma la sproporzione tra un’azione così
invasiva e traumatica e i fatti contestati è abnorme e preoccupante.
Preoccupante
perché quello che è accaduto a mio figlio - l’ho scoperto dopo - è solo una
piccola ma significativa parte di quello che sta accadendo in questi giorni
agli studenti che hanno manifestato negli ultimi mesi e che hanno portato nelle
piazze il dissenso per questioni politiche, sociali, ambientali.
E I MANGANELLATORI?
Senza che
nessuno ci stia facendo troppo caso, infatti, a quattro mesi da quelle
manganellate che hanno mandato ragazzi neo maggiorenni e minorenni all’ospedale
con arti rotti e traumi cranici, non c’è stato alcun accertamento di
responsabilità nei confronti dei manganellatori, nessun provvedimento
disciplinare, nessuna sospensione del servizio.
In compenso,
si sta provvedendo a punire tantissimi ragazzi tra i manganellati di Roma,
Torino, Napoli e Milano. “L'intera documentazione visiva è stata messa
immediatamente a disposizione dell'autorità giudiziaria come accade in tutti i
casi per individuare ogni responsabilità, comprese quelle eventualmente
riconducibili agli operatori di polizia”, aveva dichiarato la ministra
dell’Interno Luciana Lamorgese.
Evidentemente
i filmati hanno mostrato ragazzini che, in modalità Tafazzi, si picchiavano da
soli e poi compivano atti così criminosi - lancio di uova di vernice e
fumogeni- da meritare l’intervento dell’antiterrorismo…
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