Serge Quadruppani ricorda Valerio Evangelisti e i suoi
personaggi abietti a cominciare dal più popolare: Eymerich. La descrizione
delle forme più atroci di dominazione come incitamento alla ribellione
Valerio
Evangelisti è morto lunedì 18 aprile. Non potremmo parlare della sua opera
senza cominciare da quella che è sia la parte maledetta che la più visibile, la
più conosciuta: Eymerich, quel personaggio storico, Inquisitore Generale del
Regno d’Aragona nel 1357, «predicatore di verità», «dottore di prim’ordine»,
divenuto un personaggio di finzione, antenato di due delle figure archetipiche
della nostra modernità, il poliziotto e lo scienziato. Eymerich, dice San
Malvagio, imperversa nella sua epoca ma viaggia nel tempo. Le sue avventure
sono state raccolte in una saga di dodici volumi di successo internazionale,
pubblicate e ripubblicate anche in Francia prima da Rivages/Fantasy, poi da La
Volte, in una traduzione a opera del sottoscritto per quanto riguarda i primi
volumi, e dell’eccellente Daniel Barberi per i successivi.
Mischiando
diversi generi letterari, horror, fantascienza, giallo, avventura, ogni
episodio della saga è costruito sull’intrecciarsi di tre temporalità: il
medioevo dell’Eymerich storico, un presente o passato recente, e un futuro
distopico. Le quarte di copertina, che cercano di restituire la ricchezza di
questi intrecci, compongono una sorta di poema barocco che dà le vertigini:
«Qual è il legame tra l’indagine di Eymerich sulla rinascita dell’eresia catara
in Savoia, la manipolazione genetica dei ricercatori dementi a metà degli anni
Trenta e le fosse comuni di Timisoara, in Romania?»; «1358, Castres.
Nicolas Eymerich conduce una terribile vendetta contro la setta dei Masc,
bevitori di sangue. Ventesimo secolo, Usa. Il Ku Klux Klan, la Cia e l’Oas sono
coinvolti da un biologo fanatico di esperimenti su persone di colore. Una
storia americana si sviluppa, da J.F. Kennedy al presidente Doyle, che deve
affrontare una terribile pandemia che divora le fondamenta stesse degli Stati
uniti»; «2068. L’Euroforce e i neonazisti della Rache si scontrano, soldati
fatti da pezzi di cadaveri contro umani geneticamente modificati»; «1328,
Girona. Nicolas [Eymerich], un bambino fragile e timoroso, si mette sotto la
protezione di padre Dalmau Monder. Anno 3000. Luna. Lilith conduce una vendetta
solitaria contro gli psichiatri che governano il suo mondo con il pretesto di
salvarlo»; «Attraverso i secoli. Iraq. Soldati non più umani si affrontano in
una guerra apocalittica intorno a Ninive»; «1361. A Saragozza, chiunque entri
in possesso di un’opera misteriosa viene assassinato da creature con la testa
di cane. Liberia, secoli dopo. I mercenari Euroforce, alleati con le camicie
nere Rache, provocano un esodo di massa dei bambini di sabbia verso l’impero di
Bouganda»; «Nel 1365, accompagnando il re Pietro IV in Sardegna, Eymerich deve
indagare il cuore di un culto pagano molto antico. A metà del ventesimo secolo,
lo psicoanalista Wilhelm Reich dimostra l’esistenza di una forza derivata dalla
libido. Futuro prossimo. La morte rossa ha devastato il pianeta. Nelle
federazioni improvvisate che compongono l’America, ogni contatto tra uomini e
donne è vietato».
Con una
creatività degna dei grandi rotocalchi del diciannovesimo secolo, Valerio
Evangelisti ha dato vita a un personaggio della letteratura popolare che ha
trovato milioni di fan, anche se questo eroe altamente disdicevole non esita
mai a far applicare la tortura (pur sforzandosi, come un antenato di quegli
scienziati abili nella vivisezione, di non trovarvi alcun piacere cosciente).
In un testo del 2004, in cui confidavo alcune delle ragioni per cui consideravo
Valerio un amico, ho scritto i seguenti paragrafi.
«[…] se è
mio amico è anche perché è Eymerich. Leggendo alcune delle sue interviste, si
può solo sorridere di questa dichiarazione dell’individuo che, per lo Stato
italiano, si chiama Valerio Evangelisti: ‘Ho modellato Eymerich sulla parte più
oscura della mia personalità’. Si tratta di uno stratagemma che non oserei chiamare
demoniaco, ma che tuttavia condivide con quelli del Maligno (e della società
dello spettacolo) la capacità di rovesciare la realtà. In effetti, un minimo di
indagine mi permette di affermare che l’inquisitore Eymerich è riapparso nella
seconda metà del ventesimo secolo sotto forma di un personaggio le cui tracce
si ritrovano a loro volta nelle vesti di uno studente dell’Università di
Bologna, di un insegnante di storia, di un militante in divisa sandinista in
Nicaragua, un autore europeo di successo. Sento con piacere le esclamazioni
inorridite dei sostenitori del politicamente corretto: come, non contento di
sostenere che Valerio è Eymerich, afferma la sua amicizia per questo infame
inquisitore che prova un piacere perturbante nel torturare l’eretico, specialmente
del genere femminile?
Mi
accontenterei di rispondere con il grazioso gracchiare del corvo che annunciava
la mia trasmissione radiofonica preferita, se non fossi convinto che la
maggior parte dei tanto numerosi lettori di Valerio sia in grado di capire dove
voglio arrivare. Nella sua introduzione a La psicologia di massa del
fascismo, Reich scrive: ‘La mia esperienza di analisi mi ha convinto che
non c’è un uomo vivo che non porti nella sua struttura caratteriale gli
elementi della sensibilità e del pensiero fascista’.
Per lasciare
a questa frase tutta la sua attualità, in un momento in cui uno degli eredi del
fascismo storico [Qui facevo riferimento a Gianfranco Fini, che nel 2009 invita
a «scacciare l’odiosa associazione mentale tra criminalità e immigrazione»,
insistendo sulla necessità di favorire l’integrazione dei migranti, Nda],
vice primo ministro e burattinaio dei macellai di Genova, sta difendendo
posizioni progressiste sul voto agli immigrati che nemmeno la sinistra aveva
osato avanzare, è opportuno dare al termine ‘fascista’ il significato più ampio
di ‘sostenitore di questo mondo freddo’ di cui parla Valerio Evangelisti:
difensori della ragione economica, evangelici americani o fondamentalisti
islamici, fallacisti [da Oriana Fallaci, ex autrice di sinistra diventata
decantatrice della Grande Sostituzione, Nda] e gli altri ayatollah di Wall
Street. E un minimo di onestà ci obbligherebbe a riconoscere che il mondo che
sogna l’inquisitore, un universo ghiacciato finalmente liberato dalla fatica
dei sentimenti, esercita un certo fascino su ciascuno di noi: tutti abbiamo un
pezzo di Eymerich dentro di noi. Ma questa non è necessariamente una cattiva
notizia. Combattiamo molto meglio una realtà dal momento in cui la conosciamo
intimamente.
L’epistemologo
Feyerabend sostiene che l’origine dello spirito scientifico è da ricercare,
almeno in parte, nell’approccio intellettuale dell’Inquisizione, che nel
Medioevo condannava a morte i galli per il loro comportamento o morfologia
anomala. È, mutatis mutandis, questo stesso desiderio di far dire
la propria verità all’Universo, se necessario torturandolo, che ha dato alla
scienza gli strumenti di cui la borghesia si è servita per appropriarsi del
mondo e trasformarlo a propria immagine e somiglianza (in una discarica). I
presupposti ideologici del manipolatore di provette determinano il risultato
della ricerca tanto quanto i dogmi religiosi che presiedono alle pinze che torturano.
Ma così come, nel mondo veramente invertito dello Spettacolo, il vero è un
momento del falso, il falso può anche essere un momento del vero, e la visione
parziale e mutilata del mondo che ci offre la scienza contemporanea può anche
essere utilizzata, inserita in un approccio più ampio e umano. La descrizione
delle forme più atroci di dominazione può essere anche un ‘incitamento alla
ribellione’. Valerio Evangelisti sta costruendo una delle grandi storie di
questo inizio secolo, una saga che rinnova tutta la letteratura di genere,
tessendo il filo di un Medioevo che evoca altri Medioevo a venire, di un
presente che risuona con il passato e un futuro che fa singhiozzare la storia.
La sua è una di quelle opere plurigenere e proteiformi che riprendono le
formule della letteratura popolare per superarle e strapparle al loro uso
commerciale. Ciò che l’esperienza del nostro autore ci mostra è che i tratti
autoritari che portiamo dentro di noi, le nostre pazzie e attitudini più
segrete, se messi nell’alambicco della creatività, possono dare l’elisir di una
creazione liberatrice. Questa è la lezione generale che si può trarre, a
contrario, da questo catalogo di tutti i pericoli rappresentati dall’opera di
colui che, nel ventesimo secolo, prese (che ironia!) il nome di Evangelisti.
Questa è la notizia, il vangelo sacrilego che ci porta. Se un giorno l’umanità
riuscirà a liberarsi del capitalismo senza sprofondare nel nulla, lo farà solo
liberando, nella maggior parte dei suoi membri, compresi quelli che sembravano
dominati dalla mentalità ‘fascista’, il piccolo bambino che ha saputo amare,
attraverso la madre in nome della luce, il principio femminile che è stato
scacciato attraverso i secoli. Questo richiederà lo sviluppo di un movimento
capace di integrare l’amore e l’amicizia nelle sue armi di costruzione di
massa. È chiaro che, sotto il volto sarcastico e gentile di Valerio, è
Eymerich, il figlio di Luz, che proietta il suo lato luminoso verso il nostro
tempo».
Non per
niente negli omaggi pubblicati in Italia, anche dai suoi lettori e amici,
veniva chiamato «Magister», come il suo personaggio-feticcio. Valerio
Evangelisti aveva portato al suo punto più alto un’arte che è alla base della
letteratura, oltre che all’approccio rivoluzionario: l’arte di mettersi al posto
dell’altro.
Storico di
formazione, ha iniziato a scrivere pubblicando opere che ricostruivano momenti
del passato italiano degli anni Sessanta e Settanta nell’ambito del «Progetto Memoria». Ha anche scritto molto sui fasti e le ambiguità dei
movimenti di emancipazione, che si trattasse della storia dei lavoratori
agricoli del nord Italia, dei pirati dell’Isola della Tartaruga o dell’ascesa
del sindacalismo nel suo rapporto con la mafia nei porti americani all’inizio
del ventesimo secolo.
Si capisce
meglio ciò che è successo fin dall’inizio, tra gli Stati uniti e il Messico,
quando si legge Il Collare di fuoco. Allo stesso modo, per capire come
l’immenso potenziale rivoluzionario degli Stati uniti fu ridotto, schiacciato,
addomesticato, e per comprendere i legami simbiotici e contraddittori tra gli
Stati uniti e l’Italia, si leggerà con grande arricchimento Noi saremo tutto e One Big Union.
Il più delle volte, Valerio ha saputo affrontare questi temi, facendoci
interessare alla storia di personaggi che sono dei puri bastardi: quelli che
noi chiamiamo bastards in inglese, e bastardi in italiano. Cogliere la logica del bastardo, cioè dell’essere che,
per la sua condizione, avrebbe dovuto essere dalla parte della liberazione ma
ha scelto la parte degli oppressori, è una delle linee guida del suo lavoro,
nel campo che ha scelto per combattere quella che ha teorizzato come «la
colonizzazione dell’immaginario». «Il neoliberalismo», scriveva in un libro pubblicato più di 20 anni fa, «è stato capace, attraverso un uso
quasi scientifico dei mass media, di penetrare nei nostri cervelli e svuotarli
di tutti i contenuti non funzionali. In pochi anni, ha compiuto un assalto
senza precedenti alla sfera dell’immaginazione, infettandola con non-valori,
false certezze e illusioni ottiche ispirate da una logica mortificante che vede
il più forte come avente non solo il diritto di vincere la lotta per la vita,
ma anche il diritto accessorio di calpestare il vinto, ignorando la sua umanità».
Per combattere la logica mortale del neoliberalismo, la prima linea, ai suoi
occhi, era la letteratura popolare, la cosiddetta «letteratura di genere». Nel
libro da cui ho citato sopra, Valerio racconta con una certa tenerezza la
storia di un fante di questa battaglia, un oscuro autore degli anni Trenta
chiamato Luigi Motta, autore di una serie di romanzi dai titoli suggestivi
come I Flagellatori dell’Oceano Indiano o Il figlio di
Bufallo Bill. «Storie di pirati, cowboy, rivolte e vendette».
«Motta», dice,
«aveva il destino di essere, tra le altre cose, un ribelle e un convinto
antifascista. Mentre la stragrande maggioranza dei prestigiosi intellettuali
italiani aderiva al regime fascista con vari gradi di entusiasmo (solo per
staccarsi al momento delle leggi razziali, se erano ebrei, o per cambiare
schieramento quando il crollo del fascismo appariva imminente), mentre solo una
manciata di accademici rifiutava di giurare fedeltà a Mussolini, Luigi Motta,
lo scribacchino, teneva duro. Questo ha portato a persecuzioni, anni di
prigione e all’impossibilità di continuare a pubblicare. Quando, dopo la
liberazione, poté riprendere la propria attività, era vecchio e i tempi erano
cambiati […] Alla ribalta c’erano quelli che all’epoca avevano voluto piegare
la schiena e diventare antifascisti dell’ultima ora: i Montanelli, i Malaparte,
i Piovene. Motta è morto nell’anonimato». Non è molto difficile immaginare che
Valerio si sia identificato con questo Motta, anche se lui ha avuto un forte
successo, e che presto la sua serie su Nostradamus (che non ho letto) sarebbe
diventata un nuovo best-seller.
A noi, che
abbiamo visto, in Francia, tutta l’intellighenzia mediatica andare alla deriva
per trent’anni verso la Reazione più abietta, sicuri come siamo che sarebbe
saltata sul carro del vincitore, se per caso le elezioni presidenziali fossero
state vinte dalla fascista a spese del fascistizzante, e anche con il risultato
opposto, questa camarilla culturale continuerà ad abituarci al
peggio in nome del male minore. Così, per quelli di noi che, come Valerio,
amano la letteratura di genere, il suo rapporto onesto con il lettore, (che
intratteniamo senza entrare nei nostri dettagli più intimi), e le possibilità
che ci dà di lottare contro gli ideali meschini del capitalismo (apologia della
concorrenza, virilismo, passioni conformiste e moralismo), non ci è difficile
identificarci con Motta.
Non siamo
pronti a dimenticare le lotte che Valerio ha condotto fino alla fine, con la
sua rivista cartacea Carmilla, diventata poi il sito Carmillaonline.com, in cui il sottotitolo recita
«letteratura, immaginazione e cultura d’opposizione»: tutte le lotte per
l’emancipazione proletaria, l’opposizione alle guerre imperialiste, la lotta
della Val di Susa contro l’alta velocità, il sostegno a Cesare Battisti, e
tante altre lotte che illuminano il sole dell’avvenire.
*Serge
Quadruppani è traduttore in francese di numerosi scrittori italiani, tra i
quali Valerio Evangelisti. Ha scritto diversi saggi e romanzi noir, pubblicati
in Italia nei Gialli Mondadori, da Marsilio e DeriveApprodi. La
traduzione di questo testo è di Camilla Caglioti.
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