Dal
blog https://laveritadininconaco.altervista.org/
Il pianeta è sempre stato
sottoposto a cambiamenti climatici anche molto radicali: in certi periodi erano
abitabili solo le zone equatoriali, in altri erano abitabili anche i Poli (sono
stati trovati resti di fauna tropicale in Antartide). Il grande errore del
nostro tempo – errore di cui ci chiederanno conto le generazioni future – è
l’idea di fermare i cambiamenti climatici, invece di affrontarli. A differenza
del passato, infatti, oggi possediamo tecnologie straordinarie: se messe al
servizio del bene dell’umanità, aiuterebbero a unire i popoli per affrontare
questi cambiamenti climatici. L’emergenza che stiamo vivendo è il rapporto fra
l’emergenza climatica e quella sanitaria. L’emergenza climatica è stata
proclamata intorno al 2019 sull’onda alla meteora Greta Thunberg. Poi, siccome
non era sufficiente, si è arrivati all’emergenza sanitaria. E adesso pare che
si debba ritornare all’altra emergenza, di carattere climatico-ambientale.
Perché l’emergenza? Perché non si
riesce più a dare una risposta ai grandi cambiamenti dell’economia e
della società, il cui primo (e fondamentale) è l’abbandono della moneta a
debito. Cioè: noi oggi abbiamo la possibilità di introdurre monete di altra
natura.
E lo dobbiamo fare: perché, mentre
nei comparti di produzione dei beni materiali la tecnologia è andata talmente
avanti che sempre meno addetti saranno necessari ad approntare tutto ciò di cui
abbiamo bisogno, nell’ambito invece dei beni immateriali (soprattutto i servizi
di cura delle persone, dell’ambiente, del patrimonio esistente) il fatturato si
può rivelare più basso del costo. Quindi, questi servizi non possono essere
gestiti in termini capitalistici, cioè di profitto. Ecco il grande
interrogativo; la soluzione c’è (l’immissione di moneta non a debito), ma ha un
“piccolo” difetto: spiazzerebbe le grandi banche,
le grandi entità finanziarie del pianeta, che hanno governato il mondo per
secoli – o per millenni: prima con l’oro e poi con la moneta creata dal nulla.
E’ chiaro che, non potendo dare
soluzioni, l’emergenza “serve” per evitare nel merito delle questioni: questo è
il nesso che lega l’emergenza climatica a quella sanitaria. E come siamo
arrivati, a questo? Dagli anni Settanta in poi abbiamo sperimentato a diversi
modelli di capitalismo. Il primo è quello del capitalismo espansivo, in realtà
iniziato già nel 1944 dopo Bretton Woods. E’ durato fino al G7 di Tokyo del
1979 e, secondo me, da noi fino al divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia. In
quel periodo, l’obiettivo delle imprese era la massimizzazione delle vendite:
quindi c’era spazio per l’aumento dei profitti, dei salari, dell’occupazione.
Quindi abbiamo avuto la trasformazione della classe operaia in classe media.
Insomma, stavamo tutti meglio: la classe politica voleva
arricchire la popolazione attraverso i disavanzi pubblici, finanziati a bassi
tassi d’interesse.
Se i titoli pubblici non li
acquistava nessuno, li comprava la Banca d’Italia stampando moneta: al passivo
metteva l’emissione monetaria e all’attivo i titoli. E’ così che siamo
diventati la quinta potenza mondiale, la quarta potenza manifatturiera del
pianeta. E abbiamo cominciato a dare fastidio un po’ a tutti, nel Mediterraneo:
ai francesi, agli inglesi, agli israeliani, agli americani e ai russi. Così
spiego anche la vicenda Moro: in termini di conflitto tra lui e Kissinger. Il problema
esplose in un incontro fondamentale del 1976, in cui Kissinger disse a Moro:
«Non potete continuare a far crescere l’economia italiana
del 3-4% ogni anno, perché state diventando più importanti di quello che noi
possiamo sopportare. Io ti ammazzo». Parole testuali di Kissinger. Tornato a
casa, Moro lo disse alla moglie e a mio padre: erano le uniche due persone di
cui lui si fidasse. La moglie gli consigliò di ritirarsi dalla politica.
E non si sa – quella mattina del 16 marzo 1978, quando fu sequestrato – che
cosa avrebbe detto, in Parlamento.
Ora, il capitalismo espansivo,
keynesiano (l’economia mista), non poteva essere
ufficialmente attaccato, perché funzionava. E tra l’altro, ci proteggeva nella
competività, se così si può dire, coi regimi comunisti. E allora ecco che nasce
tutta la teoria ambientalista del Club di Roma (Aurelio Peccei) che,
fondamentalmente, sostiene una dottrina neo-malthusiana. Cosa aveva detto,
Malthus? Aveva espresso una teoria che poi si era rivelata sbagliata. Aveva
detto: siccome la popolazione cresce ad un ritmo superiore a quello in cui noi
possiamo far crescere la produzione, incluse le derrate alimentari, a un certo
punto la società collassa. In realtà non fu così, perché poi gli umani –
proprio perché crescevano da un punto di vista demografico – cominciarono a
produrre di più e meglio. Tant’è vero che oggi, di cibo, ne abbiamo fin troppo.
Ovviamente ci sono i poveracci che non mangiano, perché è il sistema
capitalistico che induce a produrre solamente quello che si può rivendere con
un adeguato profitto.
Se uno non ha i soldi per
comprarla, la merce viene buttata. Noi infatti distruggiamo una gran parte di
quello che produciamo. Ma la soluzione non è quella esposta da Papa Francesco
(mangiamo di meno noi, per dare ai poveri). No: è il modello economico, che è
sbagliato. Si deve tornare un po’ all’antico: noi oggi possiamo produrre come
una volta, disinquinando e stando tutti meglio. Oltretutto, la qualità dei
prodotti alimentari pesa: bastano poche quantità, per essere soddisfatti (e
sani). Il cibo di McDonald’s invece non sazia mai e procura le famose malattie
del benessere-malessere. Tornando a Malthus, i neo-malthusiani ieri dicevano:
se la popolazione mondiale è di 6 miliardi di individui, di cui un miliardo e
mezzo ha tutto (auto, elettrodomestici), crescerà tutta l’economia e
ci saranno 5 miliardi di privilegiati; ma le risorse sono limitate, e quindi lo
sviluppo non può essere illimitato.
In realtà, è lo stesso errore di
Malthus: pretendere che il rapporto fra sviluppo economico e inquinamento sia reso
da un’equazione lineare. Cioè: se io produco 100 e consumo 70 (come risorse del
pianeta), se produrrò 200 consumerò 140, in termini di risorse. Ma non funziona
così, l’economia industriale. Al crescere
delle quantità, man mano che l’umanità va avanti, la quantità di agenti
inquinanti e di risorse utilizzate (per unità di prodotto) diminuisce. In
pratica: se oggi producessimo con le tecnologie di cent’anni fa tutto quello
che attualmente produciamo, saremmo tutti morti. In realtà le tecnologie si
sono evolute: oltre un certo punto, c’è quindi una equazione differenziale,
con derivate parziali, che ci dà la possibilità di capire che sì, dobbiamo
“darci una regolata” per l’inquinamento da sviluppo, ma senza però regredire,
perché in quel modo condanniamo i poveri a restare poveri, e noi a morire delle
malattie del benessere (che non sono quelle batteriche o virali, storicamente
sconfitte nei paesi ricchi, ma sono quelle degenerative – cancro, diabete, cardiopatie
– che derivano dai cattivi stili di vita).
Negli anni ‘80, dopo il divorzio
fra Tesoro e Banca d’Italia, si fecero aumentare in modo erratico i tassi
d’interesse sul debito pubblico: quindi il debito crebbe a dismisura e superò
il Pil. Da allora abbiamo questo problema, un alto debito pubblico. Fino a
prima del divorzio, avvenuto nel 1981, il debito pubblico italiano non
raggiungeva il 60% del Pil. E là saremmo rimasti, se non avessimo introdotto
l’aumento dei tassi d’interesse per dare al “mercato” il potere di
“regolarci”, quando si sapeva benissimo che il mercato è uno sregolatore.
Quindi, il ministero del Tesoro abbandonò il potere di
decidere i tassi d’interesse e lo lasciò al mercato, cioè alle banche.
Il risultato è stato disastroso. Quel modello – anni ‘80 – è crollato
miseramente, perché distruggeva la solidarietà, che è il principale collante
dell’economia,
e venne sostituito con un terzo modello, il capitalismo finanziario (già
sperimentato fino alla crisi del 1929).
Siamo quindi tornati al capitalismo
finanziario: grandi boom delle Borse, ma già nel 2001 la crisi delle
Borse stesse. Quindi siamo approdati a un quarto tipo di capitalismo, che io
chiamo ultra-finanziario. Cioè: mentre nel capitalismo di Borsa bisogna
massimizzare il rendimento dei titoli azionari (e questo lo si ottiene spesso
riducendo in modo devastante l’investimento nell’economia reale,
nell’occupazione e nei salari), nell’ultimissimo capitalismo ultra-finanziario,
quello dei derivati e dei titoli tossici, all’economia non
si pensa neppure più. Non è più un capitalismo di mercato: tutto è regolato da
algoritmi matematici. E quindi nelle banche,
nelle aziende e nei centri finanziari entrano i matematici e gli
informatici. Questo capitalismo ultra-finanziario ha come obiettivo non la
massimizzazione del valore dei titoli, ma la massimizzazione del numero delle
operazioni, quindi è una follia.
Siamo arrivati a 4 milioni di
miliardi di dollari di debiti, cioè di derivati e “swap”. Cioè: 54 Pil
mondiali. Noi ci stracciamo le vesti perché il debito pubblico dell’Italia si
avvicina ad essere una volta e mezzo il Pil nazionale, ma non diciamo niente
sul fatto che il debito del pianeta è 54 volte il Pil terrestre.
Importantissima la svolta sopraggiunta nel 2008: le banche centrali
hanno iniziato a immettere moneta illimitatamente, per far fronte alle esigenze
di liquidità (emerse con la crisi della Lehman Brothers, rimasta a
secco: l’unico modo per far fallire la finanza è
proprio la mancanza di liquidità). Ma voi capite che, per gestire 4 milioni di
miliardi di dollari (54 Pil mondiali), occorre almeno un 3-4% di liquidi: e non
c’erano. Ed ecco la soluzione delle banche centrali:
emettere moneta, soprattutto elettronica, in modo illimitato. Di qui la mia
previsione, purtroppo rivelatasi esatta: il sistema crollerà quando verrà il
crampo al dito del governatore della banca centrale.
Qual è la caratteristica di questo
capitalismo ultra-finanziario e collateralizzato? Non deve arrivare, tutta
questa moneta, all’economia reale. L’economia finanziaria
va benissimo, perché va bene anche quando va male: pompano moneta a corso
legale, e quindi si pagano interessi e cedole, si allungano i tempi dei titoli
tossici, eccetera. E quindi, paradossalmente, la finanza funziona
sempre. A patto che, appunto, all’economia reale
non arrivi niente. Di qui sostengo la nascita delle piattaforme finanziarie
alternative, delle monete complementari, delle cryptovalute, del credito “fai
da te” e di tante altre cose, che per certi versi rappresentano il futuro della
nostra economia, perché sono le eredi delle
antiche cambiali (alla base del “miracolo economico” italiano). E anche le
cambiali sono saltate per aria, con l’aumento dei tassi d’interesse: non era
più conveniente, accettare una cambiale, perché lo sconto che ti facevano in
banca era salito al 20% (prima era solo del 3-4%). Da allora, abbiamo vissuto
un delirio, un declino ininterrotto. E il conto l’hanno pagato soprattutto i
giovani: questa è la prima generazione che ha meno opportunità, rispetto a
quelle di cui avevano beneficiato i loro genitori.
(Nino Galloni, dichiarazioni
rilasciate in una conferenza di “FlipItaly” ripresa su YouTube , tratto da Libre)
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