A Foras: «È
tempo di scegliere. Lanciamo una campagna per ottenere la moratoria delle
esercitazioni e lo stop al finanziamento regionale e statale dei progetti legati
all’industria bellica. I soldi risparmiati vengano reinvestiti nella sanità
pubblica»
L’emergenza
sanitaria che ci ritroviamo ad affrontare, ha fatto emergere con grande forza i
problemi di una sanità pubblica sempre più abbandonata a se stessa e alla buona
volontà degli operatori sanitari. Siamo costretti in casa, e ci restiamo perché
bisogna impedire la diffusione del contagio. Ma non per questo siamo disposti a
tacere, a spegnere il desiderio di libertà e di decidere sulle nostre vite e
sul futuro della nostra terra.
Nel mentre
che gli aerei si accingono a sorvolare sui poligoni di Quirra e Capo Frasca
nonostante la pandemia, il nostro obiettivo resta sempre quello di liberare la
Sardegna dall’occupazione militare italiana, e – non appena le condizioni
sanitarie ce le consentiranno – saremo pronti a tornare nelle strade per
ribadire le nostre parole d’ordine. Sul momento, però, pretendiamo realismo
dalle istituzioni politiche sarde e italiane. È arrivato il momento di fare
delle scelte, perché la Sardegna sia in grado di affrontare al meglio una crisi
sanitaria che potrebbe prolungarsi parecchio nel tempo.
• Chiediamo
che fin da ora si stabilisca inderogabilmente una moratoria su tutte le
esercitazioni militari.
• Chiediamo
che la Regione e lo Stato ritirino i finanziamenti a progetti utili solo agli
interessi delle forze armate e al profitto delle industrie del settore bellico.
A titolo di esempio, chiediamo lo stop al finanziamento del progetto SIAT di
Teulada, al co-finanziamento pubblico della piattaforma per i test dei motori
missilistici nel Poligono di Quirra e al co-finanziamento del progetto Caserme
Verdi, che riguarda – in Sardegna – le tre caserme dell’Esercito a Cagliari e
quella di Teulada.
• Chiediamo
che i soldi risparmiati grazie ai primi due punti siano reinvestiti nel
potenziamento della sanità pubblica sarda.
È una
questione di priorità: non è possibile continuare ad assistere allo sperpero
dei nostri soldi in progetti che contribuiscono alla depressione economica
delle comunità a cui apparteniamo e alla devastazione della terra in cui
abitiamo, mentre la sanità viene costantemente depotenziata da anni, con i
risultati evidenti sotto gli occhi di tutti.
Tra il 2010
e il 2019, segnala l’Osservatorio Gimbe, il finanziamento pubblico alla sanità
è stato decurtato di oltre 37 miliardi. Negli stessi anni, abbiamo, visto che
le spese militari si attestano su 26 miliardi all’anno, senza contare il
miliardo e mezzo che elargisce il Ministero delle finanze “missioni di pace”, i
soldi che invese il MISE per le industrie belliche italiane e il Ministero
dell’Istruzione per la ricerca militare.
Eppure la
NATO continua a chiedere di aumentare queste spese, che dovrebbero passare
secondo gli auspici dell’Alleanza Atlantica dall’1,6 % al 2 % del PIL. Tutto
questo, mentre emerge senza più paraventi, l’incredibile fragilità e necessità
di soldi di un sistema sanitario allo sfascio.
Un dato per
tutti: nel 1981 c’erano, negli ospedali sardi, 62 posti letto ogni 10 mila
abitanti. Oggi, il rapporto si è quasi dimezzato e ce ne sono circa 35. Il
14,6% dei sardi che ne avrebbe necessità, rinuncia alle cure e il 6 % è
costretto ad emigrare in altre regioni per svolgere la propria terapia. Uno
scenario incredibile, tragico, con interi ospedali che chiudono e reparti che
vengono dismessi in tantissimi centri dell’isola.
Nel mentre,
si spendono miliardi di fondi pubblici per foraggiare l’apparato bellico.
Pensiamo al progetto Caserme Verdi, che vale un miliardo e mezzo a livello
italiano, è che riguarderà, in Sardegna, le caserme dell’esercito a Cagliari.
Pensiamo al nuovo impianto di test per motori missilistici che sarà costruito a
Quirra, per una spesa impressionante di 33 milioni di euro, probabilmente
destinati a salire. Pensiamo, all’inestricabile tela di interessi incrociati,
che ha portato la politica sarda e italiana, quasi senza eccezioni, ad
appoggiare la costruzione del Mater Olbia, ospedale privato che sarà finanziato
142 milioni di euro pubblici nel trienno ’19-21, per stringere ancora di più le
maglie dell’alleanza tra Italia e Qatar, paese che – ricordiamo – non brilla
certo come un faro del rispetto dei diritti umani.
Per questo
invitiamo tutti i cittadini e le diverse realtà politiche a fare proprie le
richieste di stop alle esercitazioni militari, taglio alla spesa bellica e
reinvestimento di essa nella sanità pubblica, in ogni modo, luogo e
possibilità, con le forme che ritengano opportune,
Da lunedì 13
aprile, il movimento sardo contro l’occupazione militare, chiama a raccolta
tutte e tutti i cittadini che hanno a cuore le sorti della nostra terra, le
organizzazioni, le associazioni che lottano per la sanità pubblica, i
collettivi e i singoli che vogliono fermare questa vergognosa deriva, ad essere
parte integrante della campagna “Più ospedali meno militari / Dotores pro
curare EJA, Cannones pro gherrare NONO”.
Partecipare
è semplice:
1. Esponi
sul tuo bancone o sulle finestre di casa, sulla macchina uno striscione o un
cartello con scritto PIU’ OSPEDALI MENO MILITARI, disegni o altri hashtag a tua
scelta.
2.
Scrivitelo sul corpo o sulla tua mascherina. Non possiamo usare i nostri corpi
per manifestare, bloccare i convogli militari o volantinare, ma possiamo
scriverci! Testa, gambe, gomiti o polpacci decidi tu dove, ricorda PIU’
OSPEDALI MENO MILITARI.
3. Attivati
sui social. abbiamo preparato un motive per l’immagine del profilo che puoi
aggiungere alla tua foto, puoi condividere le impact images, le infografiche o
cambiare l’immagine di copertina del tuo profilo. Tutto il materiale sarà
disponibile sul sito www.aforas.noblogs.org
4. Scarica
il volantino, il manifesto, l’adesivo o l’infografica sul sito di A Foras,
stampa e attaccalo nei luoghi che puoi frequentare durante la quarantena: market,
farmacie, tabacchini, uffici. Tutto il materiale sarà disponibile sul
sito www.aforas.noblogs.org
Si tratta di
piccoli gesti, quelli che possiamo fare durante la quarantena. Ma sono cose
importanti per continuare a sentirci vive e vivi, aspettando di rincontrarci e
riscoprirci ancora pieni di amore per la nostra terra.
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