Un protocollo che tenga
«assieme le ragioni della salute e quelle degli affetti» e permetta di
morire con dignità alle tante persone che se ne vanno da sole negli ospedali,
senza il conforto dei propri cari.
E’ quanto chiede un gruppo di riflessione di
teologhe e teologi evangelici e cattolici in una “Lettera sulla dignità del
morire al tempo del coronavirus” indirizzata «alle cittadine e ai i cittadini,
con particolare riferimento alle autorità competenti».
Secondo i firmatari, «nessuno merita di morire
da solo, nemmeno in una situazione come l’attuale, sotto il ricatto del
sacrificio per il bene dei propri cari». Per questo «come il personale
sanitario, con le dovute cautele, può avvicinarsi al morente», così dovrebbe
essere possibile predisporre un protocollo che preveda «la presenza di un
congiunto».
Qui di seguito il testo integrale della Lettera aperta:
«La morte è entrata nelle nostre case. Ogni giorno riceviamo con
sgomento le cifre dei decessi a causa del virus. E’ diventato un bollettino di
guerra guardare il telefono, leggere e ascoltare le notizie di cronaca. Cifre
sproporzionate.
Dietro l’anonimato dei numeri
ci sono volti, nomi, storie, persone che hanno intersecato le nostre vite: i
nostri genitori, parenti, amici, colleghi e conoscenti. Molti di loro hanno
vissuto la tragedia di morire da soli, senza l’affetto dei loro cari.
Potrebbe accadere anche a noi.
Il virus colpisce in modo indistinto. Potrebbe succedere anche a noi di
ritrovarci in ospedale, da soli, senza la presenza di un familiare. Si pensa
con spavento alla propria morte, ma ora appare ancora più terribile l’idea di
doverla affrontare nella solitudine, senza la possibilità di congedarsi dai
propri cari.
Sappiamo che, da sempre, il
reparto di terapia intensiva è luogo interdetto ai visitatori; e che nei
momenti di epidemia, le cautele si fanno ancora più stringenti.
Tuttavia, nel dibattito
democratico che non dovrebbe venir meno anche in questi momenti di emergenza,
vorremmo richiamare l’attenzione sul venir meno del carattere umanizzante del
morire, senza il quale si lascia la persona morente nella solitudine affettiva.
Chi muore da solo non ha la
possibilità di far udire la propria voce, le sue ultime volontà. Al massimo, le
può consegnare al personale medico. Un metro di misura dell’umanità di una
società civile è dato dal tutelare i più deboli, dando voce a quanti non hanno
voce. Riteniamo che anche questo rivesta il carattere di emergenza che muove le
decisioni di questi giorni.
Chiediamo, dunque, che ci si
interroghi seriamente su questo aspetto e che si provi a formulare un
protocollo che tenga assieme le ragioni della salute con quelle degli affetti.
E’ veramente improponibile pensare che una persona cara, nell’assoluto rispetto
delle norme sanitarie, possa essere presente per accompagnare un proprio
congiunto nel delicato momento del passaggio dalla vita alla morte?
Si può, con fatica, accettare
la solitudine della tumulazione: una volta passata l’emergenza, ci potranno
essere gesti pubblici per elaborare il lutto. Ma per chi muore, non si possono
differire i tempi: c’è un unico momento.
Nessuno merita di morire da
solo, nemmeno in una situazione come l’attuale, sotto il ricatto del sacrificio
per il bene dei propri cari. Come il personale sanitario, con le dovute
cautele, può avvicinarsi al morente, così, a nostro giudizio, è necessario
pensare di prevedere la presenza di un congiunto.
Ci appelliamo, dunque,
all’intelligenza vigile e creativa di quanti hanno a cuore di promuovere la
dignità del vivere e del morire di tutte e tutti. Nell’emergenza, insieme
all’eccellenza sanitaria e al governo politico della situazione, facciamo
emergere anche una chiara attenzione al profilo umano di quanti sono vittime
dell’epidemia»
I firmatari: Lidia Maggi; Paolo Squizzato; Andrea Grillo;
Fabio Corazzina; Cristina Arcidiacono; Massimo Aprile; Paolo Curtaz; Carlo
Molari; Gianni Marmorini; Silvia Giacomoni; Marco Campedelli; Angelo Reginato.
Fonte: Riforma.it
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