La pandemia da coronavirus (COVID-19) è un evento
inaspettato ma non del tutto imprevedibile. Era forse imprevedibile in queste
dimensioni.
Sei mesi fa l’Organizzazione mondiale della sanità
(OMS) scriveva “La pandemia incombe”. Lo ricorda Davide Milosa, in un articolo
pubblicato su il Fatto quotidiano il 17 marzo 2020. Lo scorso settembre l’OMS
incaricò un gruppo di esperti (Global Preparedness Monitoring Board) di
redigere un rapporto da titolo predittivo A world at risk (“Un
mondo a rischio”). Il piano può essere visionato su internet come rapporto
annuale dell’OMS. Gli esperti scrivono: “La malattia prospera nel disordine, le
epidemie sono in aumento e lo spettro di un’emergenza sanitaria globale incombe
su di noi […] C’è una minaccia molto reale di una pandemia in rapido movimento,
altamente letale, di un agente patogeno respiratorio che uccide da 50 a 80
milioni di persone e spazza via quasi il 5% dell’economia mondiale […] Il mondo
– scrivevano gli esperti dell’OMS – deve stabilire sistemi necessari per
individuare e controllare potenziali focolai di malattie”. Nello studio
sono state esaminate la pandemia della febbre suina (H1N1) e l’epidemia
dell’Ebola. Molte delle raccomandazioni non sono state attuate. Tra il 2011 e
il 2018 l’OMS ha seguito 1.483 eventi epidemici in 172 Paesi: Sars, Mers,
Ebola, febbre gialla. Tutti questi studi annunciavano “una nuova era di
epidemie ad alto impatto e potenzialmente a diffusione rapida”. A
settembre era già scritto: “Gli agenti patogeni si diffondono attraverso le
goccioline respiratorie; possono infettare un gran numero di persone molto
velocemente e, con le odierne infrastrutture di trasporto, si spostano
rapidamente in diverse aree geografiche” […] “La grande maggioranza dei sistemi
sanitari nazionali non sarebbe in grado di gestire un grande afflusso di
pazienti infettati da un agente patogeno respiratorio capace di una facile
trasmissibilità e di un’elevata mortalità”.
Lascio ai tecnici la valutazione del rapporto annuale
dell’OMS. Penso di potere affermare che la pandemia in corso non era del tutto
imprevedibile, anzi era attesa, per quanto non nelle dimensioni attuali.
Per un approfondimento segnalo l’intervista al
Professor Ernesto Burgio[1] trasmessa
da Radio Onda Rossa di Roma il 21 marzo 2020, dove egli ha espresso concetti
chiari e comprensibili anche ai non addetti ai lavori[2].
Solo un servizio sanitario pubblico può affrontare una
situazione pandemica dagli esiti imprevedibili per l’Italia, la Sardegna e il
mondo intero. La difesa della vita e della salute delle persone nel nostro
pianeta non può essere affrontata dai singoli stati. Nell’era della
globalizzazione la pandemia ha avuto una diffusione rapidissima, in quanto il
virus viaggia rapidamente con le persone da un continente all’altro; non si
sposta a piedi come accadeva nelle altre grandi epidemia (peste, colera , spagnola)
bensì in aereo, sorprendendoci per la sua rapidità.
Quanto la pandemia in corso sia in grado di
determinare danni sociali ed economici a livello mondiale lo stiamo
sperimentando.
In un articolo di Gael Giraud pubblicato sulla rivista
Civiltà Cattolica e riproposto da il Manifesto Sardo nel mese di aprile 2020
viene evidenziata e dimostrata in modo inoppugnabile l’importanza della Sanità
pubblica per contrastare questa e possibili future epidemie e pandemie, che gli
esperti ci segnalano. Giraud sostiene che nessun sistema economico possa
sopravvivere senza una sanità pubblica forte e adeguata. La salute di tutti
dipende dalla salute di ciascuno.
La pandemia da Covid-19 ha evidenziato
l’insufficienza del nostro sistema sanitario, che ha avuto gravi difficoltà
ad accogliere le richieste derivanti da un numero imprevisto di malati e
di ricoveri ospedalieri, specie nelle terapie intensive.
Trasformare un sistema sanitario pubblico in aziende sanitarie e industria
medica in fase di accelerata privatizzazione si sta rivelando un grave
problema. Giraud ricorda che prevenire eventi come la pandemia non è
redditizio, a breve termine, ma è indispensabile per la collettività.
L’impreparazione del Servizio Sanitario Nazionale
(SSN) è aggravata dalla tendenza alla privatizzazione nella sanità grazie alla
forte pressione delle aziende private e delle multinazionali della
salute. Queste scelgono di realizzare affari investendo nella sanità, certi
della benevolenza e della complicità di una classe politica bipartisan che
negli ultimi decenni ha deciso di ridurre il peso del servizio pubblico, i
posti letto e il personale, lasciando alle aziende private settori importanti
che permettono loro di realizzare grossi profitti e affari, tramite le
convenzioni.
Giraud sostiene che l’ideologia dello smantellamento
del servizio pubblico crea gravi danni e oggi si manifesta per quello che è,
cioè un’ideologia che uccide.
In Italia il coronavirus ha colpito inizialmente le
regioni più sviluppate del paese, regioni ricche e avanzate, dove le
privatizzazioni nella sanità hanno assunto dimensioni consistenti. Anche
il tanto decantato sistema sanitario lombardo ha dimostrato la sua
inadeguatezza, fortemente ridimensionato. Gli ospedali anziché essere luogo di
cura spesso sono luogo di diffusione di malattia. Se poi analizziamo le
strutture residenziali per anziani e pazienti fragili il quadro si fa ancora
più drammatico.
Il SSN è stato ridimensionato ma è pur sempre presente
e ha dato risposte a questa emergenza grazie allo spirito di abnegazione,
dedizione e professionalità del personale, che in questi decenni ha subito un
forte ridimensionamento.
Fra il 2010 e il 2019 il SSN “ha perso” 45.000 posti
letto e 43.386 dipendenti, di cui 7.625 medici e 12.556 infermieri: questo è i
risultato del definanziamento cumulato in questo decennio pari a 37 miliardi di
euro. Carenze e inadeguatezze strutturali e strumentali, chiusura di reparti e
ospedali pubblici completano il quadro. Si tratta di dati spaventosi, elaborati
da Medicina Democratica su dati forniti da Fondazione GIMBE e Istituto di
Ricerca NEBO.
I sostenitori delle politiche bipartisan
di fiscal compact e pareggio di bilancio, dettate dalla UE e
fatte proprie dagli Stati, oggi si devono ricredere e arrivare alla
conclusione che i parametri che hanno guidato la politica europea
sono inadeguati e nemici della salute pubblica. È necessaria una svolta, un
diverso paradigma di politiche sociali che difende e sostiene il bene più
prezioso che abbiamo: la vita e la salute dell’uomo singolo e associato. Lo
stato sociale (welfare state) è nato in Europa ed è un suo elemento
costitutivo, rinunciare ad esso equivale a mettere in discussione l’esistenza
stessa della UE.
L’economia ha avuto un grande peso nelle scelte degli
Stati con le politiche neoliberiste e i governi si sono affidati completamente
al libero mercato, rinunciando ad un ruolo di programmazione. Oggi la politica,
per affrontare l’epidemia in corso si affida alle competenze e alla scienza: è
un importante passo avanti. Dobbiamo tuttavia ricordare che la pandemia in
corso non è stata prevista dalle classi dirigenti, ma nemmeno dal mondo
scientifico internazionale, che pure era stato avvisato e allertato sui
pericoli di possibili pandemie. Conseguentemente si sarebbero dovuti allertare
gli Stati e le istituzioni internazionali: affidarsi alle evidenze scientifiche
per guidarci nelle scelte che riguardano la vita e la salute pubblica è
fondamentale. Esse ci dicono che l’epidemia in corso è causata da un virus di
origine animale che ha subito delle modificazioni ed è arrivato a diffondersi
tramite le cellule umane. Sarà la scienza a indicarci la giusta strada, quella
scienza al servizio dell’uomo e della collettività, non del profitto.
Il bollettino della Protezione Civile ci aggiorna quotidianamente
sulla diffusione dell’epidemia, sui nuovi casi e sui deceduti. Al 19 aprile
2020 in Sardegna 1.178 persone hanno contratto il virus, 86 sono decedute. In
Italia 175.925 persone hanno contratto il virus, 23.227 sono
decedute.
A livello mondiale 2.347.875 sono i casi confermati e 161.402 i decessi[3].
In due mesi in Lombardia sono morti 11.851 civili, quasi il 50% dei decessi in
Italia sono avvenuti in questa Regione.
Voglio ricordare il contributo di medici, rianimatori,
infermieri, operatori sanitari, tecnici del SSN in tutta Italia e in
particolare in Lombardia. Ad oggi 19 aprile, i medici deceduti sono 131, di cui
70 sono medici di base, che rappresentano oltre il 50% dei deceduti nella
categoria dei medici[4];
gli infermieri 34; i farmacisti 10. Costretti a lavorare a mani nude senza
Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), per diversi mesi, guidati dallo
spirito di dedizione per contribuire a salvare vite umane.
Mettere in sicurezza il personale sanitario è il
presupposto per affrontare un’epidemia, dotandolo di DPI per tutelare la salute
degli operatori ed evitare la diffusione della malattia. Come dimostra
l’esperienza della Lombardia, anche in Sardegna oltre il 40% dei
positivi al COVID-19 sono operatori sanitari. Nei giorni scorsi abbiamo
avuto il primo medico deceduto in Sardegna a causa della malattia virale,
Nabeel Kaher, stimato medico, dalle grandi doti umane e professionali. Un altro
medico è deceduto a Sassari: era in pensione ed è stato richiamato in servizio.
In un’intervista al Sole 24 Ore di fine marzo il
Presidente della Fondazione GIMBE, Nino Cartabellotta, afferma: “I numeri
dimostrano che abbiamo pagato molto caro il prezzo dell’impreparazione
organizzativa e gestionale all’emergenza: dall’assenza di raccomandazioni
nazionali ai protocolli locali assenti o improvvisati; dalle difficoltà di
approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale (DPI), alla
mancata esecuzione sistematica dei tamponi agli operatori sanitari; dalla
mancata formazione dei professionisti sanitari all’informazione della
popolazione […] Tutte queste attività, inclusa la realizzazione di piani
regionali, erano previste dal ʿPiano nazionale di preparazione e risposta ad
una pandemia influenzaleʾ predisposto dopo l’influenza aviaria del 2003 dal
Ministero della Salute e aggiornato al 10 febbraio 2006 […] È inspiegabile,
continua il presidente, che tale piano non sia stato ripreso e aggiornato dopo
la dichiarazione di emergenza nazionale, lo scorso 31 gennaio”. Conclude
dicendo: “ Confidiamo che l’Istituto Superiore di Sanità proceda ad una
revisione del documento per garantire la massima protezione di professionisti e
operatori sanitari, che tutte le Regioni dispongano di effettuare i tamponi a
tutti gli operatori in prima linea contro l’emergenza e che la fornitura di
mascherine per medici, operatori sanitari e pazienti sia adeguata secondo
quanto previsto dalle migliori evidenze scientifiche”. In Sardegna solo la scorsa
settimana gli operatori sanitari sono stati dotati di un minimo di dispositivi
di protezione individuale (DPI).
La mancata e tardiva predisposizione di accessi
separati e dedicati ai pazienti COVID-19 ha ulteriormente aggravato i numeri
dei contagiati tra i sanitari e i ricoverati per altre patologie.
Nella nostra isola, come purtroppo è noto, il numero
degli operatori sanitari infetti, soprattutto in ambito ospedaliero, ha toccato
la scorsa settimana il 40,81% sul totale dei positivi, un primato drammatico
rispetto alla media nazionale di circa il 10%.
L’alto tasso di letalità in Lombardia causato dal
COVID-19, con percentuali superiori al resto d’Italia, è dovuto, secondo gli
epidemiologi e virologi, al sistema sanitario saturo, allo scarso numero
di tamponi, all’età avanzata della popolazione e alla tardiva chiusura delle
attività produttive a causa dell’opposizione di settori imprenditoriali e
industriali. Carlo Bonomi, eletto il 16 aprile Presidente di Confindustria, ha
criticato il Governo in quanto “in ritardo sul riavvio”. Senza programmi
di sicurezza non si possono riavviare le imprese. Ancora una volta si vuole
anteporre le esigenza di profitto alla salute e alla sicurezza dei lavoratori e
della collettività.
Dati dell’OMS ci dicono che in Cina se il blocco
totale fosse stato applicato una settimana prima si sarebbero ridotti i casi di
malattia di oltre il 50%, se si fosse applicato un mese prima la percentuale di
casi si sarebbe ridotta considerevolmente e non avrebbe avuto un impatto così
rilavante.
Si rende sempre più evidente che l’elevato numero di
infetti, malati, ricoverati in terapia intensiva e deceduti è da attribuirsi a
una mancata predisposizione di programmi di prevenzione e sicurezza, a una
mancata e tardiva dotazione del personale sanitario dei DPI, a un’assenza di
accessi separati e di strutture dedicate ai pazienti COVID-19.
Manca una cultura della prevenzione e della sicurezza
nei luoghi di lavoro: va creata per affrontare possibili e probabili future
epidemie e le istituzioni si devono dotare di piani nazionali e regionali di
prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Solo la sanità pubblica, con un forte SSN, può
dare queste risposte e tutelare la salute dei singoli e della collettività. È
necessaria un’inversione di tendenza sulle politiche sanitario e di welfare
state. Non devono essere più come prima.
Francesco Carta è un medico, presidente regionale di
Medicina Democratica Sardegna
[1] Esperto di epigenetica e biologia molecolare, Presidente del Comitato
scientifico della Società Italiana di Medicina ambientale (SIMA) e membro del
Consiglio scientifico di European Cancer and Environment Research Institute
(ECERI) di Bruxelles.
[2] Per l’intervista trasmessa da Radio Onda Rossa si veda il link: https://www.ondarossa.info/redazionali/2020/03/coronavirus-origini-effetti-e;
per un ulteriore approfondimento si veda l’intervista riportata su “Business
Insider Italia” dell’ 8 aprile 2020 al seguente link:
[3] Fonte: Protezione Civile e Regione Autonoma della Sardegna.
[4] Fonte: Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e
degli Odontoiatri (FNOMCEO).
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