Luis è morto. In ricordo di Sepúlveda - Pierluigi Pedretti
Forse la prenderò alla lontana, ma lo farò per
sottolineare due aspetti di Sepúlveda. Il primo riguarda il suo carattere di
uomo amichevole e solidale, intellettuale a tutto tondo. Il secondo di
scrittore impegnato a denunciare la sofferenza del mondo attraverso un suo
testo “minore”, ma, credo, significativo per capire questo grande cileno.
“Queste narrazioni sono epiche perché
riguardano imprese storiche o mitiche, eroiche o comunque avventurose: guerre,
anabasi, viaggi iniziatici, lotte per la sopravvivenza, sempre all’interno di
conflitti più vasti che decidono le sorti di classi, popoli, nazioni o
addirittura dell’intera umanità, sugli sfondi di crisi storiche, catastrofi,
formazioni sociali al collasso.” Roberto Bui, alias Wu Ming 1, teorizzava
con queste parole, ere fa, la “New Italian Epic”, che avrebbe accomunato in
quel periodo (anni 90’-2000) diversi nostri scrittori. Il dibattito successivo
non era stato esente da toni aspri, soprattutto contro Tiziano Scarpa, che
ironicamente aveva sottolineato la falsa novità della “neoepica italiana”,
sostenendo che non erano per nulla mancati negli anni precedenti autori che
avevano scritto “romanzi storici” per aiutarci a capire l’Italia e il mondo.
Faceva bene il vincitore dello Strega 2009 a rimbrottare la presunzione di Wu
Ming. Bastava guardare oltre il giardino di casa e la questione assumeva un
altro aspetto. In America Latina, ad esempio, le terribili condizioni di vita e
una tradizione letteraria consolidata avevano da tempo aperto la strada a una
nuova generazione di narratori, prima amici che colleghi – Taibo II,
Giardinelli, Fonseca, Padura Fuentes, Gamboa, Chavarrìa – che nelle loro opere narrative
utilizzavano la storia e l’immaginario come strumenti riflessivi e avvincenti.
Che bella combriccola di narratori, che bravi gli amici di Sepúlveda (perché
tali erano in molti). Lo scrittore cileno ci aiutò a conoscerli in quegli ormai
lontani anni di fine millennio curando una collana per Guanda, La
frontiera scomparsa. Fra i primi titoli ad essere pubblicati vi era un
romanzo dal significativo titolo di Lettera dalla fine del mondo di
Josè Manuel Fajardo. Era in pratica una lunga lettera che Domingo Perez, uno
dei marinai “abbandonati” dall’Ammiraglio Colombo nella nuova terra da poco
scoperta, destinava al fratello a testimonianza delle loro sventure. Partendo
da un fatto storico – Colombo costretto a lasciare un avamposto di trentanove
uomini sull’isola di Hispaniola – l’autore (ri)costruiva la vicenda del primo
tragico incontro tra due mondi diversi. La drammatica “testimonianza” era
soprattutto una metafora della condizione umana, fatta di solitudine,
oppressione e – come scriveva Sepúlveda nella prefazione – “di scoramento e
speranza, di azione e riflessione, al pari dei grandi libri d’avventura che ci
hanno iniziati al piacere della lettura.” Insomma, il mai troppo compianto
Luis ci indirizzava verso una strada forse meno raffinata rispetto ai soliti
nomi latino-americani che circolavano da noi (Borges, Cortazar, Marquez, Amado,
ecc) ma sicuramente feconda per la scoperta di nuovi scrittori o la riscoperta
di più vecchi, ad esempio i connazionali Roberto Bolaño e Francisco Coloane,
che con le loro narrazioni aiutavano a capire e capirci.
In un Sepúlveda “minore”, meno narrativo, ma
non meno coinvolgente, possiamo rintracciare la genesi del suo lavoro.
Riguarda Cronache dal cono sud (Guanda 2007). Dall’11
settembre 1973 per quasi diciotto anni Pinochet fu il padrone assoluto del
Cile. Nel 1988 un referendum sancì la fine della dittatura ma non del suo
potere. Lasciato ufficialmente il suo ruolo di capo di stato nel 1990, rimase
però alla testa delle forze armate per altri otto anni. Intoccabile sempre e
comunque. Michelle, la figlia di un altro militare, il generale Alberto
Bachelet – rimasto fedele alla Costituzione e per questo ucciso – divenne anni
dopo presidente del paese andino. Altra storia e personalità rispetto a quelle
dei suoi predecessori, che non se la sentirono mai di perseguire il dittatore
assassino José Augusto Ramón Pinochet Ugarte. Il generale golpista morì il 10
dicembre 2006: “senza pena né gloria , così come ha vissuto i suoi novantuno
anni di miserabile vigliacco, a cui si riconoscevano solo tre talenti: tradire,
mentire e rubare.” Tradì la Costituzione e il suo vero Presidente, che lo
aveva voluto a capo dell’esercito, e il popolo cileno. Salvador Allende fu
ucciso insieme a migliaia di cittadini inermi, che ne condivisero il destino
dopo settimane di prigione, di tortura e, spesso, di stupri. Mentì dicendo che
combatteva per salvare il Cile dal comunismo in nome della “libertà”. Invece fu
una marionetta degli Stati Uniti e del suo segretario di stato Henry Kissinger,
dominando sul Cile con migliaia di delatori assassini. Rubò con la sua cricca
di familiari e militari, ladri e assassini. “(Pinochet) dava ordine di
assassinare qualcuno, solitamente di sinistra, che avesse un grande
appezzamento di terreno considerato edificabile. Il terreno passava per qualche
giorno allo Stato cileno, ma poi veniva donato al CEMA, l’ente di sviluppo
diretto da Lucia Hiriart in Pinochet. Più ladra di una gazza, questa ordinava
agli architetti dell’esercito, pagati da tutti i cileni, di disegnare un
progetto per cento e più alloggi, che venivano costruiti da battaglioni di
soldati. (…) pagava tutto lo stato. Poi lei vendeva le case e il denaro
scompariva nei suoi conti correnti di Miami, Gibilterra, Svizzera.” E la
libera concorrenza? Non doveva dare il Gran Capo anche agli altri la
possibilità di “arricchirsi” secondo quella libertà in economia (l’esperimento
cileno dei Chicago boys, i seguaci di Milton Friedman) tanto decantata in
quegli anni anche da fini intellettuali come Mario Vargas Llosa? Era severo
Luis Sepúlveda, anzi rabbioso. Brutalmente irridente e amaro in queste preziose
pagine, che esprimono il suo personale dolore. Le sue cronicas –
scritte fra il 2005 e il 2006, alcune inedite, altre pubblicate su il
manifesto e su Repubblica – sono utili ancora oggi
per non dimenticare ciò che avvenne in America Latina e nel mondo a causa di
quelle politiche neoliberiste, di cui oggi, con il virus, cogliamo
meglio le contraddizioni. Non si risparmiava Sepúlveda. Attaccava frontalmente
la pavidità dell’Occidente, che aveva chiuso gli occhi di fronte alla tragedia
cilena, così come ha continuato a farlo sulle politiche ambientali e dei
diritti civili e sociali. Criticava la sinistra moderata, divenuta troppo
accondiscendente con la globalizzazione liberista. Non poteva che essere
sarcastico anche con i leader di allora – i vari Blair, Schroeder, ma anche con
gli italiani e gli spagnoli – che avevano snaturato le ragioni d’essere del
socialismo. Non voleva che si dimenticasse che dietro quelle politiche sciagurate
c’erano i nomi di uomini, donne, bambini, che avevano sofferto, che erano
morti. Come Ricardo e Luis, due ragazzi scomparsi il 5 ottobre 1973 dopo essere
stati fermati a coprifuoco inoltrato. “Trent’anni dopo si è saputo che
quella pattuglia militare li portò in un magazzino di materiali edili, li
sottopose ad ogni genere di tortura e alla fine li ammazzò a colpi di arma da
fuoco.” La versione ufficiale delle autorità? Avevano tentato di assaltare
una caserma laggiù nel profondo sud del Cile. Due ragazzini contro duemila
soldati.
Luis Sepúlveda, delicato come un gatto, veloce
come una gabbianella, volato via - Doriana Goracci
“Nacque
in una camera d’albergo mentre i suoi genitori fuggivano a seguito di una
denuncia – sempre per motivi politici – contro suo padre fatta dal ricco nonno
materno.
Gerardo Sepúlveda Tapia (conosciuto anche con
il nome di battaglia “Ricardo Blanco”), nonno di Luis Sepúlveda, era un
anarchico andaluso che fuggì in America del Sud per evitare una condanna a
morte che pendeva su di lui”.
Molti giovani forse non sanno che “a
seguito del colpo di Stato militare di Pinochet, Luis Sepúlveda, che si trovava
nel palazzo presidenziale (dove morì Allende), venne arrestato e torturato.
Passò sette mesi in una cella minuscola in cui era impossibile stare anche solo
sdraiati o in piedi. Grazie alle forti pressioni di Amnesty International venne
scarcerato e ricominciò a fare teatro ispirato alle sue convinzioni politiche.
Questo gli costò un secondo arresto: data la notorietà del personaggio, la
giunta militare, che in quegli anni fu responsabile del dramma dei
desaparecidos cileni, lo processò ufficialmente ed egli ebbe una condanna
all’ergastolo che poi, sempre su pressione di Amnesty International, fu
commutata nella pena di otto anni d’esilio. In tutto passò due anni e mezzo in
carcere….e dopo tante traversie …nel 1982 venne in contatto con
l’organizzazione ecologista Greenpeace e lavorò fino al 1987 come membro di
equipaggio su una delle loro navi; successivamente agì come coordinatore tra i
vari settori dell’organizzazione”.
Sì, nel febbraio 2020 è stato contagiato
dal COVID-19, dopo viene ricoverato al Central University Hospital of
Asturias di Oviedo, da dove è volato via questo 16 aprile. Era stata trovata
positiva anche la moglie, Carmen Yáñez, poetessa così
amata che Sepulveda se la sposò due volte ma lei pian piano sembrava essersi
rimessa meglio di lui.
Ripeto quanto scrissi l’11 marzo sulla
mia pagina FB “Viaggiando in lungo e in largo per il mondo ho
incontrato magnifici sognatori, uomini e donne che credono con testardaggine
nei sogni. Li mantengono, li coltivano, li condividono, li moltiplicano. Io
umilmente, a modo mio, ho fatto lo stesso.”
Felice chi l’ha incontrato, conosciuto,
letto, felici i gatti e le gabbianelle, il mondo animale e degli umani ribelli.
Credo che è quanto di più bello noi potessimo ereditare.
ripreso da agoravox.it
IL COMPAGNO EVARISTO E GLI
ALTRI - Luis Sepúlveda
Quando a Lima erano le 15,30 del 22
aprile, meno di un giorno fa, ero all’aeroporto di Monaco di Baviera e ha
suonato il mio cellulare. Era Nestor Cerpa Cartolini, ovvero il comandante Evaristo, che mi chiamava. Qualcuno,
un giornalista tedesco forse, gli aveva dato il mio numero e gli aveva fatto
sapere che ero disponibile a fare parte di uno scudo umano per interposizione
fra i sequestratori dell’Mrta, che da 126 giorni occupavano la residenza
dell’ambasciatore giapponese a Lima, e la follia di Fujimori, un discendente di
giapponesi che, per quanto ci costi riconoscerlo, rappresenta la peggior
spazzatura giunta su un continente che ha sempre accolto bene gli emigranti.
I guerriglieri dell’Mrta, Movimiento revolucionario Tupac Amaru – i Tupamaros nel
gergo militante – si sono lanciati all’occupazione della residenza diplomatica
giapponese per ottenere la liberazione di quattrocento uomini e donne che
morivano e muoiono lentamente nelle peggiori galere del continente.
È poco quello che la cosiddetta opinione
pubblica internazionale sa del Perù. Sa, per esempio, che quel Paese andino fu
sconvolto da un’ondata irrazionale di ,violenza pseudo-izquierdista guidata da
Sendero luminoso, un gruppo politico che ha saputo manipolare con abilità il
sentimento di frustrazione degli indios peruviani e li ha spinti a una pratica
di eliminazione dei loro oppositori da far invidia ai Khmer Rossi di Pol Pot in
Cambogia E molto meno si sa dell’Mrta che, erede dell’antica tradizione di
lotta dei comuneros indigeni, ha tentato di umanizzare la
guerra contro lo sfruttamento secolare dei popoli andini. L’Mrta è un movimento
politico tipicamente latinoamericano che, a torto o a ragione, ha continuato il
cammino cominciato da Guillermo Lobatón, Héctor Bejar o dal mio fratello, il
giovane poeta Javier Heraud, tutti caduti nella lotta guerrigliera degli anni
settanta.
Fin dalle sue prime azioni l’Mrta ha
cercato di agire per poter negoziare con l’unico linguaggio che l’oligarchia
peruviana rispetta, ossia da una posizione di forza.
Un indio peruviano non esiste come
persona, è appena un numero, un elemento per le statistiche, ed è proprio in
Paesi come il Perù dove la borghesia crea le condizioni violente per rispondere
con violenza alla violenza dello Stato al servizio di pochi, molto pochi.
Durante i 126 giorni di occupazione della
residenza dell’ambasciatore giapponese a Lima non è stato commesso alcun tipo
di violenza contro gli ostaggi. È legittimo
pensare che la privazione della libertà sia già una sufficiente violenza, però,
attenzione, stiamo parlando del Perù, di un Paese governato da un megalomane
che ha cercato di autolegittimarsi con un abile colpo di Stato e la benedizione
del Fondo Monetario Internazionale. Gli ostaggi sono stati trattati con la
cortesia stipulata nei trattati internazionali sui prigionieri di guerra.
Qualcosa di molto diverso succedeva, succede e succederà nelle carceri di
Fujimori.
I militari peruviani, responsabili delle
peggiori violazioni del diritti umani, formati nella Escuela de las Américas dell’esercito
degli Stati Uniti, non hanno vacillato nel torturare e assassinare i militanti
di sinistra, e nel cercare di uccidere in vita, attraverso l’impazzimento, i
sopravvissuti. Mesi, anni di isolamento assoluto, nell’oscurità, senza alcuna
assistenza medica, e senza processo, è stata la formula usata da Fujimori per
farla finita con qualsiasi tipo di dissidenza politica, armata o pacifica.
Il trionfo militare contro Sendero luminoso ha fatto di Fujimori un paladino
della lotta contro la sovversione nel continente, e sconfiggere quella banda di
cretini maoisti ha valso a Fujimori il beneplacito internazionale per fare
tutto quel che gli passasse per la testa Tutti i mezzi sono buoni per
proteggere gli investimenti del capitale internazionale in Perù, e in America
Latina.
Il telefono ha suonato, e la voce agitata
di Cerpa, Evaristo, diceva: «Mezz’ora
fa si è ritirato l’ambasciatore del Canada, l’attacco contro l’ambasciata è
cominciato. Moriremo tutti, fratello, e cadiamo per il Perù e l’America
Latina».
Sono le due del mattino quando scrivo
queste righe e sono preda di una tremenda rabbia, perché tutti gli sforzi
andavano in direzione di un negoziato. Un mese fa ne parlai con l’ambasciatore
dell’Uruguay in Perù, che era uno degli ostaggi liberati dall’Mrta, e lui mi
assicurò che gli occupanti della residenza giapponese erano tutti molto giovani
e molto colti, e che nessuno degli ostaggi aveva paura di loro. Adesso le
agenzie parlano della morte di tutti quel compagni, che sbagliassero o no
compagni, perché è bene che si sappia una maledetta volta per tutte che tutti
quelli che si ribellano in America Latina, dai ragazzi combattenti del Chiapas
fino ai detenuti politici del Frente Manuel Rodrígues in
Cile, sono una sola grande famiglia che con orgoglio assoluto va avanti nella
traccia lasciata dal Che, perché non ci è stato lasciato altro cammino, perché
la pace non convive con lo sfruttamento, perché la dignità non la decide il
Fondo Monetario Internazionale, perché le speranze del continente non le
amministra la Banca Mondiale, perché la sete di giustizia sociale non si è
saziata con la caduta del falso mondo socialista né con l’avvento del nuovo
ordine internazionale.
Non so ancora quanti guerriglieri
dell’Mrta siano morti, neanche conosco quanti ostaggi siano caduti e neanche a
quanto ammontino le perdite dell’esercito peruviano. Tutto importa, perché si è
scritta una nuova pagina della storia nera dello sfruttamento e della repressione
della storia dell’America Latina.
Oggi i governanti del mondo si
affretteranno a salutare l’energia e la decisione di Fujimori, ma i detenuti
politici continueranno a morire secondo dopo secondo nelle galere peruviane.
Appena un mese fa Fidel Castro aveva offerto asilo ai guerriglieri dell’Mrta ma
loro risposero che non avevano preso d’assalto l’ambasciata per guadagnarsi una
vacanza a Cuba, bensì per strappare alla morte 400 compagni, Questo si chiama
dignità, valore, avere le palle in politica.
Per quanto non serva più a nulla, saluto
quei compagni caduti, i miei compagni, che forse sbagliavano o forse no, ma che
hanno dimostrato che il capitalismo non ha la minima chance di dormire sonni tranquilli.
Con ogni donna o uomo che muore per la
giustizia sociale muore anche qualcosa della decenza umana. Però qualcosa
resta, ed è proprio quel qualcosa che ci fa inghiottire la rabbia e ripetere a
denti stretti: Vinceremo!
pubblicato il 24 aprile 1997
sul quotidiano “il manifesto” qui
La gabbianella vola - Patrizia Cecconi
Arriva
un’altra brutta notizia. Apparteniamo tutti alla morte, quella falce che decide
quando recidere la vita, e oggi, in mezzo alle migliaia di bimbi che muoiono di
polmonite, di colera, di fame, di sete e di altrui profitto; in mezzo alle
migliaia di umani di ogni età, sesso, religione e fazione politica che vengono
massacrati affinché proliferi la più ignobile delle industrie, quella delle
armi; in mezzo alle migliaia di morti vittime dirette o indirette della peste del
momento, la covid-19, quella falce ha tagliato la vita di Luis
Sepùlveda, lo scrittore, combattente, rivoluzionario, capace di farsi amare dai
bambini con la sua vena fiabesca, e dagli adulti per quella scrittura che pur
andando giù morbida come una carezza ti segna l’animo come un raggio laser.
Ora Luis lo
scrittore, ma anche il compagno cileno che portava con sé il ricordo indelebile
di quell’11 settembre del “73, quando il sogno di emancipazione sociale del suo
Paese si spense sotto il colpo di Stato di Pinochet, ci ha lasciati a soli 70
anni, un’età che non è più quella di morire. Ma la morte, purtroppo,
arriva a sua discrezione. Non furono gli anni di rischiosa
militanza cilena, né quelli trascorsi in carcere sotto una delle più feroci
dittature a ucciderlo, anzi la sua forza di vivere e di chiedere giustizia a
tutto e per tutto il mondo ne fu accresciuta; non furono neanche le migliaia di
sigarette fumate, no, Luis era un uomo forte ma non aveva più le difese
immunitarie sufficienti a vincere il nuovo virus killer, e questo si è inserito
nelle sue cellule trasformandosi in malattia, la covid-19, che gli ha tolto la
vita a Oviedo, in un ospedale spagnolo.
Le sue lotte
per un mondo più giusto, in sintonia con la sua produzione artistica, non
riguardavano solo gli umani, Sepùlveda si batteva affinché il mondo
sconfiggesse il dolore, compreso quello degli animali. I suoi
viaggi sulle navi di Greenpeace, la sua denuncia contro la strage delle balene
ne sono testimonianza; il suo invocare un modello di vita che restituisse
rispetto all’ambiente e le sue passioni, compresa quella più umana e potente di
tutte, le si ritrovano in tutti i suoi libri: sogni che si fanno fiabe, ricordi
che si trasformano in romanzi e tra le pagine, chiari o infilati tra le righe, appaiono
quei messaggi che denunciano la sua voglia forte di parlare agli altri e
suggerire un percorso di coraggio e di apertura alla vita. La
gabbianella che ha paura di volare e che “sull’orlo del baratro ha capito… che
vola solo chi osa farlo” o l’inutilità di una porta chiusa da cui “la
tristezza non può uscire e l’allegria non può entrare” sono solo un
piccolissimo esempio di quel suo ribadire che il coraggio apre alla libertà,
che la felicità è un diritto umano, che l’aprirsi al mondo porta bellezza e che
coltivare i sogni è qualcosa di irrinunciabile per chiunque ami la vita
intensamente, pur sapendo che tanti fallimenti ne segneranno il percorso.
E’ andato
via così, ma ci ha lasciato uno scaffale di storie da leggere o da rileggere, e
la perfida malattia che lo ha consegnato alla morte non ha potuto portarsi via
quelle pagine scritte in uno stile letterario coinvolgente, spesso teneramente
poetico e a volte affilato e tagliente come quando afferma che l’America Latina
è una terra senz’altri punti cardinali che quello a nord, là dove confina con
l’odio. E
cos’altro poteva dire portando sempre con sé il ricordo di quell’11 settembre
del “73 in cui la mano degli USA fu – direttamente per alcuni e indirettamente
per tutti, Kissinger compreso – artefice di quel colpo di Stato militare che
trasformò il Cile in una terra di inaudita violenza?
Ne “La
storia finisce qui”, uno dei suoi ultimi libri, Sepùlveda racconta le
pagine più buie del “900 compresa la tragedia della dittatura di Pinochet, ma
la donna del romanzo, seppur segnata indelebilmente dalle torture subite è
presente e viva. La storia non finisce qui, infatti. Perché i sogni non sono
abbattuti se non per un attimo dalle sconfitte e ciò che la morte non può
prendere resta alla vita e il ciclo continua.
Mentre
chiudiamo questo ricordo, ci dispiace doverlo notare, ma ci corre l’obbligo di
farlo, una nota di TGCOM 24, ci informa della morte di Sepulveda,
“autore di Cent’anni di solitudine”. Vergogna TGCOM 24, un vecchio
detto forse confuciano invitava a stare in silenzio correndo il rischio di
passare per sciocchi, piuttosto che aprire bocca e togliere ogni dubbio. Ecco,
sarebbe stato preferibile il silenzio, cara prestigiosa agenzia di stampa,
piuttosto che confondere due grandi scrittori, completamente diversi per stile
letterario, forse solo perché entrambi latinoamericani, ma guarda caso, l’uno
nato in Colombia e morto alcuni anni fa in Messico e l’altro nato in Cile e
morto ieri in Spagna.
TGCOM24,
scoperto e giustamente criticato per questo, che non è un refuso, ma è
l’insulto dell’ignoranza sia verso Sepùlveda che verso Garcìa Marquez, si
scusa dicendo testualmente “la prossima volta staremo più attenti”, come
se avessero inavvertitamente rovesciato dell’acqua sulla tavola sicuri che
presto la cosa sarà dimenticata e non ne resterà traccia. Noi invece la
ricorderemo perché non è solo un insulto ai due scrittori, ma è anche un
chiaro segnale del pressappochismo che sempre più contraddistingue alcuni media
mainstream.
Ma ora
salutiamo Sepulveda immaginando che quella gabbianella sopravvissuta grazie al
gatto che “contro-natura” non la mangiò ma le insegnò a volare, seguiti ancora
a volare portando alto il ricordo del suo creatore e il diritto di dar forma ai
sogni passando il testimone quando il destino lo impone.
Sepulveda: «Fa
rabbia il ritorno a tempi che credevamo superati»
(Intervista di Roberto Zanini
a Luis Sepulveda)
Ha appena compiuto 70 anni, Luis Sepulveda. Ne aveva 28 quando il Cile di
Pinochet lo espulse benignamente invece di fargli scontare il meritato
ergastolo come membro del Gap, il Grupo amigos personales del presidente
Allende. I carri armati per le strade di Santiago li porta letteralmente nella
carne, nelle ossa piegate da anni di una cella grande come un frigorifero,
nelle unghie strappate. Ora i tank sono tornati, è di nuovo stato d’emergenza
Cosa hai sentito nel tuo cuore a vedere i soldati per le strade, un’altra
volta?
Una grande, grande rabbia. Il ritorno a tempi che credevamo superati. Ma non è così, il fantasma del pinochettismo continua a essere molto vivo in Cile, e il presidente Sebastian Pinera, che è una persona perfettamente inutile, ne dimostra l’atteggiamento apertamente fascista.
Una grande, grande rabbia. Il ritorno a tempi che credevamo superati. Ma non è così, il fantasma del pinochettismo continua a essere molto vivo in Cile, e il presidente Sebastian Pinera, che è una persona perfettamente inutile, ne dimostra l’atteggiamento apertamente fascista.
E’ ancora Pinochet, il suo spettro, o c’è qualcosa di nuovo in questo
governo di destra che arma le strade?
Nel fondo c’è una parte dell’eredità di Pinochet. E appena sopra c’è un’estrema destra fascista nello stile di Bolsonaro, sempre più presente in ogni paese dell’America Latina.
Nel fondo c’è una parte dell’eredità di Pinochet. E appena sopra c’è un’estrema destra fascista nello stile di Bolsonaro, sempre più presente in ogni paese dell’America Latina.
Ogni giorno di più: a parte il Messico, la destra va molto bene in tutto il
subcontinente.
Sì, c’è una fioritura dell’estrema destra, unita a narcotaffico, sette evangeliche e fondamentalismi religiosi. Il panorama è brutto, e diventa peggiore.
Sì, c’è una fioritura dell’estrema destra, unita a narcotaffico, sette evangeliche e fondamentalismi religiosi. Il panorama è brutto, e diventa peggiore.
Hai paura di qualcosa di simile ad allora o la democrazia cilena è
abbastanza forte da poter superare questi soldati per le strade?
Il golpe militare del ’73 aveva un solo obiettivo: imporre un sistema economico, il modello neoliberale dell’economia. Questo venne imposto. Ora le conseguenze del neoliberalismo hanno portato a un’esplosione sociale, che era là, contenuta, ma che presto o tardi sarebbe scoppiata. Il problema è che questa esplosione sociale non ha un obiettivo politico ben definito, è ira popolare che divampa in maniera spontanea, ma senza che alcuna forza politica proponga un’alternativa. E’ rabbia per la rabbia, e questo è molto preoccupante. Non credo che si possa ripetere il golpe del ’73, un colpo di stato con quelle caratteristiche, ma tutto ciò che è stato conquistato dagli anni del golpe, anche le conquiste più minime, ora è in pericolo.
Il golpe militare del ’73 aveva un solo obiettivo: imporre un sistema economico, il modello neoliberale dell’economia. Questo venne imposto. Ora le conseguenze del neoliberalismo hanno portato a un’esplosione sociale, che era là, contenuta, ma che presto o tardi sarebbe scoppiata. Il problema è che questa esplosione sociale non ha un obiettivo politico ben definito, è ira popolare che divampa in maniera spontanea, ma senza che alcuna forza politica proponga un’alternativa. E’ rabbia per la rabbia, e questo è molto preoccupante. Non credo che si possa ripetere il golpe del ’73, un colpo di stato con quelle caratteristiche, ma tutto ciò che è stato conquistato dagli anni del golpe, anche le conquiste più minime, ora è in pericolo.
Dunque questa è una jaquerie, ribellione senza orizzonte politico, è così?
Esattamente, è una reazione popolare di fronte a una serie di misure assolutamente odiose. Il Cile è un paese dove le disuguaglianze sociali sono incredibili quando si prova va descriverle, i molto ricchi e una maggioranza di persone che vive della povertà di quelli più in basso. Il trionfo ideologico del neoliberalismo ha fatto sì che molta gente, per il semplice fatto di avere una puta carta di credito, si senta parte integrante della classe media. E’ un paese ideologicamente molto debole, la sinistra cilena è nel suo peggiore momento, non c’è un’alternativa e la rabbia popolare, l’ira delle classi popolari, si manifesta in questa maniera. Ma la risposta della repressione ci può portare verso tempi tremendamente brutti.
Esattamente, è una reazione popolare di fronte a una serie di misure assolutamente odiose. Il Cile è un paese dove le disuguaglianze sociali sono incredibili quando si prova va descriverle, i molto ricchi e una maggioranza di persone che vive della povertà di quelli più in basso. Il trionfo ideologico del neoliberalismo ha fatto sì che molta gente, per il semplice fatto di avere una puta carta di credito, si senta parte integrante della classe media. E’ un paese ideologicamente molto debole, la sinistra cilena è nel suo peggiore momento, non c’è un’alternativa e la rabbia popolare, l’ira delle classi popolari, si manifesta in questa maniera. Ma la risposta della repressione ci può portare verso tempi tremendamente brutti.
Hai qualche speranza in ciò che resta della storica sinistra cilena, o in
altri gruppi?
La sola vera speranza è la gente giovane, quella che ha manifestato più duramente e da più tempo contro il governo, ma manca un’articolazione politica intelligente, la costruzione di un progetto politico alternativo, le risorse intellettuali per proporre qualcosa di diverso, e questo è un lavoro di anni. Spero verrà fatto.
La sola vera speranza è la gente giovane, quella che ha manifestato più duramente e da più tempo contro il governo, ma manca un’articolazione politica intelligente, la costruzione di un progetto politico alternativo, le risorse intellettuali per proporre qualcosa di diverso, e questo è un lavoro di anni. Spero verrà fatto.
Altre esperienze in America latina? Quello di oggi è un fenomeno cileno o è
latinoamericano?
Ciò che accade in Cile è parte di un fenomeno globale, con tutta evidenza anche il neoliberalismo è in crisi. Quando un paese come gli Stati Uniti elegge presidente un imprenditore del tutto inetto, inefficace e ignorante, non si può sperare che gli altri mandatarios del mondo possano essere molto diversi. Meno di una settimana fa Donald Trump ha detto che la relazione tra Stati Uniti e Italia risale all’antica Roma! Ci sono alcune speranze: la Bolivia di Evo Morales, combattere ogni povertà in un modo reale ed efficiente e far crescere il paese, l’Uruguay del Frente Amplio, Pepe Mujica ha iniziato un’altra maniera di fare politica che il Frente Amplio ha proseguito, senza grandi ambizioni ha conquistato cose fondamentali e la gente vive meglio. Evidentemente non è la grande soluzione, la grande soluzione dovrebbe essere un altro modo di vivere, allontanarsi dalla realtà e dal mito della crescita economica. Bisogna avere un’altra idea di sviluppo, manca questo per completare l’idea di una alternativa.
Ciò che accade in Cile è parte di un fenomeno globale, con tutta evidenza anche il neoliberalismo è in crisi. Quando un paese come gli Stati Uniti elegge presidente un imprenditore del tutto inetto, inefficace e ignorante, non si può sperare che gli altri mandatarios del mondo possano essere molto diversi. Meno di una settimana fa Donald Trump ha detto che la relazione tra Stati Uniti e Italia risale all’antica Roma! Ci sono alcune speranze: la Bolivia di Evo Morales, combattere ogni povertà in un modo reale ed efficiente e far crescere il paese, l’Uruguay del Frente Amplio, Pepe Mujica ha iniziato un’altra maniera di fare politica che il Frente Amplio ha proseguito, senza grandi ambizioni ha conquistato cose fondamentali e la gente vive meglio. Evidentemente non è la grande soluzione, la grande soluzione dovrebbe essere un altro modo di vivere, allontanarsi dalla realtà e dal mito della crescita economica. Bisogna avere un’altra idea di sviluppo, manca questo per completare l’idea di una alternativa.
Pinera ha dichiarato: “Siamo in guerra contro un nemico potente, molto
organizzato e implacabile, disposto a usare la violenza e la delinquenza senza
alcun limite”. Sembra la descrizione di un’invasione. Ma chi è il nemico? Ed è
davvero organizzato?
Macché nemico organizzato, il “nemico” sono i pensionati che vivono con un assegno miserabile, gli studenti che terminano i corsi con trent’anni di debiti scolastici, gli insegnanti con il salario più basso d’America Latina, i giovani senza alcun futuro, la classe lavoratrice senza alcun diritto… Ogni giorno la polizia entra nelle scuole e nei licei e picchia brutalmente. E questa esplosione spontanea, cominciata con una manifestazione del tutto pacifica contro il costo dei biglietti della metro, non giustifica in alcun modo la violenza dello stato. Quando lo stato comincia a praticare la violenza, evidentemente incontra una risposta violenta.
Macché nemico organizzato, il “nemico” sono i pensionati che vivono con un assegno miserabile, gli studenti che terminano i corsi con trent’anni di debiti scolastici, gli insegnanti con il salario più basso d’America Latina, i giovani senza alcun futuro, la classe lavoratrice senza alcun diritto… Ogni giorno la polizia entra nelle scuole e nei licei e picchia brutalmente. E questa esplosione spontanea, cominciata con una manifestazione del tutto pacifica contro il costo dei biglietti della metro, non giustifica in alcun modo la violenza dello stato. Quando lo stato comincia a praticare la violenza, evidentemente incontra una risposta violenta.
Le donne della mia generazione
aprirono i loro petali ribelli
non di rose, camelie, orchidee o altre piante
di salottini tristi, di casette borghesi,
di usanze stantie,
ma di erbe pellegrine al vento
aprirono i loro petali ribelli
non di rose, camelie, orchidee o altre piante
di salottini tristi, di casette borghesi,
di usanze stantie,
ma di erbe pellegrine al vento
Perché le donne della mia generazione fiorirono
per strada, in fabbrica
divennero filatrici di sogni,
e dentro il sindacato organizzarono l’amore
secondo i loro saggi criteri.
per strada, in fabbrica
divennero filatrici di sogni,
e dentro il sindacato organizzarono l’amore
secondo i loro saggi criteri.
«Cioè» dissero le donne della mia generazione
«a ciascuno secondo i suoi bisogni
e la sua capacità di risposta.»
Come nella lotta colpo su colpo,
nell’amore bacio su bacio.
«a ciascuno secondo i suoi bisogni
e la sua capacità di risposta.»
Come nella lotta colpo su colpo,
nell’amore bacio su bacio.
E nelle aule argentine, cilene e uruguaiane
seppero quel che dovevano sapere
per il sapere glorioso
delle donne della mia generazione.
seppero quel che dovevano sapere
per il sapere glorioso
delle donne della mia generazione.
Minigonne in fiore negli anni settanta,
le donne della mia generazione
non nascosero neanche le ombre delle loro gambe
che furono di Tania.
le donne della mia generazione
non nascosero neanche le ombre delle loro gambe
che furono di Tania.
Erotizzando col più grande calibro
la dura strada dell’appuntamento con la morte.
la dura strada dell’appuntamento con la morte.
Perché le donne della mia generazione
bevvero di gusto il vino dei vivi,
accorsero a ogni chiamata,
tennero acceso il fuoco
e furono dignità nella sconfitta.
bevvero di gusto il vino dei vivi,
accorsero a ogni chiamata,
tennero acceso il fuoco
e furono dignità nella sconfitta.
Nelle caserme le chiamarono puttane
senza offenderle
perché venivano da un bosco di sinonimi allegri:
minas, grelas, parcantas, cabritas, minones,
gurisas, garotas, jevas, zipotas,
viejas, chavalas, senoritas.
senza offenderle
perché venivano da un bosco di sinonimi allegri:
minas, grelas, parcantas, cabritas, minones,
gurisas, garotas, jevas, zipotas,
viejas, chavalas, senoritas.
Finché loro stesse non scrissero
la parola Compagna,
su ogni schiena
e sui muri di ogni albergo.
la parola Compagna,
su ogni schiena
e sui muri di ogni albergo.
Perché le donne della mia generazione ci marchiarono
addosso
col fuoco eterno delle loro unghie
la verità universale dei loro diritti.
col fuoco eterno delle loro unghie
la verità universale dei loro diritti.
Conobbero il carcere e i pestaggi,
Vissero in mille patrie e in nessuna,
Piansero i loro morti e i miei come fossero i loro,
Dettero calore al freddo, categoria al tempo e desideri alla stanchezza,
All’acqua dettero sapore e conservarono il fuoco
della loro invincibile memoria.
Vissero in mille patrie e in nessuna,
Piansero i loro morti e i miei come fossero i loro,
Dettero calore al freddo, categoria al tempo e desideri alla stanchezza,
All’acqua dettero sapore e conservarono il fuoco
della loro invincibile memoria.
Le donne della mia generazione partorirono figli eterni,
li allattarono cantando Summertime,
fumarono marijuana nel riposo,
ballarono il meglio del vino
e bevvero le musiche più pure.
li allattarono cantando Summertime,
fumarono marijuana nel riposo,
ballarono il meglio del vino
e bevvero le musiche più pure.
Perché le donne della mia generazione
ci insegnarono che la vita
non si offre a sorsi, compagni,
ma tutta d’un colpo e fino in fondo alle sue conseguenze.
ci insegnarono che la vita
non si offre a sorsi, compagni,
ma tutta d’un colpo e fino in fondo alle sue conseguenze.
Furono studentesse, minatrici, sindacaliste, operaie,
artigiane, attrici, guerrigliere,
persino madri e compagne
nei momenti liberi dalla Resistenza.
artigiane, attrici, guerrigliere,
persino madri e compagne
nei momenti liberi dalla Resistenza.
Perché le donne della mia generazione
rispettarono solo il limite dell’orizzonte
e mai e poi mai una frontiera.
rispettarono solo il limite dell’orizzonte
e mai e poi mai una frontiera.
Internazionaliste dell’affetto, brigatiste dell’amore,
miliziane della carezza, commissarie del dire ti amo.
miliziane della carezza, commissarie del dire ti amo.
Fra una battaglia e l’altra
le donne della mia generazione dettero tutto
e dissero che era appena sufficiente.
le donne della mia generazione dettero tutto
e dissero che era appena sufficiente.
Le dichiararono vedove a Córdoba e a Tlatelolco.
Le vestirono di nero a Puerto Montt e a San Paolo.
E a Santiago, Buenos Aires e Montevideo
furono le uniche stelle
della lunga notte clandestina.
Le vestirono di nero a Puerto Montt e a San Paolo.
E a Santiago, Buenos Aires e Montevideo
furono le uniche stelle
della lunga notte clandestina.
I loro capelli bianchi non sono capelli bianchi
ma un modo d’essere
per il compito che le attende.
ma un modo d’essere
per il compito che le attende.
Le rughe che spuntano sui loro visi
dicono: ho riso e pianto e tornerei a farlo.
dicono: ho riso e pianto e tornerei a farlo.
Le donne della mia generazione
hanno preso qualche chilo di ragioni
che non se ne vanno,
si muovono un po’ più lente,
stanche di aspettarci alla meta.
hanno preso qualche chilo di ragioni
che non se ne vanno,
si muovono un po’ più lente,
stanche di aspettarci alla meta.
Scrivono messaggi che incendiano la memoria.
Ricordano aromi proscritti e poi li cantano.
Ogni giorno inventano parole
e con quelle ci spingono,
Nominano le cose e ci arredano il mondo.
Ogni giorno inventano parole
e con quelle ci spingono,
Nominano le cose e ci arredano il mondo.
Scrivono verità sulla sabbia e le offrono al mare.
Ci convocano e ci danno alla luce sulla tavola
apparecchiata.
Dicono pane, lavoro, giustizia, libertà,
e la prudenza dell’uomo si trasforma in vergogna.
e la prudenza dell’uomo si trasforma in vergogna.
Le donne della mia generazione sono come barricate:
riparano e incoraggiano, danno fiducia
e addolciscono il filo dell’ira.
riparano e incoraggiano, danno fiducia
e addolciscono il filo dell’ira.
Le donne della mia generazione
sono come un pugno chiuso
che protegge con violenza la tenerezza del mondo.
sono come un pugno chiuso
che protegge con violenza la tenerezza del mondo.
Le donne della mia generazione non gridano
perché hanno sconfitto il silenzio.
perché hanno sconfitto il silenzio.
Se qualcosa ci segna, sono loro.
L’identità del secolo sono loro.
Loro, la fede restituita, il coraggio nascosto di un
volantino,
il bacio segreto, il ritorno a tutti i diritti.
il bacio segreto, il ritorno a tutti i diritti.
Un tango nella serena solitudine di un aeroporto,
una poesia di Gelman scritta su un tovagliolo,
Benedetti condiviso nel pianeta di un ombrello,
i nomi degli amici
conservati con spighe di lavanda.
una poesia di Gelman scritta su un tovagliolo,
Benedetti condiviso nel pianeta di un ombrello,
i nomi degli amici
conservati con spighe di lavanda.
Le lettere per cui baci il postino,
le mani che sorreggono il ritratto dei miei morti,
i semplici elementi dei giorni
che sgomentano il tiranno,
la complessa architettura dei sogni dei tuoi nipoti.
le mani che sorreggono il ritratto dei miei morti,
i semplici elementi dei giorni
che sgomentano il tiranno,
la complessa architettura dei sogni dei tuoi nipoti.
Sono tutto e sostengono tutto,
perché tutto arriva coi loro passi
e ci raggiunge e ci sorprende.
perché tutto arriva coi loro passi
e ci raggiunge e ci sorprende.
Non c’è solitudine dove guardano loro
né oblio finché cantano.
Intellettuali dell’istinto, istinto della ragione.
Prova di forza per il forte
e amorevole vitamina per il debole.
né oblio finché cantano.
Intellettuali dell’istinto, istinto della ragione.
Prova di forza per il forte
e amorevole vitamina per il debole.
Ecco come sono, le uniche, irripetibili, indispensabili,
sofferte, picchiate,
Donne negate ma invitte della mia generazione.
Donne negate ma invitte della mia generazione.
(Luis Sepulveda, 1949-2020)
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